Se i nostri occhi fossero molto più sensibili alle deboli luci del cielo, ogni notte serena lontano dalle luci della città ci presenterebbe uno spettacolo di proporzioni gigantesche. Nascoste tra le stelle che brillano e gli ampi spazi vuoti nei quali i nostri occhi si perdono, ci sono splendide opere d'arte chiamate nebulose, distese immense di gas tenue e molto caldo che tracciano indescrivibili trame tra quelle costellazioni così tanto familiari.
I nostri occhi non potranno mai ammirare qualcosa del genere, ma le nostre fotocamere digitali sì.
La costellazione estiva del Cigno, immersa nel pieno della Via Lattea estiva, ne è uno degli esempi più eclatanti. Una camera CCD equipaggiata con un obiettivo da 35 mm di focale, un filtro H-alpha che lascia passare solo la luce in cui emettono le nebulose, qualche ora di esposizione e tanta pazienza, sono gli ingredienti necessari per farci vedere il Cigno come non lo vedremo mai. Eppure la realtà è quella di questa foto e non quella che i nostri occhi ogni notte serena ci nascondono.
Il cielo, l'Universo, è un posto più sorprendente di quanto possiamo immaginare.
Provate a indovinare dove si trovano le stelle della costellazione!
Qualche dato tecnico: mosaico di 15 riprese(!) ognuna di 40 minuti di esposizione con camera CCD SBIG ST7-XME e filtro H-alpha da 12 nm di banda passante.
Blog di Daniele Gasparri, astrofisico e divulgatore scientifico. Cerca i miei libri su amazon.it
martedì 31 dicembre 2013
venerdì 27 dicembre 2013
Come atterrava uno Shuttle?
Gli Space Shuttle sono state le prime e uniche (fino a questo momento) navicelle riutilizzabili della storia, andate ormai in pensione nel luglio del 2011. Partivano cme un razzo e atterravano come un aereo, ma pochi forse sanno in che modo avveniva la discesa.
Una volta terminata la missione in orbita terrestre, ad almeno 350 km di altezza, iniziava il momento più delicato dell'intero viaggio: il ritorno a casa.
Senza più
carburante per effettuare una discesa controllata e lenta, lo Shuttle, come
tutte le altre capsule, precipitava letteralmente nell'atmosfera. Per perdere quota
dall’orbita azionava per pochi minuti i razzi di manovra che ne rallentavano la
velocità orbitale. A questo punto il campo gravitazionale terrestre faceva perdere
rapidamente elevazione all’astronave. L’impatto con gli strati superiori
dell’atmosfera, a una quota di 120
km, avveniva a circa 8 km/s.
Planando senza motori verso terra: ecco l'atterraggio di uno Shuttle |
A una
velocità così sostenuta l’aria diventa un ostacolo davvero pericoloso da attraversare.
Proprio
come un sasso che viene lanciato velocemente al pelo dell’acqua rimbalza invece
di affondare, anche lo Shuttle e tutte le capsule che rientrano in atmosfera
devono avere la giusta angolazione, altrimenti potrebbero rimbalzare sullo
strato d’aria come una grande pietra e perdersi nello spazio. D’altra parte, un
ingresso troppo diretto nel mare d’aria vorrebbe dire la distruzione dell’astronave
a causa dell’eccessivo calore generato dall’attrito. Per questo motivo la
discesa in atmosfera doveva avvenire secondo una particolare angolazione e orientazione,
rigidamente controllata dai computer di bordo.
Il rientro violento
in atmosfera dello Shuttle aveva la funzione fondamentale
di rallentare l’astronave e prepararla per l’atterraggio, che sarebbe avvenuto
a oltre 8000 km
di distanza dal punto di rientro in atmosfera.
Con una
velocità sufficientemente bassa, l’assetto della navetta a poche decine di
chilometri dalla superficie cambiava, trasformandosi in un gigantesco aliante
che planava nell’aria e rallentava ulteriormente la sua corsa, senza mai
utilizzare i razzi, totalmente inadatti all’assetto da aereo di queste fasi.
L’atterraggio
avveniva a una velocità di circa 350 km/h, sensibilmente maggiore di quella dei
grandi aerei di linea (circa 260
km/h), tanto da richiedere una pista più lunga e un
paracadute per frenarne la corsa.
Certo, le
possibilità di manovra non erano simili a quelle di un normale aereo, tanto che
dai tecnici fu definito un mattone con le ali, ma osservando gli atterraggi
così naturali delle navicelle su una
pista di asfalto, invece di un tuffo incontrollato in mezzo all’oceano di una
piccola capsula alta neanche tre metri, per la prima
volta nella storia si è avuta la sensazione che la conquista dello spazio non fosse
più al limite delle nostre capacità tecnologiche.
martedì 24 dicembre 2013
Domande e risposte: si può sentire il suono sugli altri pianeti?
Il suono che riusciamo a sentire grazie al nostro apparato uditivo è diretta conseguenza di quelle che sono chiamate onde sonore.
Ogni mezzo materiale, sia esso solido, liquido o gassoso, prevede la
propagazione delle onde sonore. Nell’atmosfera terrestre l’aria rappresenta il
mezzo di propagazione ideale per le onde sonore, ma anche nell’acqua riusciamo
ugualmente a percepire suoni.
Nello spazio aperto la densità del gas è così scarsa che possiamo
considerarlo vuoto e di conseguenza non riusciamo a sentire alcun suono perché
non vi sono onde sonore che il nostro orecchio riesce a sentire.
Ma le cose cambiano su corpi celesti
dotati di atmosfera. Sulla superficie di Marte e Venere, ad esempio, le nostre
orecchie potrebbero udire perfettamente i suoni. Anche su Titano, satellite di Saturno con un’atmosfera quattro volte
più densa della Terra, i suoni potrebbero sentirsi senza problemi.
La diversa composizione chimica e densità di questi involucri gassosi ci
farebbe percepire suoni diversi. È probabile che su Marte risultino più acuti
rispetto alla Terra, un po’ come succede quando si respira l’elio. Su Titano potrebbero
sembrare leggermente più ovattati, mentre su Venere, se mai qualcuno un giorno
dovesse provarci, probabilmente il suono sarebbe simile a quando ci troviamo
sott’acqua a causa della spessa atmosfera, la cui densità raggiunge ben il 6,5%
di quella dell’acqua.
Purtroppo fino a questo momento non abbiamo alcuna prova di come si
sentirebbero i suoni su questi corpi celesti. Solamente due sonde nella storia
hanno trasportato dei microfoni per registrare il suono. Ma la prima, Mars
Polar Lander, si è schiantata sulla superficie del pianeta rosso nella fase di
atterraggio e per quanto riguarda la seconda, Marx Phoenix, i tecnici hanno
rilevato un bug nel software di gestione della videocamera che avrebbe dovuto
registrare immagini e suoni durante la discesa, quindi per non rischiare hanno
deciso di non attivarla.
Anche nelle atmosfere dei pianeti gassosi si dovrebbe sentire il suono.
Il problema è che non avendo una superficie sulla quale atterrare, sarà ben
difficile che qualcuno vi trasporti un microfono!
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venerdì 20 dicembre 2013
Cosa sono le stelle di neutroni?
La definizione più semplice e sbalorditiva la possiamo avere
nel suo stesso nome: è un gigantesco neutrone, dal diametro tipico di 10-20 chilometri.
Ma questa è solamente la punta dell’iceberg, perché le
stelle di neutroni sono tra gli oggetti più strani dell’Universo.
Dal collasso di una stella massiccia nascono le stelle di neutroni |
Le stelle di neutroni si formano quando una stella molto più massiccia del Sole,
almeno 8 volte più, giunge alla fine della propria vita perché ha finito le
riserve di carburante da bruciare. La stella a questo punto esplode come una
supernova, scagliando nello spazio gran parte della sua materia, ma non tutta.
Il nucleo centrale, nel quale si sviluppavano gran parte
delle reazioni di fusione nucleare, collassa su se stesso fino a formare un
oggetto di 20
chilometri di diametro nel quale è racchiusa un’enorme
quantità di materia, da 1,44
a 3 volte quella del Sole.
Le immense pressioni dovute alla forza di gravità comprimono
le particelle del gas a tal punto da unire protoni ed elettroni per formare
neutroni. Questi riescono a essere abbastanza “robusti” per fermare il collasso
gravitazionale e far stabilizzare la struttura di questo nuovo oggetto.
Ma una tale massa concentrata in così poco spazio produce
sulla superficie della stella di neutroni una forza di gravità incredibile. Se
ci trovassimo in questa spiacevole situazione, il nostro corpo peserebbe
miliardi di tonnellate e per alzarci di pochi centimetri non basterebbe neanche
il razzo più potente mai costruito. Se potessimo raccogliere un cucchiaino di
quei neutroni ammassati e riportarlo sulla Terra, peserebbe 100 mila miliardi
di volte più di un normale cucchiaio pieno della nostra acqua.
Riprodurre le stelle di neutroni in laboratorio è
impossibile, a meno che non si trovi il modo di comprimere una portaerei nello
spazio occupato da un minuscolo granello di sabbia, perché questa è la densità
di una stella di neutroni!
martedì 17 dicembre 2013
Fotografia astronomica: il cratere Copernicus
Con questa immagine termino, per ora, la carrellata di fotografie lunari in alta risoluzione.
Attorno al primo e ultimo quarto, nel bel mezzo della Luna, in prossimità del confine tra luce e ombra (il terminatore), si può scorgere uno dei crateri più grandi e belli: Copernicus. Qualche esperto osservatore con la vista d'acquila afferma di osservarlo anche a occhio nudo, ma senza tentare uno sforzo sovrumano basta già un binocolo per vederlo in modo evidente.
Con un telescopio si può letteralmente entrare dentro il cratere e notare tutti i minuti dettagli al suo interno, tra cui colline e una vera e propria catena montuosa.
L'immagine seguente è una delle mie migliori riprese lunari, ottenuta grazie a un raro momento di stabilità atmosferica.
Telescopio Schmidt-Cassegrain da 35 cm, camera ASI120 MM; somma di 300 frame.
Attorno al primo e ultimo quarto, nel bel mezzo della Luna, in prossimità del confine tra luce e ombra (il terminatore), si può scorgere uno dei crateri più grandi e belli: Copernicus. Qualche esperto osservatore con la vista d'acquila afferma di osservarlo anche a occhio nudo, ma senza tentare uno sforzo sovrumano basta già un binocolo per vederlo in modo evidente.
Con un telescopio si può letteralmente entrare dentro il cratere e notare tutti i minuti dettagli al suo interno, tra cui colline e una vera e propria catena montuosa.
L'immagine seguente è una delle mie migliori riprese lunari, ottenuta grazie a un raro momento di stabilità atmosferica.
Telescopio Schmidt-Cassegrain da 35 cm, camera ASI120 MM; somma di 300 frame.
lunedì 16 dicembre 2013
Astronomia per tutti: Volume 10
Se vi fidate di quanto sto per dire e volete scaricare subito Astronomia per tutti: Volume 10, ecco dove lo trovate:
1) Qui in ebook per Kindle e tutti i programmi che lo simulano
2) Qui in PDF ad alta risoluzione
Per tutti coloro che invece vogliono saperne di più, ecco la presentazione del volume. Se volete invece avere più informazioni sul progetto "Astronomia per tutti" cliccate qui
Sebbene un po' in ritardo sulla tabella di marcia causa problemi personali, ecco il nuovo volume di astronomia per tutti. Siamo arrivati al numero 10, ne mancano solamente due, quindi stiamo per concludere il lungo viaggio iniziato insieme un anno fa.
In questo volume ci sono diversi spunti interessanti e inediti, come una dettagliata trattazione sull'astrometria, una disciplina scientifica relativamente semplice ed estremamente appagante. Ma andiamo con ordine.
Nella categoria neofiti è arrivato l’atteso momento di prendere in mano il nostro telescopio e cominciare a fare un po’ di pratica con l’osservazione astronomica, che entrerà poi nel vivo nei prossimi due volumi.
Per gli amanti della fotografia planetaria concluderemo il discorso presentando qualche tecnica di elaborazione insieme ai programmi più utilizzati da tutti gli astroimager.
Nello spazio dedicato alla ricerca avremo a disposizione molte informazioni su come affrontare in modo serio, semplice e divertente l’astrometria. Questo ci darà le potenzialità per contribuire ad ambiziosi progetti di ricerca insieme ai professionisti.
Passando nella parte più teorica, ci getteremo subito in uno degli argomenti più interessanti, ma ahimè anche più difficili da comprendere. Parleremo infatti delle ipotesi attualmente più convincenti sul destino dell’Universo. Trascurando formule e pensieri contorti, probabilmente rimarremo sconvolti e tristi dello scenario che al momento sembra essere il più probabile sulla fine del Cosmo. Per fortuna che si tratta ancora solo di una teoria e come tale lungi dall’essere confermata.
Ci alleggeriremo la coscienza sorvolando insieme alle gloriose astronavi degli anni 70 e 80 il gigante incontrastato dei pianeti: Giove.
Poi torneremo più vicini alla Terra parlando di nuovo di Marte e del nostro pianeta. Andando a ritroso nel tempo fin quasi agli albori del Sistema Solare, potremo assistere a un insospettabile scambio di informazioni tra i due pianeti che potrebbe aver influenzato profondamente l’intera storia della vita.
Come al solito, per il momento Astronomia per tutti: Volume 10 è disponibile solamente in formato elettronico. Il formato cartaceo arriverà nelle prossime settimane
1) Qui in ebook per Kindle e tutti i programmi che lo simulano
2) Qui in PDF ad alta risoluzione
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Per tutti coloro che invece vogliono saperne di più, ecco la presentazione del volume. Se volete invece avere più informazioni sul progetto "Astronomia per tutti" cliccate qui
Astronomia per tutti: volume 10 |
In questo volume ci sono diversi spunti interessanti e inediti, come una dettagliata trattazione sull'astrometria, una disciplina scientifica relativamente semplice ed estremamente appagante. Ma andiamo con ordine.
Nella categoria neofiti è arrivato l’atteso momento di prendere in mano il nostro telescopio e cominciare a fare un po’ di pratica con l’osservazione astronomica, che entrerà poi nel vivo nei prossimi due volumi.
Per gli amanti della fotografia planetaria concluderemo il discorso presentando qualche tecnica di elaborazione insieme ai programmi più utilizzati da tutti gli astroimager.
Nello spazio dedicato alla ricerca avremo a disposizione molte informazioni su come affrontare in modo serio, semplice e divertente l’astrometria. Questo ci darà le potenzialità per contribuire ad ambiziosi progetti di ricerca insieme ai professionisti.
Passando nella parte più teorica, ci getteremo subito in uno degli argomenti più interessanti, ma ahimè anche più difficili da comprendere. Parleremo infatti delle ipotesi attualmente più convincenti sul destino dell’Universo. Trascurando formule e pensieri contorti, probabilmente rimarremo sconvolti e tristi dello scenario che al momento sembra essere il più probabile sulla fine del Cosmo. Per fortuna che si tratta ancora solo di una teoria e come tale lungi dall’essere confermata.
Ci alleggeriremo la coscienza sorvolando insieme alle gloriose astronavi degli anni 70 e 80 il gigante incontrastato dei pianeti: Giove.
Poi torneremo più vicini alla Terra parlando di nuovo di Marte e del nostro pianeta. Andando a ritroso nel tempo fin quasi agli albori del Sistema Solare, potremo assistere a un insospettabile scambio di informazioni tra i due pianeti che potrebbe aver influenzato profondamente l’intera storia della vita.
Come al solito, per il momento Astronomia per tutti: Volume 10 è disponibile solamente in formato elettronico. Il formato cartaceo arriverà nelle prossime settimane
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venerdì 13 dicembre 2013
Il cielo nel passato e nel futuro
Benché ci sembrino sempre ferme, le stelle nel cielo si muovono, seppur molto lentamente. Gli astronomi in questi casi parlano di moti propri, generalmente impercettibili dall'occhio nudo in una vita intera, ma fondamentali se facciamo scorrere velocemente il tempo.
L'evoluzione dell'Orsa Maggiore nel corso dei millenni |
Se consideriamo i moti propri delle stelle delle
costellazioni, almeno quelle più evidenti, e allarghiamo l’intervallo
temporale, ci accorgiamo che il cielo che osserviamo in questi millenni non è
altro che un’istantanea di un’evoluzione continua e inarrestabile.
Un esempio piuttosto impressionante riguarda il grande
carro, asterismo da sempre presente nelle cronache e nei miti di tutte le
civiltà. Le stelle di cui è composto hanno moti propri abbastanza elevati e in
direzioni diverse, tanto che la figura attuale così somigliante a un carro
rappresenta semplicemente un momento casuale tra un futuro e un passato
estremamente diversi.
In effetti, quando sulla Terra comparve l’Homo Sapiens,
circa 190.000 anni fa, il grande carro era in realtà un gruppo di stelle che
poco o nulla aveva in comune con la forma attuale.
Non solo il grande carro è soggetto ai moti propri, ma tutte
le costellazioni non rappresentano altro che la fotografia di un cielo in
continuo movimento.
Senza considerare la nascita e la morte delle stelle, la
sfera celeste al tempo della scomparsa dei dinosauri, 65 milioni di anni fa,
era popolata da disegni totalmente alieni alla nostra cultura.
Non bisogna comunque andare così lontano nel tempo per
accorgerci dei continui cambiamenti del cielo.
Proprio nel 1992 alla stella Rho Aquilae venne
cambiato il nome, visto che il suo moto proprio l’aveva portata dalla
costellazione dell’Aquila alla vicina costellazione del Delfino. La stessa
stella di Barnard, tra circa 11.000 anni, diventerà la più vicina al sistema
solare, a circa 3,8 anni luce da noi.
Una cosa quindi è certa: se l’essere umano continuerà ad
abitare questo pianeta, tra qualche centinaia di migliaia di anni potrà
solamente osservare nei libri di storia il cielo sotto il quale è nata e si è
sviluppata l’attuale civiltà.
martedì 10 dicembre 2013
Domande e risposte: cosa succederebbe se esplodesse una stella nelle vicinanze della Terra?
L’energia rilasciata da una supernova, una stella molto più grande del Sole che si accinge a esplodere al termine della propria vita, è così grande che è stato calcolato
che se ne esplodesse una in un raggio di 100-150 anni luce le radiazioni gamma
emesse potrebbero cancellare in un colpo gran parte della vita sulla Terra.
Fortunatamente non si conoscono stelle abbastanza massicce nelle
vicinanze del Sole che potrebbero provocare un disastro di tale portata.
Nel passato della Terra, tuttavia, gli scienziati pensano di aver
individuato almeno un evento di estinzione di massa legato all’esplosione di
una supernova vicina. Circa 450 milioni di anni fa scomparve l’85% di tutte le
specie viventi, probabilmente a causa dei raggi gamma provenienti da una
supernova vicina.
Il pericolo è quindi scongiurato? Non del tutto, perché una classe di
supernovae molto violente emette dei fasci molto stretti e distruttivi di raggi
gamma in grado di annientare in pochi minuti gran parte della vita della Terra
anche da una distanza di decine di migliaia di anni luce.
Solo le stelle più massicce provocano questi raggi laser gamma così
distruttivi, e fortunatamente sono molto rare. Ancora più raro è trovarsi nel
luogo sbagliato, per fortuna: per subire dei danni dovremmo essere investiti in
pieno dai raggi gamma, che si sviluppano in tutta la loro potenza in un cono
largo non più di venti gradi attorno ai poli della stella. Questo significa,
quindi, che un’eventuale stella molto massiccia dovrebbe avere i poli allineati
con una precisione di 20° per poterci fare seriamente del male. Tirando le
somme, è certamente più probabile venir colpiti in questo preciso istante da un
meteorite.
Se stiamo continuando a leggere, abbiamo scampato anche questo pericolo e
forse capito quanto sia raro un evento del genere. Si stima che nella Via
Lattea, una galassia molto tranquilla, possa verificarsi un lampo di raggi
gamma, così è chiamato dagli astronomi, orientato a caso nel cielo solamente ogni
5 milioni di anni, senza contare che le stelle in grado di produrlo se ne
conoscono solo un centinaio attualmente.
Sembrerebbe proprio che non dobbiamo affatto preoccuparci, eppure, a
volte, è proprio l’evento più improbabile a destare maggiore preoccupazione.
La stella WR 104, una di quelle cento in grado di produrre un lampo di
raggi gamma distruttivo, è sul punto di esplodere e sembra puntare il suo micidiale
cannone proprio verso il Sistema Solare. Situata a 8000 anni luce di distanza, rappresenta
attualmente uno dei più grandi pericoli per la Terra provenienti dallo spazio profondo. Gli
astronomi la stanno studiando da molti anni ormai e ancora non hanno capito se
i suoi poli sono davvero allineati o no con la Terra. Alcuni studi
dicono di si, altri ci darebbero una ventina di gradi di margine, e la questione
resta quindi aperta.
lunedì 9 dicembre 2013
Mio romanzo gratis fino all'11 dicembre
Mio romanzo gratis fino all'11 dicembre |
Vi ricordo che è possibile visualizzarlo anche con tutti i computer e smartphone scaricando l'applicazione gratuita di Amazon per la lettura dei formati Kindle.
Il libro parla di astronomi che fanno una scoperta astronomica verosimile ed estremamente importante, dalla quale poi si scateneranno le reazioni, non sempre benevole, di altre persone appartenenti ad altri ambiti della società.
A questo link si può vedere la scheda completa e scaricarlo gratuitamente.
Buona lettura
sabato 7 dicembre 2013
Libri gratuiti e grandi sconti per Natale!
Il Natale si avvicina e a me ricorda sempre quel periodo in cui di solito da ragazzino sotto l'albero trovavo almeno un libro di astronomia. Il profumo della carta, la voglia di leggerlo mentre fuori il brutto tempo impediva qualsiasi osservazione, i sogni a occhi aperti viaggiando tra le stelle...
Per rendere accessibili a tutti queste bellissime sensazioni ho deciso che per cinque giorni, a partire da oggi, ci saranno delle promozioni molto vantaggiose su alcuni miei libri, cartacei ed elettronici.
Starà a voi scegliere l'offerta più vantaggiosa e approfittarne quante volte vorrete:
1) Il prezzo di alcuni ebook per Kindle, tra cui Astrofisica per tutti, è stato abbassato del 25%;
2) Due libri in formato ebook per Kindle e tutti i lettori di ebook (compresi PC e smartphone) saranno gratuiti fino all'11 Dicembre compreso. Si tratta di Astronomia per tutti: volume 1 e di Volando sulla Luna, il libro dedicato al nostro satellite naturale;
3) Il libro Vita nell'Universo: Eccezione o regola in formato cartaceo è offerto al prezzo di costo di soli 6 euro, in pratica è regalato perché non ci guadagno nemmeno un centesimo in questo modo (se avessi potuto venderlo gratuitamente lo avrei fatto!) e diventerà per qualche giorno uno dei libri cartacei più economici di Amazon.
Tutte queste offerte sono valide solo dal 7 all'11 dicembre 2013, senza alcun limite, quindi spargete la voce più che potete, approfittatene e, se avete un po' di tempo, dopo aver letto il libro lasciatemi una recensione su Amazon, perché la fortuna o la sfortuna di un libro dipende da cosa ne pensano i lettori.
Le offerte sono accessibili a questo link
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venerdì 6 dicembre 2013
Che cos'è e come funziona l'effetto fionda?
L’effetto fionda, conosciuto anche come fly-by o assist gravitazionale è
un modo ingegnoso per far accelerare o cambiare direzione alle astronavi senza
utilizzare carburante ed è da diverse decine di anni uno standard di volo ben
collaudato da tutte le sonde automatiche che lasciano l’orbita terrestre.
Schematizzazione di un flyby con Giove |
La tecnica prevede di rubare letteralmente un pizzico dell’immensa
energia gravitazionale dei pianeti. Quando una sonda viene fatta avvicinare con
un angolo appropriato a un corpo celeste, può acquisire velocità in abbondanza
e cambiare a piacimento la propria traiettoria.
È questo il motivo per cui i viaggi interplanetari possono richiedere un
periodo di tempo molto maggiore rispetto a una traiettoria diretta.
Per raggiungere Saturno, ad esempio, alla sonda Cassini è stata data una
spinta iniziale verso le regioni interne del Sistema Solare. Dopo qualche mese
di viaggio ha raggiunto Venere. L’incontro a poche migliaia di chilometri dalla
superficie ha consentito di cambiare rotta e aumentare drasticamente la
velocità, proiettando la sonda di nuovo verso il Sistema Solare esterno.
Qualche altro mese di attesa, poi Cassini ha effettuato un fly-by anche
con la Terra,
dalla quale ha preso maggiore velocità per vincere l’attrazione del Sole e
proiettarsi verso il pianeta con gli anelli, con la giusta velocità e direzione
per poter entrare in orbita.
Senza l’aiuto dei fly-by, missioni interplanetarie oltre Venere o Marte
sarebbero impossibili, perché richiederebbero sforzi economici enormi per
lanciare tutte le tonnellate di carburante necessarie per il viaggio e le
manovre.
martedì 3 dicembre 2013
Fotografia astronomica: volando su Clavius
Clavius, enorme cratere da impatto sulla superficie della Luna, si trova in prossimità del polo sud del nostro satellite e se ripreso a grande campo mostra un effetto particolarmente suggestivo: sembra di volarci sopra con un'astronave, a poche centinaia di chilometri dalla superficie.
Godiamoci quindi un viaggio virtuale immaginando di essere tra quegli impavidi e fortunati astronauti che oltre 40 anni fa hanno avuto la fortuna di vedere da vicino questo panorama cosmico così fuori dal comune.
Godiamoci quindi un viaggio virtuale immaginando di essere tra quegli impavidi e fortunati astronauti che oltre 40 anni fa hanno avuto la fortuna di vedere da vicino questo panorama cosmico così fuori dal comune.
venerdì 29 novembre 2013
Quanto carburante consuma un'astronave?
La parte più difficile e dispendiosa di una missione spaziale è senza
dubbio lasciare la superficie terrestre.
La forza di gravità del nostro pianeta è così forte che bisogna far
raggiungere a ogni astronave (con o senza equipaggio) una velocità superiore ai 10 km/s se vogliamo
spedirla al di fuori dell’orbita del nostro pianeta. Se ci accontentiamo di un
giretto orbitale a circa 350
km, allora la velocità può essere ridotta fino a 8 km/s,
ma è sempre un valore estremamente elevato, pari a 28.800 km/h!
Per accelerare le astronavi alla partenza sono quindi necessari
potentissimi razzi, detti in gergo anche vettori. Queste strutture, a volte
molto più grandi dell’astronave stessa, hanno l’unico scopo di fornire il
carburante per immettere la struttura nella bassa orbita terrestre, luogo
decisamente più tranquillo per proiettarsi, eventualmente, verso lo spazio
aperto con l’accensione di un razzo di minori dimensioni.
I gigenteschi motori del razzo Saturn V |
Gli Space Shuttle per questo scopo necessitavano di un grandissimo
serbatoio dal colore rosso alto 47 metri e largo 8,4, contenente oltre 730.000 kg di carburante
(idrogeno e ossigeno liquidi) e di due razzi ausiliari, altrettanto alti, contenenti
un totale 1 milione di chilogrammi di carburante a base di perclorato
d’ammonio.
Questa immane quantità di propellente, sufficiente per radere al suolo
una cittadina, serviva unicamente per i primi minuti di volo.
I due razzi laterali fornivano l’83% della spinta totale e bruciavano un
milione di chilogrammi di carburante in appena 124 secondi, tempo necessario
per raggiungere un’altezza di 46
km.
Il carburante del grande serbatoio rosso, utilizzato dai cinque motori
dello shuttle, veniva esaurito in otto minuti, il tempo necessario per
raggiungere la velocità richiesta di 7,7 km/s per immettersi nella bassa orbita
terrestre.
Per far raggiungere 350
km di altezza a una specie di aereo dal peso massimo di
100 tonnellate, sono quindi richieste quasi 2 mila tonnellate di carburante!
Ma il record dei consumi spetta al razzo più grande mai concepito dalla
mente umana, il Saturn V, il vettore utilizzato per proiettare l’astronave
Apollo verso la Luna.
Ben 80 metri
dei 113 dell’intera struttura erano necessari per fornire la spinta necessaria
all’astronave per lasciare l’orbita terrestre, con un consumo massimo di circa
15 tonnellate di carburante ogni secondo!
La cometa ISON (forse) non ce l'ha fatta
Il suo nome è (era) C/2012 S1 (ISON),
per gli amici semplicemente ISON e quando venne scoperta, nel 2012,
prometteva di essere la cometa del secolo. Nonostante l'enorme distanza
dalla Terra, infatti, era relativamente luminosa, il che spinse tutti a
credere che in prossimità del massimo avvicinamento con il Sole avrebbe
potuto illuminare quasi a giorno i nostri cieli.
Con
l'avanzare dei mesi le cose non sono andate come previsto, ma questo fa
sempre parte del gioco quando ci sono delle comete di mezzo. La cometa
ISON faceva fatica a prendere luminosità, tanto che solamente dopo la
metà di novembre era percepibile con grande fatica a occhio nudo la
mattina poco prima dell'alba.
Le speranze di tutti erano rivolte dopo il giro di boa, così viene chiamato in modo informale il punto in cui la cometa avrebbe circumnavigato il Sole e si sarebbe allontanata di nuovo e per sempre dal Sistema Solare interno.
Il problema della cometa ISON, però, era grande: il perielio, cioè il punto più vicino al Sole, si trovava a poco più di un milione di chilometri dalla fotosfera, ben all'interno della caldissima e irrequieta atmosfera chiamata corona.
Le comete che compiono un avvicinamento così pericoloso sono dette in inglese sungrazer, letteramente "che sfiorano il Sole" e solamente le più grandi e tenaci riescono ad attraversare indenni questo pericoloso guado. Nel recente passato, memorabile è stato il passaggio della cometa Lovejoy nel dicembre 2011 a soli 120000 km dalla superficie.
La cometa ISON non è stata altrettanto fortunata e forte, perché sal passaggio ravvicinato al Sole non è più riapparsa, inghiottita per sempre dal caldo abbraccio della nostra Stella.
Sebbene nessuno volesse ammetterlo, in realtà il sentore che qualcosa stava per accadere c'era nell'aria già da giorni e forse la cometa era spacciata almeno una settimana fa.
Il 14 novembre scorso si assistette a un outburst, un repentino aumento della luminosità di oltre due volte, segno di un'impennata nell'attività cometaria.
Pochi giorni più tardi le immagini in alta risoluzione della chioma mostravano due netti sbuffi, indizio che qualcosa di grave poteva essere accaduto al nucleo. Si parlò di frammentazione, ma non c'era la certezza.
Il 25 novembre, infine, le osservazioni effettuate con il telescopio millimetrico IRAM in Spagna mostravano una costante diminuzione nell'emissione molecolare della chioma della cometa, segno che l'attività aveva raggiunto il massimo o che il nucleo non c'era più.
Il 29 novembre il momento della verità, il passaggio al perielio monitorato in diretta dalle numerose sonde che osservano il Sole dallo spazio, la più importante delle quali è la mitica Soho. All'ingresso del campo inquadrato, la cometa ISON non si è presentata bene, con una luminosità minore del previsto. Poi, con il passare delle ore ha aumentato bruscamente luminosità, facendo sperare tutti gli appassionati. Ma forse questo è stato il canto del cigno di una cometa che nelle ore successive si è lasciata andare. Nonostante l'approssimarsi al Sole, la luminosità ha cominciato rapidamente a diminuire. Quasi in prossimità del perielio la ISON, o ciò che ne restava, si presentava come una lunga lingua nella quale non si poteva più scorgere la chioma.
Quando è sparita dietro i dischi occultatori degli strumenti delle sonde la sua sorte era ormai segnata.
Dall'altra parte della nostra stella è riapparsa una debole lingua di gas e polveri dispersa e molto meno luminosa di come avrebbe dovuto essere se la cometa fosse stata in perfetta salute, il ricordo di un intrepido corpo celeste che come Icaro ha affrontato una sfida troppo grande.
L'ipotesi più plausibile è che il nucleo della cometa si sia disgregato e quasi completamente vaporizzato, ma questo lo sapremo con migliore certezza tra quale giorno. Di certo appare evidente che il tanto annunciato spettacolo non ci sarà, anche se qualche resto della cometa dovesse avercela fatta.
Peccato, ci abbiamo sperato. E ora all'orizzonte non ci sono comete che potrebbero farci sognare. Dobbiamo avere pazienza ancora per un bel po'.
L'unica speranza resta quella dell'ennesima sorpresa di una cometa che è stata data per morta tante volte. Che la ISON esista ancora e sia pronta a risorgere dalle ceneri? Molto difficile, ma staremo a vedere nelle prossime ore.
Qualche approfondimento utile:
http://www.cometisonnews.com/
http://www.universetoday.com/106813/is-comet-ison-dead-astronomers-say-its-likely-after-icarus-sun-grazing-stunt/
http://cometison.gsfc.nasa.gov/ per vedere i video dell'approccio della cometa (che non si vede, e questo conferma che non c'è più)
La cometa ISON al massimo della sua gloria il 15 novembre |
Le speranze di tutti erano rivolte dopo il giro di boa, così viene chiamato in modo informale il punto in cui la cometa avrebbe circumnavigato il Sole e si sarebbe allontanata di nuovo e per sempre dal Sistema Solare interno.
Il problema della cometa ISON, però, era grande: il perielio, cioè il punto più vicino al Sole, si trovava a poco più di un milione di chilometri dalla fotosfera, ben all'interno della caldissima e irrequieta atmosfera chiamata corona.
Le comete che compiono un avvicinamento così pericoloso sono dette in inglese sungrazer, letteramente "che sfiorano il Sole" e solamente le più grandi e tenaci riescono ad attraversare indenni questo pericoloso guado. Nel recente passato, memorabile è stato il passaggio della cometa Lovejoy nel dicembre 2011 a soli 120000 km dalla superficie.
La cometa ISON non è stata altrettanto fortunata e forte, perché sal passaggio ravvicinato al Sole non è più riapparsa, inghiottita per sempre dal caldo abbraccio della nostra Stella.
Sebbene nessuno volesse ammetterlo, in realtà il sentore che qualcosa stava per accadere c'era nell'aria già da giorni e forse la cometa era spacciata almeno una settimana fa.
Il 14 novembre scorso si assistette a un outburst, un repentino aumento della luminosità di oltre due volte, segno di un'impennata nell'attività cometaria.
Pochi giorni più tardi le immagini in alta risoluzione della chioma mostravano due netti sbuffi, indizio che qualcosa di grave poteva essere accaduto al nucleo. Si parlò di frammentazione, ma non c'era la certezza.
Il 25 novembre, infine, le osservazioni effettuate con il telescopio millimetrico IRAM in Spagna mostravano una costante diminuzione nell'emissione molecolare della chioma della cometa, segno che l'attività aveva raggiunto il massimo o che il nucleo non c'era più.
Il 29 novembre il momento della verità, il passaggio al perielio monitorato in diretta dalle numerose sonde che osservano il Sole dallo spazio, la più importante delle quali è la mitica Soho. All'ingresso del campo inquadrato, la cometa ISON non si è presentata bene, con una luminosità minore del previsto. Poi, con il passare delle ore ha aumentato bruscamente luminosità, facendo sperare tutti gli appassionati. Ma forse questo è stato il canto del cigno di una cometa che nelle ore successive si è lasciata andare. Nonostante l'approssimarsi al Sole, la luminosità ha cominciato rapidamente a diminuire. Quasi in prossimità del perielio la ISON, o ciò che ne restava, si presentava come una lunga lingua nella quale non si poteva più scorgere la chioma.
Quando è sparita dietro i dischi occultatori degli strumenti delle sonde la sua sorte era ormai segnata.
Dall'altra parte della nostra stella è riapparsa una debole lingua di gas e polveri dispersa e molto meno luminosa di come avrebbe dovuto essere se la cometa fosse stata in perfetta salute, il ricordo di un intrepido corpo celeste che come Icaro ha affrontato una sfida troppo grande.
La cometa ISON al massimo della sua luminosità si appresta a incontrare il Sole |
Colpo di scena: la luminosità è rapidamente diminuita. Qualcosa di grave è accaduto. |
L'ultima immagine della cometa ISON, o di quello che ne resta. |
All'uscita dal passaggio radente con il Sole resta un leggero fantasma, i resti di una cometa che avrebbe potuto farci sognare. |
L'animazione mostra un fantasma che riemerge dall'abbraccio solare. Sono i resti della cometa ISON |
L'ipotesi più plausibile è che il nucleo della cometa si sia disgregato e quasi completamente vaporizzato, ma questo lo sapremo con migliore certezza tra quale giorno. Di certo appare evidente che il tanto annunciato spettacolo non ci sarà, anche se qualche resto della cometa dovesse avercela fatta.
Peccato, ci abbiamo sperato. E ora all'orizzonte non ci sono comete che potrebbero farci sognare. Dobbiamo avere pazienza ancora per un bel po'.
L'unica speranza resta quella dell'ennesima sorpresa di una cometa che è stata data per morta tante volte. Che la ISON esista ancora e sia pronta a risorgere dalle ceneri? Molto difficile, ma staremo a vedere nelle prossime ore.
Qualche approfondimento utile:
http://www.cometisonnews.com/
http://www.universetoday.com/106813/is-comet-ison-dead-astronomers-say-its-likely-after-icarus-sun-grazing-stunt/
http://cometison.gsfc.nasa.gov/ per vedere i video dell'approccio della cometa (che non si vede, e questo conferma che non c'è più)
martedì 26 novembre 2013
Domande e risposte: da dove proviene l'acqua della Terra?
L’acqua sulla Terra ricopre il 71% della superficie ed è il
costituente principale di tutte le forme di vita.
Il problema, per la
Terra e i pianeti interni, tra cui Marte, è però grande: chi
ce l’ha portata l’acqua?
I modelli di formazione del Sistema Solare ci dicono chiaramente
che la nebulosa protosolare a quelle distanze dal Sole era troppo calda per
permettere all’acqua di condensare in grandi quantità e formare quindi gli
embrioni dei pianeti. Alla distanza della Terra, solamente i silicati e i
metalli si trovavano nella forma solida capace di creare gli aggregati
planetari. Le modeste quantità d’acqua inglobate dai protopianeti sono quasi
certamente evaporate mano a mano che la violenza delle collisioni aggregava
corpi sempre più massicci e caldi. Come se non bastasse, l’atmosfera
primordiale della Terra venne distrutta dal violento impatto con Theia,
formando poi la Luna
e privandola ulteriormente del vapore acqueo che possedeva. La Terra quindi, appena dopo la
sua formazione doveva essere un corpo celeste estremamente secco.
Chi o cosa ha portato l’acqua sul nostro pianeta? Difficile
credere che l’acqua si sia formata da sola successivamente, poiché di ossigeno
libero in atmosfera che potesse reagire con l’idrogeno non ce n’era (almeno non
così tanto).
Se diamo un’occhiata alla distribuzione delle temperature
nella nebulosa primordiale che ha formato il Sistema Solare, la zona in cui i
composti più volatili contenenti l’idrogeno come l’acqua, l’ammoniaca e il
metano, tutti essenziali per i processi biologici elementari, potevano trovarsi
nello stato solido, quindi condensare per formare corpi celesti, si trova nel
bel mezzo dell’attuale fascia principale degli asteroidi. La cosiddetta linea
del ghiaccio (frost line in inglese) segna un confine netto tra i corpi celesti
a base di silicati e quelli formati per buona parte di ghiacci, principalmente
acqua. Non è difficile allora comprendere da dove provenga l’acqua, l’ammoniaca
e forse buona parte delle molecole organiche della Terra: da corpi celesti che
si sono creati più lontano, cioè asteroidi e comete.
Ce
n’erano così tanti di questi piccoli proiettili cosmici che nel primo miliardo
di anni, come testimonia la butterata superficie lunare, a migliaia, forse
milioni, sono precipitati su tutti i pianeti interni, Terra compresa, liberando
le grandi riserve di acqua e composti organici che contenevano.
venerdì 22 novembre 2013
Vita extraterrestre nel futuro del Sistema Solare?
Tra circa 5 miliardi di anni il Sole dovrebbe entrare nelle
fasi finali della propria vita. L’idrogeno al centro scarseggerà, il nucleo si
contrarrà aumentando di temperatura fino a 100 milioni di gradi e innescando la
fusione dell’elio. Contemporaneamente gli strati esterni si espanderanno spazzando
via Mercurio, Venere e probabilmente la Terra, ponendo fine per sempre al dominio della
vita. Questa stella dal colore lievemente giallo, tranquilla per dieci miliardi
di anni, si sarà trasformata in una gigante rossa, un astro enorme e centinaia
di volte più luminoso di prima.
Titano in un lontano futuro? |
Se i pianeti interni potrebbero subire una fine scontata e
terribile, grandi sconvolgimenti potrebbero toccare anche ai pianeti esterni e ai
satelliti, in particolare a Titano.
La luna di Saturno, infatti, secondo alcuni studi si
verrebbe a trovare alla giusta distanza dalla nuova configurazione stellare per
sperimentare temperature miti, tali da sostenere l’acqua allo stato liquido.
Non sappiamo cosa succederà al metano e agli idrocarburi in
superficie, probabilmente evaporeranno in poco tempo e si disperderanno prima in
atmosfera, poi nello spazio. I raggi ultravioletti del Sole diraderanno la
nebbia di idrocarburi, favorendo un ulteriore riscaldamento sufficiente per
sciogliere le grandi riserve di ghiaccio d’acqua contenute nella crosta,
generando probabilmente mari e oceani che prenderanno il posto degli antichi
bacini di metano.
L’acqua, mischiata all’ammoniaca e alle enormi quantità
di molecole organiche, potrebbe rappresentare l’ambiente perfetto per la
nascita di primitive forme di vita, proprio come è accaduto sulla Terra. Di
tempo ce ne sarà in abbondanza, probabilmente più di un miliardo di anni.
Sarà un vero peccato non poter assistere allo spettacolo di
un cielo finalmente trasparente, occupato per circa 1/3 dagli straordinari
anelli di Saturno; il tutto, magari, da una tiepida spiaggia in riva a un
oceano color verde smeraldo.
lunedì 18 novembre 2013
Libro gratuito fino al 20 novembre (2013)
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venerdì 15 novembre 2013
Scoperti tre nuovi asteroidi (forse). Tranquilli, non c'è alcun pericolo
Sta circolando in rete, amplificata dalla poca professionalità di certi media generalisti, la notizia della scoperta di tre grossi asteroidi in rotta di collisione con la Terra. Bene: FALSO!
Quando si parla di asteroidi, sono due le costanti sempre presenti:
1) Il pressapochismo (o la malafede) di certa informazione che sembra fregarsene dell'etica professionale, e un fatto un po' più scientifico, quindi interessante:
2) Ci sono ancora molti corpi celesti da scoprire nelle zone interne del Sistema Solare.
Detto questo, vediamo di capire come stanno effettivamente le cose, cominciando dalla cronaca nuda e cruda.
Nell'ultima settimana di Ottobre due importanti programmi di monitoraggio del cielo hanno scoperto tre nuovi corpi celesti molto interessanti. Due sono stati identificati dalla Catalina Sky Survey e uno dal programma Pan-STARRS (lo stesso che ha scoperto già diverse comete).
Da una prima analisi delle orbite e delle dimensioni si è scoperto che questi tre oggetti rientrano nella categoria NEO (Near Earth Objects), vale a dire oggetti vicini alla Terra. Il termine, però, deve essere interpretato dal punto di vista astronomico. Gli oggetti NEO sono infatti tutti quei corpi celesti che nel loro percorso intorno al Sole vengono a trovarsi entro poche decine di milioni di chilometri dall'orbita terrestre. Una sottocategoria particolarmente monitorata è rappresentata dai PHO (Potentially Hazardous Objects), corpi celesti che possono avvicinarsi ad almeno 7,5 milioni di chilometri dall'orbita della Terra (non necessariamente alla Terra, perché dipende in quale punto dell'orbita si trova nel momento di massimo avvicinamento!) e con un diametro di almeno 100 metri.
Di asteroidi di questo tipo se ne conoscono più di mille ma nessuno colpirà la Terra nei prossimi 50-100 anni.
I tre corpi celesti scoperti di recente sono effettivamente peculiari, ma non perché rappresentano una potenziale minaccia, anzi, si è capito subito che, almeno per il momento (da qui a 100 anni), non saranno un problema. Oltre questo intervallo temporale non lo sappiamo con certezza semplicemente perché non siamo ancora così bravi nei calcoli, anche se almeno due di loro saranno sicuramente molto lontani da noi.
La loro peculiarità riguarda la forma dell'orbita e le loro dimensioni.
Inizialmente si pensava che fossero tutti oggetti asteroidali, composti quindi da rocce. Questa supposizione aveva portato a una stima delle dimensioni piuttosto notevole: 19 km per 2013 UQ4, 20 km per 2013 US10 e un paio di chilometri per il terzo, 2013 UP8.
I primi due, in effetti, sarebbero gli asteroidi NEO più grandi scoperti dal 1983. Considerando i vari programmi di monitoraggio del cielo, molti astronomi si sono chiesti come sia stato possibile non vedere questi grandi massi cosmici.
La risposta sta lentamente arrivando grazie a nuovi studi. Se il terzo, 2013 UP8, rientra nella categoria NEO senza troppi problemi, gli altri due possiedono orbite molto allungate e inclinate.
2013 US10 ha addirittura un'orbita quasi parabolica e probabilmente si trova nelle zone interne del Sistema Solare forse per la prima volta nella sua esistenza. Dopo un passaggio attorno al Sole si allontanerà velocemente e non si sa se e quando ritornerà . Questa è la perfetta descrizione di una cometa di lungo periodo, un po' come sta accadendo in queste settimane per la cometa ISON che si è appena resa visibile a occhio nudo dai nostri cieli.
Le informazioni in mano agli astronomi dicono proprio che 2013 US10 potrebbe essere una cometa di lungo periodo. Questo significa che la stima delle dimensioni, che si effettua unicamente in base alla luce riflessa dalla superficie, è sbagliata. Le comete sono fatte di ghiacci che riflettono molta più luce, contrariamente agli asteroidi, alcuni dei quali scuri quanto l'asfalto appena steso.
La conseguenza? Non si tratta di un enorme asteroide ma di una piccola cometa o quello che resta della frantumazione di una grande cometa secoli o millenni fa, il cui diametro, se va bene, arriverà a qualche chilometri.
A conferma della natura cometaria, le osservazioni del 5 Novembre scorso fatte dal Canada-France-Hawaii telescope hanno mostrato una debole attività cometaria.
Anche l'altro asteroide, 2013 UQ4, ha delle caratteristiche peculiari. Possiede un'orbita addirittura retrograda (ruota attorno al Sole nel verso contrario rispetto ai pianeti), molto allungata e inclinata. Anche questo, quindi, sembra essere una cometa o ciò che rimane di una cometa ormai esaurita. Se fosse così, e le osservazioni telescopiche sembrerebbero confermarlo, è probabile che la stima delle dimensioni (19 chilometri) sia corretta. Perché non si è scoperto prima? Semplice, perché ha un'orbita molto allungata e solo in questi anni si trova sufficientemente vicino alla Terra (oltre 300 milioni di chilometri attualmente) per poter essere avvistato.
Insomma, in conclusione di questo lungo post, abbiamo capito altre due cose che è meglio mettere ben in chiaro:
1) Non ci sono corpi celesti in rotta di collisione con la Terra;
2) Le comete, attive o spente, provenienti dalla periferia del Sistema Solare sono molto più temibili degli asteroidi NEO che si trovano a orbitare sempre nei paraggi della Terra (in senso astronomico). Se quest'ultimi si possono osservare e seguire lungo tutta la loro orbita, prevedendone gli spostamenti con decenni di anticipo, le piccole comete si riescono a vedere solamente quando ormai si trovano poco oltre la distanza di Marte, un margine troppo esiguo per prevenire in tempo un eventuale impatto.
La buona notizia è che al momento non corriamo alcun pericolo, quindi rilassiamoci.
Link alla notizia ufficiale: http://neo.jpl.nasa.gov/news/news181.html
Quando si parla di asteroidi, sono due le costanti sempre presenti:
1) Il pressapochismo (o la malafede) di certa informazione che sembra fregarsene dell'etica professionale, e un fatto un po' più scientifico, quindi interessante:
2) Ci sono ancora molti corpi celesti da scoprire nelle zone interne del Sistema Solare.
Orbite dei tre nuovi corpi celesti scoperti da poco |
Nell'ultima settimana di Ottobre due importanti programmi di monitoraggio del cielo hanno scoperto tre nuovi corpi celesti molto interessanti. Due sono stati identificati dalla Catalina Sky Survey e uno dal programma Pan-STARRS (lo stesso che ha scoperto già diverse comete).
Da una prima analisi delle orbite e delle dimensioni si è scoperto che questi tre oggetti rientrano nella categoria NEO (Near Earth Objects), vale a dire oggetti vicini alla Terra. Il termine, però, deve essere interpretato dal punto di vista astronomico. Gli oggetti NEO sono infatti tutti quei corpi celesti che nel loro percorso intorno al Sole vengono a trovarsi entro poche decine di milioni di chilometri dall'orbita terrestre. Una sottocategoria particolarmente monitorata è rappresentata dai PHO (Potentially Hazardous Objects), corpi celesti che possono avvicinarsi ad almeno 7,5 milioni di chilometri dall'orbita della Terra (non necessariamente alla Terra, perché dipende in quale punto dell'orbita si trova nel momento di massimo avvicinamento!) e con un diametro di almeno 100 metri.
Di asteroidi di questo tipo se ne conoscono più di mille ma nessuno colpirà la Terra nei prossimi 50-100 anni.
I tre corpi celesti scoperti di recente sono effettivamente peculiari, ma non perché rappresentano una potenziale minaccia, anzi, si è capito subito che, almeno per il momento (da qui a 100 anni), non saranno un problema. Oltre questo intervallo temporale non lo sappiamo con certezza semplicemente perché non siamo ancora così bravi nei calcoli, anche se almeno due di loro saranno sicuramente molto lontani da noi.
La loro peculiarità riguarda la forma dell'orbita e le loro dimensioni.
Inizialmente si pensava che fossero tutti oggetti asteroidali, composti quindi da rocce. Questa supposizione aveva portato a una stima delle dimensioni piuttosto notevole: 19 km per 2013 UQ4, 20 km per 2013 US10 e un paio di chilometri per il terzo, 2013 UP8.
I primi due, in effetti, sarebbero gli asteroidi NEO più grandi scoperti dal 1983. Considerando i vari programmi di monitoraggio del cielo, molti astronomi si sono chiesti come sia stato possibile non vedere questi grandi massi cosmici.
La risposta sta lentamente arrivando grazie a nuovi studi. Se il terzo, 2013 UP8, rientra nella categoria NEO senza troppi problemi, gli altri due possiedono orbite molto allungate e inclinate.
2013 US10 ha addirittura un'orbita quasi parabolica e probabilmente si trova nelle zone interne del Sistema Solare forse per la prima volta nella sua esistenza. Dopo un passaggio attorno al Sole si allontanerà velocemente e non si sa se e quando ritornerà . Questa è la perfetta descrizione di una cometa di lungo periodo, un po' come sta accadendo in queste settimane per la cometa ISON che si è appena resa visibile a occhio nudo dai nostri cieli.
Le informazioni in mano agli astronomi dicono proprio che 2013 US10 potrebbe essere una cometa di lungo periodo. Questo significa che la stima delle dimensioni, che si effettua unicamente in base alla luce riflessa dalla superficie, è sbagliata. Le comete sono fatte di ghiacci che riflettono molta più luce, contrariamente agli asteroidi, alcuni dei quali scuri quanto l'asfalto appena steso.
La conseguenza? Non si tratta di un enorme asteroide ma di una piccola cometa o quello che resta della frantumazione di una grande cometa secoli o millenni fa, il cui diametro, se va bene, arriverà a qualche chilometri.
A conferma della natura cometaria, le osservazioni del 5 Novembre scorso fatte dal Canada-France-Hawaii telescope hanno mostrato una debole attività cometaria.
Anche l'altro asteroide, 2013 UQ4, ha delle caratteristiche peculiari. Possiede un'orbita addirittura retrograda (ruota attorno al Sole nel verso contrario rispetto ai pianeti), molto allungata e inclinata. Anche questo, quindi, sembra essere una cometa o ciò che rimane di una cometa ormai esaurita. Se fosse così, e le osservazioni telescopiche sembrerebbero confermarlo, è probabile che la stima delle dimensioni (19 chilometri) sia corretta. Perché non si è scoperto prima? Semplice, perché ha un'orbita molto allungata e solo in questi anni si trova sufficientemente vicino alla Terra (oltre 300 milioni di chilometri attualmente) per poter essere avvistato.
Insomma, in conclusione di questo lungo post, abbiamo capito altre due cose che è meglio mettere ben in chiaro:
1) Non ci sono corpi celesti in rotta di collisione con la Terra;
2) Le comete, attive o spente, provenienti dalla periferia del Sistema Solare sono molto più temibili degli asteroidi NEO che si trovano a orbitare sempre nei paraggi della Terra (in senso astronomico). Se quest'ultimi si possono osservare e seguire lungo tutta la loro orbita, prevedendone gli spostamenti con decenni di anticipo, le piccole comete si riescono a vedere solamente quando ormai si trovano poco oltre la distanza di Marte, un margine troppo esiguo per prevenire in tempo un eventuale impatto.
La buona notizia è che al momento non corriamo alcun pericolo, quindi rilassiamoci.
Link alla notizia ufficiale: http://neo.jpl.nasa.gov/news/news181.html
Che spettacolo, ho visto Saturno! Impariamo a utilizzare il primo telescopio
Che spettacolo, ho visto Saturno! è il libro che insegna le basi dell'osservazione del cielo a occhio nudo e con il nostro primo telescopio raccontando l'astronomia in modo chiaro, semplice e divertente. E' scritto appositamente per giovani appassionati, ma con le storie delle mie disavventure celesti è adatto a tutti i curiosi che vogliono avere un contatto un po' più stretto con il cielo.
E' il volume più completo ed economico presente in commercio.
Volete far avvicinare vostro figlio al Cosmo? Avete comprato il primo telescopio ma non sapete come usarlo? Vorreste una guida divertente e chiara che spieghi i passi dell'osservazione astronomica? Scopriamolo insieme!
Presentazione
Quando nel
lontano 1993 mi
feci regalare dai miei genitori un telescopio per Natale, non sapevo neanche da
dove si guardavano le stelle, figuriamoci se avevo una minima idea di come
usare quello strumento magico che per me rappresentava semplicemente una
magnifica porta su un fantastico Universo che avevo appena iniziato ad assaporare.
L’incoscienza
di bambino mi fece fare un passo molto più grande e avventato di quanto potessi
mai immaginare, ma allo stesso tempo mi spinse a osare quel tanto che bastava
per intraprendere un cammino irto di ostacoli.
Il mio ultimo libro |
Ora, a
distanza di quasi vent’anni dal momento in cui montai il mio piccolo e bellissimo
rifrattore nella cucina dei miei nonni, le cose sono cambiate e posso dire finalmente
a me stesso di aver completato quel lunghissimo cammino che mi ha visto iniziare
come ingenuo sognatore e terminare come un astrofilo o astronomo dilettante.
Ora il telescopio lo so usare; ora so come funziona, so come sceglierne uno per
le mie esigenze, so come e cosa guardare e soprattutto cosa aspettarmi.
Ci ho messo
quasi vent’anni a imparare tutto quel poco che so ed è per questo motivo che ho
scritto un libro, per evitare che anche altri giovani appassionati debbano
aspettare così tanto tempo per osservare con consapevolezza e appagamento le
meraviglie dell’Universo. Perché astronomi dilettanti non ci si improvvisa, ma
si diventa dopo un po’ di tempo in cui dobbiamo per forza di cose imparare a
muoverci nello sterminato Universo sopra le nostre teste.
Sbagliare è il
modo migliore per imparare, quindi non voglio privare nessuno di questa grande
opportunità, ma vorrei dare qualche consiglio utile affinché gli errori ci portino
nella giusta direzione senza dover aspettare venti lunghi anni.
Un po’
autobiografico e spesso autoironico, andremo alla scoperta dell’astronomia
amatoriale e dell’immenso e magnifico Universo che sta proprio sopra le nostre
teste. Comincia ad appena 100
km di altezza, eppure, per ora, solo attraverso un telescopio
possiamo sperare di avvicinarci quel tanto che basta per carpirne qualche
segreto e soprattutto emozionarci.
Perché la
parola d’ordine dell’astronomo dilettante è solo una: emozionarsi, senza alcun
limite.
Sono un po' fiero di questa opera perché rappresenta la guida che avrei sempre desiderato quando da giovane cercavo di osservare il cielo con il mio primo telescopio. E grazie all'autopubblicazione posso rendere disponibile questo lavoro per pochi euro, meno di tutti gli altri libri in commercio. La versione cartacea con immagini in bianco e nero costa solo 12,36 euro, la versione ebook per Kindle solamente 2,68 euro e il PDF in alta risoluzione a 5.20 euro.
mercoledì 13 novembre 2013
Ci vediamo alla fiera di Parma il 30 Novembre?
Il prossimo 30 novembre e il 1 dicembre si terrà nel complesso fieristico di Parma una piccola fiera dell'astronomia, l'unica rimasta in tutta Italia.
Non posso mancare all'appuntamento, quindi sarò lì entrambi i giorni in un apposito spazio messomi a disposizione dall'organizzatore Mirco Villi in compagnia di una ventina di copie dei miei libri cartacei e una pila di CD rom su cui masterizzare tutti i libri digitali che volete.
Sto già preparando sconti, promozioni e regali per chi dovesse venire in fiera, fare quattro chiacchiere con me e volesse portarsi a casa qualche mio libro (con dedica personalizzata naturalmente). Insieme a me ci sarà anche Marco Bastoni, autore di un bellissimo libro sulle eclissi di Sole.
Se siete ancora dubbiosi e pensate che sarà difficile convincere tutta la famiglia, non ci sono problemi. La fiera dell'astronomia si svolge in un solo padiglione, mentre nei rimanenti, in quegli stessi giorni, si può gustare la fiera dell'elettronica e degli articoli natalizi.
Insomma, è un bell'evento per tutta la famiglia e anche per chi non pensa all'astronomia giorno e notte.
Vi aspetto!
Non posso mancare all'appuntamento, quindi sarò lì entrambi i giorni in un apposito spazio messomi a disposizione dall'organizzatore Mirco Villi in compagnia di una ventina di copie dei miei libri cartacei e una pila di CD rom su cui masterizzare tutti i libri digitali che volete.
Sto già preparando sconti, promozioni e regali per chi dovesse venire in fiera, fare quattro chiacchiere con me e volesse portarsi a casa qualche mio libro (con dedica personalizzata naturalmente). Insieme a me ci sarà anche Marco Bastoni, autore di un bellissimo libro sulle eclissi di Sole.
Se siete ancora dubbiosi e pensate che sarà difficile convincere tutta la famiglia, non ci sono problemi. La fiera dell'astronomia si svolge in un solo padiglione, mentre nei rimanenti, in quegli stessi giorni, si può gustare la fiera dell'elettronica e degli articoli natalizi.
Insomma, è un bell'evento per tutta la famiglia e anche per chi non pensa all'astronomia giorno e notte.
Vi aspetto!
martedì 12 novembre 2013
Siamo soli nell'Universo?
Questo post è tratto dal mio libro: "Vita nell'Universo: eccezione o regola?" disponibile su Amazon.it
La risposta a livello scientifico, quindi con prove
inoppugnabili a supporto, non può essere ancora data ma logica, esperienza,
osservazioni e qualche principio fisico e chimico possono comunque darci
un’idea piuttosto chiara.
E la sensazione, giunti a questo punto, è che si tratta solamente
di una mera questione di tempo, soprattutto per quanto riguarda il molto
promettente cammino attraverso la ricerca dei pianeti extrasolari.
Non abbiamo trovato il gemello perfetto della Terra, è vero,
ma l’analisi delle migliaia di stelle da parte di Kepler ci ha dato una mano
formidabile nel chiarire le nostre idee e dipanare i dubbi, anche dei più
scettici.
Attorno a stelle simili al Sole e più piccole come le nane
rosse, Kepler ha scoperto molti pianeti rocciosi. Considerando il calcolo
totale, che include anche quelli fuori dalla fascia di abitabilità, Kepler ha
rilevato più di 1400 superterre, più di 300 pianeti di massa terrestre, più di
50 corpi della massa di Marte e addirittura un paio di massa comparabile con
quella di Mercurio (non troppo diversi dalla nostra Luna). Tutto questo analizzando
solamente i transiti, quindi esclusivamente quei sistemi planetari che vengono
visti quasi perfettamente di taglio. Se assumiamo che le inclinazioni dei
sistemi stellari non abbiano una distribuzione particolare nei confronti della
Terra, questo significa che Kepler ha scoperto meno del 10% dei sistemi
planetari effettivamente presenti nel campo analizzato. Considerando i limiti
nelle osservazioni, sia dal punto di vista fotometrico che temporale, la
percentuale si abbassa e potrebbe attestarsi su un più verosimile valore del
5%.
Molte delle stelle analizzate sono piccoli astri rossi o al
limite simili al Sole, di magnitudine intorno alla dodicesima, quindi entro un
paio di migliaia di anni luce.
Le scoperte di Kepler ci dicono che nella Via Lattea
potrebbero esserci qualcosa come 17 miliardi di Terre. Per pianeti simili alla
Terra ci riferiamo a corpi celesti con un raggio compreso tra 0,5 e 1,4 volte,
quindi anche molte delle superterre di minor massa.
Ma i dati di Kepler ci dicono anche un’altra cosa, ancora
più sconvolgente: il 48% delle stelle di classe M ospiterebbe un pianeta
terrestre potenzialmente abitabile. Considerando la grande abbondanza di questi
astri anche nelle zone adiacenti il Sistema Solare, ci sarebbe in media un
pianeta abitabile di tipo terrestre ogni 6,4 anni luce, praticamente dietro
l’angolo per le scale dell’Universo. Non solo, ma la probabilità di trovare un
pianeta terrestre entro una sfera dal raggio di 10 anni luce sarebbe del 94%:
quasi una certezza!
Quello che ci dicono questi primi dati statistici, che
finalmente si basano su un gran campione di stelle e di analisi, è che pianeti
di taglia terrestre sono presenti un po’ ovunque nella Galassia e rappresentano
la normale evoluzione delle stelle simili al Sole e delle piccole nane rosse,
alla stregua dei satelliti naturali attorno ai pianeti gioviani: è un processo inevitabile.
Con un numero così alto di pianeti di taglia terrestre,
quindi, è scontato trovarne molti nella fascia di abitabilità.
Ora basta fare davvero 2+2 per scorgere una risposta.
Le molecole organiche e l’acqua sono presenti ovunque nel
Cosmo e in quantità abbondanti; la vita, per quello che vediamo qui sulla Terra
e per gli esperimenti eseguiti, riesce a nascere e prosperare anche in ambienti proibitivi
e quando trova condizioni stabili non si fa certo sfuggire l’occasione.
La sensazione, quindi, è che forme di vita, almeno semplice,
possano prosperare un po’ ovunque nell’Universo ed essere frequenti quanto i
pianeti di tipo terrestre nelle zone di abitabilità (dove è posibile l'esistenza di acqua liquida in superficie). Un’esplosione di vita che
fa parte dell’essenza stessa dell’Universo alla stregua delle stelle, delle
galassie, delle nebulose e degli ammassi. Non più quindi eccezione, uno strappo
a una regola che deriva dalla combinazione assurda di variabili quasi
impossibili da mettere nella giusta sequenza, piuttosto il risultato semplice,
quasi scontato, delle leggi della fisica, le stesse che regolano tutto quello
che possiamo vedere.
Alla risposta se siamo soli o meno nell’Universo ormai
nessun astronomo si sognerebbe quindi di dire di no; sarebbe assurdo come
credere che la Terra
sia piatta.
Un discorso diverso riguarda invece l’esistenza della vita
intelligente. La risposta, in senso assoluto, è probabilmente positiva: non siamo
gli unici esseri intelligenti dell’intero Universo.
Bisogna però capire ancora quanto sia frequente questa eventualità,
perché se nel nostro piccolo abbiamo compreso come sia relativamente facile per
molecole inanimate mettersi insieme e formare i primi organismi viventi in
pochi milioni di anni, è altrettanto evidente, grazie agli sconfortanti dati
delle varie ricerche SETI, che l’Universo sia un luogo sorprendentemente più silenzioso
di quanto si pensasse.
Sono passati più di cento anni da quando Nikola Tesla
ipotizzò di ascoltare messaggi alieni attraverso le onde radio da poco scoperte,
ed ere geologiche da quando Guglielmo Marconi affermava di essere riuscito a
ricevere trasmissioni da Marte.
Kepler ci ha dato risultati in forte contrasto con il SETI:
possibile che su quasi 20 miliardi di Terre nella Via Lattea nessuna ospiti
forme di vita intelligenti? No, c’è qualcosa sotto che riguarda sicuramente il nostro
modo di cercare attraverso le onde radio.
Popolato o no da esseri intelligenti, quello che sembra
evidente è la lunga strada che dobbiamo ancora compiere dal punto di vista
tecnologico e biologico per comprendere come funzionano i complessi meccanismi della
vita. E la risposta, prima ancora di cercarla nelle stelle, dobbiamo trovarla
qui sulla Terra e nel nostro Sistema Solare.
Per il momento, quindi, accontentiamoci di qualcosa di meno
scientifico: la sensazione che potrebbe succedere di tutto da un giorno
all’altro. Potremmo ricevere un segnale senza preavviso, forte, inequivocabile,
decifrabile, come la protagonista di “Contact” (difficile), oppure scoprire il
nostro pianeta gemello da un giorno all’altro o una luna sorprendentemente
simile alla Terra.
La sensazione è che una svolta improvvisa e spettacolare
possa essere dietro l’angolo perché la scienza, la nostra scienza, è sul punto
di una scoperta epocale.
I tempi? Forse dieci anni al massimo.
Accontentiamoci per adesso del fatto che la prova più forte
di non essere soli nell’Universo ce l’abbiamo sotto gli occhi ogni giorno:
siamo noi stessi, materia comune in un luogo anonimo dell’Universo. È la nostra
stessa esistenza a dirci di non essere gli unici, perché se il Cosmo ci ha dato
quest’opportunità, nella sua enorme estensione sarà successo molte altre volte.
Per ora la gioia più intensa che possiamo provare è con noi
stessi.
In una notte serena prendiamoci un po’ di tempo dai rumori e
dalle luci delle città e andiamocene in campagna. Distesi su un prato, nel
silenzio dell’Universo, osserviamo la luce scintillante di quelle lontane
fiammelle. Tra noi e loro ci separa solo un sottile e trasparente strato
d’aria.
Scrutiamo, e pensiamo che sicuramente su una di quelle fioche
stelle ci sarà qualcuno che in questo momento, sdraiato su un prato molto diverso
dal nostro, guarderà un cielo differente nel quale un debole astro giallastro condivide
silenzioso il segreto più grande e misterioso dell’Universo: la sua stessa coscienza.
È
successo una volta, miliardi di anni fa su un pianeta azzurro chiamato Terra
quasi distrutto da un immenso impatto. Nulla vieta che possa essere accaduto
altre volte, in molti altri luoghi dell’Universo.
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