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venerdì 18 marzo 2016

Quante sono state le missioni spaziali verso altri corpi celesti?


Dall’inizio dell’era spaziale, nel 1958, sono tante le sonde inviate verso altri corpi celesti, molte di più di quanto si possa immaginare.
Negli anni sessanta e settanta Stati Uniti e Unione Sovietica, in piena guerra fredda, non risparmiarono risorse per dimostrare al mondo la propria supremazia nello spazio.
Tutti abbbiamo avuto qualche compagno di scuola che doveva far vedere quanto era forte e spaccone, picchiando e mostrando di essere invincibile ai suoi compagni, vero? I grandi li chiamano bulli e cercano giustamente di impedirgli di fare del male agli altri; i ragazzini, invece, di solito subiscono.

Lo Sputnik 1, nel 1957, inaugurò la corsa allo spazio.
Quando i bulli diventano adulti, i grandi li chiamano in diversi altri modi: politici, industriali, magnati, speculatori, grandi finanzieri, banchieri... Cambiano  i modi con cui esercitano potere e terrore sulla gente, ma i risultati sono gli stessi. Inspiegabilmente, però, queste persone sono osannate e spesso prese come esempio dalle stesse che vanno nelle scuole cercando di separare i ragazzini che si azzuffano.
 
Come due perfetti bulli, che però disponevano di un potere illimitato ed enormi quantità di denaro, Stati Uniti e Unione Sovietica dovevano dimostrare al mondo chi fosse il più forte e chi avrebbe avuto il diritto di comandare su tutta la popolazione mondiale. Scelsero di farlo a suon di astronavi inviate in ogni punto del Sistema Solare; se non altro hanno contribuito, di certo involontariamente, a un enorme sviluppo tecnologico e scientifico. Ma questa sembra essere una regola: se uno stato sembra far del bene all’intera popolazione è perché non poteva fare altrimenti per raggiungere i suoi, personali e per nulla altruistici, obiettivi. La beneficienza è qualcosa che molti pubblicamente osannano ma che tutti, almeno oltre un certo livello, disprezzano. 

Per circa 30 anni la gara tra Unione Sovietica e Stati Uniti è andata avanti senza esclusione di colpi e senza l’intervento di nessun’altro stato poi, lentamente, anche altre potenze economiche hanno timidamente iniziato ad affacciarsi allo spazio.
Il programma spaziale con equipaggio umano è stato il meno sviluppato.
Sei missioni Apollo hanno portato astronauti sulla superficie lunare; altre tre quelle che hanno raggiunto la Luna, la distanza maggiore compiuta fino ad ora dagli esseri umani.
I voli con equipaggio umano nella bassa orbita terrestre sono invece molti di più: solamente gli Shuttle hanno effettuato 135 lanci, di cui 134 hanno raggiunto lo spazio.

Le missioni dedicate all’esplorazione automatica dei pianeti sono state circa 190. Contando i satelliti dedicati allo studio del Sole, delle comete e degli asteroidi, potremmo superare la straordinaria cifra di 200!
Quasi la metà riguarda l’esplorazione della Luna, con ben 88 missioni attualmente all’attivo, in gran parte concentrate negli anni 60 e 70 durante l’apice della gara allo spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica. 

La percentuale di successi, tuttavia, non è per niente elevata. Una rapida stima ci suggerisce che poco più del 50% delle missioni ha raggiunto gli obiettivi.
Le percentuali di fallimento erano elevatissime nei primi anni di esplorazione, a causa delle scarse conoscenze di una scienza ancora tutta da scoprire, ma anche soprattutto per la fretta imposta dai ritmi serrati della guerra fredda tra Sovietici e Americani. Non c’era tempo per accumulare conoscenze attraverso un percorso lento e prudente, bisognava produrre risultati. Poco importava se l’obiettivo veniva raggiunto dopo decine di fallimenti: era sufficiente per dimostrare la propria superiorità tecnologica al mondo e all’avversario.

La fretta non è mai una buona consigliera; ti rende nervoso, vulnerabile, ti fa dimenticare quello che sai e quello che sei, e spesso ti fa commettere azioni stupide che non avresti mai fatto se fossi stato più lucido. Ma a quanto pare il mondo, anche quello della ricerca e della conoscenza, sembra andare in questo insensato verso: meglio produrre qualcosa di pessimo che impiegare anni per arrivare a un risultato sensato e di qualità. Ecco perché il mondo è destinato a un'inesorabile involuzione.

venerdì 25 dicembre 2015

Quante sono state le missioni spaziali?

Dall’inizio dell’era spaziale, nel 1957, sono tante le sonde mandate verso altri corpi celesti, molte di più di quanto si possa immaginare.
Negli anni sessanta e settanta, Stati Uniti e Unione Sovietica, in piena guerra fredda, non risparmiarono risorse per dimostrare al mondo la propria supremazia nello spazio.Per circa 30 anni questa è stata una gara a due, poi, lentamente, anche altre potenze economiche hanno timidamente iniziato ad affacciarsi allo spazio. 

Il programma spaziale con equipaggio umano è stato il meno sviluppato.
Sei missioni Apollo hanno portato astronauti sulla superficie lunare; altre tre quelle che hanno raggiunto la Luna, la distanza maggiore compiuta dagli esseri umani.
I voli con equipaggio umano nella bassa orbita terrestre sono invece stati molti di più: solamente gli Shuttle hanno effettuato 135 lanci, di cui 134 hanno raggiunto effettivamente l’obiettivo. Non molte di meno sono state le missioni sovietiche prima e russe poi dirette veerso le stazioni spaziali. 

Le missioni automatiche dedicate all’esplorazione automatica dei pianeti sono state circa 190. Contando i satelliti dedicati allo studio del Sole, delle comete e degli asteroidi, potremmo superare la straordinaria cifra di 200!
Quasi la metà riguarda l’esplorazione della Luna, con ben 88 missioni attualmente all’attivo, in gran parte concentrate negli anni 60 e 70 durante l’apice della gara allo spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica. 

La percentuale di successi, tuttavia, non è per niente elevata. Una rapida stima probabilmente ci suggerisce che poco più del 50% delle missioni ha raggiunto gli obiettivi.
Le percentuali di fallimento erano elevatissime nei primi anni di esplorazione, a causa delle scarse conoscenze di una scienza ancora tutta da scoprire, ma anche soprattutto per la fretta imposta dai ritmi serrati della guerra fredda tra Sovietici e Americani. Non c’era tempo per accumulare conoscenze attraverso un percorso lento e prudente, bisognava produrre risultati. Poco importava se l’obiettivo veniva raggiunto dopo decine di fallimenti, era sufficiente per dimostrare la propria superiorità tecnologica al mondo e all’avversario.

Quando la gara allo spazio terminò e l’esplorazione del Sistema Solare divenne finalmente qualcosa di prettamente scientifico, i ritmi rallentarono, ma aumentarono di molto l’efficienza e l’affidabilità di missioni diventate sempre più complesse. Attualmente i fallimenti delle agenzie spaziali con maggiore esperienza come la NASA e l’ESA (agenzia spaziale europea) sono diventati estremamente rari, fortunatamente!

venerdì 3 gennaio 2014

Quali computer utilizzava uno Shuttle per il volo?



Tutte le astronavi dirette verso lo spazio sono controllate per intero (o quasi) dai computer di bordo che devono effettuare complicati calcoli in tempo reale per regolare al meglio la velocità e l'assetto dalla partenza all'eventuale rientro a terra. 
Questo è il caso delle astronavi con equipaggio umano, che oltre alle delicate fasi di lancio e messa in orbita, dovevano occuparsi anche delle fasi di rientro, soprattutto per quanto riguarda l'angolo di impatto con l'atmosfera terrestre, pena la distruzione della capsula. 

La cabina di pilotaggio dello Shuttle Discovery
Gli Space Shuttle erano e sono ancora le navette più complesse mai concepite ed è normale allora riferisi ai loro computer e alle loro performance.
Si potrebbe immaginare che il computer dedicato ai controlli in tempo reale dell’assetto dell’astronave e dei suoi movimenti dovesse avere una potenza di calcolo inimmaginabile, ma non è così. I computer delle navette Shuttle fino al 1991 disponevano solamente di 500 KB (si, KILO byte!) di memoria, ampliata successivamente a 1 MB. Di fatto, il sistema informatico nato con il progetto Shuttle, sul finire degli anni 70, non si è più evoluto, nonostante la rivoluzione informatica, eppure è stato sempre all’altezza della situazione. 

La verità è che il computer di un’astronave non necessita di una pesante interfaccia grafica che richiede grandi quantità di memoria, perché deve limitarsi solamente a fare un gran numero di calcoli su un sistema operativo il più semplice e affidabile possibile. Di conseguenza, non sono necessari processori super veloci, né, soprattutto, grandi quantità di memoria.
Ci sono un paio di massime che sembrano adattarsi perfettamente a questi casi: ciò che non c’è non si può rompere; finché qualcosa funziona, meglio non sostituirla. 

I vecchi sistemi informatici degli Shuttle si sono dimostrati sempre affidabili e capaci di portare a termine, senza ritardi o problemi, tutti i compiti dedicati, quindi perché i tecnici della NASA avrebbero dovuto sostituire tutto il sistema informatico, spendendo decine di milioni di dollari e diverso tempo, per fare tutti i test necessari a evitare pericolosi crash di sistema?
Questa filosofia è stata seguita anche dalle capsule russe Soyuz, che fino al 2003 utilizzavano un computer con una memoria di appena 6 KB! Proprio la sostituzione del computer di bordo con uno più performante (ma molto meno del nostro telefono cellulare!) ha fatto schiantare la prima capsula che lo utilizzava, a testimonianza di quanto sia importante un sistema informatico semplice e affidabile e non un computer super potente in grado di mostrare contemporaneamente filmati di diversi milioni di pixel!

venerdì 27 dicembre 2013

Come atterrava uno Shuttle?



Gli Space Shuttle sono state le prime e uniche (fino a questo momento) navicelle riutilizzabili della storia, andate ormai in pensione nel luglio del 2011. Partivano cme un razzo e atterravano come un aereo, ma pochi forse sanno in che modo avveniva la discesa. 
Una volta terminata la missione in orbita terrestre, ad almeno 350 km di altezza, iniziava il momento più delicato dell'intero viaggio: il ritorno a casa. 
Senza più carburante per effettuare una discesa controllata e lenta, lo Shuttle, come tutte le altre capsule, precipitava letteralmente nell'atmosfera. Per perdere quota dall’orbita azionava per pochi minuti i razzi di manovra che ne rallentavano la velocità orbitale. A questo punto il campo gravitazionale terrestre faceva perdere rapidamente elevazione all’astronave. L’impatto con gli strati superiori dell’atmosfera, a una quota di 120 km, avveniva a circa 8 km/s.

Planando senza motori verso terra: ecco l'atterraggio di uno Shuttle
A una velocità così sostenuta l’aria diventa un ostacolo davvero pericoloso da attraversare.
Proprio come un sasso che viene lanciato velocemente al pelo dell’acqua rimbalza invece di affondare, anche lo Shuttle e tutte le capsule che rientrano in atmosfera devono avere la giusta angolazione, altrimenti potrebbero rimbalzare sullo strato d’aria come una grande pietra e perdersi nello spazio. D’altra parte, un ingresso troppo diretto nel mare d’aria vorrebbe dire la distruzione dell’astronave a causa dell’eccessivo calore generato dall’attrito. Per questo motivo la discesa in atmosfera doveva avvenire secondo una particolare angolazione e orientazione, rigidamente controllata dai computer di bordo.

Il rientro violento in atmosfera dello Shuttle aveva la funzione fondamentale di rallentare l’astronave e prepararla per l’atterraggio, che sarebbe avvenuto a oltre 8000 km di distanza dal punto di rientro in atmosfera.
Con una velocità sufficientemente bassa, l’assetto della navetta a poche decine di chilometri dalla superficie cambiava, trasformandosi in un gigantesco aliante che planava nell’aria e rallentava ulteriormente la sua corsa, senza mai utilizzare i razzi, totalmente inadatti all’assetto da aereo di queste fasi. 

L’atterraggio avveniva a una velocità di circa 350 km/h, sensibilmente maggiore di quella dei grandi aerei di linea (circa 260 km/h), tanto da richiedere una pista più lunga e un paracadute per frenarne la corsa.
Certo, le possibilità di manovra non erano simili a quelle di un normale aereo, tanto che dai tecnici fu definito un mattone con le ali, ma osservando gli atterraggi così naturali delle navicelle  su una pista di asfalto, invece di un tuffo incontrollato in mezzo all’oceano di una piccola capsula alta neanche tre metri, per la prima volta nella storia si è avuta la sensazione che la conquista dello spazio non fosse più al limite delle nostre capacità tecnologiche.

venerdì 29 novembre 2013

Quanto carburante consuma un'astronave?



La parte più difficile e dispendiosa di una missione spaziale è senza dubbio lasciare la superficie terrestre.
La forza di gravità del nostro pianeta è così forte che bisogna far raggiungere a ogni astronave (con o senza equipaggio) una velocità superiore ai 10 km/s se vogliamo spedirla al di fuori dell’orbita del nostro pianeta. Se ci accontentiamo di un giretto orbitale a circa 350 km, allora la velocità può essere ridotta fino a 8 km/s, ma è sempre un valore estremamente elevato, pari a 28.800 km/h!
Per accelerare le astronavi alla partenza sono quindi necessari potentissimi razzi, detti in gergo anche vettori. Queste strutture, a volte molto più grandi dell’astronave stessa, hanno l’unico scopo di fornire il carburante per immettere la struttura nella bassa orbita terrestre, luogo decisamente più tranquillo per proiettarsi, eventualmente, verso lo spazio aperto con l’accensione di un razzo di minori dimensioni. 

I gigenteschi motori del razzo Saturn V
Gli Space Shuttle per questo scopo necessitavano di un grandissimo serbatoio dal colore rosso alto 47 metri e largo 8,4, contenente oltre 730.000 kg di carburante (idrogeno e ossigeno liquidi) e di due razzi ausiliari, altrettanto alti, contenenti un totale 1 milione di chilogrammi di carburante a base di perclorato d’ammonio.
Questa immane quantità di propellente, sufficiente per radere al suolo una cittadina, serviva unicamente per i primi minuti di volo.
I due razzi laterali fornivano l’83% della spinta totale e bruciavano un milione di chilogrammi di carburante in appena 124 secondi, tempo necessario per raggiungere un’altezza di 46 km.
Il carburante del grande serbatoio rosso, utilizzato dai cinque motori dello shuttle, veniva esaurito in otto minuti, il tempo necessario per raggiungere la velocità richiesta di 7,7 km/s per immettersi nella bassa orbita terrestre. 
Per far raggiungere 350 km di altezza a una specie di aereo dal peso massimo di 100 tonnellate, sono quindi richieste quasi 2 mila tonnellate di carburante!

Ma il record dei consumi spetta al razzo più grande mai concepito dalla mente umana, il Saturn V, il vettore utilizzato per proiettare l’astronave Apollo verso la Luna.
Ben 80 metri dei 113 dell’intera struttura erano necessari per fornire la spinta necessaria all’astronave per lasciare l’orbita terrestre, con un consumo massimo di circa 15 tonnellate di carburante ogni secondo!