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venerdì 6 novembre 2015

Cassini si getta nei geyser d'acqua di Encelado

Il 28 Ottobre scorso la sonda Cassini, in orbita attorno a Saturno dal 2004, ha effettuato un sorvolo ravvicinato da brividi della luna attualmente più interessante e intrigante del Sistema Solare: Encelado.
Dettaglio di una porzione del polo sud di Encelado
Questo pezzo di roccia e ghiacci, dal diametro di appena 500 km, nasconde infatti al suo interno un vasto oceano globale di acqua liquida. L'acqua, insinuandosi tra le spaccature della spessa crosta, riesce a risalire in superficie nei pressi del polo sud, proiettandosi nello spazio attraverso decine, anzi, centinaia di enormi geyser.

L'acqua che viene proiettata nello spazio congela all'istante, formando una tenue foschia di minuscoli cristalli di ghiaccio, sporcati dalla sabbia e dalle rocce del fondale oceanico. Senza quindi dover scavare profondi, quanto improbabili, buchi di decine di chilometri per capire quali siano le condizioni di quell'oscuro oceano d'acqua, il modo migliore per studiarne le proprietà è far passare a decine di migliaia di chilometri l'ora un'astronave in mezzo a queste nuvole di detriti. Questo è quello che, con una buona dose di coraggio, hanno deciso di fare i tecnici di missione all'impavida Cassini, giunta quasi alla fine della propria vita operativa.

A soli 49 km dalla superficie, Cassini si è tuffata nei suoi geyser
Il flyby ha portato la sonda ad appena 49 chilometri dalla superficie, una distanza davvero esigua che qui sulla Terra nessuna sonda potrebbe mai raggiungere perché si ritroverebbe a nuotare nella nostra densa atmosfera. Sorvolando le grandi spaccature attive di Encelado, Cassini ha ripreso delle immagini di incredibile dettaglio, ma soprattutto ha potuto analizzare con i suoi strumenti la composizione chimica del materiale che fuoriesce con un ritmo di centinaia di kg al secondo da questa incredibile luna.

Gli imponenti geyser di Encelado
Le analisi sulla composizione chimica della nuvola di acqua e detriti saranno lunghe e impegneranno gli scienziati per diverse settimane prima di poter avere dei risultati, ma intanto possiamo sognare godendoci la vista meravigliosa che si è trovata di fronte Cassini, tra canyon, spaccature, panorami innevati (parte del materiale dei geyser ricade in superficie formando un sottile strato nevoso), spingendosi là dove nessun essere umano era mai arrivato.

Non sappiamo cosa ci sia sotto la spessa crosta ghiacciata, ma questi geyser sono delle vere e proprie porte per capire se effettivamente questo satellite al suo interno possa ospitare forme di vita, protette dagli impervi ambienti dello spazio vuoto e riscaldate dall'abbraccio gravitazionale di Saturno. E' proprio la sua enorme massa a fornire l'energia all'interno di Encelado per mantenere, si pensa da miliardi di anni, un ambiente caldo e stabile di acqua liquida, riscaldata fino ad alte temperature da sorgenti idrotermali del tutto simili a quelle che sulla Terra ospitano la vita da oltre 3,5 miliardi di anni, ben prima che conquistasse la superficie.

Nell'attesa delle analisi, godiamoci le spettacolari immagini del satellite e ammiriamo una mappa dei suoi poli, dalla quale si può già intravedere che nei pressi del polo sud le spaccature della crosta lasciano affiorare un materiale solido dal colore azzurro, quasi cristallino, molto simile al ghiaccio puro che qui sulla Terra si forma dagli specchi d'acqua più puliti e freddi. 

Mappa in alta risoluzione delle regioni polari

Per saperne di più: http://www.nasa.gov/feature/jpl/saturns-geyser-moon-shines-in-close-flyby-views

mercoledì 16 settembre 2015

Le straordinarie sorgenti idrotermali di Encelado

Nel pronunciare la parola "terme" ci vengono in mente lunghi e caldi bagni rilassanti all'aperto, magari nella stagione invernale con la neve che scende lenta sulla nostra pelle calda.
Per un ristretto gruppo di scienziati, invece, che spesso vivono letteralmente con la testa nel cielo, questa parola per un po' di tempo li aveva proiettati a più di un miliardo di chilometri dalla Terra, in un luogo che ancora rappresentava il labile confine tra la razionale realtà e un mirabolante sogno, quasi proibito, mai confermato, almeno in pubblico, ma molto spesso immaginato e sperato.

A circa un miliardo e mezzo di chilometri dalla Terra si trova un complesso sistema di corpi celesti, il cui perno è Saturno, costituito dai suoi magnifici anelli e circondato da decine di lune. Molte sono piccoli asteroidi mezzi ghiacciati poco o per nulla interessanti, soprattutto se confrontate con alcuni satelliti decisamente più intriganti.
Probabilmente avrete sentito parlare di Titano, della sua complessa atmosfera e delle sue splendide spiagge modellate da mari di metano liquido. Ne ho parlato in abbondanza anche su questo blog, per questo non mi ripeterò.

In mezzo a questa selva di lune e anelli, un piccolo manufatto umano, partito dalla Terra nel 1997 e arrivato a destinazione nel 2004, sta scorrazzando in lungo e in largo da 11 anni, cercando di carpire i segreti di questo minuscolo angolo di Universo. Dopo aver svelato la complessa natura degli anelli, mostrato la silenziosa ed elegante danza delle lune, svelato la dinamica e violenta natura dell'atmosfera di Saturno, mostrato i mari e le tempeste di Titano, ha permesso a quel ristretto gruppo di scienziati sognatori di trasformare quella forte sensazione, censurata dall'etica professionale, quel sogno proibito, in certezza.

Grazie alle analisi ottenute nel corso degli 11 anni di permanenza nel sistema di Saturno, la sonda Cassini ha fornito la prova definitiva che su un satellite che probabilmente pochi di voi avranno sentito, Encelado, esistono delle enormi sorgenti termani.

Encelado possiede infatti al suo interno un immenso oceano di acqua liquida calda, con una salinità simile a quella degli oceani terrestri, che avvolge tutto il corpo celeste e mostra arricchimenti di minerali dovuti a un'attività idrotermale. A una profondità media di circa 35 chilometri, questo oceano globale si pensa possa essere spesso 10 chilometri e di fatto contenere, in proporzione, una quantità d'acqua ben maggiore rispetto a quella degli oceani terrestri (in proporzione alla massa solida, non in termini assoluti!).

Che sotto la crosta di Encelado si nascondesse dell'acqua liquida non è una novità. Prove dirette si sono iniziate ad accumulare già nel 2005, un anno dopo l'arrivo della sonda Cassini, ma si sa che affermazioni straordinarie richiedono prove altrettanto straordinarie e una pazienza non da meno.
Ora, a distanza di 10 anni dai primi indizi, il quadro è abbastanza chiaro e ci mostra un corpo celeste che potrebbe balzare al primo posto tra i luoghi, oltre la Terra, nei quali cercare forme di vita.

Geyser d'acqua su Encelado
Le immagini della sonda Cassini, a partire dal 2005 e le successive analisi hanno infatti mostrato subito enormi getti sollevarsi dalla crosta di Encelado, in particolare nei pressi del polo sud. Le analisi confermarono che si trattava di ghiaccio d'acqua, proveniente probabilmente dalle profondità del satellite ed espulso a grande velocità con un meccanismo simile a quello dei nostri geyser. Sembrava incredibile, ma in un luogo del Sistema Solare che sperimenta temperature, al Sole, di -198°C, su un corpo celeste che non possiede alcuna atmosfera, c'era evidente traccia di acqua liquida.

Nel Marzo 2015, sempre le analisi della sonda Cassini hanno mostrato che quest'acqua non è pura e nemmeno fredda. Nei giganteschi geyser, infatti, la sonda ha rivelato minuscoli grani di roccia. Analisi e siulazioni hanno stabilito che questi granelli sono il risultato di un'intensa attività idrotermale. L'acqua nelle profondità viene riscaldata fino a 90°C e si mischia con grandi quantità di minerali presenti nelle rocce di Encelado. L'attività idrotermale è frequente sulla Terra e rappresenta un habitat ideale e stabile per tanti micro organismi.

Pochi giorni fa, infine, l'ultima novità. Fino a poco tempo fa si discuteva su quanta acqua liquida ci fosse nelle profondità di Encelado, ovvero quanto fosse esteso e profondo quell'oceano che alimentava i geyser del polo sud. Si pensava inizialmente che fosse confinato a quelle regioni, ma alla fine si è scoperto che non è così.
Analizzando in dettaglio i movimenti del satellite, gli scienziati della NASA hanno scoperto la pistola fumante che ha fatto propendere per un oceano globale. Il termine tecnico è librazione, ma detto in questi termini non comunica molto.
Osservando attentamente 7 anni di immagini in alta risoluzione, gli astronomi della NASA si sono accorti che oltre alla classica rotazione attorno al proprio asse, la superficie di Encelado oscilla periodicamente un po' più avanti e un po' più indietro. Questo è l'effetto della librazione, che possiamo vedere anche con la nostra Luna. Bene, calcoli alla mano (e qui dobbiamo fidarci!), gli scienziati hanno capito che l'oscillazione della crosta di Encelado è troppo marcata per essere prodotta da un unico corpo rigido in rotazione. Simulazioni alla mano, se tra il nucleo di Encelado e la crosta si inserisce un oceano d'acqua, si ottiene l'effetto osservato. La crosta galleggia letteralmente sull'oceano liquido ed è distaccata dal nucleo del satellite molto più massiccio. L'acqua è un buon lubrificante, quindi di fatto separa bene la sottile crosta dal resto solido del satellite. L'effetto netto è quindi ben comprensibile: la crosta è molto poco massiccia, quindi ben più mobile dell'interno, che invece è molto più massiccio e oscillerebbbe di meno. Se Encelado fosse stato "un pezzo unico" l'effetto della librazione sarebbe stato molto più ridotto di quanto osservato. Di conseguenza, l'unica spiegazione plausibile per questo comportamento è che l'oceano sottostante debba ricoprire tutto il satellite.


Terme su Encelado
Da dove proviene l'acqua dei geyser di Encelado? E perché è liquida? Chi la riscalda?
La risposta (al momento parziale) si può trovare nella sua posizione all'interno del sistema di Saturno. In orbita a soli 180 mila chimometri dalla sommità delle nubi del gigante gassoso, il piccolo satellite, di soli 500 km di diametro, sperimenta enormi forze mareali da miliardi di anni. Se sulla Terra la Luna, 81 volte meno massiccia del nostro pianeta, è sufficiente per innalzare il livello dei mari di più di 10 metri e persino deformare la crosta rocciosa, immaginate cosa può succedere a un corpo celeste che si trova a 180 mila chilometri da un pianeta 95 volte più massiccio della Terra e 7500 volte più della Luna.

Le maree che sperimenta Encelado sono quindi violentissime e in grado di generare, per attrito, grandi quantità di calore all'interno del satellite a causa del continuo stiramento che subiscono le rocce. Questo è, probabilmente, il calore che da miliardi di anni permette al satellite di possedere abbastanza energia per trasformare il ghiaccio d'acqua in acqua liquida sotto la superficie, grazie anche alla pressione che gli strati superficiali esercitano su questo strato (da ricordare infatti che per avere acqua liquida servono temperature e pressioni giuste, non basta solo uno dei due fattori!).
L'acqua liquida si scalda e si arricchisce di minerali in alcuni punti geologicamente più attivi di altri, proprio come succede nelle profondità oceaniche della Terra.
Compressa dalla crosta sovrastante, cerca di farsi strada tra le strette fessure, proprio come sulla Terra il magma cerca di insinuarsi in ogni spaccatura per poter arrivare in superficie. Risalendo verso la superficie a grande velocità, alla fine viene proiettata nello spazio aperto, una zona in cui la temperatura precipita a -198°C e la pressione va a zero. L'acqua congela quindi all'istante formando miliardi di finissimi cristalli di ghiaccio che si innalzano per centinaia di chilometri. Molta di quest'acqua ghiacciata lascia per sempre Encelado e va ad alimentare gli splendidi anelli di Saturno; una parte ricade sotto forma di neve, imbiancando e ringiovinendo la brillante superficie del satellite.


In realtà questo meccanismo dovuto alle maree non è per niente chiaro, ancora. In particolare, non si resce a giustificare in modo adeguato la provenienza del calore immenso che serve per mantenere liquida l'acqua dell'oceano di Encelado, né come si formino questi presunti punti caldi che generano le sorgenti idrotermali.

Al di là di delle questioni riguardanti i meccanismi di riscaldamento di Encelado, la domanda che senz'altro interessa più di tutte è: ci sarà vita in questo oceano liquido?
La risposta è: non lo sappiamo. Dobbiamo imparare a separare le senzazioni e i desideri da quello che è la nostra conoscenza della realtà. Attualmente su Encelado potrebbe esserci di tutto ma di prove non ne abbiamo.

Possiamo provare a dare una linea guida sobria e verosimile; un punto di vista plausibile con le nostre conoscenze attuali che sono però lungi dall'essere complete (quindi, mi raccomando, prudenza!). Sappiamo allora che l'acqua liquida è, sulla Terra, sinonimo di vita, soprattutto se ricca di minerali. Conosciamo molte sorgenti termali sottomarine dove la vita non solo ha prosperato ma è anche riuscita a sopravvivere a situazioni molto ostili che invece l'hanno cancellata a più riprese in altri luoghi in apparenza migliori. Questo ci fa ben sperare e di certo al momento Encelado è il luogo migliore nel quale sognare di trovare qualche semplice forma di vita, e forse anche il più facile su cui poter fare indagini. Al contrario di Europa, satellite di Giove che possiede anch'esso un grande oceano liquido sotto la crosta, se l'oceano di Encelado pullulasse di forme di vita queste verrebbero espulse dalle centinaia di geyser scoperti dalla sonda Cassini. Non sarebbe quindi necessario scavare un impossibile buco profondo decine di chilometri per capire cosa ci sia lì sotto, ma analizzare la nuvola ghiacciata che si libera nello spazio. E questa, al momento, è quell'insperata prospettiva, attuabile anche con la nostra tecnologia, che ci farà sognare a occhi aperti il giorno in cui un uomo o, meglio, una sonda automatica, si poserà su questo sorprendente corpo celeste e tenterà di dare la risposta alla domanda più antica di sempre, il sacro Graal della scienza e, forse, della nostra intera esistenza. Rispetto a 10 anni fa, ora la risposta sembra essere molto più vicina, nello spazio e nel tempo, di quanto si potesse immaginare.


Per approfondire: https://www.nasa.gov/press/2015/march/spacecraft-data-suggest-saturn-moons-ocean-may-harbor-hydrothermal-activity/
http://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?feature=4718

martedì 26 novembre 2013

Domande e risposte: da dove proviene l'acqua della Terra?



L’acqua sulla Terra ricopre il 71% della superficie ed è il costituente principale di tutte le forme di vita.
Il problema, per la Terra e i pianeti interni, tra cui Marte, è però grande: chi ce l’ha portata l’acqua?
I modelli di formazione del Sistema Solare ci dicono chiaramente che la nebulosa protosolare a quelle distanze dal Sole era troppo calda per permettere all’acqua di condensare in grandi quantità e formare quindi gli embrioni dei pianeti. Alla distanza della Terra, solamente i silicati e i metalli si trovavano nella forma solida capace di creare gli aggregati planetari. Le modeste quantità d’acqua inglobate dai protopianeti sono quasi certamente evaporate mano a mano che la violenza delle collisioni aggregava corpi sempre più massicci e caldi. Come se non bastasse, l’atmosfera primordiale della Terra venne distrutta dal violento impatto con Theia, formando poi la Luna e privandola ulteriormente del vapore acqueo che possedeva. La Terra quindi, appena dopo la sua formazione doveva essere un corpo celeste estremamente secco.

Chi o cosa ha portato l’acqua sul nostro pianeta? Difficile credere che l’acqua si sia formata da sola successivamente, poiché di ossigeno libero in atmosfera che potesse reagire con l’idrogeno non ce n’era (almeno non così tanto).
Se diamo un’occhiata alla distribuzione delle temperature nella nebulosa primordiale che ha formato il Sistema Solare, la zona in cui i composti più volatili contenenti l’idrogeno come l’acqua, l’ammoniaca e il metano, tutti essenziali per i processi biologici elementari, potevano trovarsi nello stato solido, quindi condensare per formare corpi celesti, si trova nel bel mezzo dell’attuale fascia principale degli asteroidi. La cosiddetta linea del ghiaccio (frost line in inglese) segna un confine netto tra i corpi celesti a base di silicati e quelli formati per buona parte di ghiacci, principalmente acqua. Non è difficile allora comprendere da dove provenga l’acqua, l’ammoniaca e forse buona parte delle molecole organiche della Terra: da corpi celesti che si sono creati più lontano, cioè asteroidi e comete.
Ce n’erano così tanti di questi piccoli proiettili cosmici che nel primo miliardo di anni, come testimonia la butterata superficie lunare, a migliaia, forse milioni, sono precipitati su tutti i pianeti interni, Terra compresa, liberando le grandi riserve di acqua e composti organici che contenevano.

mercoledì 6 febbraio 2013

C'è o c'era acqua su Marte?

Questo post è tratto dal mio libro "Sognando il Sistema Solare", disponibile in ebook Kindle, in PDF ad alta risoluzione e in versione cartacea con il nuovo titolo di "Conoscere, Capire, Esplorare il Sistema Solare

C'era acqua nel passato di Marte?

Il mistero più affascinante di Marte ruota attorno alla presenza o meno di acqua nel suo passato e nel presente.
Fiume su Marte?
I dati ricevuti dalle prime sonde giunte sul pianeta, tra cui le gloriose Viking, hanno sollevato un problema di cui ancora se ne discute animatamente a distanza di oltre 30 anni.
Le immagini provenienti dalla superficie e dall’orbita hanno fornito numerosi indizi sul fatto che il pianeta un tempo fosse estremamente diverso dall’arido deserto attuale.
Oltre alle peculiari proprietà dell’emisfero nord, che potrebbero essere spiegabili anche con un gigantesco impatto che avrebbe rimodellato la superficie, nel dettaglio il suolo marziano è percorso da quelli che sembrano resti di decine di fiumi e grandi laghi, come quello riportato nell’immagine a destra.
Se infatti confrontiamo queste immagini con le situazioni familiari e più conosciute della Terra, gli indizi potrebbero addirittura trasformarsi in prove evidenti. 

Un fiume che scorre per lungo tempo nel suo letto modella la superficie, leviga le pietre, scava il terreno, muove la sabbia, genera valli e canyon. Molte sono le formazioni di questo tipo scoperte dalle sonde in orbita.
Il fatto che attualmente non vi sia acqua in questi probabili antichi letti, alcuni dei quali davvero giganteschi, è ciò che impedisce agli scienziati di essere certi della loro origine. 

Perché così tanta incertezza?
Sostanzialmente perché la nostra analisi si basa solamente su una somiglianza visiva con le strutture geologiche che sulla Terra sono formate dallo scorrere dell’acqua. Siamo proprio sicuri, però, che non potrebbero esserci altri motivi, che attualmente ignoriamo, per cui su Marte si siano formate strutture simili senza dover per forza di cose considerare l’azione erosiva prodotta dal nostro familiare liquido trasparente?
La prudenza resta d’obbligo anche guardando un’immagine apparentemente eloquente come quella sopra, per un motivo molto semplice: le condizioni di pressione e temperatura sul suolo marziano attualmente impediscono all’acqua pura di esistere stabile allo stato liquido.

Presso i poli è congelata, alle basse latitudini può esserci solo sottoforma di vapore.
Ammettere che quelle strutture siano letti di antichi fiumi, significa quindi rendere implicito che un tempo l’atmosfera del pianeta rosso fosse profondamente diversa, tanto da consentire all’acqua di scorrere liberamente e in grandi quantità.
Uno scenario del genere solleva, proprio come gli imponenti venti marziani, molte altre domande: come si è modificata l’atmosfera? Perché è cambiata così tanto? E dove è finita tutta l’acqua?
Difficile ancora mettere insieme i pezzi di un puzzle davvero estremamente più complicato di quanto si potesse pensare, anche perché molte delle analisi necessarie per confermare o confutare la teoria devono essere fatte sul luogo.
Fino a questo momento sono stati trovati degli indizi, alcuni a dire la verità davvero forti.
Il rover Opportunity ha trovato rocce sedimentarie, che sulla Terra si formano solamente in presenza di acqua.

Ghiaccio d'acqua su Marte
La sonda Phoenix ha confermato che alle alte latitudini il terreno è pieno di ghiaccio d’acqua.
Lo strato di permafrost, così viene chiamato il suolo perennemente ghiacciato, potrebbe contenere una riserva grandissima di acqua, tale da ricoprire buona parte dell’emisfero nord del pianeta se diventasse liquida.
Le osservazioni delle sonde in orbita attorno al pianeta, in particolare quelle di Mars Odyssey, hanno mostrato che senza la protezione del campo magnetico, l’atmosfera del pianeta rosso si sta lentamente disperdendo nello spazio a causa dell’azione erosiva del vento solare.
Questa osservazione è fondamentale, perché se riuscissimo a campire il ritmo con cui l’atmosfera evapora e la sua eventuale stabilità nel tempo, potremmo dare forza alla teoria secondo cui l’antico inviluppo atmosferico del pianeta fosse molto diverso da quello attuale. Se l’atmosfera era più spessa e calda, le grandi quantità d’acqua che ora si trovano nel sottosuolo potevano formare laghi e oceani in superficie.


Acqua nel presente di Marte?
Le indagini condotte dalle sonde, come appena visto, non sono in grado di dirci ancora se nel passato di Marte ci fosse con certezza acqua liquida, ma possono sicuramente aiutarci a comprendere se nel presente questo importante liquido possa ancora scorrere.
Se fino a qualche decennio fa gli scienziati erano convinti che le condizioni di Marte impedissero categoricamente l’esistenza di acqua liquida, le osservazioni più dettagliate dell’intera superficie planetaria degli ultimi anni hanno in parte scalfito queste convinzioni, a dimostrare che non bisogna dare mai nulla per scontato nella scienza!
A cominciare dalla sonda Mars Globar Surveyor, la prima che dall’orbita aveva la strumentazione per riprese in alta risoluzione, sulla superficie del pianeta rosso si sono cominciati a osservare dei piccoli canali da scolo lungo le ripide pareti di crateri o di alcune scarpate.
In poco più di dieci anni il loro numero è salito ad alcune centinaia.
Gli scienziati inizialmente pensavano si trattasse di antichi canali da scolo simili ai grandi letti di fiumi precedentemente osservati sulla superficie, sicuri del fatto che l’acqua liquida non potesse scorrere su Marte. Ben presto, però, Mars Global Surveyor riprese delle immagini che spiazzarono i planetologi di tutto il mondo e riaccesero le speranze sulla possibile esistenza di acqua liquida.
Le immagini riprese a distanza di pochi anni mostravano sensibili cambiamenti nella forma e nel materiale contenuto nei canali. Questo era un chiaro indizio che il fenomeno alla base della loro creazione fosse ancora attivo. 

Cosa sono i gully?
Negli anni successivi le sonde dell’ultima generazione, tra cui l’europea Mars Express e l’americana Mars Reconneaissance Orbiter, hanno ripreso centinaia di altri canali, in inglese denominati gully.

Se alcuni gully sembrano attivi, potrebbero essere causati dallo scorrere di acqua che si trova imprigionata nel sottosuolo e che a volte trova una via d’uscita sulla superficie?
Di nuovo, se fossero stati osservati sulla Terra non avremmo avuto alcun dubbio. Ma è bene ricordarsi che stiamo osservando fenomeni su un altro pianeta sensibilmente diverso dal nostro, per cui lasciarsi trasportare da una facile somiglianza potrebbe essere il modo migliore per cadere in inganno.
C’è poi un problema che non possiamo di certo trascurare: l’acqua liquida sulla superficie di Marte avrebbe vita estremamente breve. Se potessimo aprire una bottiglia sul suolo marziano, questa esploderebbe violentemente perché il liquido inizierebbe a bollire in modo estremamente vigoroso, evaporando completamente in pochi secondi. 

La situazione è simile a quando si getta acqua su una padella rovente usata per la frittura.
Se dovessimo trovarci in prossimità delle regioni polari, invece, la bottiglia congelerebbe quasi istantaneamente.
Se il liquido che crea i gully fosse acqua pura, non potrebbe mai percorrere le centinaia di metri di lunghezza dei canali alle latitudini cui sono stati osservati.
Ma allora, di quale liquido potrebbe trattarsi? E siamo proprio sicuri che debba trattarsi di liquido?
Nel 2009 gli scienziati dell’università dell’Arkansans hanno condotto una serie di esperimenti in laboratorio per comprendere se la sostanza che alimenta i gully possa essere composta da una miscela di acqua e sali.

Dopo molti tentativi è stata trovata la soluzione, semplice quanto efficace: il liquido misterioso potrebbe essere una specie di salamoia.
I sali disciolti nell’acqua ne alterano sensibilmente il punto di solidificazione; con la giusta concentrazione possono permetterle di esistere liquida anche nelle particolari condizioni marziane, sia pur per brevi periodi di tempo.
La salamoia non è stata generata con il classico sale da cucina ma con uno la cui presenza è stata rilevata in abbondanza sulla superficie di Marte: il solfato di ferro.
Quando l’acqua è mischiata alla giusta quantità di solfato di ferro può solidificare a ben -68°C sulla superficie di Marte, una temperatura compatibile con quelle registrate durante il giorno nelle zone interessate dal fenomeno.
Questo proposto, però, è solo un modello che cerca di replicare le osservazioni sulla distribuzione dei gully e sulle proprietà dell’atmosfera marziana, ma è ancora lunghi dall’essere provato. Esso, in effetti, parte dal principio secondo cui i canali siano generati necessariamente da un liquido. Se così fosse, non può che trattarsi di una soluzione di acqua e sali.
Una possibile spiegazione per i gully
 
Una dettagliata analisi delle immagini riprese dalle più recenti sonde automatiche in orbita attorno al pianeta rosso, ha però seriamente messo in dubbio questo modello.
Ci sono molte domande alle quali non si trova una risposta convincente: perché l’acqua dovrebbe scorrere alle medie e alte latitudini, laddove si concentra la grande maggioranza dei gully, e non nelle più temperate zone equatoriali?

Com’è possibile che l’attività dei canali si manifesti solamente durante o al termine della stagione invernale, quando la temperatura è più bassa?
La forma dei nuovi canali è compatibile con lo scorrere di un liquido nelle condizioni marziane?

Recenti simulazioni al computer hanno dimostrato, purtroppo, che i gully, almeno quelli recenti e ad alte latitudini, sono probabilmente generati dal rotolamento di detriti in condizioni asciutte. La teoria attualmente più accreditata prevede un ruolo centrale del ghiaccio secco. Durante gli inverni si deposita in discrete quantità al suolo. In prossimità di pareti ripide può generare valanghe che trascinano a valle i detriti e creano i gully. È inoltre plausibile che sul finire dell’inverno il ghiaccio accumulato cominci a sublimare in conseguenza dell’aumento delle temperature, generando sbuffi di gas che producono piccoli smottamenti.
Certamente un duro colpo per tutti coloro che speravano nell’esistenza di acqua liquida sul pianeta rosso.
Acqua recente su Marte?
Non tutto comunque è perduto. Alcune immagini acquisite a latitudini minori mostrano un’altra famiglia di gully, la cui forma questa volta è compatibile con lo scorrere di acqua liquida in tempi geologicamente recenti. E questo, purtroppo, significa che l’acqua che ha generato questa seconda classe di canali sgorgava probabilmente circa un milione di anni fa.
È un po’ frustrante e sconfortante pensare che basterebbe un’unica spedizione umana per risolvere questo e tanti altri misteri legati al pianeta rosso. Un astronauta che dovesse giungere nei pressi di un gully potrebbe raccogliere il terreno e analizzarlo, scoprendo in questo modo l’età e l’origine di questi misteriosi dettagli.
Tutto questo, però, al momento non è nient’altro che un sogno irrealizzabile.
Dovremo continuare ad affidarci ai piccoli robot automatici per cercare di completare l’intricato puzzle sul pianeta più simile alla Terra che attualmente conosciamo in tutto l’Universo.