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sabato 7 gennaio 2017

La consapevolezza vi renderà liberi

Prendete un minuto dalle vostre vite. Prendete un minuto dal lavoro, dai problemi economici, dalla programmazione del fine settimana, dalla scelta del vestito per uscire, dalle difficoltà terrene del vostro piccolo orticello, tanto minuscolo che non vi permette di vedere la più grande immagine di cui fate parte.
Sedetevi, rilassatevi e fate uscire tutte quelle contraddittorie voci dalla vostra testa.
Ora ammirate questa fotografia e restate a osservarla finché un brivido di consapevolezza non percorre la vostra schiena. Se non basta un minuto non fa niente, ma è un dovere morale di ogni essere consapevole restare e riprovare per il tempo necessario affinché quel brivido si presenti, perché è tutto ciò che ci distingue dalle altre specie della Terra.



In questa foto stiamo ammirando noi stessi, la nostra realtà, il nostro fragile ambiente, non più visto dalla schiacciata prospettiva di una formica ma dall'esterno. E' il più grande salto di coscienza che l'uomo abbia mai potuto fare da quando qualche milione di anni fa ha cominciato a percorrere le steppe africane. E' il più grande regalo che la nostra specie, piena di contraddizioni e di irrazionalità, si è donata per dare una speranza a sé stessa. La nostra salvezza passa per forza di cose da quante persone da qui ai prossimi anni riusciranno a sentire quel brivido lungo la schiena, da quante persone capiranno qual è la realtà nella quale viviamo, quanto è fragile e piccolo questo pianeta. La nostra salvezza passerà per forza di cose dall'accettare che tutto quello per cui oggi ci combattiamo a vicenda è di un'inaudita stupidità.

Questa immagine ritrae il nostro pianeta e la Luna come si vedono da Marte, il nostro cugino sfortunato, che al momento dello scatto distava 205 milioni di chilometri. E' stata catturata dalla sonda della NASA Mars Reconnaissance Orbiter durante un normale test di calibrazione strumentale dell'apparato di ripresa ad alta risoluzione. Uno scatto di routine che però ci regala una vista mozzafiato.
Un giorno un astronauta su quel pianeta ario arrugginito potrà vedere brillare nel cielo una "stella" azzurra. Se la ingrandirà con un piccolo telescopio vedrò qualcosa di molto simile a questa foto e scoprirà che quella "stella" è stata la casa di più di 100 miliardi di esseri umani, di tutti i sogni, le speranze, i racconti, i miti, le leggende, le religioni, l’arte, la poesia, la scienza, l’ingegno e le lotte di un popolo che già su Marte, in vicino di casa, sembra scomparso dalla faccia dell’Universo e persino dal pianeta che crede di aver soggiogato alla propria stolta sete di potere e ricchezza. Quanti uomini vedete in questa foto? Nessuno, eppure sono tutti lì, ma proprio tutti. Quanti confini vedete? Quanti muri? Quante città? Quante barriere? Ora tornate pure a litigare con il vicino, a insultare gente a caso su internet, a concedervi vizi e stravizi dannosi e superficiali in barba al Pianeta e ai suoi abitanti, a umiliare le vostre vite per guadagnare sempre più denaro che non avrete tempo di spendere. Andate e fate come se niente fosse, se ci riuscite... Io non ci riesco più da tanti anni e mi sento più libero che mai, perché è la consapevolezza l'arma che ci renderà liberi da noi stessi e dai nostri demoni.

Per informazioni tecniche sull'immagine: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?release=2017-004&rn=news.xml&rst=6716

venerdì 21 ottobre 2016

La maledizione marziana e un progresso che forse non meritiamo



Amo l’astronomia, l’astrofisica e naturalmente l’esplorazione spaziale. Amo queste materie non come un adolescente può prendere una cotta irrazionale per una ragazza ma, al contrario, è proprio l’estrema razionalità che ho dentro a farmi amare ambiti in cui l’uomo mette alla prova la sua conoscenza, la sua voglia di progredire e di risolvere problemi, siano essi grandi come una galassia o piccoli come bere un bicchier d’acqua. Amo la scienza, tutta, perché senza di essa, tutta, staremmo ancora a cercare un modo per accendere un fuoco, per non far morire i nostri figli poco dopo la nascita o per evitare malattie catastrofiche come morbillo, polio, vaiolo, peste. Insomma, se ad accoglierci c’è il più bel presente della storia degli esseri umani, con la prospettiva di un futuro migliore, non è un caso ma il frutto indissolubile del progresso scientifico dell’uomo, della voglia e della capacità, almeno per alcuni, di guardare oltre il dito che punta un problema per cercare di risolverlo, in modi e tempi imprevedibili. È un approccio che funziona, che ha sempre funzionato e che funzionerà, almeno finché ci sarà qualcuno che sarà in grado di vedere al di là della propria mano.
Rappresentazione artistica di TGO e Schiaparelli
Spesso il lavoro di chi fa ricerca o di chi la divulga, soprattutto nell’ambito astronomico e spaziale, è avvolto da un pesante velo di indifferenza e ignoranza, un mix che ci consente di fare il nostro lavoro, sebbene con un po’ di latente frustrazione, in tranquillità e al riparo dal clamore mediatico che è in grado di creare sempre più problemi che soluzioni. Spesso, ma non sempre: non avrei mai pensato che quelle poche volte che astrofisici e ingegneri spaziali fossero venuti alla ribalta sarebbe stato per subire un’onta peggiore della più assordante indifferenza.
La notizia naturamente riguarda l’arrivo su marte della prima spedizione del programma ExoMars dell’ESA e il fallimento del lander Schiaparelli, che a quanto pare si è schiantato sulla superficie del pianetarosso.
Mi sono sentito in dovere di scrivere due parole, che poi due non sono, ma spero che il tempo che ruberò alle vostre vite sarà stato speso bene.


ExoMars è davvero un fallimento?
A livello tecnico è inutile scaldarsi. L’ESA aveva già messo in chiaro la questione da anni, non da giorni, come dice qualche commentatore della domenica. La missione ExoMars prevedeva un orbiter, detto TGO, e una piccola sonda da usare solo come test tecnologico per le fasi di atterraggio, denominata Schiaparelli. La missione principale, di gran lunga più importante, è quella di TGO, tanto che Schiaparelli non era stato dotato neanche di pannelli solari: sarebbe quindi morto dopo qualche giorno sulla superficie di Marte, una volta esaurite le sue batterie. Il piccolo lander era così semplice a livello scientifico che non era neanche predisposto a catturare immagini della superficie, visto che era dotato di una fotocamera in bianco e nero che avrebbe dovuto riprendere solo le ultime fasi della discesa. Insomma, a prescindere dalle opinioni, Schiaparelli era davvero solo un test, quindi dire che tutta la missione è un fallimento rappresenta ormai una consapevole bugia che sarebbe meglio smettere di raccontare. La sonda madre, infatti, TGO, è in ottima forma e rappresenta una pietra miliare per l’ambizioso piano di esplorazione dell’ESA dei prossimi anni.

E anche se lo fosse, è la ricerca, baby
Le previste fasi di discesa di Schiaparelli
Naturalmente se Schiaparelli si è schiantato, non tutto è andato come doveva, anche se il suo apporto scientifico alla missione, sul suolo di Marte, era quasi nullo. Quello che sappiamo è che i retrorazzi non sembrano aver funzionato per il tempo previsto e che forse il paracadute non si è aperto quando avrebbe dovuto. La chiarezza sulle delicate vicende dell’ultimo minuto di vita del piccolo lander verrà alla luce nelle prossime settimane e sarà ricca di dettagli e particolari, com’è giusto che sia. Quello che possiamo dire al momento è che così funziona la ricerca. Quando ci si avventura in un campo nuovo, gli errori non solo sono inevitabili ma fanno parte del gioco: che ricerca sarebbe se andassimo a colpo sicuro e sapessimo esattamente cosa fare e come farlo? L’esplorazione e la ricerca hanno in comune la conoscenza dell’ignoto: se si sa già cosa ci aspetta, cosa può andare storto e come affrontare ogni situazione non stiamo facendo ricerca ma qualcosa di già conosciuto. Non è un caso che Schiaparelli fosse un test: si dovevano provare le procedure e gli accorgimenti per fare qualcosa che all’ESA non hanno mai fatto. È la ricerca, baby, che insegna anche qualcosa molto utile nella vita di tutti i giorni: il fallimento è un modo per capire la strada da prendere, gli errori da evitare, le correzioni da effettuare. È così che si impara, che ci si evolve: può non piacerci ma così funziona tutto il mondo, persino la Natura (la parola evoluzione non vi dice niente?).
Il fallimento di Schiaparelli non è il primo e neanche l'ultimo: più della metà delle missioni dirette verso Marte, sin dalla metà degli anni 60, è fallita e solo gli americani sono riusciti a far atterrare qualcosa sulla superficie sano e salvo. Si parla di maledizione marziana, ma la realtà è che atterrare su Marte è molto complicato e richiede dei sistemi di guida autonoma (vi dice qualcosa questo termine? Se ne parla anche nella vita di tutti i giorni ormai) molto precisi e affidabili. E' questo il gusto della sfida, la naturale attrazione per qualcosa di quasi impossibile ma terribilmente affascinante, per un sogno che in un primo momento sembra irrealizzabile ma poi, chissà, potrebbe funzionare. E' un'attrazione che ci regala un perenne brivido lungo la schiena e ci rende felici di essere vivi. Che gran peccato, invece, per chi non riesce a emozionarsi per imprese di tale portata, perché manifesta una triste aridità interiore.


Potere all’ignoranza
La storia del progresso umano è sempre stata trainata da un gruppo di persone, che oggi chiamiamo ricercatori, esploratori o visionari, limitatissimo rispetto alla popolazione mondiale, che con le proprie idee, intuizioni e battaglie ha fatto progredire tutta l’umanità verso un benessere che nella storia non ha mai conosciuto uguali. È normale quindi che tutta l’umanità si regga su un manipolo di centinaia di migliaia, forse qualche milione, di persone che dedicano la propria vita alla ricerca, alla scienza. Perché, d’altra parte, è sicuro che senza scienza l’uomo non può progredire, in alcun modo. Non stupiscono, quindi, certe critiche, quelle che si ricevono nel peggior bar di Caracas tra uno shot di rum e l’altro: in un certo senso è una manifestazione folkroristica dell’essere umano su cui ci si possono fare due risate. Ma nel mondo attuale, globalizzato, unito dal comune rumore di fondo dei social network che danno voce a tutti, con il medesimo diritto, e dell’informazione che invade le nostre vite lasciandoci in pace solo quando dormiamo, l’aspetto folkloristico si è trasformato in una pericolosa caccia alle streghe, alimentata da un’immensa ignoranza
Un’ignoranza inconsapevole, distorta dalla realtà che si sceglie di osservare, da rendere arroganti al punto di sentirsi in dovere di esprimere un’opinione, spesso intrisa di odio e disprezzo verso quegli “scienziati incompetenti”, loro che hanno studiato per anni quando bastava frequentare l’università della vita, per capire come va il mondo. Un’opinione che nella mente di molti risuona così importante e pomposa da reputare un dovere il fatto di esprimerla, non più un mero diritto che spetterebbe alla propria coscienza se rendere pubblico o meno.
Anche i miei nonni erano ignoranti, ma lo sapevano. Ecco perché quando il dottore gli diceva di fare un vaccino, loro, senza capire come funziona un vaccino e senza mettere in dubbio la sua efficacia, ascoltavano il dottore perché: “Lui ci capisce, altrimenti non ci vado”. Oggi chi non capisce come funziona una cosa è perché ha un’idea propria e distorta, della quale si è innamorato come un tossicodipendente cronico della dose della mattina, che sente in dovere di sbandierare a tutto il mondo, perché alla fine: “Io sono io e voi non siete un cazzo!” è una frase che molti universitari della vita, coloro che si informano su siti internet che parlano di scie chimiche e sbarchi lunari farlocchi, pensano davvero.
Questo oceano in tempesta dell’esaltazione della propria ignoranza, di una carenza di intelletto scambiata per indipendenza di pensiero, ha travolto anche l’informazione generalista, almeno una consistente parte. Flotte di analfabeti scientifici, tirati su orgogliosamente da un sistema scolastico fallimentare, hanno il potere di divulgare le proprie idee su importanti mezzi di informazione, senza conoscere affatto il campo di cui stanno parlando, contribuendo a coltivare l’ignoranza arrogante di quelle che un noto critico d’arte chiamerebbe capre, ripetendolo almeno tre volte.


Non viviamo nel benessere per caso
Perché esplorare lo spazio? Perché andare su Marte con tutti i problemi che abbiamo?
Queste due domande possono essere attaccate da almeno tre fronti: uno prettamente logico, l’altro culturale e, infine, il terzo, pratico.
Dal punto di vista logico i problemi ci sono e ci saranno sempre; se smettiamo di fare tutte le altre cose prima di risolverli, ci estingueremmo. Perché comprare un telefono da centinaia di euro quando in Africa ci sono bambini che muoiono di fame? Perché andare al ristorante quando c’è gente che non ha un panino? Perché farsi una doccia al giorno quando in Africa ci sono persone che muoiono di sete? Perché comprarsi vestiti quando milioni di persone non se li possono permettere? Perché perdere tempo su Facebook quando si potrebbe andare a fare beneficenza? Perché fare l’amore con il proprio partner quando ogni giorno muoiono migliaia di bambini e si potrebbe usare il tempo in cui cerchiamo di godere a fare del bene per gli altri?
Sono domande sensate o stupide? Anche se sotto ci potrebbe essere, a volte, una sensibilità verso i problemi del mondo, il che è un bene, le domande sono stupide perché è stupido il modo in cui si affronta la questione, oltre che ipocrita. Qualcuno direbbe che sono tutti buoni samaritani con il fondo schiena degli altri. È facile criticare una missione verso Marte quando il 90% della nostra ricchezza viene sperperata in oggetti inutili, per viziarci e ingrassare come maiali al punto da non riuscire più a muoverci, vero?
Perché spendere soldi per vedere una partita di pallone, per organizzare manifestazioni sportive, per andare a vedere un film al cinema e ingozzarci di pop corn, quando nel mondo ci sono così tanti problemi e i soldi servono per sfamare gli africani? Ecco, che sensazione si prova quando demagogia e populismo si basano su fatti reali che mostrano la vostra superficialità e ipocrisia?

Dal punto di vista culturale, la ricerca, qualunque sia, compresa l’esplorazione dello spazio, è ciò che ci differenzia dalle scimmie, con rispetto parlando per loro; è un ottimo indicatore della ricchezza culturale di una società e dei suoi abitanti. E se in Italia le cose non vanno bene, con decine di migliaia di giovani laureati costretti a emigrare per ottenere un minimo di dignità, il motivo è che non si fa abbastanza ricerca. Questo è un Paese vecchio, ma non solo anagraficamente. È un Paese vecchio di idee, che si è arricchito senza migliorare il proprio livello culturale, con il risultato che il misero e umile contadino, come lo era mio nonno, si è trasformato in un bifolco arricchito e viziato, con l’idiota convinzione di essere acculturato, di avere dovere di opinione su tutto, pur non sapendo un cazzo. Un Paese di bifolchi travolto da un immeritato benessere economico e che ora si sente così potente da millantare verità su stupide scie chimiche o sui vaccini che causano l’autismo. Gli scienziati veri? Gente che non capisce nulla, nella migliore delle ipotesi. Dei patetici corrotti, al soldo dei potenti, nei casi più gravi.
Fare ricerca, fare scienza, spendere soldi per scoprire chi siamo, da dove veniamo e dove possiamo arrivare, risponde alla nostra voglia ancestrale di conoscere e di esplorare; è ciò che ha guidato la nostra intera evoluzione. Se ci fossimo fermati non saremmo qui a scrivere e a leggere su uno schermo di un dispositivo che sta nel palmo della nostra mano. Si potrebbe dire, allora, sotto questo punto di vista: a cosa serve la musica, la letteratura, l’arte, la pittura?

Il terzo punto è prettamente pratico. In fin dei conti le capre se ne infischiano della cultura, degli ideali di progresso ed esplorazione: sono contente di pasturare sempre nello stesso campo, senza mai guardare in alto per chiedersi chi sono e cosa ci fanno lì. Basta dar loro da bere, mangiare e qualche sedativo tecnologico per sprecare il proprio tempo senza dover pensare davvero al prossimo e ai problemi del mondo. La ricerca, anche spaziale, al contrario dell’abbuffata superflua di sushi del sabato sera (quanti bambini si potevano sfamare con tutto quel cibo??), ha un impatto incredibile sulle nostre vite. Se oggi stiamo bene, come ho già detto, non è un caso. Gran parte della nostra tecnologia e del nostro benessere derivano direttamente o indirettamente da pionieristici studi aerospaziali. Quelle sonde inutili mandate su Marte, sin dagli anni 60, hanno testato materiali e tecnologie che ora noi usiamo tutti i giorni e delle quali non possiamo più fare a meno. Tecnologie e soluzioni che possono risolvere anche i problemi di questo mondo, come fame e sete, se solo la politica, quindi il popolo sovrano, lo volesse davvero. La verità, cari leoni da tastiera, è che siete voi, con la vostra egoistica, miope e sommamente ignorante visione del mondo a impedire che i problemi grossi di questa Terra vengano risolti, a mantenere ancora la fame nel mondo, a gioire nel soffocare sommersi dai gas di scarico, a negare lavoro e futuro ai vostri figli. Siete voi a comandare, purtroppo, e a decidere il futuro del mondo. Volete un esempio? Pensate all’emergenza dei migranti e a come vorreste risolvere il problema di questi disperati, purché se ne restino a casa loro e non minaccino il nostro stile di vita: ipocriti!

Tutta la ricerca scientifico/tecnologica atta a superare i propri limiti obbedisce a una regola molto potente: non importa cosa si cerca, quale sia l’obiettivo del proprio sforzo tecnologico; nel lungo cammino compiuto per raggiungerlo, si conquistano decine di altri traguardi che possono rivelarsi estremamente utili per molti altri scopi.
Le ricadute tecnologiche dell’esplorazione spaziale sono così tante che sarebbero richieste decine di pagine solamente per stilare uno sterile elenco. Non voglio proporre una sterile lista, ma far capire meglio in che modo una sonda nello spazio aiuti a migliorare le nostre vite molto di più di quanto si possa immaginare, perché è facile criticare di fronte a un computer, magari alimentato a pannelli solari, pubblicando fotografie scattate con un cellulare mentre si guardano le mappe satellitari in alta risoluzione.
Da dove provengono tutte queste tecnologie?
Con il termine inglese spin-off si identificano tutte quelle tecnologie sviluppate per l’esplorazione spaziale che sono state poi adattate per essere utilizzate nella vita di tutti i giorni.
Tra le più importanti degli ultimi anni c’è sicuramente il tema dell’energia fotovoltaica.
La tecnologia dei pannelli solari è stata utilizzata fin dalle prime missioni spaziali automatiche, tranne nei casi in cui le sonde erano dirette verso le regioni esterne del Sistema Solare.
L’agenzia russa e soprattutto americana hanno effettuato importantissimi studi nel disporre di una tecnologia leggera, affidabile e sempre più efficiente dal punto di vista energetico.
I pannelli solari che abbiamo sul nostro tetto derivano direttamente da questi pioneristici studi; senza le sonde interplanetarie, probabilmente questa tecnologia sarebbe arrivata solamente tra molti anni.
Molto importante anche il campo informatico, dove il contributo della NASA è stato fondamentale.
Negli anni 60 con l’inizio del programma Apollo una grande quantità di energie fu destinata alla creazione di computer abbastanza piccoli da essere contenuti nel modulo di comando e sufficientemente potenti da pilotare l’astronave durante il viaggio verso la Luna.
Il grande sviluppo informatico, necessario per ricerca spaziale, è stato determinante per la rivoluzione informatica di massa iniziata sul finire degli anni 80.
I moderni programmi di navigazione spaziale a bordo di ogni satellite, dai GPS che guidano le nostre auto, a quelli che consentono di guardare la televisione, derivano dagli studi intensi condotti a partire dagli anni 60.
Anche nel campo medico le ricadute sono molte: dai termometri a infrarossi sviluppati per primi nelle sonde automatiche, ai nuovi materiali utilizzati per le protesi artificiali derivati direttamente dagli studi della NASA, allo sviluppo della tecnologia a diodi per la cura di alcune lesioni.
I sistemi di controllo remoto, gli stessi che consentono di attivare un allarme o un elettrodomestico con l’uso di un semplice cellulare, derivano dalla tecnologia sviluppata per il controllo di sonde a milioni di chilometri di distanza e dei rover radiocomandati su Marte.
Le fotocamere digitali che hanno reso accessibile la fotografia a chiunque e che ormai equipaggiano addirittura tutti i telefoni cellulari derivano da intensi studi e ricerche per l’efficiente ripresa e trasmissione delle immagini provenienti dalle sonde automatiche.
Le conoscenze tecnologiche accumulate e poi rese pubbliche hanno dato inizio all’inevitabile era della fotografia digitale.
I moderni pneumatici che consentono maggiore aderenza e sicurezza derivano dalle ricerche  cominciate durante l’esplorazione lunare sulle mescole da utilizzare per le ruote della Jeep che è stata utilizzata dagli astronauti di Apollo 15-16-17 durante la loro missione.
Il materiale ignifugo dei vigili del fuoco deriva dallo studio sulla costruzione delle prime tute spaziali per le passeggiate degli astronauti.
I sistemi di filtraggio, purificazione e riciclaggio dell’acqua sono stati sviluppati per le missioni verso la Luna e per le lunghe permanenze degli astronauti a bordo delle stazioni spaziali e potrebbero rivelarsi fondamentali nel fornire acqua potabile alle popolazioni povere di alcune regioni dell’Africa e dell’Asia. (e qui: http://www.nasa.gov/mission_pages/station/research/benefits/water_purification.html )
Hanno fatto molto di più dei miseri ingegneri aerospaziali per risolvere la fame del mondo che tutti gli ipocriti leoni da tastiera che regalano perle di ignoranza, di cui nessuno sentiva la mancanza. La vera domanda è: ci meritiamo tutto questo benessere? È giusto, a questo punto, che poche migliaia di persone che fanno ricerca, rendano disponibili risultati e scoperte a un mondo che in gran parte non solo non capisce quello che stanno facendo, ma vorrebbe rabbiosamente rinunciare a tutto questo?

 
Un costo irrisorio per un progresso eccezionale
Come se non bastasse, c’è un mito da sfatare: le missioni spaziali costano troppo, meglio dirigere i soldi su altri problemi. Questa è una balla colossale: gli sprechi sono altri. Il denaro speso per le missioni spaziali è il modo più efficiente per dare lavoro e una carriera a gente qualificata e preparata, a quella folta schiera di ragazzi sognatori e laureati che ogni anno devono espatriare per vedersi riconoscere un minimo di dignità alle loro vite. Fare ricerca, anche spaziale, è l’unico modo che conosciamo per vincere i limiti imposti da questo pianeta e sperare di risolvere, osservando ed esplorando lo spazio, anche i problemi economici e sociali attuali e futuri. O davvero speriamo di poter capire come generare energia rinnovabile e a basso impatto ambientale restando chiusi in casa a osservare una lampadina spenta, evitando persino di uscire, perché bisogna risolvere questo problema? Davvero pensate che il mondo vada in questo modo? Che per riuscire a conficcare un chiodo nel muro basti osservare il muro e il chiodo per sufficiente tempo e non andare neanche in ferramenta a comprare un martello?

I 15 miliardi di dollari destinati alla NASA attualmente ogni anno dal governo degli Stati Uniti, possono sembrare tantissimi, ma rappresentano circa lo 0,2% del prodotto interno lordo del paese.
Tagliare i costi dell’esplorazione spaziale per risparmiare il 2 per mille del denaro dei contribuenti, di certo non può in alcun modo aiutare il benessere della comunità o rimettere ordine nel bilancio statale.
Se questo comunque non dovesse ancora convincere i più scettici, facciamo un paragone con altre spese, alcune di dubbia utilità, per vedere quale sia il peso relativo dell’esplorazione spaziale nell’economia di un paese.
Il termine di paragone più impressionante riguarda i costi di una guerra.
L’impegno militare in Afghanistan prima e in Iraq poi del solo governo americano ha richiesto una spesa superiore a 3000 miliardi di dollari(!) in circa 10 anni, vale a dire circa 300 miliardi di dollari l’anno. Un paragone con il programma Apollo, costato 20 volte di meno, mostra che con questo denaro si potevano lanciare sulla Luna almeno 7 astronavi l’anno per 10 anni e dare lavoro a centinaia di migliaia di ingegneri, fisici, astronomi, operai, unire l’umanità invece di dividerla, risparmiare molte vite umane e portare benessere in tutto il pianeta con le ricadute tecnologiche di un programma così ambizioso.
Un confronto con il programma Shuttle è ancora più impietoso: il denaro speso in 10 anni di guerra poteva finanziare una missione al giorno per tutto questo periodo di tempo.

Anche nel nostro piccolo paese non mancano i paragoni a effetto.
Si pensa che l’Italia sia una nazione troppo piccola per un programma spaziale?
No, è semplicemente uno dei tanti stati che considera prioritarie altre spese, che però non vengono comunicate ai contribuenti, come i famosi caccia vari governi si sono impegnati ad acquistare nei prossimi anni, per un totale di circa 15-18 miliardi di euro di spese militari in un periodo (fortunatamente) di pace.
La missione Pathfinder, che ha portato su Marte il primo rover ha avuto un costo totale di 280 milioni di dollari, circa 220 milioni di euro, minore del prezzo di due di questi jet.
Con il denaro speso l’Italia avrebbe potuto mandare su Marte circa 50 rover.

Dieci euro per cinquanta milioni di italiani sarebbero sufficienti per lanciare una sonda verso Marte. Vogliamo provare a immaginare le ricadute sull’economia, l’industria e il nostro benessere a fronte di questo minuscolo investimento?
Migliaia di nuovi posti di lavoro, il rientro dei nostri giovani migliori costretti a emigrare per realizzare i propri sogni, il richiamo dei grandi investitori esteri e l’instaurarsi di un’economia tecnologica che farebbe diventare il nostro paese ai primi livelli nel mondo.
Pochi miliardi di euro nella giusta direzione sarebbero trasformati in un investimento che potrebbe fruttare oltre 10 volte tanto in meno di dieci anni, se consideriamo il lato puramente economico.
Tutto questo in uno scenario in cui dovessimo fare tutto da soli. Nella realtà l’Italia fa parte dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e i costi sono quindi da dividere per 22 paesi partecipanti e centinaia di milioni di persone. Ecco allora che una missione complicata come Rosetta, i cui costi sono simili a quelli dell'intero programma ExoMars (missioni del 2016 e del 2020), è costata ai cittadini europei circa 3 euro e mezzo in 19 anni: 20 centesimi l’anno. Ma quando apriamo la bocca dicendo che le missioni spaziali costano troppo, abbiamo una minima idea di quello che stiamo dicendo?


Alla fine di questo lungo post, ripetiamo allora insieme la domanda per eccellenza: perché andare su Marte quando qui c’è gente che muore di fame? Perché stiamo facendo più noi scienziati spedendo una lavatrice su un pianeta deserto, per tutti voi, che chiunque mentalmente limitato e comodamente seduto sul proprio divano abbia il coraggio di porsi una domanda del genere, senza che un brivido di vergogna attraversi il suo corpo. La domanda giusta è, ancora una volta: ce lo meritiamo tutto il progresso e la ricerca che sta portando avanti un pugno di uomini sognatori per tutta l’umanità, quando questa ha una visione tanto distorta e differente della realtà e del futuro?



Qualche link per approfondire:
Il sito della NASA dedicato a tutte le tecnologie spaziali utilizzate per la vita di tutti i giorni: http://spinoff.nasa.gov/
Una divertente applicazione per scoprire quali materiali e tecnologie derivati dall'esplorazione dello spazio contiene la nostra casa e la nostra città: http://www.nasa.gov/externalflash/nasacity/index2.htm

venerdì 20 maggio 2016

La più bella immagine di Marte di questa stagione

Se avete a disposizione un po' di cielo sereno (una rarità di questi tempi!) e vi capita di guardare a sud verso le 23, noterete di sicuro una "stella" rossastra molto più luminosa di tutti gli altri astri del cielo. Niente paura, non si tratta di qualche cataclisma in atto: è Marte, il nostro vicino di casa, che dopo 26 mesi di latitanza è arrivato di nuovo in prossimità della Terra.

Brillante quasi quanto Giove e circa 10 volte più delle stelle più luminose del cielo estivo (come Vega), Marte sta per raggiungere l'opposizione con la Terra. Non ci sono significati astrologici nascosti in questo termine, che celano chissà quali significati. Il termine opposizione significa che il pianeta che stiamo considerando si trova esattamente dalla parte opposta rispetto al Sole, quindi in prossimità del punto più vicino alla Terra, e sorgerà proprio quando la nostra stella tramonterà dalla parte opposta del cielo. L'opposizione di marte avverrà il 22 Maggio, mentre il punto più vicino con la Terra si raggiungerà il 30 Maggio.

Osservandolo al telescopio, con un po' di allenamento e pazienza, Marte mostra tutte quelle caratteristiche che lo rendono tanto affascinante e simile alla Terra. Oltre alle macchie scure dovute ai differenti terreni della superficie, si possono osservare nubi solcare il globo e concentrarsi spesso nella parte sud del pianeta, verso le zone polari. Dall'altra parte, l'emisfero nord, leggermente inclinato verso di noi, mostrerà un debole punto bianco: la calotta polare, composta per buona parte, almeno in questa stagione, da ghiaccio d'acqua.

Questo è il periodo migliore per osservare e fotografare il nostro affascinante e misterioso vicino, ma per quante belle foto potremo sperare di fare, c'è già qualcuno che ha sovrastato in qualità e spettacolarità tutti i tentativi passati, presenti e futuri. Non stiamo parlando delle sonde in orbita attorno al pianeta o i rover sulla superficie (altrimenti la competizione non sarebbe leale) ma proprio di un telescopio: il glorioso telescopio spaziale Hubble.

Questa meraviglia tecnologica ha puntato Marte il 12 Maggio scorso e, grazie all'assenza della turbolenza atmosferica e alla potenza intrinseca dello strumento, ha ottenuto una meravigliosa foto che mostra un pianeta ricco di nubi, crateri da impatto, terreni aridi, ghiaccio e nebbie, che anche sul nostro vicino di casa sembrano voler mettere radici in certi punti della superficie, come nella regione di Syrtis Major ed Hellas, visibili proprio sul bordo destro di questa immagine.

Marte fotografato dal telescopio spaziale Hubble

La risoluzione raggiunta è di crca 30 km e fa impressione pensare che questa immagine tanto nitida sia stata scattata da 75 milioni di chilometri di distanza.
In queta fotografia troviamo l'essenza dell'astronomia: la meravigliosa eleganza dell'Universo e le incredibili capacità della specie umana che cerca di osservarlo con sempre maggiore dettaglio. Non resta che ammirare ancora il monitor e perderci in un viaggio straordinario fin verso Marte, dove tempo e spazio si confondono e ci regalano visioni che per molto tempo potremo solo immaginare. Ma con foto di questo tipo, immaginare diventa molto più semplice.

Per approfondire: http://www.nasa.gov/feature/goddard/2016/new-hubble-portrait-of-mars

domenica 13 marzo 2016

ExoMars in partenza per Marte

Mentre la Nasa è impegnata a risolvere i problemi al sismografo della nuova missione Insight, che per questo motivo è stata posticipata di due anni (verrà lanciata nel 2018), l'agenzia spaziale europea sta per iniziare un ambizioso programma di esplorazione marziana, denominato ExoMars, in collaborazione con l'agenzia spaziale russa. ExoMars consiste di due importanti missioni che verranno lanciate a distanza di due anni, con l'obiettivo di cercare segni di attività biologica nel suolo e nell'atmosfera del pianeta rosso. Una terza è in programma per il gli anni '20 e avrà il compito ancora più ambizioso, di riportare a Terra campioni di suolo marziano, se le due missioni precedenti avranno avuto successo. Di fatto, almeno fino al 2018, sarà solo l'Europa a portare verso Marte un altro piccolo pezzo di umanità con l'obiettivo di migliorare ancora di più la nostra conoscenza del pianeta più simile alla Terra che conosciamo al momento.

Il razzo Proton pronto per spedire ExoMars verso Marte
La prima missione ExoMars è in partenza dal cosmodromo di Bajkonur: il lancio è previsto per le 10:31, ora italiana, del 14 Marzo, a bordo di un razzo russo Proton-M. Si può seguire la diretta del lancio qui, a partire dalle 9:30 ora locale: http://www.esa.int/Our_Activities/Space_Science/ExoMars/Watch_ExoMars_launch


Nell'involucro del grosso vettore dell'ex Unione Sovietica trova posto un orbiter (TGO = Trace Gas Orbiter) e un piccolo lander chiamato Schiaparelli, in onore dell'astronomo italiano che per primo effettuò dettagliate osservazioni del pianeta rosso e scoprì i fantomatici canali marziani. L'obiettivo principale della missione è quello di studiare in dettaglio la composizione atmosferica di Marte e la sua eventuale variazione nel corso del tempo. Il sacro Graal si chiama metano, un gas che sulla Terra è presente in forma stabile solo grazie all'attività biologica e che quindi segue cicli giornalieri e annuali. Studiare la composizione chimica, l'abbondanza e l'eventuale variazione del metano marziano su un lungo periodo temporale potrebbe dare importanti indizi sull'eventuale esistenza di forme di vita in grado di produrlo.

Schiaparelli (in alto) attaccato alla sonda madre TGO
Il piccolo lander Schiaparelli è invece costruito sulla falsa riga del lander Huygens, che nel Gennaio 2005 si separò dalla sonda madre Cassini e si gettò nell'atmosfera di Titano.
Si tratta di una piccola stazione meteorologica, alimentata a batterie, che opererà per un massimo di 8 giorni marziani e studierà le condizioni atmosferiche e superficiali del pianeta rosso, come intensità e direzione dei venti, andamento della temperatura, umidità, pressione e trasparenza dell'atmosfera.

Schiaparelli dovrebbe atterrare, in modo del tutto autonomo, nella Meridiani Planum, 3 giorni dopo l'arrivo di ExoMars nei pressi di Marte, dopo un viaggio di circa 7 mesi. Il sofisticato e automatico sistema di atterraggio, che prevede diverse fasi delicate come il dispiegamento dello scudo termico, la sua corretta angolazione, la sua espulsione, l'apertura del paracadute e l'ultima fase gestita dai razzi per un atterraggio morbido, è fondamentale per la riuscita della missione ed è stato il tallone d'achille di quasi tutti i lander che hanno tentato di raggiungere il suolo integri. L'obiettivo principale di ESA per Schiaparelli è proprio quello di testare il complicato sistema di atterraggio in preparazione allo sbarco del rover, più complicato, costoso e longevo, che verrà inviato nella successiva missione del 2018. Siamo quindi ancora lontani dalle complicate macchine mobili spedite dalla NASA negli anni passati, il cui punto più alto si è raggiunto con Curiosity, un complesso rover di quasi una tonnellata alimentato a energia nucleare, ma è comunque un passo fondamentale per avere un'ottima probabilità di successo nel 2018.

La sequenza di discesa del piccolo rover Schiaparelli
Si potrebbe pensare che ormai una missione verso Marte sia qualcosa quasi di routine, ma in realtà non è così: nessun corpo celeste ha mietuto più vittime del piccolo pianeta rosso. Fino a questo momento solo gli americani sono riusciti a far poggiare qualcosa sulla sua superficie senza farlo schiantare in mille pezzi. I russi ci hanno provato decine di volte, ma la maledizione marziana con loro è stata davvero impietosa: venti(!) missioni e nessuna è arrivata sana e salva nemmeno nell'orbita del pianeta rosso e quelle che hanno provato ad atterrare sono finite sempre in mille pezzi. Anche l'Europa ha provato a far posare con delicatezza un lander: si tratta dell'inglese Beagle 2, che nel 2003 si separò dalla navicella madre Marx Express e tentò di atterrare sulla superficie. Nessuno ebbe più sue notizie. Nel 2013 il potente obiettivo della sonda della NASA Mars Reconnaissance Orbiter riuscì a trovare il piccolo Beagle 2, in apparenza sano e salvo, sulla superficie. Perché non contattò mai la Terra resta e resterà per sempre un mistero.
Il più recente fallimento di una missione verso Marte appartiene ai Russi (e chi altri!). Fobos-Grunt era una missione in collaborazione con l'azenzia spaciale Cinese che avrebbe dovuto portare per la prima volta in orbita marziana un satellite e un lander su Phobos, piccola luna di Marte. La missione rimase bloccata nella bassa orbita terrestre a causa di un'avaria e dopo pochi giorni precipitò in atmosfera, distruggendosi.

Dopo tutti questi fallimenti quindi, c'è da augurarsi che con questa missione vengano abbattuti i due grandi tabù: la prima missione con partecipazione russa che arriva sana e salva nei pressi di Marte e il primo manufatto non americano a riuscire ad atterrare e a trasmettere dati verso la Terra. Noi, che alla superstizione non crediamo, facciamo un grande in bocca al lupo a ExoMars e aspettiamo di vedere le prime immagini della storia della superficie del nostro vicino cosmico provenienti da un manufatto non americano. Sarebbe un gran successo per la scienza, l'Europa e l'Italia, che nella costruzione di ExoMars ha avuto un ruolo molto importante.

giovedì 4 febbraio 2016

Uno spettacolare panorama marziano

Se avete visto il film The Martian (Il Sopravvissuto), e se non lo avete ancora fatto fatelo subito, è probabile che vi siate persi, proprio come Mark Whatney, nell'osservare l'affascinante desolazione del panorama marziano, con dune di finissima sabbia che si perdono a vista d'occhio, interrotte solo dalle crude e appuntite rocce di color rosso ruggine, sotto un cielo che a volte si tinge di un pallido rosa perlaceo.

I panorami del protagonista del film erano una ricostruzione (e a volte neanche tanto accurata) di quello che potremmo trovare lassù, su un pianeta distante in media 100 milioni di chilometri dalla Terra. Eppure questa volta la realtà supera la fiction, perché su Marte ci sono al momento due rover perfettamente funzionanti che scorrazzano sulla superficie da diversi anni. Il più recente, grande e potente, Curiosity, ci regala allora un panorama impressionante, ripreso il 19 Dicembre scorso, che ci fa sentire al centro della scena e ci proietta sul pianeta rosso, senza passare per la finzione del cinema.

Con lo sguardo che spazia a 360° e ci permette di osservare dettagli fino a 40 e più chilometri di distanza grazie alla rarefatta atmosfera marziana, questo è il panorama più impressionante che abbia mai visto in vita mia di un altro pianeta del sistema solare. E anche se ormai siamo stati anestetizzati da anni e anni di finzioni cinematografiche, effetti speciali di ogni tipo e ogni situazione possibile, ricordiamoci che questo panorama, anche se ci ricorda scenari già visti in videogiochi e film, ha qualcosa di unico: è reale.

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lunedì 28 dicembre 2015

La maledizione marziana

Marte non è il pianeta a noi più vicino; il primato spetta infatti a Venere, che può arrivare fino a poco più di 40 milioni di chilometri dalla Terra. Tuttavia il pianeta rosso, nonostante non si avvicini a più di 56 milioni di chilometri, è di certo il più interessante del Sistema Solare.
La ricerca della vita intelligente prima e di quella microscopica attualmente è il motore trainante dell’esplorazione marziana, un mistero ancora non risolto nonostante le numerose spedizioni automatiche.
Sono questi i motivi per cui Marte è stato il pianeta più studiato dalle sonde interplanetarie, sin dagli albori dell'era spaziale. 
Naturalmente nessuna astronave con equipaggio umano ha raggiunto Marte e quasi certamente non lo farà almeno per i prossimi 30 anni, ma dopo la Luna è stato il corpo celeste più esplorato, con ben 43 missioni attualmente all’attivo.

Marte è anche l’unico pianeta sul quale è possibile atterrare e muoversi senza problemi. L’altro candidato, Venere, ha condizioni così terrificanti che le uniche capsule che hanno raggiunto la superficie sono state distrutte dopo pochi minuti di funzionamento.
La superficie di Marte, invece, è relativamente tranquilla. La pressione è quasi 100 volte inferiore all’atmosfera terrestre, la temperatura è bassa ma non troppo, tanto che all’equatore d’estate si possono raggiungere i +20°C e le condizioni atmosferiche non creano grandi problemi, nemmeno quando generano le enormi tempeste di sabbia, che a causa della scarsa densità dell’atmosfera non causano i danni che si potrebbe immaginare.

Non è quindi un caso neanche dal punto di vista prettamente tecnologico se Marte sia il pianeta sul quale sono atterrate più sonde, l’unico che ha ospitato dei rover in grado di muoversi per diversi chilometri e compiere preziose analisi.Neanche sulla Luna sono giunte macchine così complesse.

Tuttavia, raggiungere Marte, in particolar modo la sua superficie, è un’impresa tutt’altro che semplice. Un dato su tutti forse può aiutare a comprendere meglio la situazione: delle 19 sonde lanciate dall’Unione Sovietica prima e dalla Russia poi, nessuna ha raggiunto sana e salva il pianeta rosso, tanto che tra i tecnici si parla apertamente di maledizione marziana.
La superficie di Marte, in effetti, è ancora un’esclusiva tutta americana. L’unico tentativo europeo, con la capsula inglese Beagle 2 nel 2003, è fallito ma non si sa in che modo. All'inizio si pensava a uno schianto dovuto al fallimento di una delle delicate fasi della discesa. Tuttavia nel 2013, 10 anni dopo, la sonda Mars Reconnaissance Orbiter l'ha ripreso nelle sue immagini ad altissima risoluzione e sembra che fosse atterrato sano e salvo su Marte. A quanto pare la maledizione marziana, oltre a non colpire solo i russi, si diverte nel creare ogni tipo di malfunzionamento, anche quando sembra che tutto sia andato per il verso giusto!
 
Al momento, il bilancio delle missioni che hanno provato ad atterrare sul pianeta rosso è in passivo: sono più quelle che si sono schiantate rispetto a quelle che effettivamente sono riuscite ad effettuare un atterraggio dolce. 

Perché è così difficile posarsi sulla rossa sabbia del pianeta?
Prima di tutto non si può controllare manualmente la sonda. La distanza che devono percorrere le onde radio è così grande che il segnale viene ricevuto diversi minuti dopo essere stato trasmesso. Poiché la discesa sul pianeta rosso ha una durata inferiore ai 10 minuti, ne consegue che quando si registra il segnale di ingresso della sonda in atmosfera, dopo circa 14 minuti, i giochi sono stati già fatti.
Tutto deve quindi essere gestito in automatico dal computer di bordo della sonda, che non sempre, naturalmente, funziona in modo adeguato.
E di inconvenienti ne possono succedere parecchi. Dal classico crash, odiatissimo anche sui nostri pc, all’errore di conversione di unità di misura, come successe nel 1999 a Mars Climate Orbiter; dall’avaria di qualche sistema al sovraccarico e a falsi allarmi.

Se tutta la parte software funziona nel modo giusto, non è detto che altrettanto faccia la complessa parte hardware.Marte, in effetti, è un incubo per gli ingegneri e i tecnici di missione che devono far giungere qualcosa sulla superficie sano e salvo.
L’atmosfera è abbastanza spessa da creare attrito, quindi un fortissimo calore quando qualsiasi sonda vi impatta, rendendo necessario uno scudo termico per evitare l’esplosione della sonda.Ma allo stesso tempo, la densità non è sufficiente per poter atterrare con un semplice paracadute, come facevano le capsule lunari con gli astronauti di ritorno dalla Luna.
Per questo motivo servono dei sistemi per frenare la corsa, come ad esempio dei razzi. Ma lasciare comandare totalmente in automatico al computer di bordo il controllo dei razzi per atterrare senza problemi sulla superficie, è una scommessa azzardata che poche volte è riuscita.
Per evitare questo problema i tecnici della NASA per le ultime missioni hanno inventato un sistema molto semplice e infallibile per atterrare. Dopo aver superato il calore dell’atmosfera, l’astronave apriva un paracadute che ne rallentava la discesa, poi, in prossimità della superficie una serie di airbag ricoprivano tutta la capsula, che terminava la sua corsa precipitando sulla superficie marziana a circa 300 km/h. Dopo qualche rimbalzo alto fino a 30 metri, finalmente si fermava; il grappolo di palloni si sgonfiava e liberava la capsula contenente il rover, senza che avesse subito alcun danno. 

Con questo sistema poco ortodosso ma efficiente, la NASA portò sani e salvi sulla superficie tre rover su altrettante missioni.
Il metodo degli aribag, però, ha dei limiti evidenti: non si può scegliere con precisione la zona dove si fermerà la corsa della capsula, e non può essere utilizzato per grandi e delicati carichi.
Così, la NASA, con la missione Mars Science Laboratory, che trasportava un grande rover da 900 kg di peso (Curiosity), ha giocato d’azzardo, con un piano d’atterraggio fantascientifico.
La capsula contenente il complesso rover si è immessa nell’atmosfera marziana a una velocità di diversi chilometri al secondo. Durante la discesa, il computer di bordo ha effettuato rapidissime correzioni per dirigersi con la massima precisione verso la zona di atterraggio.
A pochi chilometri dal suolo, diminuita la velocità dalla resistenza dell’atmosfera, un grande paracadute ha rallentato la discesa fino a una velocità di 320 km/h, ancora però decisamente elevata per un comodo atterraggio.
A questo punto il paracadute è stato tagliato e la capsula ha azionato automaticamente i razzi di manovra e discesa, che l’hanno rallentata e guidata verso il punto di atterraggio.
A pochi metri dal suolo, i razzi hanno stabilizzato la capsula come se fosse un elicottero in sospensione nell’aria e un verricello ha calato il rover sulla superficie. Questa manovra è stata necessaria perché se i razzi si fossero avvicinati troppo al suolo la polvere sollevata avrebbe potuto rovinare la strumentazione di bordo.
Con il rover poggiato al suolo, i cavi sono stati tagliati e la capsula ha dato piena potenza ai razzi, consumando il carburante residuo e precipitando a una distanza di sicurezza dal prezioso carico lasciato in superficie.
Tutto questo ha richiesto sette minuti, gestiti completamente in automatico dai computer di bordo, anche perché il segnale per arrivare sulla Terra alla velocità della luce impiegava 14 minuti, quindi quando i tecnici hanno ricevuto i dati che testimoniavano l’ingresso della sonda nell’atmosfera di Marte, essa era già arrivata, integra o in mille pezzi, sulla superficie da circa sette minuti. 

Su Venere o sul satellite di Saturno Titano è sufficiente un semplice paracadute, che aumenta drasticamente le possibilità di successo e limita di molto i costi della missione. Ma la superficie di Venere è troppo calda, mentre Titano è tremendamente lontano, quindi Marte resta comunque l’obiettivo preferito.

martedì 8 dicembre 2015

Marte "presto" avrà un sistema di anelli

Phobos è una delle piccole lune di Marte ed è il satellite che orbita più vicino al proprio pianeta in tutto il Sistema Solare. Con una forma irregolare e un diametro massimo di 26,8 km, si pensa che sia un piccolo asteroie un tempo catturato dalla forza gravitazionale del pianeta rosso.
La sua orbita, quasi perfettamente circolare, avviene a circa 9000 km di distanza dal centro del pianeta, ovvero a  poco meno di 6000 km dalla superficie. Il suo moto nel cielo marziano è così veloce che impiega appena 7 ore e 39 minuti a fare un'orbita completa.
La particolarità è che un osservatore sulla superficie marziana, a causa del veloce moto orbitale
rispetto alla durata del giorno marziano (poco più di 24 ore) vedrebbe il piccolo satellite sorgere a ovest e tramontare a est, con un moto apparente contrario a quello delle stelle. Inoltre, durante il suo cammino nel cielo si vedrebbero di fatto quasi tutte le fasi: il satellite potrebbe sorgere pieno e tramontare nella fase nuova; un po' strano rispetto al comportamento della nostra Luna, vero?

Questo strano comportamento, unico nel Sistema Solare, è destinato però a durare ancora poco. Si sa da diversi decenni che Phobos è ormai spacciato, ma solo da qualche settimana si è avuta la conferma che il piccolo satellite potrebbe aver già oltrepassato il suo punto di non ritorno e aver iniziato il lento (per noi umani) processo di distruzione.

Il responsabile del destino dell'ex asteroide catturato da Marte è Marte stesso, attraverso quella che viene chiamata forza mareale, che anche noi terrestri sperimentiamo a causa della presenza della Luna responsabile dell'innalzamento periodico dei nostri bacini idrici.

La forza di marea è in sostanza il normale risultato della forza di gravità quando viene applicata a oggetti celesti non più punfiformi come nei classici esercizi di fisica ma con una certa estensione che non è più trascurabile rispetto alla loro separazione. Quando due corpi celesti orbitano a distanze ravvicinate l'uno dall'altro, la forza di gravità sentita dalle loro superfici può variare anche di molto a seconda se si misura sulla parte più vicina o più lontana.
Nel caso ideale di due corpi con massa identica la forza mareale sentita dall'uno è uguale a quella subita dall'altro, ma nella maggioranza dei casi le masse non sono le stesse, quindi il corpo celeste meno massiccio, come una Luna, sente una forza molto maggiore perché creata da un oggetto ben più massicco (il pianeta).
In gergo si dice che la forza di marea è una forza differenziale, che produce come effetto uno stiramento del corpo celeste che la subisce maggiormente, perché la sua superficie sente in modo differente la forza di gravità e tende a subire forti stress, tanto maggiori quanto minore è la distanza che lo separa dal corpo più massiccio responsabile della forza di marea.

Portando al limite questo ragionamento, possiamo arrivare a disegnare attorno ai corpi
celesti delle regioni che possono segnare il destino di qualsiasi oggetto esteso che decida di oltrepassarle. Il cosiddetto limite di Roche è rappresentato proprio dalla superficie immaginaria che separa una regione relativamente stabile da una, più interna, in cui qualsiasi corpo celeste esteso è destinato a distruggersi a causa della crescente forza di marea che sente.

Cosa succede quando una luna supera il limite di Roche lo possiamo capire osservando Saturno. Il suo immenso sistema di anelli si pensa sia il risultato di un piccolo satellite che a un certo punto si è ritrovato a orbitare troppo vicino al gigante gassoso. A quel punto la forza di marea era così forte che ha distrutto in miliardi di pezzi la luna e ha creato, con i soi resti, quel meraviglioso sistema di anelli.

Cosa c'entra tutto questo con Marte e Phobos? C'entra, perché di fatto, considerando le opportune differenze, possiamo considerare il sistema Marte-Phobos come una fotografia di Saturno poco prima che acquisisse gli anelli che tanto lo caratterizzano. 
Il piccolo satellite di Marte è infatti pericolosamente vicino al limite di Roche del pianeta rosso e di fatto è iniziata la sua lenta e inesorabile distruzione. La forza di marea tira verso di sé la porzione di superficie rivolta verso Marte con una forza ormai quasi uguale di quella che tiene insieme il satellite.

Fino a questo momento nessun aveva capito quanto fosse vicina la fine di Phobos, ma alcune recenti simulazioni, confrontate con alcune caratteristiche peculiari della superficie, non lasciano scampo: il satellite ha già iniziato la sua distruzione. In particolare, è la presenza di alcune lunghe strisce superficiali ad aver fatto scattare "l'allarme". Una volta considerate le cicatrici di un antico impatto che l'aveva quasi distrutto, la nuova interpretazione di Terry Hurford, del NASA’s Goddard Space Flight Center, suggerisce invece che queste siano le migliori indicazioni sul fatto che il satellite abbia intrapreso il punto di non ritorno e mostri i primi segni di un cedimento strutturale inevitabile che lo porterà, nel giro di 30-50 milioni di anni, alla sua completa distruzione.
"Smagliature" su Phobos indicano distruzione imminente.

In pratica, è come se prendessimo un pezzo d'argilla o di plastilina di forma circa tonda e cominciassimo a tirare le estremità con una forza crescente. Questo all'inizio inizierà ad allungarsi, poi inizierà a manifestare delle smagliature sulla sua superficie, simile a quelle che possiamo osservare nell'immagine a sinistra di Phobos, segno imminente di una inevitabile rottura. Questo è l'effetto della forza di marea mano a mano che ci si avvicina al limite di Roche.

La forza di marea di Marte, infatti, non solo sta sottoponendo a fortissimi stress la struttura del satellite ma lo sta anche facendo avvicinare a un ritmo di 2 metri ogni secolo, quindi è solo una questione di tempo prima che il limite di Roche, già ora molto vicino, venga superato e la luna venga distrutta. Hurford ha anche trovato indicazioni sul fatto che Phobos, a causa della sua piccola massa, non sia un oggetto compatto ma un corpo celeste formato da un mero aggregato di rocce tenute insieme solo dalla loro tenue e reciproca gravità e ricoperto da un centinaio di metri di regolite, una polvere sottile che nasconde la vera natura del satellite. La scarsa coesione del materiale di cui è composto Phobos faciliterà non poco l'operazione di distruzione mareale di Marte nei prosismi milioni di anni.

Il destino di Phobos è quindi scontato ed è un peccato che noi non lo potremo osservare (a meno che non abbiamo in programma di vivere per milioni di anni). Quando il satellite verrà distrutto, parte dei suoi detriti si andranno a disporre in un anello che circonderà Marte per migliaia o milioni di anni. Il Sistema Solare, orfano di una minuscola e insignificante luna, avrà guadagnato un pianeta che nel surreale silenzio dello spazio vuoto mostrerà agli eventuali superstiti della Terra uno straordinario sistema di anelli, una prova spettacolare del fatto che il Cosmo, anche nella distruzione, sa essere di un'eleganza ineguagliabile.

venerdì 13 novembre 2015

Cosa ha strappato via l'atmosfera di Marte?

Un tempo il pianeta rosso era un mondo molto diverso dall'arrugginito deserto ghiacciato odierno, dove trovare acqua liquida è più una sfiziosa sfida che un motivo per sperare di trovare ipotetiche forme di vita.
Antichi letti di grandi laghi, vasti oceani e impetuosi fiumi che hanno scavato la roccia sono segni ben presenti lungo tutta la superficie di Marte, eppure nessuno ha mai visto riempiti questi immensi bacini, anche perché le attuali condizioni per l'esistenza dell'acqua liquida lasciano ben poche speranze: solo in particolari momenti dell'anno, in alcune zone del pianeta e con un'abbondante (e letale) dose di sali, l'acqua può scorrere liquida sul pianeta rosso.

E allora, la domanda che tutti gli astronomi si stanno ponendo sin dalla metà degli anni 60, quando arrivarono le prime immagini ravvicinate della superficie, è: cosa è successo di così catastrofico al pianeta rosso per trasformarlo da un mondo pieno d'acqua a un deserto dove neanche può esistere?

In un mondo ideale la risposta sarebbe semplice: se le condizioni atmosferiche attuali impediscono l'esistenza stabile di acqua liquida e se quei segni sul terreno testimoniano un periodo in cui questa scorreva, allora le antiche condizioni climatiche del pianeta dovevano essere ben diverse da quelle attuali. In particolare, poiché l'esistenza di acqua liquida dipende da temperatura e pressione e supponendo che l'orbita marziana non debba essersi modificata in modo sensibile nel tempo, l'unica alternativa resta una sola: Marte un tempo doveva avere un'atmosfera molto più spessa di quella attuale.

Al momento, infatti, le proprietà dell'involucro gassoso di Marte sono sconfortanti. Con una pressione inferiore all'1% dell'atmosfera terrestre al livello del mare, l'atmosfera del pianeta rosso è simile a quella che si ha sulla Terra a un'altezza di circa 16 mila metri e non c'è verso di far esistere l'acqua pura allo stato liquido. Ammettere quindi l'esistenza stabile di questo prezioso liquido, necessaria per scavare laghi, fiumi e veri e propri canyon, implica di conseguenza aumentare la sua densità atmosferica, quindi pressione e temperatura al suolo.

Bene, se questo era lo scenario miliardi di anni fa, la domanda successiva allora è scontata: dov'è finita l'atmosfera di Marte? Si pensa che poco dopo la formazione del pianeta l'involucro gassoso fosse denso circa come la nostra attuale atmosfera. Com'è possibile quindi che il pianeta abbia perso migliaia di miliardi di chilogrammi di gas e si sia trasformato in modo così drastico nel fossile che osserviamo oggi?

Questa era una domanda alla quale si cercava una risposta da decine di anni e tra speculazioni, ipotesi e poi teorie sempre più convincenti, in questi giorni la NASA sembra aver posato la pietra definitiva, confermando con dati alla mano quello che si vociferava da tempo, sebbene le dinamiche non fossero ancora ben chiare.
Grazie agli studi atmosferici condotti dalla sonda Maven, in orbita attorno a Marte da un anno proprio per studiare la sua atmosfera, ora le cose sembrano essere chiare e in un certo senso impressionanti.

Marte, infatti, ha perso gran parte della sua atmosfera in un periodo di tempo geologicamente limitato, tra 4,2 e 3,7 miliardi di anni fa, a seguito di due cause che concatenandosi in modo perverso hanno segnato il destino del pianeta:
1) Il campo magnetico di Marte, a causa della ridotta massa, si è indebolito a seguito della solidificazione del nucleo, esponendo la sua atmosfera a un invisibile ma terribile nemico:
2) Il vento solare. Il flusso costante di particelle cariche emesso dal Sole, che 4 miliardi di anni fa era centinaia, forse migliaia di volte più intenso di ora, ha svolto un'efficacissima azione abrasiva, strappando via l'atmosfera di Marte a un ritmo impressionante, pari a decine o centinaia di chilogrammi di molecole ogni secondo. In pratica è stato come sparare il getto d'aria di un potente phon su una fragile palla di neve. Il risultato è stato inevitabile e catastrofico.

In appena mezzo miliardo di anni, senza più la protezione del campo magnetico, il giovane Sole ha fatto evaporare nello spazio gran parte dell'atmosfera del pianeta. La temperatura è precipitata, la pressione crollata e l'acqua ha avuto due scelte: congelare nel suolo o evaporare nello spazio. Di quel mondo rigoglioso e dinamico sarebbe restata solo una traccia fossile per miliardi di anni.
Anche adesso Marte sta perdendo atmosfera, ma a causa della bassa attività del Sole, dovuta alla ormai sua maturità, il ritmo di perdita dell'atmosfera è di soli 100 grammi al secondo (mica così poco!).

Simulazione della perdita dell'atmosfera di Marte a causa del vento solare.

Se il presente di Marte è desolante, possiamo comunque dare uno sguardo al suo lontano passato e notare come abbia potuto godere di diverse centinaia di milioni di anni di condizioni accettabili per la nascita di eventuali forme di vita. E se sulla Terra le ultime analisi dicono che la vita potrebbe essere comparsa 4,1 miliardi di anni fa, nonostante una massa ben più grossa da raffreddare e le cicatrici dell'impatto con Theia da ricucire, nulla vieta di pensare che su Marte, che era sicuramente più avanzato del nostro pianeta dal punto di vista evolutivo, la vita possa essere effettivamente comparsa e poi, purtroppo, sparita quando le condizioni hanno sconvolto quel mondo in apparenza accogliente. Senza acqua liquida e con un'atmosfera tanto sottile e impossibilitata a schermare le pericolose radiazioni solari, chissà se gli antichi batteri marziani abbiano trovato una via per sopravvivere lo stesso, magari nel sottosuolo.
Insomma, coma spesso accade nella scienza, una risposta trovata con tanta fatica apre scenari e domande ancora più affascinanti a cui di certo proveremo a rispondere nei prossimi anni.
 

sabato 22 agosto 2015

Un paesaggio marziano a 132 milioni di pixel!

Non è un errore ma l'ennesima spettacolare immagine di Curiosity, il rover che sta lentamente scoprendo i più grandi misteri di Marte. Questa volta si è davvero superato, riprendendo un paesaggio marziano con un dettaglio incredibile. Un'immagine da 132 milioni di pixel, con una dimensione di 2666X5838 ci porta dentro la splendida desolazione del pianeta rosso, in un mondo non troppo diverso da quello dei deserti più aridi della Terra, come quello di Atacama.

Questa enorme immagine è il frutto della composizione di centinaia di scatti, alcuni dei quali fatti con risoluzioni differenti, assemblati con tanta pazienza dai tecnici della NASA.

L'immagine è pesante, circa 70 MB, quindi consiglio di scaricarla da un computer e con una connessione veloce. Il tempo necessario per caricarla sarà stato ben speso.

Benvenuti su Marte, Signori. Nel ventunesimo secolo, nonostante le distorsioni e le ingiustizie della nostra società, c'è posto anche per sognare ed essere orgogliosi, menstre si osserva dallo schermo del proprio computer la superficie di un pianeta distante decine di milioni di chilometri:
http://mars.nasa.gov/msl/imgs/2015/08/Mars-Curiosity-Rover-Alluring-Martian-Geology-PIA19803-full.jpg



mercoledì 19 agosto 2015

La discesa di Curiosity su Marte in utra HD

Dopo aver visto il breve video che ha ricostruito, sulla base di immagini vere, il flyby di New Horizons a Plutone, ecco un altro filmato ancora più spettacolare.
A poco più di tre anni dall'arrivo su Marte, il rover Curiosity, il più pesante, complesso e, si spera, duraturo manufatto mobile mai spedito fuori dal nostro pianeta, sta raccogliendo una mole di dati impressionanti sul pianeta rosso.

Per il momento, però, torniamo indietro nel tempo a quei momenti concitati di tre anni fa, quando la navicella che ospitava il pesante rover (grosso circa come una Smart) è entrata nell'atmosfera di Marte a grande velocità e in modo del tutto automatico ha raggiunto la zona di atterraggio prevista, ha rallentato nel momento giusto con i suoi potenti razzi, fino a restare in sospensione a qualche metro dalla superficie per liberare e far scendere con un verricello il pesante rover sul suolo marziano. Sette minuti di terrore, così erano stati definiti dai tecnici di missione, sui quali nessun essere umano avrebbe potuto avere il controllo. Tutto infatti era stato affidato ai computer di bordo della sonda a causa del fatto che il segnale proveniente da Marte impiegava più di 20 minuti per giungere sulla Terra. Impossibile, quindi, guidare l'astronave in tempo reale.
Tutto andò bene e il rover, durante le fasi finali della sua discesa, riprese centinaia di immagini (a 4fps) fino al touch down. Quelle immagini sono state ripulite e interpolate per creare un filmato spettacolare in full HD che fa venire i brividi.

Le riprese partono da quando lo scudo termico si sgancia da Curiosity e terminano quando il rover si adagia al suolo in modo delicato e sicuro.
Questa versione, che consiglio di guardare a piena risoluzione e a schermo intero, rappresenta in modo molto fedele e spettacolare quanto successe. Solo l'audio non è reale, ma è stato ricostruito (Curiosity non ha un microfono per registrare l'audio). Incredibile cosa riesca a fare l'essere umano; da brividi!


lunedì 17 novembre 2014

Una delle più grandi tempeste di meteore mai verificatesi

Purtroppo c'è una brutta notizia prima di proseguire, anzi due: la prima è che la tempesta c'è già stata, la seconda è che non potevamo comunque vederla perché è avvenuta su Marte.

La madre di tutte le tempeste di meteore
Il 19 Ottobre scorso si è verificato un evento estremamente raro, stimato con una frequenza di uno ogni qualche milione di anni: una cometa è passata estremamente vicino a Marte, a poco più di 130 mila chilometri dalla superficie, 3 volte più vicina della nostra Luna.
Siding Spring, questo il nome della cometa, ha sfiorato il pianeta rosso evitando per poco un impatto che sarebbe stato catastrofico, ma ha lasciato una grande e spettacolare traccia della sua presenza a così breve distanza. La sua estesa chioma e la coda hanno infatti interagito, come ampiamente previsto, con l'atmosfera di Marte, causando come più spettacolare effetto collaterale un'incredibile e inimmaginabile tempesta di stelle cadenti.

Sebbene nessuna delle sonde attorno al pianeta e dei rover sulla superficie abbia ripreso in diretta questo evento (anche per questioni di sicurezza), dopo il passaggio della cometa la sonda della NASA MAVEN, osservando la porzione di atmosfera che è stata attraversata dalla chioma e dalla coda, ha rilevato una grande quantità di "fumi" causati dalle migliaia, forse milioni di scie prodotte dalle meteore bruciate nella sottile atmosfera marziana.

La cometa si è dimostrata molto più "polverosa" di quanto ci si aspettasse e ha prodotto uno spettacolo di migliaia di stelle cadenti l'ora che sarebbero risultate davvero spettacolari per chiunque si fosse trovato sulla superficie del pianeta rosso.

Oltre alle meteore, l'interazione tra la chioma della cometa e l'atmosfera di Marte ha sensibilmente modificato quest'ultima, arricchendola di polveri e metalli, regalando, probabilmente, un bel tramonto rosso/giallo al rover Curiosity, ed è riuscita persino a creare per diverse ore uno strato completamente ionizzato, detto ionosfera, che su Marte, al contrario che sulla Terra, esiste solamente di giorno quando viene illuminato dal Sole.

Per approfondire: http://www.universetoday.com/116005/mind-blowing-meteor-shower-on-mars-during-comet-flyby-say-nasa-scientists/

martedì 24 dicembre 2013

Domande e risposte: si può sentire il suono sugli altri pianeti?


Il suono che riusciamo a sentire grazie al nostro apparato uditivo è diretta conseguenza di quelle che sono chiamate onde sonore.
Ogni mezzo materiale, sia esso solido, liquido o gassoso, prevede la propagazione delle onde sonore. Nell’atmosfera terrestre l’aria rappresenta il mezzo di propagazione ideale per le onde sonore, ma anche nell’acqua riusciamo ugualmente a percepire suoni.
Nello spazio aperto la densità del gas è così scarsa che possiamo considerarlo vuoto e di conseguenza non riusciamo a sentire alcun suono perché non vi sono onde sonore che il nostro orecchio riesce a sentire.
Ma le cose cambiano su corpi celesti dotati di atmosfera. Sulla superficie di Marte e Venere, ad esempio, le nostre orecchie potrebbero udire perfettamente i suoni. Anche su Titano, satellite di Saturno con un’atmosfera quattro volte più densa della Terra, i suoni potrebbero sentirsi senza problemi. 
 
La diversa composizione chimica e densità di questi involucri gassosi ci farebbe percepire suoni diversi. È probabile che su Marte risultino più acuti rispetto alla Terra, un po’ come succede quando si respira l’elio. Su Titano potrebbero sembrare leggermente più ovattati, mentre su Venere, se mai qualcuno un giorno dovesse provarci, probabilmente il suono sarebbe simile a quando ci troviamo sott’acqua a causa della spessa atmosfera, la cui densità raggiunge ben il 6,5% di quella dell’acqua.

Purtroppo fino a questo momento non abbiamo alcuna prova di come si sentirebbero i suoni su questi corpi celesti. Solamente due sonde nella storia hanno trasportato dei microfoni per registrare il suono. Ma la prima, Mars Polar Lander, si è schiantata sulla superficie del pianeta rosso nella fase di atterraggio e per quanto riguarda la seconda, Marx Phoenix, i tecnici hanno rilevato un bug nel software di gestione della videocamera che avrebbe dovuto registrare immagini e suoni durante la discesa, quindi per non rischiare hanno deciso di non attivarla.
Anche nelle atmosfere dei pianeti gassosi si dovrebbe sentire il suono. Il problema è che non avendo una superficie sulla quale atterrare, sarà ben difficile che qualcuno vi trasporti un microfono!

giovedì 29 agosto 2013

La vita proviene da Marte? E com'è possibile?



E' freschissima la notizia secondo cui ci sarebbero sufficienti prove sul fatto che la vita terrestre sia iniziata da Marte e poi giunta sul nostro pianeta miliardi di anni fa. 
In realtà questa è un'ipotesi che nella comunità scientifica si discute da diversi anni e di cui ho parlato in un paragrafo del mio libro "Vita nell'Universo: Eccezione o regola?"
Al momento della stesura non c'erano queste nuove prove, eppure sono stato fortunato nel descrivere uno scenario a quanto pare più che probabile. 

Ecco l'estratto in cui si ipotizza proprio quanto ora sembra essere un po' più che probabile. (per chi fosse curioso, il mio libro è disponibile qui, sia in formato cartaceo che elettronico) e magari far chiarezza su come dei microrganismi, perché di questo si tratta, non di omini verdi, siano riusciti a compiere senza conseguenze un viaggio di oltre 50 milioni di chilometri.
la vita proviene da Marte? Forse si
Lo scambio di informazioni tra Marte e la Terra potrebbe essere molto più antico, duraturo e invadente di quanto prodotto dalle nostre sonde automatiche.
Per comprendere come due pianeti distanti 56 milioni di chilometri possano scambiarsi informazioni senza la presenza di esseri intelligenti, dobbiamo guardare in casa nostra.
Tra le migliaia di meteoriti ritrovate sulla superficie della Terra, sono oltre 100 quelle che hanno un’impronta unica e diversa rispetto agli asteroidi della fascia principale.
La composizione chimica di queste rocce è uguale a quella della superficie di Marte, e la composizione dell’aria intrappolata è identica a quella atmosferica. Si tratta di meteoriti che un tempo costituivano rocce del pianeta rosso.
Com’è possibile tutto questo?
Con una dinamica che potrebbe sembrare rocambolesca, ma che invece è stata più frequente di quanto ci si aspetti.
Quando un meteorite di grandi dimensioni (uno o più chilometri) colpisce Marte, fa schizzare a grande velocità pezzi della superficie del pianeta, rocce di diverse dimensioni che potrebbero avere una velocità sufficiente per uscire dall’atmosfera e dal campo gravitazionale. Questi diventano meteoriti a tutti gli effetti, solamente che non sono più gli antichi massi generatisi al tempo della formazione del Sistema Solare, ma prodotti di una superficie planetaria modificati da una storia molto diversa. Data la vicinanza tra Marte e la Terra, alcuni di questi meteoriti “secondari” sono precipitati sul nostro pianeta. A oggi queste sono le uniche rocce marziane che possediamo e che quindi è possibile analizzare in modo approfondito.
Tra poco vedremo quali sono le caratteristiche e le sorprese che sono state scoperte in questi massi, perché è intuitivo che se su Marte un tempo c’era la vita, questa possa essere contenuta, almeno sottoforma di fossili, nei meteoriti marziani.
Non è questo però quello che ci interessa al momento.
Soffermiamoci per un attimo sulla dinamica della carambola cosmica e proviamo a fare un gioco logico che prevede di cambiare punto di vista, magari rovesciando la situazione.
Se Marte ci ha inviato meteoriti, è possibile che anche la Terra abbia fatto lo stesso? Cosa impedisce a un grande asteroide che colpisce il nostro pianeta di far schizzare nello spazio pezzi di rocce terrestri che poi, dopo migliaia o milioni di anni di pellegrinaggio nello spazio, precipitano su Marte?
La risposta è ovvia: niente.
Se conosciamo meteoriti provenienti da Marte, è indubbio che su Marte, da qualche parte, esistano altrettanti meteoriti provenienti dalla Terra, risalenti un po’ a tutte le ere geologiche: dal grande bombardamento subito 3,5 - 4 miliardi di anni fa ai più recenti, magari anche a seguito di quello che ha estinto i dinosauri (l’ultimo impatto devastante conosciuto).
Se la vita elementare sulla Terra esiste da almeno 3,8 miliardi di anni, questo implica senza ombra di dubbio che i meteoriti terrestri su Marte abbiano per forza di cose trasportato forme di vita: è una certezza.
Ci sarebbe naturalmente da discutere in merito alla sopravvivenza di organismi biologici in queste condizioni, soprattutto per quanto riguarda le violente fasi della creazione del meteorite e del successivo impatto su Marte, ma in rocce relativamente grandi, nascoste nelle profondità, queste coriacee tracce biologiche potrebbero essere sopravvissute senza particolari problemi, come hanno provato alcuni esperimenti effettuati su rocce terrestri e buone quantità di esplosivo.
Secondo questo scenario, se contaminazione c’è stata, questa potrebbe essersi verificata ben prima che l’uomo comparisse e fosse in grado di mandare astronavi nello spazio. Menomale, ora stiamo un po’ meglio!

La storia biologica di Marte e della Terra potrebbe essere più intrecciata di quanto sembri, perché sicuramente i due pianeti si sono scambiati milioni di tonnellate di rocce nel corso di miliardi di anni.
E allora, per concludere in bellezza aumentando l’incertezza e il mistero, facciamoci una domanda: chi ha contaminato chi? La Terra primordiale, molto più massiccia e grande, si è probabilmente raffreddata più lentamente di Marte. L’impatto violento con quel pianeta primordiale che ha poi generato la Luna ha rallentato lo sviluppo di condizioni adatte alla vita di qualche altro milione di anni.

Se il più piccolo e freddo Marte ha quindi sperimentato condizioni biologiche prima della Terra, è probabile che i primi microrganismi siano nati proprio qui.

E se i meteoriti marziani avessero inseminato la giovane e ancora desertica Terra delle prime forme di vita?
Se un giorno trovassimo dei microbi marziani fossilizzati più antichi di quelli terrestri e sorprendentemente simili, non ci sarebbe da stupirsi poi più di tanto… Potremmo averlo già fatto?


Le meteoriti marziane: tracce di vita passata?

Degli oltre 61.000 meteoriti rinvenute sulla Terra fino a questo momento (maggio 2013) 114 sono il risultato di quella carambola cosmica apparentemente assurda che ha portato pezzi di Marte fin qui in modo del tutto gratuito.
Le meteoriti marziane rinvenute appartengono a ere geologiche estremamente diverse, così che dal loro accurato studio possiamo sicuramente far miglior luce sull’evoluzione del nostro vicino cosmico.
E di indizi più o meno forti a supporto della vita ne abbiamo.
Tutti i meteoriti ritrovati contengono tracce di acqua, una quantità che cresce con l’aumentare dell’età delle rocce, confermando il modello di un pianeta un tempo molto più umido. La roccia denominata NWA 7034, ritrovata nei primi giorni del 2013 contiene circa 10 volte più acqua di tutti i meteoriti marziani finora scoperti. Il meteorite si sarebbe formato 2,1 miliardi di anni fa, da rocce poste probabilmente sul fondo di un antico lago.
La star dei meteoriti marziani è indubbiamente ALH 84001, staccatosi dal pianeta circa 16 milioni di anni fa e precipitato in Antartide appena 13.000 anni addietro. Attente osservazioni attraverso un microscopio elettronico a scansione nel 1996 hanno rilevato al suo interno tracce di quelli che subito si pensarono essere batteri fossilizzati.
La notizia del possibile ritrovamento di antiche tracce di vita su Marte fece così scalpore che persino il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, fece una conferenza stampa sottolineando quanto importante fosse quel momento per l’intera umanità.
In realtà i mass media cavalcarono e ingigantirono a dismisura tutto quanto, come al solito.
Come accade spesso quando c’è da confermare qualcosa di straordinario, ulteriori analisi fecero propendere gli scienziati del tempo verso una risposta più prudente. Se il meteorite mostrava tracce di vita (cosa da confermare), era probabile fosse dovuta a una contaminazione da parte dell’ambiente terrestre.
L’avvincente attimo di gloria di ALH 84001 si dissolse in breve tempo come neve al Sole, soprattutto tra l’opinione pubblica che di colpo smise di parlare di questo interessantissimo pezzo di roccia.  
All’ombra dei riflettori (e questo è sempre un bene!), studi e ricerche proseguirono, perché nell’aria serpeggiava sempre la stessa roboante domanda, quel dubbio che non faceva dormire la notte molti scienziati: e se non sapessimo riconoscere la vita neanche quando ce l’abbiamo palesemente di fronte a noi, solo perché comprendiamo ancora troppo poco dei processi biologici?
Finalmente tra il 2009 e il 2011 sembra essere stato scritto un importante capitolo che potrebbe darci qualche elemento in più per decidere cosa rappresentino veramente quei piccoli vermi comodamente adagiati sulla roccia marziana.
Un gruppo di studio della NASA è arrivato alla conclusione che quei filamenti possano effettivamente rappresentare antichissime tracce di vita. I composti trovati indicano che la roccia ha passato molto tempo in un ambiente umido, a una temperatura media di circa 18°C (di certo, quindi, non in Antartide!).
Alcune anomale concentrazioni nei pressi dei presunti fossili potrebbero rappresentare i prodotti di scarto di un’antichissima flora batterica.
A stupire maggiormente la datazione più precisa dei presunti fossili: 4 miliardi di anni. Se quelle ritrovate sono tracce biologiche, significa allora con buona probabilità che la vita su Marte si è sviluppata prima che sulla Terra, proprio come detto del tutto ipoteticamente poco fa. 

Per chi fosse curioso, il mio libro è disponibile qui, sia in formato cartaceo che elettronico