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venerdì 21 ottobre 2016

La maledizione marziana e un progresso che forse non meritiamo



Amo l’astronomia, l’astrofisica e naturalmente l’esplorazione spaziale. Amo queste materie non come un adolescente può prendere una cotta irrazionale per una ragazza ma, al contrario, è proprio l’estrema razionalità che ho dentro a farmi amare ambiti in cui l’uomo mette alla prova la sua conoscenza, la sua voglia di progredire e di risolvere problemi, siano essi grandi come una galassia o piccoli come bere un bicchier d’acqua. Amo la scienza, tutta, perché senza di essa, tutta, staremmo ancora a cercare un modo per accendere un fuoco, per non far morire i nostri figli poco dopo la nascita o per evitare malattie catastrofiche come morbillo, polio, vaiolo, peste. Insomma, se ad accoglierci c’è il più bel presente della storia degli esseri umani, con la prospettiva di un futuro migliore, non è un caso ma il frutto indissolubile del progresso scientifico dell’uomo, della voglia e della capacità, almeno per alcuni, di guardare oltre il dito che punta un problema per cercare di risolverlo, in modi e tempi imprevedibili. È un approccio che funziona, che ha sempre funzionato e che funzionerà, almeno finché ci sarà qualcuno che sarà in grado di vedere al di là della propria mano.
Rappresentazione artistica di TGO e Schiaparelli
Spesso il lavoro di chi fa ricerca o di chi la divulga, soprattutto nell’ambito astronomico e spaziale, è avvolto da un pesante velo di indifferenza e ignoranza, un mix che ci consente di fare il nostro lavoro, sebbene con un po’ di latente frustrazione, in tranquillità e al riparo dal clamore mediatico che è in grado di creare sempre più problemi che soluzioni. Spesso, ma non sempre: non avrei mai pensato che quelle poche volte che astrofisici e ingegneri spaziali fossero venuti alla ribalta sarebbe stato per subire un’onta peggiore della più assordante indifferenza.
La notizia naturamente riguarda l’arrivo su marte della prima spedizione del programma ExoMars dell’ESA e il fallimento del lander Schiaparelli, che a quanto pare si è schiantato sulla superficie del pianetarosso.
Mi sono sentito in dovere di scrivere due parole, che poi due non sono, ma spero che il tempo che ruberò alle vostre vite sarà stato speso bene.


ExoMars è davvero un fallimento?
A livello tecnico è inutile scaldarsi. L’ESA aveva già messo in chiaro la questione da anni, non da giorni, come dice qualche commentatore della domenica. La missione ExoMars prevedeva un orbiter, detto TGO, e una piccola sonda da usare solo come test tecnologico per le fasi di atterraggio, denominata Schiaparelli. La missione principale, di gran lunga più importante, è quella di TGO, tanto che Schiaparelli non era stato dotato neanche di pannelli solari: sarebbe quindi morto dopo qualche giorno sulla superficie di Marte, una volta esaurite le sue batterie. Il piccolo lander era così semplice a livello scientifico che non era neanche predisposto a catturare immagini della superficie, visto che era dotato di una fotocamera in bianco e nero che avrebbe dovuto riprendere solo le ultime fasi della discesa. Insomma, a prescindere dalle opinioni, Schiaparelli era davvero solo un test, quindi dire che tutta la missione è un fallimento rappresenta ormai una consapevole bugia che sarebbe meglio smettere di raccontare. La sonda madre, infatti, TGO, è in ottima forma e rappresenta una pietra miliare per l’ambizioso piano di esplorazione dell’ESA dei prossimi anni.

E anche se lo fosse, è la ricerca, baby
Le previste fasi di discesa di Schiaparelli
Naturalmente se Schiaparelli si è schiantato, non tutto è andato come doveva, anche se il suo apporto scientifico alla missione, sul suolo di Marte, era quasi nullo. Quello che sappiamo è che i retrorazzi non sembrano aver funzionato per il tempo previsto e che forse il paracadute non si è aperto quando avrebbe dovuto. La chiarezza sulle delicate vicende dell’ultimo minuto di vita del piccolo lander verrà alla luce nelle prossime settimane e sarà ricca di dettagli e particolari, com’è giusto che sia. Quello che possiamo dire al momento è che così funziona la ricerca. Quando ci si avventura in un campo nuovo, gli errori non solo sono inevitabili ma fanno parte del gioco: che ricerca sarebbe se andassimo a colpo sicuro e sapessimo esattamente cosa fare e come farlo? L’esplorazione e la ricerca hanno in comune la conoscenza dell’ignoto: se si sa già cosa ci aspetta, cosa può andare storto e come affrontare ogni situazione non stiamo facendo ricerca ma qualcosa di già conosciuto. Non è un caso che Schiaparelli fosse un test: si dovevano provare le procedure e gli accorgimenti per fare qualcosa che all’ESA non hanno mai fatto. È la ricerca, baby, che insegna anche qualcosa molto utile nella vita di tutti i giorni: il fallimento è un modo per capire la strada da prendere, gli errori da evitare, le correzioni da effettuare. È così che si impara, che ci si evolve: può non piacerci ma così funziona tutto il mondo, persino la Natura (la parola evoluzione non vi dice niente?).
Il fallimento di Schiaparelli non è il primo e neanche l'ultimo: più della metà delle missioni dirette verso Marte, sin dalla metà degli anni 60, è fallita e solo gli americani sono riusciti a far atterrare qualcosa sulla superficie sano e salvo. Si parla di maledizione marziana, ma la realtà è che atterrare su Marte è molto complicato e richiede dei sistemi di guida autonoma (vi dice qualcosa questo termine? Se ne parla anche nella vita di tutti i giorni ormai) molto precisi e affidabili. E' questo il gusto della sfida, la naturale attrazione per qualcosa di quasi impossibile ma terribilmente affascinante, per un sogno che in un primo momento sembra irrealizzabile ma poi, chissà, potrebbe funzionare. E' un'attrazione che ci regala un perenne brivido lungo la schiena e ci rende felici di essere vivi. Che gran peccato, invece, per chi non riesce a emozionarsi per imprese di tale portata, perché manifesta una triste aridità interiore.


Potere all’ignoranza
La storia del progresso umano è sempre stata trainata da un gruppo di persone, che oggi chiamiamo ricercatori, esploratori o visionari, limitatissimo rispetto alla popolazione mondiale, che con le proprie idee, intuizioni e battaglie ha fatto progredire tutta l’umanità verso un benessere che nella storia non ha mai conosciuto uguali. È normale quindi che tutta l’umanità si regga su un manipolo di centinaia di migliaia, forse qualche milione, di persone che dedicano la propria vita alla ricerca, alla scienza. Perché, d’altra parte, è sicuro che senza scienza l’uomo non può progredire, in alcun modo. Non stupiscono, quindi, certe critiche, quelle che si ricevono nel peggior bar di Caracas tra uno shot di rum e l’altro: in un certo senso è una manifestazione folkroristica dell’essere umano su cui ci si possono fare due risate. Ma nel mondo attuale, globalizzato, unito dal comune rumore di fondo dei social network che danno voce a tutti, con il medesimo diritto, e dell’informazione che invade le nostre vite lasciandoci in pace solo quando dormiamo, l’aspetto folkloristico si è trasformato in una pericolosa caccia alle streghe, alimentata da un’immensa ignoranza
Un’ignoranza inconsapevole, distorta dalla realtà che si sceglie di osservare, da rendere arroganti al punto di sentirsi in dovere di esprimere un’opinione, spesso intrisa di odio e disprezzo verso quegli “scienziati incompetenti”, loro che hanno studiato per anni quando bastava frequentare l’università della vita, per capire come va il mondo. Un’opinione che nella mente di molti risuona così importante e pomposa da reputare un dovere il fatto di esprimerla, non più un mero diritto che spetterebbe alla propria coscienza se rendere pubblico o meno.
Anche i miei nonni erano ignoranti, ma lo sapevano. Ecco perché quando il dottore gli diceva di fare un vaccino, loro, senza capire come funziona un vaccino e senza mettere in dubbio la sua efficacia, ascoltavano il dottore perché: “Lui ci capisce, altrimenti non ci vado”. Oggi chi non capisce come funziona una cosa è perché ha un’idea propria e distorta, della quale si è innamorato come un tossicodipendente cronico della dose della mattina, che sente in dovere di sbandierare a tutto il mondo, perché alla fine: “Io sono io e voi non siete un cazzo!” è una frase che molti universitari della vita, coloro che si informano su siti internet che parlano di scie chimiche e sbarchi lunari farlocchi, pensano davvero.
Questo oceano in tempesta dell’esaltazione della propria ignoranza, di una carenza di intelletto scambiata per indipendenza di pensiero, ha travolto anche l’informazione generalista, almeno una consistente parte. Flotte di analfabeti scientifici, tirati su orgogliosamente da un sistema scolastico fallimentare, hanno il potere di divulgare le proprie idee su importanti mezzi di informazione, senza conoscere affatto il campo di cui stanno parlando, contribuendo a coltivare l’ignoranza arrogante di quelle che un noto critico d’arte chiamerebbe capre, ripetendolo almeno tre volte.


Non viviamo nel benessere per caso
Perché esplorare lo spazio? Perché andare su Marte con tutti i problemi che abbiamo?
Queste due domande possono essere attaccate da almeno tre fronti: uno prettamente logico, l’altro culturale e, infine, il terzo, pratico.
Dal punto di vista logico i problemi ci sono e ci saranno sempre; se smettiamo di fare tutte le altre cose prima di risolverli, ci estingueremmo. Perché comprare un telefono da centinaia di euro quando in Africa ci sono bambini che muoiono di fame? Perché andare al ristorante quando c’è gente che non ha un panino? Perché farsi una doccia al giorno quando in Africa ci sono persone che muoiono di sete? Perché comprarsi vestiti quando milioni di persone non se li possono permettere? Perché perdere tempo su Facebook quando si potrebbe andare a fare beneficenza? Perché fare l’amore con il proprio partner quando ogni giorno muoiono migliaia di bambini e si potrebbe usare il tempo in cui cerchiamo di godere a fare del bene per gli altri?
Sono domande sensate o stupide? Anche se sotto ci potrebbe essere, a volte, una sensibilità verso i problemi del mondo, il che è un bene, le domande sono stupide perché è stupido il modo in cui si affronta la questione, oltre che ipocrita. Qualcuno direbbe che sono tutti buoni samaritani con il fondo schiena degli altri. È facile criticare una missione verso Marte quando il 90% della nostra ricchezza viene sperperata in oggetti inutili, per viziarci e ingrassare come maiali al punto da non riuscire più a muoverci, vero?
Perché spendere soldi per vedere una partita di pallone, per organizzare manifestazioni sportive, per andare a vedere un film al cinema e ingozzarci di pop corn, quando nel mondo ci sono così tanti problemi e i soldi servono per sfamare gli africani? Ecco, che sensazione si prova quando demagogia e populismo si basano su fatti reali che mostrano la vostra superficialità e ipocrisia?

Dal punto di vista culturale, la ricerca, qualunque sia, compresa l’esplorazione dello spazio, è ciò che ci differenzia dalle scimmie, con rispetto parlando per loro; è un ottimo indicatore della ricchezza culturale di una società e dei suoi abitanti. E se in Italia le cose non vanno bene, con decine di migliaia di giovani laureati costretti a emigrare per ottenere un minimo di dignità, il motivo è che non si fa abbastanza ricerca. Questo è un Paese vecchio, ma non solo anagraficamente. È un Paese vecchio di idee, che si è arricchito senza migliorare il proprio livello culturale, con il risultato che il misero e umile contadino, come lo era mio nonno, si è trasformato in un bifolco arricchito e viziato, con l’idiota convinzione di essere acculturato, di avere dovere di opinione su tutto, pur non sapendo un cazzo. Un Paese di bifolchi travolto da un immeritato benessere economico e che ora si sente così potente da millantare verità su stupide scie chimiche o sui vaccini che causano l’autismo. Gli scienziati veri? Gente che non capisce nulla, nella migliore delle ipotesi. Dei patetici corrotti, al soldo dei potenti, nei casi più gravi.
Fare ricerca, fare scienza, spendere soldi per scoprire chi siamo, da dove veniamo e dove possiamo arrivare, risponde alla nostra voglia ancestrale di conoscere e di esplorare; è ciò che ha guidato la nostra intera evoluzione. Se ci fossimo fermati non saremmo qui a scrivere e a leggere su uno schermo di un dispositivo che sta nel palmo della nostra mano. Si potrebbe dire, allora, sotto questo punto di vista: a cosa serve la musica, la letteratura, l’arte, la pittura?

Il terzo punto è prettamente pratico. In fin dei conti le capre se ne infischiano della cultura, degli ideali di progresso ed esplorazione: sono contente di pasturare sempre nello stesso campo, senza mai guardare in alto per chiedersi chi sono e cosa ci fanno lì. Basta dar loro da bere, mangiare e qualche sedativo tecnologico per sprecare il proprio tempo senza dover pensare davvero al prossimo e ai problemi del mondo. La ricerca, anche spaziale, al contrario dell’abbuffata superflua di sushi del sabato sera (quanti bambini si potevano sfamare con tutto quel cibo??), ha un impatto incredibile sulle nostre vite. Se oggi stiamo bene, come ho già detto, non è un caso. Gran parte della nostra tecnologia e del nostro benessere derivano direttamente o indirettamente da pionieristici studi aerospaziali. Quelle sonde inutili mandate su Marte, sin dagli anni 60, hanno testato materiali e tecnologie che ora noi usiamo tutti i giorni e delle quali non possiamo più fare a meno. Tecnologie e soluzioni che possono risolvere anche i problemi di questo mondo, come fame e sete, se solo la politica, quindi il popolo sovrano, lo volesse davvero. La verità, cari leoni da tastiera, è che siete voi, con la vostra egoistica, miope e sommamente ignorante visione del mondo a impedire che i problemi grossi di questa Terra vengano risolti, a mantenere ancora la fame nel mondo, a gioire nel soffocare sommersi dai gas di scarico, a negare lavoro e futuro ai vostri figli. Siete voi a comandare, purtroppo, e a decidere il futuro del mondo. Volete un esempio? Pensate all’emergenza dei migranti e a come vorreste risolvere il problema di questi disperati, purché se ne restino a casa loro e non minaccino il nostro stile di vita: ipocriti!

Tutta la ricerca scientifico/tecnologica atta a superare i propri limiti obbedisce a una regola molto potente: non importa cosa si cerca, quale sia l’obiettivo del proprio sforzo tecnologico; nel lungo cammino compiuto per raggiungerlo, si conquistano decine di altri traguardi che possono rivelarsi estremamente utili per molti altri scopi.
Le ricadute tecnologiche dell’esplorazione spaziale sono così tante che sarebbero richieste decine di pagine solamente per stilare uno sterile elenco. Non voglio proporre una sterile lista, ma far capire meglio in che modo una sonda nello spazio aiuti a migliorare le nostre vite molto di più di quanto si possa immaginare, perché è facile criticare di fronte a un computer, magari alimentato a pannelli solari, pubblicando fotografie scattate con un cellulare mentre si guardano le mappe satellitari in alta risoluzione.
Da dove provengono tutte queste tecnologie?
Con il termine inglese spin-off si identificano tutte quelle tecnologie sviluppate per l’esplorazione spaziale che sono state poi adattate per essere utilizzate nella vita di tutti i giorni.
Tra le più importanti degli ultimi anni c’è sicuramente il tema dell’energia fotovoltaica.
La tecnologia dei pannelli solari è stata utilizzata fin dalle prime missioni spaziali automatiche, tranne nei casi in cui le sonde erano dirette verso le regioni esterne del Sistema Solare.
L’agenzia russa e soprattutto americana hanno effettuato importantissimi studi nel disporre di una tecnologia leggera, affidabile e sempre più efficiente dal punto di vista energetico.
I pannelli solari che abbiamo sul nostro tetto derivano direttamente da questi pioneristici studi; senza le sonde interplanetarie, probabilmente questa tecnologia sarebbe arrivata solamente tra molti anni.
Molto importante anche il campo informatico, dove il contributo della NASA è stato fondamentale.
Negli anni 60 con l’inizio del programma Apollo una grande quantità di energie fu destinata alla creazione di computer abbastanza piccoli da essere contenuti nel modulo di comando e sufficientemente potenti da pilotare l’astronave durante il viaggio verso la Luna.
Il grande sviluppo informatico, necessario per ricerca spaziale, è stato determinante per la rivoluzione informatica di massa iniziata sul finire degli anni 80.
I moderni programmi di navigazione spaziale a bordo di ogni satellite, dai GPS che guidano le nostre auto, a quelli che consentono di guardare la televisione, derivano dagli studi intensi condotti a partire dagli anni 60.
Anche nel campo medico le ricadute sono molte: dai termometri a infrarossi sviluppati per primi nelle sonde automatiche, ai nuovi materiali utilizzati per le protesi artificiali derivati direttamente dagli studi della NASA, allo sviluppo della tecnologia a diodi per la cura di alcune lesioni.
I sistemi di controllo remoto, gli stessi che consentono di attivare un allarme o un elettrodomestico con l’uso di un semplice cellulare, derivano dalla tecnologia sviluppata per il controllo di sonde a milioni di chilometri di distanza e dei rover radiocomandati su Marte.
Le fotocamere digitali che hanno reso accessibile la fotografia a chiunque e che ormai equipaggiano addirittura tutti i telefoni cellulari derivano da intensi studi e ricerche per l’efficiente ripresa e trasmissione delle immagini provenienti dalle sonde automatiche.
Le conoscenze tecnologiche accumulate e poi rese pubbliche hanno dato inizio all’inevitabile era della fotografia digitale.
I moderni pneumatici che consentono maggiore aderenza e sicurezza derivano dalle ricerche  cominciate durante l’esplorazione lunare sulle mescole da utilizzare per le ruote della Jeep che è stata utilizzata dagli astronauti di Apollo 15-16-17 durante la loro missione.
Il materiale ignifugo dei vigili del fuoco deriva dallo studio sulla costruzione delle prime tute spaziali per le passeggiate degli astronauti.
I sistemi di filtraggio, purificazione e riciclaggio dell’acqua sono stati sviluppati per le missioni verso la Luna e per le lunghe permanenze degli astronauti a bordo delle stazioni spaziali e potrebbero rivelarsi fondamentali nel fornire acqua potabile alle popolazioni povere di alcune regioni dell’Africa e dell’Asia. (e qui: http://www.nasa.gov/mission_pages/station/research/benefits/water_purification.html )
Hanno fatto molto di più dei miseri ingegneri aerospaziali per risolvere la fame del mondo che tutti gli ipocriti leoni da tastiera che regalano perle di ignoranza, di cui nessuno sentiva la mancanza. La vera domanda è: ci meritiamo tutto questo benessere? È giusto, a questo punto, che poche migliaia di persone che fanno ricerca, rendano disponibili risultati e scoperte a un mondo che in gran parte non solo non capisce quello che stanno facendo, ma vorrebbe rabbiosamente rinunciare a tutto questo?

 
Un costo irrisorio per un progresso eccezionale
Come se non bastasse, c’è un mito da sfatare: le missioni spaziali costano troppo, meglio dirigere i soldi su altri problemi. Questa è una balla colossale: gli sprechi sono altri. Il denaro speso per le missioni spaziali è il modo più efficiente per dare lavoro e una carriera a gente qualificata e preparata, a quella folta schiera di ragazzi sognatori e laureati che ogni anno devono espatriare per vedersi riconoscere un minimo di dignità alle loro vite. Fare ricerca, anche spaziale, è l’unico modo che conosciamo per vincere i limiti imposti da questo pianeta e sperare di risolvere, osservando ed esplorando lo spazio, anche i problemi economici e sociali attuali e futuri. O davvero speriamo di poter capire come generare energia rinnovabile e a basso impatto ambientale restando chiusi in casa a osservare una lampadina spenta, evitando persino di uscire, perché bisogna risolvere questo problema? Davvero pensate che il mondo vada in questo modo? Che per riuscire a conficcare un chiodo nel muro basti osservare il muro e il chiodo per sufficiente tempo e non andare neanche in ferramenta a comprare un martello?

I 15 miliardi di dollari destinati alla NASA attualmente ogni anno dal governo degli Stati Uniti, possono sembrare tantissimi, ma rappresentano circa lo 0,2% del prodotto interno lordo del paese.
Tagliare i costi dell’esplorazione spaziale per risparmiare il 2 per mille del denaro dei contribuenti, di certo non può in alcun modo aiutare il benessere della comunità o rimettere ordine nel bilancio statale.
Se questo comunque non dovesse ancora convincere i più scettici, facciamo un paragone con altre spese, alcune di dubbia utilità, per vedere quale sia il peso relativo dell’esplorazione spaziale nell’economia di un paese.
Il termine di paragone più impressionante riguarda i costi di una guerra.
L’impegno militare in Afghanistan prima e in Iraq poi del solo governo americano ha richiesto una spesa superiore a 3000 miliardi di dollari(!) in circa 10 anni, vale a dire circa 300 miliardi di dollari l’anno. Un paragone con il programma Apollo, costato 20 volte di meno, mostra che con questo denaro si potevano lanciare sulla Luna almeno 7 astronavi l’anno per 10 anni e dare lavoro a centinaia di migliaia di ingegneri, fisici, astronomi, operai, unire l’umanità invece di dividerla, risparmiare molte vite umane e portare benessere in tutto il pianeta con le ricadute tecnologiche di un programma così ambizioso.
Un confronto con il programma Shuttle è ancora più impietoso: il denaro speso in 10 anni di guerra poteva finanziare una missione al giorno per tutto questo periodo di tempo.

Anche nel nostro piccolo paese non mancano i paragoni a effetto.
Si pensa che l’Italia sia una nazione troppo piccola per un programma spaziale?
No, è semplicemente uno dei tanti stati che considera prioritarie altre spese, che però non vengono comunicate ai contribuenti, come i famosi caccia vari governi si sono impegnati ad acquistare nei prossimi anni, per un totale di circa 15-18 miliardi di euro di spese militari in un periodo (fortunatamente) di pace.
La missione Pathfinder, che ha portato su Marte il primo rover ha avuto un costo totale di 280 milioni di dollari, circa 220 milioni di euro, minore del prezzo di due di questi jet.
Con il denaro speso l’Italia avrebbe potuto mandare su Marte circa 50 rover.

Dieci euro per cinquanta milioni di italiani sarebbero sufficienti per lanciare una sonda verso Marte. Vogliamo provare a immaginare le ricadute sull’economia, l’industria e il nostro benessere a fronte di questo minuscolo investimento?
Migliaia di nuovi posti di lavoro, il rientro dei nostri giovani migliori costretti a emigrare per realizzare i propri sogni, il richiamo dei grandi investitori esteri e l’instaurarsi di un’economia tecnologica che farebbe diventare il nostro paese ai primi livelli nel mondo.
Pochi miliardi di euro nella giusta direzione sarebbero trasformati in un investimento che potrebbe fruttare oltre 10 volte tanto in meno di dieci anni, se consideriamo il lato puramente economico.
Tutto questo in uno scenario in cui dovessimo fare tutto da soli. Nella realtà l’Italia fa parte dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e i costi sono quindi da dividere per 22 paesi partecipanti e centinaia di milioni di persone. Ecco allora che una missione complicata come Rosetta, i cui costi sono simili a quelli dell'intero programma ExoMars (missioni del 2016 e del 2020), è costata ai cittadini europei circa 3 euro e mezzo in 19 anni: 20 centesimi l’anno. Ma quando apriamo la bocca dicendo che le missioni spaziali costano troppo, abbiamo una minima idea di quello che stiamo dicendo?


Alla fine di questo lungo post, ripetiamo allora insieme la domanda per eccellenza: perché andare su Marte quando qui c’è gente che muore di fame? Perché stiamo facendo più noi scienziati spedendo una lavatrice su un pianeta deserto, per tutti voi, che chiunque mentalmente limitato e comodamente seduto sul proprio divano abbia il coraggio di porsi una domanda del genere, senza che un brivido di vergogna attraversi il suo corpo. La domanda giusta è, ancora una volta: ce lo meritiamo tutto il progresso e la ricerca che sta portando avanti un pugno di uomini sognatori per tutta l’umanità, quando questa ha una visione tanto distorta e differente della realtà e del futuro?



Qualche link per approfondire:
Il sito della NASA dedicato a tutte le tecnologie spaziali utilizzate per la vita di tutti i giorni: http://spinoff.nasa.gov/
Una divertente applicazione per scoprire quali materiali e tecnologie derivati dall'esplorazione dello spazio contiene la nostra casa e la nostra città: http://www.nasa.gov/externalflash/nasacity/index2.htm

giovedì 31 dicembre 2015

Il Kennedy Space Center: un tuffo nella nostra storia più bella

Il 19 Dicembre scorso ho visitato il Kennedy Space Center della NASA ed è stata una delle giornate più belle della mia vita. Sapevo cosa avrei visto, che avrei ripercorso gli anni incredibili dell'esplorazione spaziale rivivendoli in prima persona, ma non avrei mai potuto immaginare le emozioni mi avrebbero travolto e la nuova consapevolezza sull'impatto che questa parte della nostra storia ha davvero avuto sulla nostra società.

Ho percorso in autobus tutto il centro passando attorno alle rampe di lancio. Ho attraversato le stesse strade battute da decine di astronauti, da coloro i quali non ce l'hanno più fatta, come l'equipaggio di Apollo 1, agli uomini straordinari che hanno passeggiato per primi sulla Luna. Ho visto le storiche rampe di lancio delle missioni Apollo e dello Shuttle, dei mostri d'acciaio che hanno ospitato tra le imprese più ambiziose e pericolose della nostra storia, ancora lì al loro posto, immutate dopo oltre 40 anni.
Ho attraversato il giardino dei razzi, dove sono esposti tutti i vettori antecedenti alla conquista della Luna e le relative capsule dagli spazi angustissimi. Sì, un giardino fatto di razzi che si possono toccare, ammirare, temere e rispettare perché rappresentano la nostra voglia di libertà, la nostra voglia di sognare e di esplorare.

Poi, ho ripercorso l'epopea della conquista della Luna in un'epoca nella quale i computer erano grandi come stanze e migliaia di volte meno potenti di uno smartphone. Nel susseguirsi frenetico di emozioni mi sono accorto del peso di certe affermazioni, alcune delle quali scritte anche nei miei libri: davvero oltre il 90% della nostra tecnologia e in generale del nostro benessere deriva direttamente o indirettamente da quei quindici anni esploosivi che hanno visto dapprima nascere la scienza aerospaziale e poi culminare con l'uomo che camminava sulla Luna. Centinaia di miliardi di dollari di investimenti per oltre 400 mila lavoratori, soldi ancora di molto inferiori a quelli sprecati nelle moderne guerre (Iraq e Afghanistan), che invece di portare morte per molti e ricchezza per pochissimi hanno fatto fare un gigantesco balzo all'umanità in termini di qualità e diritto alla vita. Aveva proprio ragione Neil Armstrong: "Un piccolo passo per un uomo, un gigantesco passo per l'umanità". Nessuno sapeva ancora quanto quel passo fosse stato gigantesco, però. Oggi lo sappiamo e non dovremo mai dimenticarlo, perché la storia insegna sempre, non solo quando racconta errori e atrocità. E questa, volenti o nolenti, è la pagina della storia più bella della nostra intera esistenza su questo pianeta.

Avrei potuto davvero vivere in uno dei motori del Saturn V, proprio come ho scritto nel mio libro "Conoscere, capire, esplorare il Sistema Solare", alto come palazzo di oltre 30 piani e che tra qualche anno perderà il primato del razzo più grosso e potente mai costruito. Ci vorrà pazienza, ma l'esplorazione spaziale non si è fermata e proseguirà anche nei prossimi decenni.

Ho toccato una roccia lunare; sì, una roccia proveniente dalla Luna e riportata a terra dagli astronauti di una delle missioni Apollo, disponibile a tutti i visitatori per cercare di viaggiare con la mente nello spazio e nel tempo. Era una roccia normale, fredda, nera e levigata dal passaggio di milioni di mani sopra di essa, eppure a me non sembrava proprio come un normale sasso che raccolgo per strada.

Ho visto uno Space Shuttle, vero, appeso al soffitto di un palazzo. Atlantis ha volato per ben 26 volte nello spazio e il suo scudo termico ne porta tutti i segni dell'infuocato calore che ha dovuto subire ogni volta che rientrava sulla Terra.
Ho anche provato l'esperienza di una partenza dello Shuttle, a bordo di uno dei più realistici simulatori che si trovano in giro (a detta degli astronauti) e per un attimo mi sono sentito un esploratore anche io, riscoprendo quell'antica e istintiva sensazione che ha caratterizzato tutta l'evoluzione della nostra specie. Senza curiosità, senza voglia di esplorare, infatti, saremmo ancora rimasti a vivere nelle caverne, a mangiare cibo non cotto e con un'aspettativa di vita di qualche decina di anni.

Ricordiamoci della parte più pura e bella di noi stessi, della curiosità e della voglia di esplorare il mondo e migliorarlo, a partire da noi stessi e dalle nostre vite. Perché non c'è errore più grande che possiamo fare che smettere di sperare in qualcosa di migliore per noi, per il pianeta, per la società, per i nostri cari. Farsi sopraffare dagli eventi, spesso tristi, della vita e della società vorrebbe dire rinnegare tutto ciò che gli oltre 100 miliardi di persone vissute fino a questo momento hanno fatto per farci uscire dalle caverne e insegnarci a guardare in alto, senza limiti, senza arrenderci, senza rinnegare la nostra natura di esploratori e sognatori, a volte sacrificando persino le loro stesse vite. Ma preferisco sacrificare la mia vita per un sogno, anche irraggiungibile, che buttare 70-80 90 anni di una vita preziosissima rinunciando alla consapevolezza e abbracciando un cinismo che farebbe morire la nostra anima, ben prima che il tempo lo faccia con il nostro corpo.

Il giardino dei razzi, all'ingresso del Kennedy Space Center.

Il modulo lunare come quelli che hanno toccato la superficie lunare. Sapete perché è appeso? Perché è stato costruito per la gravità lunare. Sulla Terra la sua struttura è così fragile che il LEM non si reggerebbe sulle sue sottili zampe e collasserebbe su sé stesso!

Il modulo di servizio con cui gli astronauti arrivavano in orbita lunare e tornavano poi verso la Terra.

Una vera roccia lunare da toccare. 4,5 miliardi di anni di storia a portata di mano.

La vera capsula con cui gli astronauti della missione Apollo 14 hanno affrontato il viaggio verso la Luna e il successivo rientro in atmosfera. Si vedono nella parte bassa le bruciature dovute all'enorme calore durante la fase d rientro in atmosfera.

La tuta lunare dell'astronauta Alan Shepard di Apollo 14. Questa è la tuta usata per passeggiare sulla Luna. Sulle ginocchia si nota la sottile e appiccicosa polvere lunare che ha sporcato il bianco candido della tuta!

Lo Shuttle Atlantis, l'ultimo ad aver volato nel Luglio 2011, in mostra in tutta la sua maestosità.

Uno dei 5 mastodontici motori del primo stadio del razzo Saturn V, l'unico con la potenza sufficiente a portare tre astronauti fin sulla Luna.
Dove la storia è stata fatta: la rampa di lancio delle missioni Apollo e di molte missioni Shuttle è ancora lì, in tutta la sua impressionante altezza.
 
La reale sala di controllo in cui si fece il primo importante passo verso la conquista della Luna. Da qui venne lanciata la missione Apollo 8 che per prima portò tre uomini in orbita attorno al nostro satellite.

Il retro del Satur V, il razzo più potente e grosso mai costruito.



Quel mostro d'acciaio sulla sinistra non è un palazzo ma il gigantesco "trattore" con cui venivano trasportati i grandi razzi dall'edificio in cui venivano preparati fino alle rampe di lancio. Questo immenso mostro su cingoli sprigiona centinaia di migliaia di cavalli e ha trasportato sulle sue spalle anche i mastodontici Saturn V, i razzi con cui l'umo ha raggiunto la Luna.

giovedì 17 settembre 2015

Signori, benvenuti su Plutone!

Proprio pochi giorni fa la NASA rilasciò alcune tra le migliaia di fotografie scattate da New Horizons nel suo avvicinamento a Plutone e già quelle ci sembrarono spettacolari quanto a bellezza estetica, nonché per il grande contenuto scientifico.
Ora, con una nuova serie di immagini appena rilasciate, tutti i mirabolanti aggettivi usati per descrivere la straordinaria bellezza di quel luogo remoto devono essere moltiplicati per 10, 100 o forse 1000.

Nessuno, neanche i tecnici della NASA che hanno lavorato alla missione da molto prima della partenza, si sarebbe aspettato un tale paesaggio di fronte ai loro occhi.
Le nuove immagini, scattate proprio in concomitanza con la minima distanza di New Horizons da Plutone, mostrano dei suggestivi ingrandimenti di una delle tante aree interessanti di Plutone. Il panorama mostrato non è solo una miniera di informazioni per astronomi e geologi, ma a mio modesto avviso rappresenta anche una delle immagini più belle dell'intera esplorazione spaziale.

Pensiamoci un attimo: un'astronave sorvola un corpo celeste che orbita a oltre 4,5 miliardi di chilometri dalla Terra, in una regione di spazio dove la temperatura massima è di -230°C e il Sole di mezzogiorno fa la stessa luce che c'è qui latitudini un'ora dopo il suo tramonto.
In questa zona oscura, ai confini del Sistema Solare, dopo quasi 10 anni di viaggio, un manufatto umano alimentato con qualche chilogrammo di plutonio si è spinto dino a 15 mila chilometri da Plutone, superandolo poi a una velocità di decine di migliaia di chilometri l'ora. Come se tutto questo non bastasse a far venire i brividi, ecco cosa ha visto questa impavida ambasciatrice della nostra specie:

Benvenuti su Plutone

Può sembrare un comune paesaggio artico ma non lo è. Quelle enormi montagne sono probabilmente immensi blocchi di ghiaccio d'acqua che si sono innalzati dalle soffici pianure composte da altri gas ghiacciati, probabilmente azoto. La timida luce solare getta delle drammatiche ombre e illumina debolmente il cielo grazie alla diffusione dovuta alla tenue atmosfera di Plutone.

Guardiamo questa foto e le altre e soffermiamoci un attimo, isolandoci da tutti quei noiosi problemi della nostra esistenza, e gioiamo del grande dono che abbiamo. Tra mille difficoltà, ingiustizie, problemi e mancanze che affliggono il nostro mondo, lassù, ad appena 100 chilometri sopra le nostre teste, si apre l'Universo vero, il luogo nel quale abitiamo e che con tante difficoltà abbiamo iniziato a esplorare. Guardiamo questa foto e gioiamo orgogliosi, almeno una volta ogni tanto, del grande cammino che abbiamo fatto come specie nella nostra travagliata, ma straordinaria, storia.

Ammiriamo esterrefatti le montagne di ghiaccio di Plutone e le imprese incredibili che sono servite per arrivare sin lì, per trovare la forza dentro di noi di dare il giusto senso alla nostra esistenza, ai piccoli problemi della vita e ad affrontare più determinati che mai questa straordinaria possibilità che capita molto, molto raramente: essere coscienti dell'intero Universo, poterlo guardare e comprendere. Sulla Terra, tra miliardi di miliardi di esseri viventi, sono 7 miliardi hanno questo dono. Che sia questo, alla fine, l'unico scopo della nostra vita? Se l'Universo non avesse voluto essere contemplato e capito, non avrebbe avuto bisogno di creare noi, e nulla sarebbe cambiato nel suo perfetto funzionamento. Siamo superflui per far funzionare il Cosmo, ma siamo di inestimabile valore quando si tratta di comprenderlo.

martedì 7 febbraio 2012

La sonde Voyager e Pioneer in viaggio verso le stelle

Nella prima metà degli anni 70 l'agenzia spaziale americana (NASA) lanciò nello spazio 4 sonde automatiche per l'esplorazione dei pianeti esterni: Giove, Saturno, Urano e Nettuno.
La prima a partire fu la Pioneer 10 il 2 Marzo 1972, seguita da Pioneer 11 il 6 Aprile 1973.
Dopo qualche anno toccò alle sonde Voyager 1 e Voyager 2, lanciate a distanza di 16 giorni nel Settembre 1977.

Posizione delle 4 sonde destinate allo spazio interstellare
Oltre ad aver raggiunto tutti gli obiettivi programmati, pochi forse sanno che queste quattro sonde sono le uniche dotate di una velocità sufficiente, tra le oltre 200 lanciate nella storia dell'astronautica, per uscire dal Sistema Solare.
Nel vuoto dello spazio non esiste praticamente attrito, così un oggetto mantiene il suo movimento a meno che non è sensibilmente frenato dalla forza di gravità dei corpi maggiori, nel nostro caso il Sole.

Dopo aver terminato le rispettive missioni l'elevata velocità ha assicurato che niente e nessuno avrebbe potuto frenare a sufficienza queste quattro piccole astronavi, tanto che nel corso degli anni hanno continuato la loro corsa indisturbata verso i confini del sistema solare.

La grande affidabilità dei sistemi di bordo ed un'alimentazione basata su generatori nucleari, hanno garantito una vita operativa ben oltre le più rosee aspettative.
La sonda Pioneer 10, ad esempio, ha trasmesso dati fino al 2003.
Destino ancora migliore per quanto riguarda le due Voyager. A distanza di quasi 35 anni dalla loro partenza, sono ancora attive e trasmettono a Terra preziose informazioni sulle remote zone di spazio che stanno esplorando.
Come ho detto in un precedente post, gli ultimi comandi impartiti dai tecnici della NASA hanno garantito un'autonomia fino a circa il 2025.

Voyager 1 è la sonda attualmente più lontana ed il manufatto umano con la maggiore velocità di sempre: circa 17,5 chilometri al secondo rispetto al Sole (61000 km/h).
Nel corso del suo viaggio di oltre 35 anni si trova attualmente a 120 unità astronomiche dal Sole, quasi 18 miliardi di chilometri , ben oltre l'orbita dell'ultimo pianeta Nettuno (4,5 miliardi di chilometri).
Insieme alla gemella Voyager 2, rimasta leggermente indietro perché ha una velocità inferiore, stanno completando con successo la missione denominata Voyager Interstellar Mission, volta ad individuare e studiare i confini del sistema solare e l'inizio dello spazio interstallare.

Il sistema solare è infatti avvolto in una specie di bolla protettiva prodotta dal vento solare della nostra Stella.
La sua azione ci protegge dalle insidie e dai pericoli del mezzo interstellare, costituito da gas, polveri, particelle cariche e in generale raggi cosmici che permeano lo spazio tra le stelle della Via Lattea.
Proprio a ridosso della distanza alla quale si trovano le sonde Voyager, si dovrebbe trovare il confine in cui il vento solare viene sopraffatto dal mezzo interstellare, detto eliopausa, e la porta d'ingresso per lo spazio aperto.
Le Voyager dovrebbero attraversare queste invisibili ma importanti colonne d'ercole presumibilmente nel 2014 ed inviare a Terra dati importantissimi ed unici delle proprietà di queste lontane (per i nostri standard) regioni celesti .

L'ingresso nel grande oceano dello spazio interstellare segnerà l'inizio ufficiale dell'esplorazione umana oltre il sistema solare, un traguardo importantissimo dal punto di vista emotivo e storico.
Continuando il parallelo con le colonne d'ercole, possiamo considerarci come i primi esploratori che hanno avuto i mezzi ed il coraggio di avventutarsi in luoghi mai visitati. Di fronte a noi c'è l'oceano aperto e probabilmente per molto tempo non noteremo sostanziali cambiamenti, ma il muro è stato abbattuto segnando un nuovo importante passo verso il progresso tecnologico e la nostra evoluzione.

Se le comunicazioni con le Voyager si interromperanno nel 2025 e le trasmissioni con le Pioneer sono già interrotte da alcuni anni, la loro corsa nello spazio continuerà indisturbata. Le quattro sonde sono destinate a viaggiare sempre più lontano per milioni di anni (o forse miliardi) fino a quando non incontreranno qualche ostacolo che possa fermarle.

Nonostante una velocità per noi elevatissima, Voyager 1 percorrerà il suo primo anno luce tra circa 17700 anni. Un anno luce è per noi una distanza veramente grande, pari a circa 9500 miliardi di chilometri, ma nello spazio è ben poca cosa. Per avere un termine di paragone, la stella a noi più vicina dista 4,3 anni luce.
Secondo la nostra concezione temporale questo intervallo di tempo è immenso, maggiore addirittura dell'intrera storia delle civiltà umane, ma per la Terra e l'Universo è poco più di un battito di ciglia.
Il nostro pianeta esiste da 4,6 miliardi di anni. La vita da almeno due miliardi e mezzo di anni, alcune specie viventi, come i rettili e gli anfibi, popolano il pianeta da centinaia di milioni di anni. La stessa storia dell'uomo risale a circa 2 milioni di anni fa.

Sotto questo punto di vista possiamo riconsiderare il nostro giudizio sul tempo impiegato dalla Voyager 1 a percorrere le distanze interstellari.
In 17 milioni di anni di viaggio, ad esempio, il tempo necessario per la nascita di un sistema planetario, Voyager 1 avrà percorso nello spazio ben 1000 anni luce, che diventeranno 100000, pari al diametro della nostra Galassia, in 1,7 miliardi di anni, l'intervallo di tempo richiesto alla Terra per ospitare le prime forme di vita stabile dopo la sua formazione.
Destino simile per le altre 3 sonde, con dati che non differiscono poi molto da questi approssimati che vi ho mostrato.
Le illustrazioni portate in viaggio dalle sonde Pioneer
Con questo nuovo approccio è affascinante notare come queste quattro sonde sono destinate a diventare le prime esploratrici della storia umana dello spazio profondo, le prime a visitare altre stelle e forse a viaggiare lungo tutta la Galassia.

Nessuno sa quali stelle e pianeti avvicineranno le Voyager e le Pioneer nel viaggio attraverso l'infinito dello spazio; e chissà se qualche civiltà extraterrestre (se ne esistono e se sono evolute) potrà mai intercettare questi manufatti e scoprire i messaggi lasciati al loro interno che raccontano l'origine e le caratteristiche dei loro creatori umani.

Le due sonde Pioneer costodiscono al loro interno una placca di alluminio con incise le sembianze umane, il nostro posto nel sistema solare e nella Galassia attraverso l'identificazione di 14 pulsar, ed un'importante proprietà della Natura a testimonianza del nostro livello tecnologico, detta transizione iperfine dell'atomo di idrogeno.
Le sonde Voyager contengono invece un disco dorato con incisi immagini, suoni, musica e alcune conoscenze fisiche e matematiche. Nell'alloggiamento trova posto anche la punta in grado di leggerlo e sul contenitore sono stampate le istruzioni per decodificare i messaggi, come ad esempio il numero di giri al minuto che deve compiere il disco.
Le istruzioni per leggere il disco delel Voyager
Questo particolare comando è veramente interessante: come spieghereste ad una specie aliena che il vostro disco deve fare un giro ogni 3,6 secondi per poter decodificare le immagini contenute ed ascoltare correttamente i brani musicali? Non possiamo utilizzare i secondi, definizione tipicamente terrestre, ma un'unità di tempo uguale a tutto l'Universo e associata a qualche proprietà fisica importante.
Gli scienziati, sui suggerimenti del grande astrofisico Carl Sagan hanno utilizzato come unità di misura l'intervallo di tempo associato alla transizione iperfina dell'atomo di idrogeno. Non è interessante capire di cosa si tratta, piuttosto comprendere che questa è una proprietà uguale a tutti gli atomi di idrogeno dell'Universo e che l'intervallo di tempo richiesto è misurabile e sempre lo stesso.
In questo modo anche le eventuali civiltà avanzate che dovessero trovare questa vera e propria capsula del tempo sapranno interpretare correttamente le istruzioni per leggere le informazioni.
Questa è anche una bella prova del fatto che le leggi fisiche sono l'unico linguaggio universale, perché stabilito dall'Universo stesso.

Qualunque sarà la sorte riservata a queste quattro sonde, saranno per milioni di anni ambasciatrici silenziose di un popolo ormai lontanissimo nel tempo e nello spazio, che in un punto azzurro spertudo in questo immenso Universo riuscì a dare via ai propri sogni raggiungendo le stelle, ed affidare a loro il ricordo eterno della sua breve esistenza.

Se volete sapere in tempo reale la posizione di queste quattro sonde, guardate qui.

giovedì 19 gennaio 2012

Le più grandi foto di gruppo mai scattate: la Terra vista dallo spazio

Molti post fa vi ho fatto vedere la bellezza del nostro pianeta visto dalla Luna, direttamente dalle immagini scattate dagli astronauti durante le missioni spaziali Apollo degli anni 60-70.
Qualche giorno addietro vi ho mostrato come appare il nostro pianeta dalla superficie di Marte.
Ora voglio regalarvi (e regalarmi) qualcosa di ancora più suggestivo, che cerca di rispondere alla semplice domanda: "come appare la Terra vista dallo spazio?"
Come si trasforma il nostro pianeta mano a mano che ci si allontana? Quanto è splendente?
E visto che il 70% della superficie è occupato da acqua, è possibile che ci appaia di una tenue colorazione azzurra?
Non ci resta che scoprirlo, alzandoci nello spazio in un viaggio virtuale costruito con le immagini che abbiamo a disposizione dalle sonde lanciate negli ultimi decenni.

Dai pianeti interni (Mercurio e Venere), la Terra è vista come un pianeta esterno, con una fase sempre piena. la Luna, nostra compagna da svariati miliardi di anni, sarà visibile sempre prospetticamente vicino alla brillante sagoma terrestre.
Il nostro pianeta appare effettivamente di colore azzurro, mentre la superficie selenica di una tinta leggermente gialla. L'accostamento di colori dovrebbe essere davvero suggestivo, aiutato dal fatto che la loro luminosità è piuttosto alta.
La sonda Messenger, in orbita attorno a Mercurio, ha ottenuto quella che in ordine cronologico rappresenta l'immagine più recente del sistema Terra-Luna, da una distanza di 183 milioni di chilometri, nei pressi dell'orbita di Mercurio.
Una bellissima foto di gruppo, visto che in questo punto luminoso ci sono 6 miliardi di esseri umani e tutte le loro vite:
La Terra e la Luna ripresi dalla sonda Messenger nei pressi di Mercurio


Dopo questo sguardo, spostiamoci sul nostro "pianeta gemello".
E' un vero peccato che Venere abbia un'atmosfera così opaca da impedire l'osservazione di qualsiasi astro dalla sua superficie. In volo orbitale attorno al pianeta, la Terra e la Luna appaiono evidenti e ben separate. Quando il nostro pianeta si trova in opposizione, quindi alla minima distanza, la sua magnitudine raggiunge la -6,6, con la Luna splendente di magnitudine -2,7, più brillante di Giove visto dai nostri cieli. Lo spettacolo di questi due corpi celesti separati da una distanza angolare di poche decine di minuti d'arco, dovrebbe essere sorprendentemente bello. Il nostro pianeta sottende un angolo superiore ad 1', al limite della risoluzione dell'occhio nudo.
Non abbiamo purtroppo immagini di questo spettacolo cosmico, quindi dobbiamo accontentarci della nostra immaginazione.

Con la nostra astronave virtuale, ci spostiamo velocemente verso la parte esterna del sistema solare. Per guadagnare la spinta necessaria per uscire dall'attrazione gravitazionale del Sole, meglio fare un fly-by con la Terra: un incontro ravvicinato che ci permette di guadagnare velocità sfruttando il suo campo gravitazionale.
E tanto che ci siamo, godiamoci anche un'istantanea di questo veloce passaggio:

Fly-by della sonda Rosetta con la Terra per acquistare maggiore velocità


Da questo punto in poi, la Terra e la Luna diventano corpi celesti interni, più vicini al Sole rispetto alla nostra posizione. Questo implica che sarà evidente il fenomeno delle fasi ed i due corpi non si discosteranno dal Sole per più di qualche decina di gradi al massimo.
Mano a mano che la distanza aumenta, la Terra riduce inesorabilmente le sue dimensioni.
A circa 10 milioni di chilometri di distanza, diventa difficile notare particolari in un disco ormai davvero piccolo, come testimonia questa immagine ripresa dalla sonda Juno il 26 Agosto 2011 in viaggio verso Giove. Questa è circa la visione che si avrebbe ad occhio nudo:

Terra e Luna ripresi dalla sonda Juno ad una distanza di circa 10 milioni di chilometri

Ben presto arriviamo su Marte e finalmente possiamo atterrare e goderci lo spettacolo con più calma, anche perché poi il viaggio proseguirà senza altre soste.
Dalla superficie del pianeta rosso, la Terra raggiunge massime elongazioni di circa 47,5°, simili a quelle di Venere visto dai nostri cieli. In queste circostanze, la Terra brilla di magnitudine -2,5, mentre la Luna, distante circa 9', di magnitudine 0,9.
E' un po' curioso notare che Venere, nonostante sia più distante, è più brillante della Terra. Il motivo è da ricercare nella percentuale di luce riflessa dai due pianeti. L'atmosfera di Venere riflette circa il 75% della luce incidente, mentre la Terra, coperta per il 70% da acque (molto scure), ne riflette appena meno del 30%.
Quanti di voi vorrebbero però assistere ad una bella congiunzione Venere-Terra? Il rover Spirit della NASA ha avuto questa fortuna:

Venere e la Terra nel cielo marziano subito dopo il tramonto del Sole


Oppure volete osservare Giove e la Terra nella stessa immagine? Da Marte anche questo è possibile:

Congiunzione Giove-Terra osservata da Marte

Proiettiamoci ora verso la periferia del Sistema Solare.
La Terra e la Luna ben presto diventano un unico piccolo punto di tonalità azzurra. La separazione angolare è troppo bassa per distinguere i due corpi celesti senza un ausilio ottico.
Anche la magnitudine e la distanza angolare dal Sole si riducono inesorabilmente.

Arrivati alla distanza di Saturno, il nostro pianeta appare un piccolo punto indistinto dal diametro massimo che supera di poco i 2", brillante di magnutidine 1,2. La Luna ha un diametro apparente 4 volte inferiore ed una luminosità di appena magnitudine 5,3. La separazione dei due corpi celesti sfiora il minuto d'arco alla minima distanza, alla quale però l'osservazione è davvero difficoltosa a causa della vicinanza del Sole e della sottilissima fase sottesa dai due corpi celesti.
Grazie al sistema di anelli, se calcoliamo bene distanze e geometrie, abbiamo la possibilità di osservare uno dei più belli spettacoli del sistema solare.
la sonda Cassini, in orbita attorno al pianeta dal 2004 ci è riuscita.
Guardate questa foto:

La Terra immersa nel chiarore degli anelli di Saturno

Riuscite a vedere un puntino nella parte sinistra degli anelli?
Non lo vedete bene?
Guardate meglio:
Il piccolo punto azzurro brilla di magnitudine 1,2

Quel puntino azzurro è proprio la Terra, immersa nella luce del Sole diffusa dagli anelli. Questa meraviglisa immagine è stata ottenuta grazie allo schermo naturale prodotto dal globo di Saturno che ha oscurato il Sole e reso visibile il nostro lontano pianeta. Siamo infatti a circa 1,5 miliardi di chilometri da casa e viene da chiedersi: come possono trovare posto 6 miliardi di persone in un punto così infinitamente piccolo?

Arriviamo ai confini del Sistema Solare, con l'immagine più famosa della storia e quella che attualmente detiene il record di distanza.
La sonda Voyager 1 il 14 Febbraio 1990, alla distanza di oltre 6 miliardi di chilometri, diede un ultimo sguardo verso quella remota casa che non avrebbe mai più raggiunto.
La foto di quel piccolo punto azzurro, denominato in inglese "The Pale Blue Dot", fu un'idea del grande astrofisico e scrittore Carl Sagan, che propose di scattare questa immagine già nel 1981, come testimonianza della nostra posizione ed importanza nell'Universo.
L'immagine ritrae il piccolo punto azzurro immerso nel chiarore di un Sole ormai anche esso irriconoscibile perché ridotto ad un punto, sebbene molto luminoso. Nassuna traccia della Luna, troppo vicina e debole. Nessuna speranza neanche di risolvere quel punto di magnitudine circa 5, ormai troppo debole per essere osservato anche con potenti telescopi.

La Terra vista da una distanza di 6 miliardi di chilometri dalla sonda Voyager 1


I tecnici della NASA fecero di più che catturare la debole luce della Terra. Come ultimo saluto al grande viaggio della Voyager 1, ripresero quello che venne definito ritratto di famiglia. Da quella prospettiva unica sul sistema solare, la luce di 6 pianeti fu l'ultima immagine catturata dalle videocamere della sonda.

Ritratto di famiglia da 6 miliardi di chilometri di distanza. Dall'alto in basso, da sinistra a destra: Venere, Terra, Giove, Saturno, Urano e Nettuno

Siamo arrivati alla conclusione di questo post, ma prima di salutarvi vi invito a riguardare quest'utlima immagine della Terra e a pensare che tutta l'umanità è racchiusa in un punto dal diametro inferiore ad un pixel.

sabato 7 gennaio 2012

Il triste destino della sonda Phobos Grunt: tra qualche giorno si distruggerà in atmosfera

Tempi difficili per l'agenzia spaziale russa.
Dopo aver perso lo scorso agosto il satellite per telecomunicazioni Express AM4, ora anche il fiore all'occhiello, la sonda Phobos Grunt, che doveva segnare il ritorno dei russi ai viaggi interplanetari, si accinge a terminare con largo anticipo la sua missione, a dire il vero mai iniziata.

La sonda russa Phobos Grunt ha ormai i giorni contati
Phobos Grunt è stata lanciata il l'8 Novembre scorso da Baikonur, Kazakhstan, con l'obiettivo di raggiungere Marte ed una sua luna, Phobos.
Il lancio avvenne senza problemi e dopo pochi minuti la sonda raggiunse l'orbita di parcheggio a poche centinaia di chilometri dalla superficie terrestre. In questo punto avrebbe dovuto accendere i propri razzi per acquisire la spinta necessaria per raggiungere Marte.
E' proprio in questa delicata fase che qualcosa, non si ancora bene che, non ha funzionato. I razzi della sonda non si sono accesi e tutti i frenetici tentativi di contattarla per capire cosa fosse successo sono falliti.

La sonda Phobos Grunt era rimasta a tutti gli effetti intrappolata nella bassa orbita terrestre, tanto che diversi astrofili sono riusciti anche a riprenderla con semplici telescopi o ad osservarla addirittura ad occhio nudo come un punto in movimento.

Il tempo però è sempre tiranno.
La finestra per raggiungere Marte sarebbe durata pochi giorni, e per di più un'orbita così bassa risente dell'attrito dell'atmosfera terrestre, risultando estremamente pericolosa.
Per settimane i tecnici dell'agenzia spaziale russa hanno cercato invano di comunicare con la sonda.
Con l'aiuto delle antenne dell'agenzia spaziale europea è stato finalmente stabilito un primo contatto il 23 Novembre, che ha fatto riaccendere la speranza nei tecnici russi.

La gioia però ha avuto vita molto breve.
Phobos Grunt bloccata in orbita ripresa da un astrofilo francese
A causa della grande velocità orbitale, scesa inesorabilmente su un'orbita sempre più bassa, le difficoltà di comunicazione sono state insormontabili. I pochi dati telemetrici trasmessi nei successivi due contatti, durati pochi minuti, non sono stati sufficienti a capire la fonte del problema. Tutti i tentativi dei tecnici di impartire l'ordine di accendere i razzi per alzarne l'orbita sono falliti.

Le dettagliate immagini dell'astrofilo francese Thierry Legault mostrano una sonda senza macroscopici problemi strutturali, ma con un'orientazione rispetto al Sole contraria a quella che aveva dovuto assumere. I pannelli solari, unica fonte di energia, si sono aperti ma non sono illuminati dal Sole.
Non si sa se è stato un difetto software o un malfunzionamento dei razzi di posizionamento ad immettere la sonda con l'orientazione sbagliata e forse non lo scopriremo mai.
E' plausibile che i pannelli solari male orientati non abbiano fornito energia sufficiente per alimentare tutte le apparecchiature della sonda (computer, comunicazione, regolazione della temperatura del carburante) e che quindi non abbia potuto neanche iniziare la sua missione.

Con il passare dei giorni, la finestra per un disperato tentativo di raggiungere Marte si è definitivamente chiusa.
Ben presto la priorità è diventata quella di salvare la sonda da un rientro in atmosfera ormai prossimo, e magari poi dirigerla verso qualche altro corpo celeste (presumibilmente la Luna).
I primi giorni di Dicembre, dopo il fallimento di tutti i successivi tentativi di comunicazione, i tecnici dell'ESA si arresero.
Così, dopo aver visto tramontare il sogno marziano, Phobos Grunt ha visto avvicinarsi inesorabilmente una fine che non si sarebbe mai aspettata. L'orbita nella quale si trovava era troppo bassa e l'attrito con le residue molecole dell'atmosfera terrestre l'avrebbe fatta lentamente abbassare, fino a farla precipitare e distruggere in atmosfera.

Proprio come successe ai satelliti UARS e Rosat, il rientro in atmosfera di Phobos Grunt, previsto per la metà di Gennaio, avverrà in modo totalmente incontrollato, quindi sarà impossibile prevedere l'istante esatto e le località interessate della superficie terrestre.
Data la grande massa, numerosi frammenti raggiungeranno il suolo, ma questa volta il rischio, se vogliamo, è maggiore e deriva da un'altra variabile.
Contrariamente ai satelliti già precipitati, ormai inoperativi e privi di razzi o carburante, Phobos Grunt ne è invece pieno fino all'orlo. Visto che nessuno dei razzi che avrebbeo portato il satellite verso Marte si è acceso, i serbatoi contengono circa 11 tonnellate di idrazina e tetrossido di azoto (il carburante usato per i viaggi interplanetari), sostanze altamente tossiche.
E' questo carico inaspettato che rende il rietro della sonda diverso e più preoccupante rispetto ai satelliti dei mesi passati.
Vista l'estrema volatilità di questi composti, quasi tutti gli esperti sono portati a pensare che si vaporizzeranno nei primi istanti del rientro in atmosfera, aiutati dal fatto che i serbatoi sono fatti di alluminio, materiale poco resistente alle alte temperature. In questi eventi così straordinari le previsioni però non possono essere precise al 100%, soprattutto per la peculiare forma e struttura di Phobos Grunt.
Il carburante, infatti, non è contenuto in un solo serbatoio. Lo stadio principale, quello che doveva dare la spita verso Marte, ne contiene la quantità principale, suddivisa in diversi serbatoi, di cui uno a forma di anello ed altri a forma di sfere, tutti ben esposti, quindi presumibilmente destinati a disintegrars.
Altri serbatoi sono contenuti nell'orbiter che avrebbe dovuto raggiungere Marte, nel modulo che era destinato alla discesa su Phobos e nella piccola capsula che sarebbe poi tornata verso Terra una volta raccolti campioni di suolo.
Questi, sebbene più piccoli, sono anche nascosti, quindi maggiormente protetti dall'intenso calore del rientro e potrebbero avere maggiori possibilità di raggiungere il suolo ancora integri, soprattutto se i sistemi di gestione della sonda sono inattivi (come si pensa) ed abbiamo lasciato congelare il carburante.
A bordo è presente anche una piccola quantità di Cobalto-57, materiale radioattivo utilizzato per lo spettrometro di massa, che comunque si vaporizzerà nell'atmosfera e non creerà alcun tipo di problema.
Un'altra incognita è costituita dal piccolo satellite cinese Yinghuo 1.  L'agenzia spaziale cinese, infatti, non ha fornito (come invece si è soliti fare) alcuna specifica sui materiali impiegati e contenuti all'interno, quindi non è dato sapere se resisterà all'impatto con l'atmosfera terrestre e se contiene materiale tossico che potrebbe raggiungere il suolo.

In ogni caso, si stima che alla fase di rientro sopravviveranno detriti per un totale di qualche centinaio di chilogrammi.
Sicuramente arriverà ragigungerà inalterato la superficie il modulo che sarebbe poi dovuto ritornare comunque sulla Terra (grande quando una palla da basket), visto che è l'unico predisposto di uno scudo termico in grado di resistere all'intenso calore prodotto dall'attrito con l'atmosfera.

Alcuni piccoli pezzi della sonda sono stati già osservati distaccarsi e rientrare in atmosfera gli ultimi giorni dello scorso Novembre. Questo evento imprevisto, sommato ad un'orbita che inizialmente non era vista decadere come ci si aspettava, hanno fatto maturare da più parti l'ipotesi che la sonda abbia subito anche qualche danno strutturale, forse in seguito all'esplosione di un serbatorio o ad una perdita di carburante.

Tra le possibili traiettorie di rientro dei detriti c'è anche l'Italia ancora, come peraltro tutte le località comprese tra 51° di latitudine nord e sud: è ancora troppo presto per fare previsioni precise.
Per il momento il rientro è previsto per il 16 Gennaio, con un errore di +/- 2 giorni, influenzato non poco dall'attività solare.
E' possibile seguire l'evolversi della situazione qui

Come nei casi dei satelliti precedenti, non c'è motivo quindi per allarmarsi. Lo scenario più probabile vede i resti della sonda inabissarsi in qualche oceano, anche se non è quello che sperano i tecnici russi, visto che dallo studio dei resti cercheranno di capire cosa non ha funzionato e di recuperare le poche strumentazioni sopravvissute. In ogni caso, la probabilità che pezzi possano giungere in Italia è remota e pari a circa 1/1000.


La missione Phobos Grunt si era prefissata un obiettivo mai raggiunto prima nella storia dell'astronautica: un modulo sarebbe sceso sulla superficie di una delle lune di Marte, Phobos, e avrebbe raccolto dei campioni in una piccola capsula che sarebbe poi tornata sulla Terra. La sonda contiene anche il primo satellite interplanetario cinese, Yinghuo 1, un piccolo orbiter destinato a studiare l'atmosfera e la superficie di Marte dalla sua orbita, aggiungendosi agli orbiter americani attualmente attivi (Mars Odyssey e Mars Reconnaissance Orbiter), e a quello europeo (Marx Express).

Purtroppo anche questa volta le speranze dei russi si sono infrante, continuando quella che ormai è da più parti tacitamente ritenuta una vera e propria maledizione marziana.
I sovietici prima, ed i russi successivamente, hanno provato infatti ad inviare sul pianeta rosso ben 18 sonde automatiche. Di queste, solamente 6 hanno raggiunto il pianeta e trasmesso qualche dato. Ma anche tra queste 6 superstiti, nessuna è rimasta operativa più di qualche giorno, nessun lander è atterrato sano e salvo sulla superficie e pochissime sono le immagini ricevute.

Una missione verso Phobos fu programmata e lanciata già nel 1988, con una coppia di satelliti indipendenti. Tutto sembrava andare bene, ma nell'avvicinamento finale a Marte, di Phobos 1 prima e Phobos 2 poi, si persero per sempre le tracce.

E' effettivamente difficile non vedere a prima vista un pizzico di sfortuna in tutta questa lunga serie, soprattutto quando si perdono inspiegabilmente le comunicazioni con sonde che per mesi hanno risposto egregiamente; ma se 18 missioni su 18 sono inesorabilmente fallite, probabilmente c'è qualcosa da rivedere nella fase di progettazione e programmazione.

Restate aggiornati per ulteriori novità.

domenica 13 novembre 2011

Il nostro magnifico pianeta dallo spazio

Sin da piccolo ho sempre immaginato fome fosse guardare la Terra dallo spazio; non dai soli 350 km della stazione spaziale, ma da una distanza alla quale la vediamo grande come la Luna o poco di più.
Come apparirebbe il nostro pianeta? Di che colore sarebbe? quali e quanti continenti potrei vedere ad occhio nudo?

Probabilmente non avrò mai la possibilità di provare direttamente questa emozione, ma con una bella ricerca su internet è possibile avvicinarvisi quel tanto che basta per far provare un brivido di emozione al mio corpo.

Pochi giorni fa mi sono imbattuto in un sito bellissimo: l'altlante delle immagini scattate dagli astronauti delle missioni Apollo durante i loro viaggi al di fuori del nsotro pianeta negli anni 60-70.
Ho cercato a fondo un'immagine che potesse causarmi un tuffo al cuore, e alla fine l'ho trovata.

La Terra e l'Italia in una calda giornata del Luglio 1969
La Terra ripresa dagli astronauti dell'Apollo 11 poco prima di immettersi nell'orbita lunare e scendere per la prima volta sul suolo selenico.
Sono rimasto per diversi minuti ad ammirare questa immagine che mostra il nostro pianeta con una fase di poco superiore al primo quarto. Non solo per la meravigliosa bellezza di colori e contrasti visibili, ma anche e soprattutto per il significato.
Questa foto è stata scattata dai primi uomini che da lì a poche ore avrebbero camminato sul suolo lunare; degli uomini che si sono spinti laddove nessuno fino a quel momento era andato.
Ammirare la foto significa vivere le emozioni di quei pionieri che per la propria passione ed i propri sogni hanno rischiato la loro vita. Riesco a percepire la mano emozionata di colui che dall'olbò del finestrino del piccolo Apollo 11 ha immortalato su pellicola fotografica questo spettacolo, magari dopo averlo ammirato per diversi minuti. Qui trovate la versione a risoluzione piena

E come se non bastasse, nella foto a piena risoluzione è ben visibile anche l'Italia, in una calda e soleggiata giornata del Luglio 1969. Chissà, forse alcuni, me compreso, non erano ancora nati. In quel giorno, magari, mentre tre coraggiosi uomini stavano fotografando il nostro pianeta da centinaia di migliaia di chilometri di distanza, molti italiani si trovavano in vacanza a bordo delle loro cinquecento, grazie al boom economico.
E chissà cosa si diceva del clima; cosa trasmetteva la tv in bianco e nero, cosa facevano e sognavano i giovani di allora diventati gli uomini di oggi e dove si trovavano le persone a noi care che non ci sono più.

Guardo questa immagine e non posso fare a meno di emozionarmi perché contiene un mondo, una società e le vite di miliardi di persone che in quel momento erano i custodi di questo meraviglioso pianeta.