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giovedì 30 marzo 2017

Le infernali condizioni del sistema planetario TRAPPIST-1

L’annuncio della scoperta di 7 pianeti rocciosi attorno alla stella nana rossa TRAPPIST-1, di cui tre nella fascia di abitabilità, quindi potenzialmente in grado di ospitare acqua liquida in superficie, ha fatto il giro del mondo e ha regalato generosi sogni a tutti gli appassionati. La cassa di risonanza dei mass media ha amplificato fino all’esasperazione delle presunte caratteristiche che nessuno, nella comunità scientifica, aveva in realtà citato. Ecco allora che i primi lanci di agenzia parlavano di pianeti gemelli della Terra, simili in tutto e per tutto al nostro pianeta, sui quali la vita era considerata un fatto ormai scontato. Le agenzie di viaggio di mezzo mondo erano già pronte a staccare impossibili biglietti per le prossime vacanze estive a prezzi stracciati, comodamente seduti all’interno di un’astronave che avrebbe impiegato appena 700 mila anni per arrivare.

Rappresentazione artistica (e ottimistica) del sistema TRAPPIST-1
Se sognare è lecito e a volte persino necessario, non dobbiamo mai dimenticare però che la realtà spesso è ben diversa da quella raccontata da molti mezzi di informazione. Che quel sistema avesse poco o nulla in comune con la Terra era già evidente, a cominciare da ciò che davvero conoscevamo di quei lontani mondi: il raggio, una rozza stima della massa, la distanza orbitale dalla stella madre e il periodo di rivoluzione. Non si sapeva molto altro, ma tanto bastava per escludere una forte somiglianza con la Terra: i 7 pianeti, infatti, ruotano attorno a una stella poco più grande (in dimensioni) di Giove, 8 volte più piccola del Sole e 12 volte meno massiccia. I periodi di rivoluzione variano da poco più di un giorno per il più interno a un paio di settimane per quello più esterno (18 giorni per la precisione) e sono tanto vicini gli uni agli altri che dalla superficie di uno di questi si possono vedere i dischi degli altri, come se nel nostro cielo ci fossero altre sei lune. Di quel sistema l’unica cosa simile alla Terra sono le dimensioni dei pianeti e il fatto che alcuni di questi orbitano a una distanza dalla propria stella che permette di ricevere circa la stessa quantità di energia di quella che qui riceviamo dal Sole: nient’altro. Da qui a gridare alla vita ce ne vuole, anche perché, tutti lo sapevano, la stella attorno alla quale orbitano è una nana di classe M8, che tradotto dal linguaggio astronomico significa un oggetto molto particolare e irrequieto.

Le nane rosse, le stelle più piccole e meno brillanti dell’Universo, sono infatti note per essere astri molto instabili a causa dei forti e complessi campi magnetici che sono in grado di scatenare potenti brillamenti, esplosioni superficiali che scagliano nello spazio enormi quantità di radiazioni elettromagnetiche molto pericolose, come i raggi X e UV, e particelle subatomiche estremamente energetiche. La nana rossa del sistema TRAPPIST-1 ha solo mezzo miliardo di anni, quindi è estremamente giovane: questo non deponeva già a favore di una sua stabilità e ora ne abbiamo le prove.

Un gruppo di ricerca ungherese ha studiato infatti il comportamento della stella analizzando i dati fotometrici del telescopio spaziale Kepler e ha pubblicato un interessante articolo (attualmente in revisione presso la rivista Astrophysical Journal) che ben delinea l'inquietante scenario a cui sono sottoposti i sette pianeti del sistema TRAPPIST-1. Ebbene, possiamo definitivamente moderare l’entusiasmo, perché ora abbiamo le prove di quello che un po’ tutti pensavano.
La piccola nana rossa è infatti una stella estremamente instabile. Analizzando la sua luce in funzione del tempo, i ricercatori hanno scoperto l’esistenza di grosse macchie, simili, ma più estese, di quelle solari e la presenza di decine di potenti e complessi brillamenti, che avvengono con una cadenza anche di poche ore l’uno dall’altro. La potenza di queste esplosioni è paragonabile a quella dei più potenti flare di cui è capace il Sole, tra cui il famoso evento Carrington, che nel diciannovesimo secolo ha regalato aurore quasi fino all’equatore e causato molti problemi alla giovane linea telegrafica degli Stati Uniti. Stiamo parlando di eventi che possono rilasciare un’energia fino a 10^33 erg, pari a quella di un miliardo di bombe Zar, l’arma nucleare più potente e distruttiva mai concepita dall’essere umano. Poiché i pianeti di TRAPPIST-1 orbitano dalle 10 alle 100 volte più vicini alla stella rispetto alla Terra, i brillamenti stellari scatenerebbero tempeste magnetiche migliaia di volte più intense rispetto alle più potenti che hanno colpito il nostro pianeta. Non sappiamo quali sono le caratteristiche di questi pianeti, ma siamo perfettamente coscienti che se la Terra si trovasse al posto di uno qualsiasi di loro verrebbe sterilizzata e privata dell’atmosfera in breve tempo. A questo punto, allora, c’è solo da augurarsi che questi corpi celesti non siano davvero intrinsecamente simili alla Terra, altrimenti il loro destino sarebbe già stato scritto da milioni di anni e non sarebbe di certo favorevole allo sviluppo della vita come la conosciamo.  

La curva di luce della stella TRAPPIST-1 mostra improvvise impennate scatenate da imponenti flare che ne aumentano di oltre tre volte la luminosità.

Quanto devono essere diversi questi pianeti per poter resistere all’esuberanza della loro stella?
Solo un forte campo magnetico può schermare le atmosfere planetarie ed evitare una rapida erosione, come accaduto per Marte, ma questo dovrebbe essere migliaia di volte più potente di quello della Terra. In un sistema che potrebbe essere bloccato dalle forti forze mareali, ovvero in cui i periodi di rotazione dei pianeti dovrebbero coincidere con quelli di rivoluzione, tutti superiori al giorno terrestre, si fatica a capire come questi pianeti abbiano potuto creare un campo molto più intenso del nostro e mantenere un’atmosfera stabile. 

Come se non bastasse, le enormi esplosioni di questa stella ne aumentano la luminosità e questo implica che l’energia che ricevono i pianeti varia sensibilmente nel tempo. La zona di abitabilità, quindi, non avrebbe un confine netto e potrebbe variare di milioni di chilometri, facendo entrare e uscire di continuo i tre pianeti per noi più interessanti. Se anche ci fosse lo scudo magnetico a proteggere l’atmosfera dall’erosione da parte delle particelle cariche scagliate durante i brillamenti, cosa potrebbe garantire la stabilità atmosferica quando l’energia ricevuta può cambiare anche di tre volte in breve tempo? La risposta è sconsolante: niente. Il tempo di assestamento di un’atmosfera simile a quella terrestre, dopo che viene alterata da una potente esplosione stellare, è di qualche migliaio di anni, ben maggiore della frequenza dei flare più violenti registrata su TRAPPIST-1. La conseguenza è quindi inevitabile: le atmosfere di questi pianeti, qualora fossero presenti (cosa non scontata), sarebbero estremamente instabili e non favorevoli all’evoluzione della vita, che a prescindere dalle condizioni di cui necessita per nascere richiede una forte stabilità ambientale per evolversi, un ingrediente che manca del tutto in ognuno di questi sette pianeti. 
Lo scenario più probabile è la totale apocalisse: nessuna atmosfera attorno ai corpi celesti, superficie completamente sterile e solcata magari da grandi vulcani e imponenti colate laviche, come accadeva sulla giovane Terra: quanto di più lontano possa esserci per lo sviluppo e l'evoluzione di qualsiasi forma di vita.

Molti saranno rimasti delusi, ne sono certo, perché la nostra latente solitudine cosmica ha bisogno di essere colmata cercando qualcosa di familiare nell’immensa oscurità dell’Universo. In un luogo tanto vasto, tanto alieno, tanto al di là della nostra esperienza, al punto che spesso è più facile dimenticare che provare a immaginare, trovare un altro mondo simile al nostro rappresenterebbe quell’irrazionale sollievo al peso sempre maggiore della consapevolezza. Ma l’Universo non è fatto a nostra immagine e somiglianza e la sua vera bellezza è proprio l’eccezionale varietà di situazioni e fenomeni straordinari, molti dei quali difficili da immaginare finché non vengono scoperti. Cercare pianeti con la morbosa ossessione di trovare un qualsiasi appiglio che ci faccia sentire meno soli nell’Universo, rappresenta la trasposizione cosmica di quell’impaurito viaggiatore che esce per la prima volta dal proprio paese e, invece di immergersi nella cultura del luogo che sta visitando, si rifugia disperato nel primo ristorante italiano che trova lungo la strada, che di italiano, poi, ha solo il nome e ben poco altro. Lasciamo da parte le ancestrali ossessioni e concentriamoci, invece, nell’esplorare un luogo tanto alieno e altrettanto spettacolare, altrimenti rischieremo seriamente di rovinarci il viaggio più bello, lungo, libero e meraviglioso della nostra storia.

martedì 1 dicembre 2015

Molto probabilmente non siamo l'unica specie intelligente dell'Universo



L’astronomo americano Frank Drake, negli anni 60 del secolo scorso, propose un’equazione semplice per cercare di stimare il numero di civiltà evolute nella Via Lattea, introducendo una serie di parametri e moltiplicandoli tra di loro.
Nella sua forma classica, l’equazione è questa:


A livello matematico non fa una piega, ma tra la matematica e la fisica c’è di mezzo la conoscenza della realtà. Indaghiamo il significato delle variabili e capiremo meglio cosa influisce sull’esistenza di una tale civiltà.
R* rappresenta il tasso di formazione di nuove stelle nella Via Lattea, un dato importante che può fornirci uno spaccato temporale dell’eventuale evoluzione della vita.
fp è la frazione di stelle che possiedono dei pianeti. È un parametro scontato, perché civiltà evolute hanno sicuramente bisogno di un corpo planetario.
ne rappresenta il numero medio dei pianeti in un dato sistema stellare che sono in grado di ospitare la vita, quindi, in prima approssimazione quei corpi celesti nelle condizioni simili alla Terra.
fl rappresenta la frazione di pianeti abitabili su cui si è effettivamente sviluppata la vita. Com’è facile intuire, questo è un valore molto difficile da stimare con le nostre attuali conoscenze.
fi è la frazione di quei pianeti in cui si è sviluppata la vita intelligente. A titolo di esempio Marte, che potrebbe ospitare forme di vita primitive, sarebbe escluso da questo conteggio.
fc rappresenta la frazione di quelle civiltà che sono in grado di comunicare direttamente o indirettamente.
L infine, è una stima della durata di una tale civiltà evoluta e/o del periodo in cui riesce a comunicare.

Detta in questi termini, l’equazione di Drake sembra solo un bell’esercizio matematico di dubbia utilità per la ricerca di vita intelligente perché per dirci quante civiltà possiamo scoprire richiede di conoscerne il numero e tutta una serie di parametri che non possiamo in alcun modo conoscere, ancora.
Tuttavia, in questi ultimi 50 anni la conoscenza dell’Universo, in particolare dei sistemi planetari, è passata dallo zero iniziale a un livello che per la prima volta ci consente di fare supposizioni sensate in merito all’esistenza di altre civiltà avanzate nell’Universo.
I parametri che ora conosciamo molto meglio di prima sono due: 1) La frazione di stelle che possiedono pianeti e 2) Il numero di pianeti in grado di ospitare la vita, ovvero che si trovano nella fascia di abitabilità.
Non c’è invece speranza per conoscere gli altri parametri, tra cui anche il tasso preciso di formazione di nuove stelle nella Via Lattea, quindi possiamo semplificare l’equazione di Drake accontentandoci di dare una stima delle civiltà avanzate che possono aver abitato l’Universo nel corso dei miliardi di anni invece di voler stimare il numero di civiltà che esistono in contemporanea alla nostra e che sono in grado di comunicare con noi.

Questa è l’obiettivo che si sono posti due ricercatori: Adam Frank dell’università di Rochester e Woody Sullivan dell’università di Whashington di Seattle.
Utilizzando le nuove conoscenze sul numero di pianeti e sulla frazione di questi che si trova nella fascia di abitabilità, hanno cercato di trovare un limite inferiore al numero di civiltà mai esistite nell’Universo. In questo modo non si deve più stimare il tasso di formazione stellare della Via Lattea né il numero di civiltà che esistono attualmente e che sono in grado di comunicare con noi e tantomeno la loro durata. Di fatto, la domanda non è più: quante civiltà esistono in contemporanea alla nostra e sono in grado di comunicare con noi, ma: qual è la probabilità che la nostra civiltà sia l’unica mai esistita nell’Universo osservabile?

Ecco, sebbene la risposta istintiva di ogni persona che conosce a grani linee quanto sia vasto l’Universo, nonché la base dei principi fisici su cui funziona, sarà sempre improntata ad affermare che noi non possiamo essere l’unica civiltà mai esistita in 14 miliardi di anni di storia del Cosmo, ora per la prima volta abbiamo un limite inferiore sotto cui sembra impossibile scendere. Anche volendo essere pessimisti all’ennesima potenza e affermare che la probabilità che un pianeta abitabile sviluppi forme di vita intelligenti sia di 10-24 ovvero di una su un milione di miliardi di miliardi (!), non sarebbe comunque abbastanza piccola da impedire l’esistenza di altre specie intelligenti in qualche parte dell’Universo, in un tempo qualsiasi della sua storia.

Chi mastica un po’ di proprietà dell’Universo, una probabilità così bassa non l’ha mai vista in nessun fenomeno conosciuto ed è per questo che a sensazione questo è davvero un valore minimo. Di fatto, è la presenza di pianeti nelle zone di abitabilità delle proprie stelle e l’esistenza della nostra specie a porre un limite inferiore alla probabilità dell’esistenza di altre forme di vita intelligenti; un numero che per quanto possa essere piccolo sarà sempre diverso da zero. E qualsiasi probabilità diversa da zero, in un ambiente la cui estensione spaziale tende (o lo è davvero) a infinito e quella temporale supera i 10 miliardi di anni, implica che l’evento associato si è ripetuto almeno un’altra volta al di fuori di noi, a voler essere davvero super pessimisti.
Frank e Sullivan hanno anche stimato che, se la possibilità che un pianeta nella zona abitabile sviluppi forme di vita intelligenti sia di una su 60 miliardi, allora nella Via Lattea non saremmo l’unica civiltà mai esistita.

Trovare dei valori più specifici richiederà ancora molto tempo e studi, ma di fatto l’articolo pubblicato da Frank e Sullivan sembra gettare per la prima volta le basi scientifiche affinché possiamo affermare con una certa confidenza di non essere gli unici abitanti intelligenti dell’Universo. E d’altra parte, una specie che abita su un pianeta comune, che orbita attorno a una stella normalissima, in un punto anonimo di una delle miliardi di galassie a spirale, fatta degli elementi più comuni dell’Universo, perché mai avrebbe dovuto essere l’unica mai esistita nel Cosmo?


martedì 3 novembre 2015

Che cos'è la vita?



In un precedente post abbiamo sfiorato il grande tema della vita e di quali siano le condizioni minime per la sua nascita. 
In questo posto approfondiamo la definizione di vita, cercando di rimanere nell'ambito biologico, senza sforare, troppo, nella sfera sprituale.
La domanda con cui si apre questo post è una delle più discusse, antiche e rincorse sin da quando l’essere umano primitivo ha preso coscienza di se stesso e del mondo che lo circondava.
Per millenni la risposta è stata lasciata in sospeso, affidata alla sfera delle divinità alla quale nessun essere umano, mortale e imperfetto, poteva avere accesso.
Non abbiamo naturalmente la presunzione di sostituirci a Dio, non lo faremo mai poiché non sappiamo rispondere, e forse non potremo mai farlo, a molte delle domande che iniziano con un “perché”, quesiti che cercano i motivi primi per i quali la scienza diventa uno strumento inefficace.

Siamo però potenzialmente in grado di comprendere come funziona l’intero Universo e tutti i suoi abitanti.
Nel nostro caso specifico, questo significa avere finalmente la possibilità di comprendere cosa sia la vita, quali i principi fisici alla base, come può nascere, evolvere, svilupparsi da un minuscolo batterio fino a un complicato essere umano, riprodursi ed espandersi in tutto l’Universo, colonizzandolo alla stregua delle stelle nelle galassie.
Non si sa perché la vita nasce, perché noi siamo qui; per ora non ci interessa, concentrati come siamo nel cercare.

Esulando completamente dal punto di vista spirituale – questo spetta a ognuno di noi – la definizione migliore e più semplice di vita è forse quella che sin dalle scuole elementari ci hanno insegnato: un organismo, non necessariamente cosciente, che utilizza alcuni processi e specie chimiche per ottenere energia e riprodursi. Questo è quello che fanno anche i minuscoli batteri, organismi costituiti da una sola cellula, nient’altro che l’unità vivente più piccola che possa esistere autonomamente.
Sulla Terra la vita è presente ovunque, così evidente che a volte non ce ne accorgiamo neanche di quanto abbia ormai modificato a sua immagine questo pianeta.

Ma non di rado riconoscere la vita, anche per gli scienziati che la studiano, può non essere facile.
Se parliamo di forme di vita intelligenti, tutti sanno benissimo identificare un essere umano. Non ci sono difficoltà neanche per tutte le forme macroscopiche come animali e piante. Ma ci sono classi di organismi, a volte molto semplici, altre più complesse, per cui le cose cambiano molto. Tutto questo perché i processi vitali, detti anche processi biologici, possono manifestarsi in modi estremamente diversi e adattarsi a condizioni che noi esseri umani non potremmo mai e poi mai sopportare.
Non sono passati molti anni da quando si è scoperto che complesse specie marine vivono addirittura sul fondo delle fosse oceaniche. Sotto più di dieci chilometri d’acqua, al buio più completo e perenne, con una pressione di oltre mille atmosfere e una temperatura sempre vicina allo zero, nessuno credeva che ci fosse posto per la vita come pensavamo di conoscerla. Eppure siamo stati clamorosamente smentiti, identificando delle specie che hanno addirittura subito notevoli segni di evoluzione. Com’è possibile che le molecole e i processi vitali possano sopravvivere a un ambiente così ostile? Evidentemente avevamo sottovalutato la capacità degli organismi di procacciarsi energia e la loro voglia inconscia di sopravvivere a dispetto di tutto e tutti.
In effetti negli ultimi venti - trent’anni il nostro concetto di vita si è evoluto in un modo notevole e inaspettato, anche se è ancora lungi dall’essere compreso fino in fondo. Però, forse, abbiamo capito dal punto di vista chimico e fisico la nostra domanda iniziale.

Cos’è allora la vita?
Precedentemente abbiamo dato una definizione in base al comportamento che osserviamo in tutti gli esseri viventi, ma andando più in fondo, arrivando al nocciolo della questione, le cose si complicano.
Anche le forme di vita più semplici sono in realtà estremamente organizzate, costituite da una serie di apparati che si sono strutturati in perfetta sintonia per ricavare energia dall’ambiente circostante, adattandosi alle più disparate condizioni esterne.
Quasi inconsapevolmente abbiamo allora subito a disposizione un’altra definizione, che meglio ci fa comprendere la situazione: un organismo vivente è un’entità che ha organizzato la materia presente nell’ambiente nel quale si è sviluppato e cerca in ogni modo di mantenere quest’organizzazione per il maggior tempo possibile.

Sembra una definizione un po’ più romantica e sicuramente a effetto, ma non è campata in aria.
Per apprezzarla fino in fondo dobbiamo considerare un principio della termodinamica che sembra valere per tutto l’Universo, e che prende in considerazione una parola strana (e forse odiata): entropia.
Seguendo le nozioni che probabilmente abbiamo almeno sentito di sfuggita alle scuole superiori, possiamo immaginare l’entropia come una misura del grado di disordine di un sistema qualsiasi. Il principio della termodinamica che la tira in ballo afferma che l’entropia di un sistema chiuso (come l’Universo) tende sempre ad aumentare con il passare del tempo. Questa frase, un po’ oscura, è di fondamentale importanza per il funzionamento dell’Universo stesso, perché indica la strada che tutti i processi fisici devono seguire.
Nessuno ha mai visto comparire una tazza da caffè da un cumulo di creta ammassato alla rinfusa, e nessuno ha mai visto crearsi un’automobile da un agglomerato casuale di lamiere. “È impossibile!” Diremmo con voce sicura.

L’aumento dell’entropia convince la nostra esperienza che è impossibile che una montagna si trasformi in una piramide perfetta semplicemente a causa dello scorrere del tempo e della forza degli elementi naturali.
Ma a ben guardare, le implicazioni sono più profonde: qualsiasi struttura ordinata è destinata infatti con il tempo a perdere inesorabilmente quell’ordine.
In altre parole, con il passare del tempo il disordine di una struttura e dell’Universo intero tende inesorabilmente ad aumentare.
Questo concetto universale si applica anche per i processi biologici ed è sostanzialmente quello che rende inevitabile la morte.

Se c’è una cosa che abbiamo imparato dallo studio dell’Universo è che segue delle regole ben determinate in cui le eccezioni non sono contemplate.
L’aumento dell’entropia è una di queste regole, che però sembra valere più come una linea di tendenza su un lungo periodo temporale, fortunatamente.
Si, perché di strutture ordinate nel Cosmo ce ne sono eccome: le galassie, le stelle, i pianeti, la vita.
Gli esseri viventi, soprattutto gli organismi complessi come il nostro, sono la palese manifestazione che l’aumento dell’entropia si può sospendere o aggirare in qualche modo, sebbene solo per un limitato periodo di tempo.

E allora ecco una definizione ancora più spettacolare della vita: un istante di durata infinitesima rispetto ai tempi dell’Universo in cui, più o meno casualmente, della materia disordinata si è incontrata e ha deciso di organizzarsi per cercare di invertire l’aumento dell’entropia. Un ammasso casuale di particelle che ha compiuto la magia impossibile: costruire un organismo perfettamente ordinato, comporre un’automobile da un groviglio informe di lamiere. Una probabilità infinitesima che però si è realizzata. La vita è dunque la battaglia per eccellenza contro l’aumento dell’entropia dell’Universo.

Noi esseri viventi non siamo altro che una fluttuazione infinitesima dell’entropia di un sistema, un piccolissimo strappo alle ferree regole dell’Universo reso possibile dalla brevità di questa nostra organizzazione. Siamo reazioni chimiche organizzate che cercano di combattere l’entropia riproducendosi, prima di venir smembrate da questa inevitabile spada di Damocle cosmica.
Da chi o cosa è messa in atto questa organizzazione?
Da precise interazioni tra molecole e atomi; in parole più chiare dalla fisica.

Il perfetto ordine con cui il nostro corpo compie movimenti, li coordina quasi senza che ce ne accorgiamo, elabora pensieri, parole, sentimenti e si mantiene in vita per diversi decenni, è regolato a livello fondamentale dall’interazione di atomi e molecole. La vita, quindi, si basa nient’altro che sulla chimica (una branca della fisica), su delle specie che legandosi, scindendosi e reagendo in modo ordinato rispetto al rumore di fondo inanimato riescono a dare vita a un piccolo batterio o ai nostri sogni.
Tutti i processi biologici sono quindi regolati da legami chimici tra atomi, alcuni dei quali sembrano avere la naturale tendenza ad aggregarsi e formare strutture in grado di mettere un po’ d’ordine nel caos totale del Cosmo.
Anche il sostentamento energetico deriva da particolari molecole che legate o spaccate dai processi biologici, quindi da altre specie chimiche, producono l’energia necessaria per alimentare il motore e combattere l’entropia.

Potremmo a questo punto fare un passo in avanti e giungere a una domanda alla quale nessuno ha ancora una risposta.
Se infatti è immaginabile capire che un organismo semplice, magari costituito da una sola cellula, si mantenga in vita solamente grazie a delle opportune reazioni chimiche, com’è possibile che una specie estremamente complessa ed evoluta come quella umana, capace di una coscienza, di pensieri, ragionamenti, sogni, sentimenti, sia regolata dagli stessi meccanismi?
Possibile che tutto quello che appartiene alla sfera interiore dell’uomo non sia altro che opportune reazioni chimiche organizzate?
Questa in realtà non è la domanda senza risposta, anzi, solamente l’unica nostra certezza in questo campo. Ed è naturalmente affermativa: anche noi, per quanto complessi, siamo regolati da reazioni chimiche tra atomi e molecole. I nostri pensieri sono creati, elaborati e immagazzinati seguendo lo stesso principio, senza eccezione. Cos’altro potrebbe essere in un Universo comandato perfettamente dalle leggi della fisica? Ci crediamo davvero così speciali da pensare di funzionare in modo unico e diverso? Non è riduttivo pensare che tutto quanto sia regolato dalla chimica e dalla fisica, anzi, guardandoci allo specchio dovremmo essere stupefatti e senz'altro fieri, perché siamo la manifestazione più spettacolare di quanto siano potenti ed eleganti le leggi che governano l'Universo.

La domanda a cui non riusciamo a rispondere è, trascurando il solito “perché”: qual è il confine tra un essere non cosciente, come un batterio, e uno cosciente? Com’è possibile che atomi e molecole diventino così organizzate da riuscire, tutte insieme, a rendersi conto della loro stessa esistenza e dell’ambiente che li circonda? Dove si trova questo confine a livello biologico? Non lo sappiamo e non lo sapremo forse per molto, molto tempo, ma abbiamo trovato una nuova definizione per la vita, seppur in questo caso limitata alla nostra specie umana: siamo un aggregato di atomi e molecole perfettamente organizzato e cosciente che ha deciso di sfidare per breve tempo la legge dell’entropia e combatte ogni giorno contro la voglia morbosa dell’Universo di riportare il disordine sull’ordine.

giovedì 22 ottobre 2015

Il grande mistero della vita



Per cercare forme di vita extraterrestri, che siano batteri o esseri più o meno evoluti, bisogna ben comprendere quali siano gli ingredienti della vita e come sia possibile che un gruppo di atomi qualsiasi si organizzino a tal punto da sostenersi, nutrirsi, muoversi, replicarsi e persino pensare. 
Come si formano i primi organismi a partire da semplici molecole a base di carbonio? Quando avviene la transizione tra materia inanimata e animata? Ed è nato prima il DNA che crea le proteine, o le proteine in modo che poi si formasse una molecola, il DNA, capace di utilizzarle e produrle?
A tutte queste domande rispondiamo con un colossale: non lo sappiamo. Ancora più lontani siamo dal comprendere quello che è senza dubbio il più grande mistero della biologia e, forse, anche sella filosofia: com'è possibile che atomi e comuni molecole riescano a raggiungere un livello di organizzazione tale da riuscire ad acquisire una coscienza e la capacità di rendersi conto della propria esistenza? Qual è la molla che fa scattare l'interruttore che segna il confine tra vita incosciente e cosciente? E per quale motivo fisico atomi inanimati riescono tutti insieme ad acquisire delle capacità che da soli o in compagnia, nel 99,9999% dell'Universo, non avranno mai? Nel centro delle stelle ci sono più atomi che in tutti gli esseri viventi che mai popoleranno questo pianeta, eppure le stelle non hanno coscienza, non sono neanche considerate esseri viventi.

Quello che possiamo cercare di fare è sperimentare, partendo dalla base della vita, da quegli organismi semplici che però hanno già fatto un passo enorme rispetto a tutti gli oggetti inanimati dell'Universo: vivere. Possiamo allora cercare di riprodurre le condizioni adatte alla vita e vedere in quanto tempo e come si sviluppa. Non sarà probabilmente sufficiente a capire tutto, ma almeno possiamo avere un’idea di quali possano essere gli ingredienti base.
Per ora sappiamo che serve l’acqua, ma potrebbe andar bene qualsiasi altro liquido? Ed è verosimile pensare che con un po’ d’acqua, qualche molecola organica pescata a caso e un po’ di energia che non guasta mai, sia possibile, semplicemente aspettando pazientemente, che la vita si crei da sola? In altre parole, i processi biologici sono una conseguenza inevitabile e spontanea nell’Universo, come la nascita delle stelle da una grande nube di gas che collassa?  

Nel corso degli anni sono stati molti gli esperimenti che hanno cercato di far luce su quest’affascinante argomento. Il più importante e famoso è senza dubbio l’apparato costituito da Miller e Urey. Noto semplicemente come esperimento di Miller, cercava di riprodurre le condizioni presenti sulla Terra poco dopo la sua formazione, compresa la composizione chimica del suolo e dell’atmosfera.
In un’ampolla era presente l’acqua che veniva riscaldata e fatta evaporare leggermente. I vapori andavano in un’altra ampolla che riproduceva la composizione chimica dell’atmosfera primordiale priva di ossigeno, ma ricca di ammoniaca, carbonio, idrogeno, metano. Il vapore acqueo condensava e poi tornava nel vaso contenente acqua arricchendola con gli elementi atmosferici e dando vita al brodo primordiale.
Nell’ampolla atmosferica era presente anche un elettrodo che simulava attraverso scariche elettriche i fulmini molto violenti e abbondanti nell’antica atmosfera terrestre.
Dopo qualche settimana, Miller e Urey notarono che nel brodo primordiale si erano formate spontaneamente diverse molecole organiche, tra cui proprio gli amminoacidi. I risultati sono stati confermati da tutti gli esperimenti successivi e testimoniano come agli ingredienti della vita non serve niente se non le leggi della chimica per aggregarsi. 

Naturalmente tra la formazione degli amminoacidi e le prime strutture viventi il passo è ancora lungo e in questo caso un ruolo fondamentale è svolto dal tempo.
Robert Hazen, geologo della George Mason University ha sicuramente inquadrato molto bene il contesto:
“Nell'arco di circa 10.000 anni una versione moderna dell'esperimento di Urey e Miller potrebbe effettivamente produrre una rudimentale molecola autoreplicante, capace di evolvere mediante selezione naturale: in breve, la vita. [...] La spiegazione più plausibile è che le molecole autoreplicanti si siano formate prima sulla superficie delle rocce. Le superfici umide della Terra primordiale avrebbero costituito un grande laboratorio naturale, portando avanti in qualsiasi momento qualcosa come 1030 piccoli esperimenti, per un periodo durato forse da 100 a 500 milioni di anni. Un esperimento di laboratorio che duri per 10.000 anni può quindi tentare di ricreare questa situazione eseguendo un gran numero di piccoli esperimenti contemporaneamente. Dall'esterno, queste incubatrici molecolari apparirebbero come stanze piene di computer ma al loro interno ci sarebbero laboratori chimici on-chip, contenenti centinaia di pozzi microscopici, ognuno con diverse combinazioni di composti che reagiscono su una varietà di superfici minerali.”
Quest’affermazione basata sui risultati di tutti gli esperimenti ci suggerisce anche un’altra cosa, che a questo punto pare come un’eventualità estrema ma teoricamente possibile: anche noi esseri umani, quando un giorno capiremo fino in fondo i processi biologici, potremmo mettere insieme gli ingredienti giusti e creare la vita partendo da materia inanimata. Qualcuno potrebbe vederci un comportamento eticamente e religiosamente discutibile ma non è questa la sede per discuterne. Ci troveremmo a fare quello che il caso dell’Universo ha eseguito qui sulla Terra. E lo scenario, pensando con mente aperta, potrebbe essere ancora più affascinante: se da qualche parte ci sono esseri più avanzati di noi, che siamo dei bambini per l’età dell’Universo, allora tutto quello che scopriamo e scopriremo sarà già stato affrontato e messo in atto da milioni o miliardi di anni. Noi, insomma, non saremmo di certo i primi.

Non sappiamo, in conclusione, come sia possibile passare da materia inanimata a organismi viventi e da questi fare poi il salto evolutivo verso esseri dotati di coscienza, ma abbiamo comunque un'affascinante base da cui partire. Questa montagna di atomi che costituisce un uomo, circa 71027  per essere precisi, proviene dalle più disparate parti dell'Universo. Alcuni, quelli di idrogeno, si sono formati pochi minuti dopo la nascita dell'Universo e sono vecchi di 13,8 miliardi di anni; tutti gli altri, invece, si sono generati nei nuclei di grandi stelle, in miliardi di anni di storia dell'Universo, in chissà quali regioni del Cosmo. Non solo siamo figli delle stelle, ma anche e soprattutto la manifestazione più alta dell'Universo che in un'opera titanica, combattendo contro quell'entropia che tende a distruggere ogni minimo ordine, ha organizzato miliardi di miliardi di miliardi di atomi così bene che riescono a pensare, a emozionarsi e a meravigliarsi di loro stessi e di ciò che li circonda. Se questa non è pura meraviglia, non so cos'altro possa esserlo.

venerdì 22 novembre 2013

Vita extraterrestre nel futuro del Sistema Solare?



Tra circa 5 miliardi di anni il Sole dovrebbe entrare nelle fasi finali della propria vita. L’idrogeno al centro scarseggerà, il nucleo si contrarrà aumentando di temperatura fino a 100 milioni di gradi e innescando la fusione dell’elio. Contemporaneamente gli strati esterni si espanderanno spazzando via Mercurio, Venere e probabilmente la Terra, ponendo fine per sempre al dominio della vita. Questa stella dal colore lievemente giallo, tranquilla per dieci miliardi di anni, si sarà trasformata in una gigante rossa, un astro enorme e centinaia di volte più luminoso di prima. 

Titano in un lontano futuro?
Se i pianeti interni potrebbero subire una fine scontata e terribile, grandi sconvolgimenti potrebbero toccare anche ai pianeti esterni e ai satelliti, in particolare a Titano.
La luna di Saturno, infatti, secondo alcuni studi si verrebbe a trovare alla giusta distanza dalla nuova configurazione stellare per sperimentare temperature miti, tali da sostenere l’acqua allo stato liquido.

Non sappiamo cosa succederà al metano e agli idrocarburi in superficie, probabilmente evaporeranno in poco tempo e si disperderanno prima in atmosfera, poi nello spazio. I raggi ultravioletti del Sole diraderanno la nebbia di idrocarburi, favorendo un ulteriore riscaldamento sufficiente per sciogliere le grandi riserve di ghiaccio d’acqua contenute nella crosta, generando probabilmente mari e oceani che prenderanno il posto degli antichi bacini di metano. 
L’acqua, mischiata all’ammoniaca e alle enormi quantità di molecole organiche, potrebbe rappresentare l’ambiente perfetto per la nascita di primitive forme di vita, proprio come è accaduto sulla Terra. Di tempo ce ne sarà in abbondanza, probabilmente più di un miliardo di anni.


Sarà un vero peccato non poter assistere allo spettacolo di un cielo finalmente trasparente, occupato per circa 1/3 dagli straordinari anelli di Saturno; il tutto, magari, da una tiepida spiaggia in riva a un oceano color verde smeraldo.