Visualizzazione post con etichetta vita. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta vita. Mostra tutti i post

martedì 3 novembre 2015

Che cos'è la vita?



In un precedente post abbiamo sfiorato il grande tema della vita e di quali siano le condizioni minime per la sua nascita. 
In questo posto approfondiamo la definizione di vita, cercando di rimanere nell'ambito biologico, senza sforare, troppo, nella sfera sprituale.
La domanda con cui si apre questo post è una delle più discusse, antiche e rincorse sin da quando l’essere umano primitivo ha preso coscienza di se stesso e del mondo che lo circondava.
Per millenni la risposta è stata lasciata in sospeso, affidata alla sfera delle divinità alla quale nessun essere umano, mortale e imperfetto, poteva avere accesso.
Non abbiamo naturalmente la presunzione di sostituirci a Dio, non lo faremo mai poiché non sappiamo rispondere, e forse non potremo mai farlo, a molte delle domande che iniziano con un “perché”, quesiti che cercano i motivi primi per i quali la scienza diventa uno strumento inefficace.

Siamo però potenzialmente in grado di comprendere come funziona l’intero Universo e tutti i suoi abitanti.
Nel nostro caso specifico, questo significa avere finalmente la possibilità di comprendere cosa sia la vita, quali i principi fisici alla base, come può nascere, evolvere, svilupparsi da un minuscolo batterio fino a un complicato essere umano, riprodursi ed espandersi in tutto l’Universo, colonizzandolo alla stregua delle stelle nelle galassie.
Non si sa perché la vita nasce, perché noi siamo qui; per ora non ci interessa, concentrati come siamo nel cercare.

Esulando completamente dal punto di vista spirituale – questo spetta a ognuno di noi – la definizione migliore e più semplice di vita è forse quella che sin dalle scuole elementari ci hanno insegnato: un organismo, non necessariamente cosciente, che utilizza alcuni processi e specie chimiche per ottenere energia e riprodursi. Questo è quello che fanno anche i minuscoli batteri, organismi costituiti da una sola cellula, nient’altro che l’unità vivente più piccola che possa esistere autonomamente.
Sulla Terra la vita è presente ovunque, così evidente che a volte non ce ne accorgiamo neanche di quanto abbia ormai modificato a sua immagine questo pianeta.

Ma non di rado riconoscere la vita, anche per gli scienziati che la studiano, può non essere facile.
Se parliamo di forme di vita intelligenti, tutti sanno benissimo identificare un essere umano. Non ci sono difficoltà neanche per tutte le forme macroscopiche come animali e piante. Ma ci sono classi di organismi, a volte molto semplici, altre più complesse, per cui le cose cambiano molto. Tutto questo perché i processi vitali, detti anche processi biologici, possono manifestarsi in modi estremamente diversi e adattarsi a condizioni che noi esseri umani non potremmo mai e poi mai sopportare.
Non sono passati molti anni da quando si è scoperto che complesse specie marine vivono addirittura sul fondo delle fosse oceaniche. Sotto più di dieci chilometri d’acqua, al buio più completo e perenne, con una pressione di oltre mille atmosfere e una temperatura sempre vicina allo zero, nessuno credeva che ci fosse posto per la vita come pensavamo di conoscerla. Eppure siamo stati clamorosamente smentiti, identificando delle specie che hanno addirittura subito notevoli segni di evoluzione. Com’è possibile che le molecole e i processi vitali possano sopravvivere a un ambiente così ostile? Evidentemente avevamo sottovalutato la capacità degli organismi di procacciarsi energia e la loro voglia inconscia di sopravvivere a dispetto di tutto e tutti.
In effetti negli ultimi venti - trent’anni il nostro concetto di vita si è evoluto in un modo notevole e inaspettato, anche se è ancora lungi dall’essere compreso fino in fondo. Però, forse, abbiamo capito dal punto di vista chimico e fisico la nostra domanda iniziale.

Cos’è allora la vita?
Precedentemente abbiamo dato una definizione in base al comportamento che osserviamo in tutti gli esseri viventi, ma andando più in fondo, arrivando al nocciolo della questione, le cose si complicano.
Anche le forme di vita più semplici sono in realtà estremamente organizzate, costituite da una serie di apparati che si sono strutturati in perfetta sintonia per ricavare energia dall’ambiente circostante, adattandosi alle più disparate condizioni esterne.
Quasi inconsapevolmente abbiamo allora subito a disposizione un’altra definizione, che meglio ci fa comprendere la situazione: un organismo vivente è un’entità che ha organizzato la materia presente nell’ambiente nel quale si è sviluppato e cerca in ogni modo di mantenere quest’organizzazione per il maggior tempo possibile.

Sembra una definizione un po’ più romantica e sicuramente a effetto, ma non è campata in aria.
Per apprezzarla fino in fondo dobbiamo considerare un principio della termodinamica che sembra valere per tutto l’Universo, e che prende in considerazione una parola strana (e forse odiata): entropia.
Seguendo le nozioni che probabilmente abbiamo almeno sentito di sfuggita alle scuole superiori, possiamo immaginare l’entropia come una misura del grado di disordine di un sistema qualsiasi. Il principio della termodinamica che la tira in ballo afferma che l’entropia di un sistema chiuso (come l’Universo) tende sempre ad aumentare con il passare del tempo. Questa frase, un po’ oscura, è di fondamentale importanza per il funzionamento dell’Universo stesso, perché indica la strada che tutti i processi fisici devono seguire.
Nessuno ha mai visto comparire una tazza da caffè da un cumulo di creta ammassato alla rinfusa, e nessuno ha mai visto crearsi un’automobile da un agglomerato casuale di lamiere. “È impossibile!” Diremmo con voce sicura.

L’aumento dell’entropia convince la nostra esperienza che è impossibile che una montagna si trasformi in una piramide perfetta semplicemente a causa dello scorrere del tempo e della forza degli elementi naturali.
Ma a ben guardare, le implicazioni sono più profonde: qualsiasi struttura ordinata è destinata infatti con il tempo a perdere inesorabilmente quell’ordine.
In altre parole, con il passare del tempo il disordine di una struttura e dell’Universo intero tende inesorabilmente ad aumentare.
Questo concetto universale si applica anche per i processi biologici ed è sostanzialmente quello che rende inevitabile la morte.

Se c’è una cosa che abbiamo imparato dallo studio dell’Universo è che segue delle regole ben determinate in cui le eccezioni non sono contemplate.
L’aumento dell’entropia è una di queste regole, che però sembra valere più come una linea di tendenza su un lungo periodo temporale, fortunatamente.
Si, perché di strutture ordinate nel Cosmo ce ne sono eccome: le galassie, le stelle, i pianeti, la vita.
Gli esseri viventi, soprattutto gli organismi complessi come il nostro, sono la palese manifestazione che l’aumento dell’entropia si può sospendere o aggirare in qualche modo, sebbene solo per un limitato periodo di tempo.

E allora ecco una definizione ancora più spettacolare della vita: un istante di durata infinitesima rispetto ai tempi dell’Universo in cui, più o meno casualmente, della materia disordinata si è incontrata e ha deciso di organizzarsi per cercare di invertire l’aumento dell’entropia. Un ammasso casuale di particelle che ha compiuto la magia impossibile: costruire un organismo perfettamente ordinato, comporre un’automobile da un groviglio informe di lamiere. Una probabilità infinitesima che però si è realizzata. La vita è dunque la battaglia per eccellenza contro l’aumento dell’entropia dell’Universo.

Noi esseri viventi non siamo altro che una fluttuazione infinitesima dell’entropia di un sistema, un piccolissimo strappo alle ferree regole dell’Universo reso possibile dalla brevità di questa nostra organizzazione. Siamo reazioni chimiche organizzate che cercano di combattere l’entropia riproducendosi, prima di venir smembrate da questa inevitabile spada di Damocle cosmica.
Da chi o cosa è messa in atto questa organizzazione?
Da precise interazioni tra molecole e atomi; in parole più chiare dalla fisica.

Il perfetto ordine con cui il nostro corpo compie movimenti, li coordina quasi senza che ce ne accorgiamo, elabora pensieri, parole, sentimenti e si mantiene in vita per diversi decenni, è regolato a livello fondamentale dall’interazione di atomi e molecole. La vita, quindi, si basa nient’altro che sulla chimica (una branca della fisica), su delle specie che legandosi, scindendosi e reagendo in modo ordinato rispetto al rumore di fondo inanimato riescono a dare vita a un piccolo batterio o ai nostri sogni.
Tutti i processi biologici sono quindi regolati da legami chimici tra atomi, alcuni dei quali sembrano avere la naturale tendenza ad aggregarsi e formare strutture in grado di mettere un po’ d’ordine nel caos totale del Cosmo.
Anche il sostentamento energetico deriva da particolari molecole che legate o spaccate dai processi biologici, quindi da altre specie chimiche, producono l’energia necessaria per alimentare il motore e combattere l’entropia.

Potremmo a questo punto fare un passo in avanti e giungere a una domanda alla quale nessuno ha ancora una risposta.
Se infatti è immaginabile capire che un organismo semplice, magari costituito da una sola cellula, si mantenga in vita solamente grazie a delle opportune reazioni chimiche, com’è possibile che una specie estremamente complessa ed evoluta come quella umana, capace di una coscienza, di pensieri, ragionamenti, sogni, sentimenti, sia regolata dagli stessi meccanismi?
Possibile che tutto quello che appartiene alla sfera interiore dell’uomo non sia altro che opportune reazioni chimiche organizzate?
Questa in realtà non è la domanda senza risposta, anzi, solamente l’unica nostra certezza in questo campo. Ed è naturalmente affermativa: anche noi, per quanto complessi, siamo regolati da reazioni chimiche tra atomi e molecole. I nostri pensieri sono creati, elaborati e immagazzinati seguendo lo stesso principio, senza eccezione. Cos’altro potrebbe essere in un Universo comandato perfettamente dalle leggi della fisica? Ci crediamo davvero così speciali da pensare di funzionare in modo unico e diverso? Non è riduttivo pensare che tutto quanto sia regolato dalla chimica e dalla fisica, anzi, guardandoci allo specchio dovremmo essere stupefatti e senz'altro fieri, perché siamo la manifestazione più spettacolare di quanto siano potenti ed eleganti le leggi che governano l'Universo.

La domanda a cui non riusciamo a rispondere è, trascurando il solito “perché”: qual è il confine tra un essere non cosciente, come un batterio, e uno cosciente? Com’è possibile che atomi e molecole diventino così organizzate da riuscire, tutte insieme, a rendersi conto della loro stessa esistenza e dell’ambiente che li circonda? Dove si trova questo confine a livello biologico? Non lo sappiamo e non lo sapremo forse per molto, molto tempo, ma abbiamo trovato una nuova definizione per la vita, seppur in questo caso limitata alla nostra specie umana: siamo un aggregato di atomi e molecole perfettamente organizzato e cosciente che ha deciso di sfidare per breve tempo la legge dell’entropia e combatte ogni giorno contro la voglia morbosa dell’Universo di riportare il disordine sull’ordine.

giovedì 22 ottobre 2015

Il grande mistero della vita



Per cercare forme di vita extraterrestri, che siano batteri o esseri più o meno evoluti, bisogna ben comprendere quali siano gli ingredienti della vita e come sia possibile che un gruppo di atomi qualsiasi si organizzino a tal punto da sostenersi, nutrirsi, muoversi, replicarsi e persino pensare. 
Come si formano i primi organismi a partire da semplici molecole a base di carbonio? Quando avviene la transizione tra materia inanimata e animata? Ed è nato prima il DNA che crea le proteine, o le proteine in modo che poi si formasse una molecola, il DNA, capace di utilizzarle e produrle?
A tutte queste domande rispondiamo con un colossale: non lo sappiamo. Ancora più lontani siamo dal comprendere quello che è senza dubbio il più grande mistero della biologia e, forse, anche sella filosofia: com'è possibile che atomi e comuni molecole riescano a raggiungere un livello di organizzazione tale da riuscire ad acquisire una coscienza e la capacità di rendersi conto della propria esistenza? Qual è la molla che fa scattare l'interruttore che segna il confine tra vita incosciente e cosciente? E per quale motivo fisico atomi inanimati riescono tutti insieme ad acquisire delle capacità che da soli o in compagnia, nel 99,9999% dell'Universo, non avranno mai? Nel centro delle stelle ci sono più atomi che in tutti gli esseri viventi che mai popoleranno questo pianeta, eppure le stelle non hanno coscienza, non sono neanche considerate esseri viventi.

Quello che possiamo cercare di fare è sperimentare, partendo dalla base della vita, da quegli organismi semplici che però hanno già fatto un passo enorme rispetto a tutti gli oggetti inanimati dell'Universo: vivere. Possiamo allora cercare di riprodurre le condizioni adatte alla vita e vedere in quanto tempo e come si sviluppa. Non sarà probabilmente sufficiente a capire tutto, ma almeno possiamo avere un’idea di quali possano essere gli ingredienti base.
Per ora sappiamo che serve l’acqua, ma potrebbe andar bene qualsiasi altro liquido? Ed è verosimile pensare che con un po’ d’acqua, qualche molecola organica pescata a caso e un po’ di energia che non guasta mai, sia possibile, semplicemente aspettando pazientemente, che la vita si crei da sola? In altre parole, i processi biologici sono una conseguenza inevitabile e spontanea nell’Universo, come la nascita delle stelle da una grande nube di gas che collassa?  

Nel corso degli anni sono stati molti gli esperimenti che hanno cercato di far luce su quest’affascinante argomento. Il più importante e famoso è senza dubbio l’apparato costituito da Miller e Urey. Noto semplicemente come esperimento di Miller, cercava di riprodurre le condizioni presenti sulla Terra poco dopo la sua formazione, compresa la composizione chimica del suolo e dell’atmosfera.
In un’ampolla era presente l’acqua che veniva riscaldata e fatta evaporare leggermente. I vapori andavano in un’altra ampolla che riproduceva la composizione chimica dell’atmosfera primordiale priva di ossigeno, ma ricca di ammoniaca, carbonio, idrogeno, metano. Il vapore acqueo condensava e poi tornava nel vaso contenente acqua arricchendola con gli elementi atmosferici e dando vita al brodo primordiale.
Nell’ampolla atmosferica era presente anche un elettrodo che simulava attraverso scariche elettriche i fulmini molto violenti e abbondanti nell’antica atmosfera terrestre.
Dopo qualche settimana, Miller e Urey notarono che nel brodo primordiale si erano formate spontaneamente diverse molecole organiche, tra cui proprio gli amminoacidi. I risultati sono stati confermati da tutti gli esperimenti successivi e testimoniano come agli ingredienti della vita non serve niente se non le leggi della chimica per aggregarsi. 

Naturalmente tra la formazione degli amminoacidi e le prime strutture viventi il passo è ancora lungo e in questo caso un ruolo fondamentale è svolto dal tempo.
Robert Hazen, geologo della George Mason University ha sicuramente inquadrato molto bene il contesto:
“Nell'arco di circa 10.000 anni una versione moderna dell'esperimento di Urey e Miller potrebbe effettivamente produrre una rudimentale molecola autoreplicante, capace di evolvere mediante selezione naturale: in breve, la vita. [...] La spiegazione più plausibile è che le molecole autoreplicanti si siano formate prima sulla superficie delle rocce. Le superfici umide della Terra primordiale avrebbero costituito un grande laboratorio naturale, portando avanti in qualsiasi momento qualcosa come 1030 piccoli esperimenti, per un periodo durato forse da 100 a 500 milioni di anni. Un esperimento di laboratorio che duri per 10.000 anni può quindi tentare di ricreare questa situazione eseguendo un gran numero di piccoli esperimenti contemporaneamente. Dall'esterno, queste incubatrici molecolari apparirebbero come stanze piene di computer ma al loro interno ci sarebbero laboratori chimici on-chip, contenenti centinaia di pozzi microscopici, ognuno con diverse combinazioni di composti che reagiscono su una varietà di superfici minerali.”
Quest’affermazione basata sui risultati di tutti gli esperimenti ci suggerisce anche un’altra cosa, che a questo punto pare come un’eventualità estrema ma teoricamente possibile: anche noi esseri umani, quando un giorno capiremo fino in fondo i processi biologici, potremmo mettere insieme gli ingredienti giusti e creare la vita partendo da materia inanimata. Qualcuno potrebbe vederci un comportamento eticamente e religiosamente discutibile ma non è questa la sede per discuterne. Ci troveremmo a fare quello che il caso dell’Universo ha eseguito qui sulla Terra. E lo scenario, pensando con mente aperta, potrebbe essere ancora più affascinante: se da qualche parte ci sono esseri più avanzati di noi, che siamo dei bambini per l’età dell’Universo, allora tutto quello che scopriamo e scopriremo sarà già stato affrontato e messo in atto da milioni o miliardi di anni. Noi, insomma, non saremmo di certo i primi.

Non sappiamo, in conclusione, come sia possibile passare da materia inanimata a organismi viventi e da questi fare poi il salto evolutivo verso esseri dotati di coscienza, ma abbiamo comunque un'affascinante base da cui partire. Questa montagna di atomi che costituisce un uomo, circa 71027  per essere precisi, proviene dalle più disparate parti dell'Universo. Alcuni, quelli di idrogeno, si sono formati pochi minuti dopo la nascita dell'Universo e sono vecchi di 13,8 miliardi di anni; tutti gli altri, invece, si sono generati nei nuclei di grandi stelle, in miliardi di anni di storia dell'Universo, in chissà quali regioni del Cosmo. Non solo siamo figli delle stelle, ma anche e soprattutto la manifestazione più alta dell'Universo che in un'opera titanica, combattendo contro quell'entropia che tende a distruggere ogni minimo ordine, ha organizzato miliardi di miliardi di miliardi di atomi così bene che riescono a pensare, a emozionarsi e a meravigliarsi di loro stessi e di ciò che li circonda. Se questa non è pura meraviglia, non so cos'altro possa esserlo.

lunedì 31 marzo 2014

Cercare la Terra tra le lune



Una svolta importante nella ricerca del nostro pianeta (quasi) gemello potrebbe arrivare da luoghi a prima vista insospettabili, rilevabili con la prossima generazione di telescopi: le lune.
Sono ormai 80 i pianeti di tipo gioviano scoperti nella fascia di abitabilità e 6 di tipo nettuniano. Nel catalogo del satellite Kepler ce ne sono altri 42 (22 gioviani e 20 nettuniani) in attesa di ulteriori conferme. 

Relazione tra massa di un pianeta e quella di una sua probabile luna
Per quanto sappiamo dal nostro Sistema Solare, tutti i pianeti di grandi masse possiedono numerosi satelliti naturali, anche di cospicue dimensioni.
Non ci stiamo riferendo a corpi celesti troppo piccoli come la nostra Luna, ma a oggetti che potrebbero assomigliare in tutto e per tutto all’immaginario Pandora del film Avatar. 
Lune con massa superiore a quella di Titano e Ganimede, magari in orbita attorno a pianeti gioviani che non si trovano, come la Terra, sul bordo interno della zona di abitabilità, potrebbero avere le condizioni perfette per un’atmosfera spessa e acqua liquida in abbondanza.
In questo caso, quindi, i grandi pianeti gioviani, alcuni diverse volte più massicci del nostro gigante, rappresentano sicuramente una risorsa da non sottovalutare, soprattutto tenendo in considerazione alcune interessanti proprietà dei corpi del Sistema Solare.

Durante il processo di formazione di un sistema planetario, attorno agli oggetti di maggiori dimensioni si accumula probabilmente abbastanza materiale da creare un vero e proprio sub sistema planetario.
La quantità di gas e polveri dipende criticamente dalla forza di gravità del pianeta. Per il Sistema Solare il numero magico è 104: in parole più chiare, il rapporto tra la massa di una luna e il suo pianeta gassoso è di circa 1:10.000. Se questa fosse una regola generale (sembra di si), allora non è difficile stimare quanto debba essere massiccio un pianeta gioviano nella fascia di abitabilità affinché almeno una sua luna possa contenere abbastanza materia da trattenere un’atmosfera stabile.

Ipotizzando una composizione chimica ricca di acqua, si scopre che attorno a pianeti con una massa superiore a 4 volte quella di Giove potrebbero esistere lune abbastanza massicce da soddisfare le nostre richieste.
Il fatto estremamente incoraggiante è che i pianeti gioviani nella fascia di abitabilità sono relativamente semplici da rilevare ormai. 

Non sono stati individuati ancora segni di lune extrasolari, ma tutti sono concordi nell’affermare che dovrebbero esistere e potrebbero essere delle dimensioni giuste.
Molte sono probabilmente oltre la nostra attuale soglia di rilevazione, ma forse, spulciando bene nella grande mole di dati raccolti da Kepler, potremmo trovare in qualche transito gioviano una leggerissima impronta causata da un satellite di dimensioni non troppo diverse da quelle del nostro pianeta.
Dalle informazioni a disposizione sono stati già estrapolati alcuni seri candidati che andranno meglio indagati in un prossimo futuro. Probabilmente siamo vicini anche alla scoperta di Pandora: chi ci avrebbe mai pensato?