lunedì 24 ottobre 2011

Ufo nel cielo? Forse solo limiti dei sensori digitali

Molti degli avvistamenti di fantomatici oggetti volanti non identificati derivano dall’analisi di alcune fotografie amatoriali, spesso scattate con mezzi di fortuna. 

La prima domanda alla quale dobbiamo rispondere è semplice. 
Una fotografia a colori mostra esattamente quello che è in grado di percepire l’occhio umano: se nella foto compare qualcosa di strano e se quel qualcosa è reale, perché non è stato osservato anche ad occhio nudo? Perché ci si accorge di qualcosa di insolito solamente analizzando a posteriori una fotografia, quando non si è notato alcunché durante lo scatto?

Il metodo scientifico è impietoso: se un evento non è mai confermato da altre osservazioni/osservatori, allora molto difficilmente può essere reale.
Al di la del metodo scientifico, la semplice logica può essere sufficiente: è più probabile che un punto ripreso in un’immagine, non osservato da nessun’altro, sia reale, o che semplicemente la fotografia contiene quelli che si chiamano artefatti, ovvero dettagli fittizi introdotti dal sensore, dall’obiettivo, dalle condizioni di illuminazione, dall’elettronica della camera, e chi più ne ha ne metta?

Polvere sul sensore di ripresa
Molti sensori digitali quando sono diretti su uno sfondo uniformemente luminoso (come il cielo diurno) lasciano trasparire dei difetti che in altre situazioni sono nascosti dai dettagli ripresi.
Un esempio tipico è causato dalla presenza di granelli di polvere, che si manifestano come dei punti neri di piccolo diametro. Questi punti spesso sono associati ad oggetti volanti nel cielo, ma se questo fosse vero, possibile solo una fotocamera abbia registrato questo evento? 

Un hot pixel può essere scambiato per UFO
Per verificare la presenza di polvere è sufficiente misurare la posizione del punto sospetto: essa resta fissa a prescindere dall’inquadratura, quindi è sufficiente eseguire due fotografie variando leggermente l'inquadratura. 

Nel caso di sensori di scarsa qualità, o quando si fanno esposizioni al cielo notturno, si introducono altri due difetti, l’uno imputato al cielo, l’altro al sensore stesso.
Tutti i sensori digitali soffrono del cosiddetto rumore termico: quando sono esposti a tempi lunghi e in scene scarsamente illuminate, manifestano decine di puntini bianchi o colorati. Questi punti non sono reali ma semplice rumore. Potere fare una prova misurando la loro posizione, che resta fissa nonostante cambiate inquadratura.
Questo rumore, detto elettronico, dipende dalla temperatura del sensore, quindi può essere più o meno visibile a seconda delle condizioni ambientali.

Raggio cosmico di fronte ad una galassia
Il secondo tipo di disturbo deriva direttamente dal cielo e si chiama raggio cosmico.
Quando una di queste particelle impatta la superficie del sensore, esso registra informazione come se fosse stato compito dalla luce, producendo un punto bianco che in alcuni casi può diventare una linea. 

Se non credete alle spiegazioni che vi ho dato, cercate di dare consistenza a teorie alternative dimostrando che il fenomeno è reale e situato nello spazio.
Come fare? 
Basta scattare due foto contemporaneamente con due diverse fotocamere vicine tra di loro. Se eventuali punti sono lì fuori, essi si ripetono con la stessa intensità e luminosità in entrambe le immagini. Questa è la prova indipendente che il metodo scientifico, ma la semplice ragione, dovrebbe richiedere per dare consistenza ad altre ipotesi, che restano altrimenti semplici fantasie. 

Per rilevare i raggi cosmici potete usare un fotomoltiplicatore e accorgervi che circa 5 particelle ogni minuto colpiscono il vostro corpo: inquietante ma vero!

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