venerdì 29 novembre 2013

Quanto carburante consuma un'astronave?



La parte più difficile e dispendiosa di una missione spaziale è senza dubbio lasciare la superficie terrestre.
La forza di gravità del nostro pianeta è così forte che bisogna far raggiungere a ogni astronave (con o senza equipaggio) una velocità superiore ai 10 km/s se vogliamo spedirla al di fuori dell’orbita del nostro pianeta. Se ci accontentiamo di un giretto orbitale a circa 350 km, allora la velocità può essere ridotta fino a 8 km/s, ma è sempre un valore estremamente elevato, pari a 28.800 km/h!
Per accelerare le astronavi alla partenza sono quindi necessari potentissimi razzi, detti in gergo anche vettori. Queste strutture, a volte molto più grandi dell’astronave stessa, hanno l’unico scopo di fornire il carburante per immettere la struttura nella bassa orbita terrestre, luogo decisamente più tranquillo per proiettarsi, eventualmente, verso lo spazio aperto con l’accensione di un razzo di minori dimensioni. 

I gigenteschi motori del razzo Saturn V
Gli Space Shuttle per questo scopo necessitavano di un grandissimo serbatoio dal colore rosso alto 47 metri e largo 8,4, contenente oltre 730.000 kg di carburante (idrogeno e ossigeno liquidi) e di due razzi ausiliari, altrettanto alti, contenenti un totale 1 milione di chilogrammi di carburante a base di perclorato d’ammonio.
Questa immane quantità di propellente, sufficiente per radere al suolo una cittadina, serviva unicamente per i primi minuti di volo.
I due razzi laterali fornivano l’83% della spinta totale e bruciavano un milione di chilogrammi di carburante in appena 124 secondi, tempo necessario per raggiungere un’altezza di 46 km.
Il carburante del grande serbatoio rosso, utilizzato dai cinque motori dello shuttle, veniva esaurito in otto minuti, il tempo necessario per raggiungere la velocità richiesta di 7,7 km/s per immettersi nella bassa orbita terrestre. 
Per far raggiungere 350 km di altezza a una specie di aereo dal peso massimo di 100 tonnellate, sono quindi richieste quasi 2 mila tonnellate di carburante!

Ma il record dei consumi spetta al razzo più grande mai concepito dalla mente umana, il Saturn V, il vettore utilizzato per proiettare l’astronave Apollo verso la Luna.
Ben 80 metri dei 113 dell’intera struttura erano necessari per fornire la spinta necessaria all’astronave per lasciare l’orbita terrestre, con un consumo massimo di circa 15 tonnellate di carburante ogni secondo!

La cometa ISON (forse) non ce l'ha fatta

Il suo nome è (era) C/2012 S1 (ISON), per gli amici semplicemente ISON e quando venne scoperta, nel 2012, prometteva di essere la cometa del secolo. Nonostante l'enorme distanza dalla Terra, infatti, era relativamente luminosa, il che spinse tutti a credere che in prossimità del massimo avvicinamento con il Sole avrebbe potuto illuminare quasi a giorno i nostri cieli. 


La cometa ISON al massimo della sua gloria il 15 novembre
Con l'avanzare dei mesi le cose non sono andate come previsto, ma questo fa sempre parte del gioco quando ci sono delle comete di mezzo. La cometa ISON faceva fatica a prendere luminosità, tanto che solamente dopo la metà di novembre era percepibile con grande fatica a occhio nudo la mattina poco prima dell'alba. 

Le speranze di tutti erano rivolte dopo il giro di boa, così viene chiamato in modo informale il punto in cui la cometa avrebbe circumnavigato il Sole e si sarebbe allontanata di nuovo e per sempre dal Sistema Solare interno.

Il problema della cometa ISON, però, era grande: il perielio, cioè il punto più vicino al Sole, si trovava a poco più di un milione di chilometri dalla fotosfera, ben all'interno della caldissima e irrequieta atmosfera chiamata corona. 
Le comete che compiono un avvicinamento così pericoloso sono dette in inglese sungrazer, letteramente "che sfiorano il Sole" e solamente le più grandi e tenaci riescono ad attraversare indenni questo pericoloso guado. Nel recente passato, memorabile è stato il passaggio della cometa Lovejoy nel dicembre 2011 a soli 120000 km dalla superficie.

La cometa ISON non è stata altrettanto fortunata e forte, perché sal passaggio ravvicinato al Sole non è più riapparsa, inghiottita per sempre dal caldo abbraccio della nostra Stella.
Sebbene nessuno volesse ammetterlo, in realtà il sentore che qualcosa stava per accadere c'era nell'aria già da giorni e forse la cometa era spacciata almeno una settimana fa. 
Il 14 novembre scorso si assistette a un outburst, un repentino aumento della luminosità di oltre due volte, segno di un'impennata nell'attività cometaria.
Pochi giorni più tardi le immagini in alta risoluzione della chioma mostravano due netti sbuffi, indizio che qualcosa di grave poteva essere accaduto al nucleo. Si parlò di frammentazione, ma non c'era la certezza. 

Il 25 novembre, infine, le osservazioni effettuate con il telescopio millimetrico IRAM in Spagna mostravano una costante diminuzione nell'emissione molecolare della chioma della cometa, segno che l'attività aveva raggiunto il massimo o che il nucleo non c'era più. 

Il 29 novembre il momento della verità, il passaggio al perielio monitorato in diretta dalle numerose sonde che osservano il Sole dallo spazio, la più importante delle quali è la mitica Soho. All'ingresso del campo inquadrato, la cometa ISON non si è presentata bene, con una luminosità minore del previsto. Poi, con il passare delle ore ha aumentato bruscamente luminosità, facendo sperare tutti gli appassionati. Ma forse questo è stato il canto del cigno di una cometa che nelle ore successive si è lasciata andare. Nonostante l'approssimarsi al Sole, la luminosità ha cominciato rapidamente a diminuire. Quasi in prossimità del perielio la ISON, o ciò che ne restava, si presentava come una lunga lingua nella quale non si poteva più scorgere la chioma. 
Quando è sparita dietro i dischi occultatori degli strumenti delle sonde la sua sorte era ormai segnata. 
Dall'altra parte della nostra stella è riapparsa una debole lingua di gas e polveri dispersa e molto meno luminosa di come avrebbe dovuto essere se la cometa fosse stata in perfetta salute, il ricordo di un intrepido corpo celeste che come Icaro ha affrontato una sfida troppo grande.

La cometa ISON al massimo della sua luminosità si appresta a incontrare il Sole
Colpo di scena: la luminosità è rapidamente diminuita. Qualcosa di grave è accaduto.

L'ultima immagine della cometa ISON, o di quello che ne resta.
All'uscita dal passaggio radente con il Sole resta un leggero fantasma, i resti di una cometa che avrebbe potuto farci sognare.
L'animazione mostra un fantasma che riemerge dall'abbraccio solare. Sono i resti della cometa ISON

L'ipotesi più plausibile è che il nucleo della cometa si sia disgregato e quasi completamente vaporizzato, ma questo lo sapremo con migliore certezza tra quale giorno. Di certo appare evidente che il tanto annunciato spettacolo non ci sarà, anche se qualche resto della cometa dovesse avercela fatta.
Peccato, ci abbiamo sperato. E ora all'orizzonte non ci sono comete che potrebbero farci sognare. Dobbiamo avere pazienza ancora per un bel po'.

L'unica speranza resta quella dell'ennesima sorpresa di una cometa che è stata data per morta tante volte. Che la ISON esista ancora e sia pronta a risorgere dalle ceneri? Molto difficile, ma staremo a vedere nelle prossime ore.

Qualche approfondimento utile:
http://www.cometisonnews.com/ 
http://www.universetoday.com/106813/is-comet-ison-dead-astronomers-say-its-likely-after-icarus-sun-grazing-stunt/ 
http://cometison.gsfc.nasa.gov/  per vedere i video dell'approccio della cometa (che non si vede, e questo conferma che non c'è più)

martedì 26 novembre 2013

Domande e risposte: da dove proviene l'acqua della Terra?



L’acqua sulla Terra ricopre il 71% della superficie ed è il costituente principale di tutte le forme di vita.
Il problema, per la Terra e i pianeti interni, tra cui Marte, è però grande: chi ce l’ha portata l’acqua?
I modelli di formazione del Sistema Solare ci dicono chiaramente che la nebulosa protosolare a quelle distanze dal Sole era troppo calda per permettere all’acqua di condensare in grandi quantità e formare quindi gli embrioni dei pianeti. Alla distanza della Terra, solamente i silicati e i metalli si trovavano nella forma solida capace di creare gli aggregati planetari. Le modeste quantità d’acqua inglobate dai protopianeti sono quasi certamente evaporate mano a mano che la violenza delle collisioni aggregava corpi sempre più massicci e caldi. Come se non bastasse, l’atmosfera primordiale della Terra venne distrutta dal violento impatto con Theia, formando poi la Luna e privandola ulteriormente del vapore acqueo che possedeva. La Terra quindi, appena dopo la sua formazione doveva essere un corpo celeste estremamente secco.

Chi o cosa ha portato l’acqua sul nostro pianeta? Difficile credere che l’acqua si sia formata da sola successivamente, poiché di ossigeno libero in atmosfera che potesse reagire con l’idrogeno non ce n’era (almeno non così tanto).
Se diamo un’occhiata alla distribuzione delle temperature nella nebulosa primordiale che ha formato il Sistema Solare, la zona in cui i composti più volatili contenenti l’idrogeno come l’acqua, l’ammoniaca e il metano, tutti essenziali per i processi biologici elementari, potevano trovarsi nello stato solido, quindi condensare per formare corpi celesti, si trova nel bel mezzo dell’attuale fascia principale degli asteroidi. La cosiddetta linea del ghiaccio (frost line in inglese) segna un confine netto tra i corpi celesti a base di silicati e quelli formati per buona parte di ghiacci, principalmente acqua. Non è difficile allora comprendere da dove provenga l’acqua, l’ammoniaca e forse buona parte delle molecole organiche della Terra: da corpi celesti che si sono creati più lontano, cioè asteroidi e comete.
Ce n’erano così tanti di questi piccoli proiettili cosmici che nel primo miliardo di anni, come testimonia la butterata superficie lunare, a migliaia, forse milioni, sono precipitati su tutti i pianeti interni, Terra compresa, liberando le grandi riserve di acqua e composti organici che contenevano.

venerdì 22 novembre 2013

Vita extraterrestre nel futuro del Sistema Solare?



Tra circa 5 miliardi di anni il Sole dovrebbe entrare nelle fasi finali della propria vita. L’idrogeno al centro scarseggerà, il nucleo si contrarrà aumentando di temperatura fino a 100 milioni di gradi e innescando la fusione dell’elio. Contemporaneamente gli strati esterni si espanderanno spazzando via Mercurio, Venere e probabilmente la Terra, ponendo fine per sempre al dominio della vita. Questa stella dal colore lievemente giallo, tranquilla per dieci miliardi di anni, si sarà trasformata in una gigante rossa, un astro enorme e centinaia di volte più luminoso di prima. 

Titano in un lontano futuro?
Se i pianeti interni potrebbero subire una fine scontata e terribile, grandi sconvolgimenti potrebbero toccare anche ai pianeti esterni e ai satelliti, in particolare a Titano.
La luna di Saturno, infatti, secondo alcuni studi si verrebbe a trovare alla giusta distanza dalla nuova configurazione stellare per sperimentare temperature miti, tali da sostenere l’acqua allo stato liquido.

Non sappiamo cosa succederà al metano e agli idrocarburi in superficie, probabilmente evaporeranno in poco tempo e si disperderanno prima in atmosfera, poi nello spazio. I raggi ultravioletti del Sole diraderanno la nebbia di idrocarburi, favorendo un ulteriore riscaldamento sufficiente per sciogliere le grandi riserve di ghiaccio d’acqua contenute nella crosta, generando probabilmente mari e oceani che prenderanno il posto degli antichi bacini di metano. 
L’acqua, mischiata all’ammoniaca e alle enormi quantità di molecole organiche, potrebbe rappresentare l’ambiente perfetto per la nascita di primitive forme di vita, proprio come è accaduto sulla Terra. Di tempo ce ne sarà in abbondanza, probabilmente più di un miliardo di anni.


Sarà un vero peccato non poter assistere allo spettacolo di un cielo finalmente trasparente, occupato per circa 1/3 dagli straordinari anelli di Saturno; il tutto, magari, da una tiepida spiaggia in riva a un oceano color verde smeraldo.

lunedì 18 novembre 2013

Libro gratuito fino al 20 novembre (2013)

Libro gratuito fino al 20 novembre
Sulle spalle di un raggio di luce è un libro di astronomia divulgativa, adatto a giovani e adulti, che cerca di far luce sulle meraviglie dell'Universo. E' tra i libri di cui vado più fiero e sono felice di offrirvelo gratuitamente fino al 20 novembre compreso
Si può scaricare da Amazon in formato ebook, adatto per dispositivi Kindle e per tutti gli ebook reader, compresi notebook, pc e smartphone.
Non serve una lunga presentazione per un libro gratuito, basta seguire questo link e scaricarselo in pochi secondi!

venerdì 15 novembre 2013

Scoperti tre nuovi asteroidi (forse). Tranquilli, non c'è alcun pericolo

Sta circolando in rete, amplificata dalla poca professionalità di certi media generalisti, la notizia della scoperta di tre grossi asteroidi in rotta di collisione con la Terra. Bene: FALSO!
Quando si parla di asteroidi, sono due le costanti sempre presenti:
1) Il pressapochismo (o la malafede) di certa informazione che sembra fregarsene dell'etica professionale, e un fatto un po' più scientifico, quindi interessante:
2) Ci sono ancora molti corpi celesti da scoprire nelle zone interne del Sistema Solare.

Orbite dei tre nuovi corpi celesti scoperti da poco
Detto questo, vediamo di capire come stanno effettivamente le cose, cominciando dalla cronaca nuda e cruda.
Nell'ultima settimana di Ottobre due importanti programmi di monitoraggio del cielo hanno scoperto tre nuovi corpi celesti molto interessanti. Due sono stati identificati dalla Catalina Sky Survey e uno dal programma Pan-STARRS (lo stesso che ha scoperto già diverse comete).
Da una prima analisi delle orbite e delle dimensioni si è scoperto che questi tre oggetti rientrano nella categoria NEO (Near Earth Objects), vale a dire oggetti vicini alla Terra. Il termine, però, deve essere interpretato dal punto di vista astronomico. Gli oggetti NEO sono infatti tutti quei corpi celesti che nel loro percorso intorno al Sole vengono a trovarsi entro poche decine di milioni di chilometri dall'orbita terrestre. Una sottocategoria particolarmente monitorata è rappresentata dai PHO (Potentially Hazardous Objects), corpi celesti che possono avvicinarsi ad almeno 7,5 milioni di chilometri dall'orbita della Terra (non necessariamente alla Terra, perché dipende in quale punto dell'orbita si trova nel momento di massimo avvicinamento!) e con un diametro di almeno 100 metri.
Di asteroidi di questo tipo se ne conoscono più di mille ma nessuno colpirà la Terra nei prossimi 50-100 anni.

I tre corpi celesti scoperti di recente sono effettivamente peculiari, ma non perché rappresentano una potenziale minaccia, anzi, si è capito subito che, almeno per il momento (da qui a 100 anni), non saranno un problema. Oltre questo intervallo temporale non lo sappiamo con certezza semplicemente perché non siamo ancora così bravi nei calcoli, anche se almeno due di loro saranno sicuramente molto lontani da noi.

La loro peculiarità riguarda la forma dell'orbita e le loro dimensioni.
Inizialmente si pensava che fossero tutti oggetti asteroidali, composti quindi da rocce. Questa supposizione aveva portato a una stima delle dimensioni piuttosto notevole: 19 km per 2013 UQ4, 20 km per 2013 US10 e un paio di chilometri per il terzo, 2013 UP8.

I primi due, in effetti, sarebbero gli asteroidi NEO più grandi scoperti dal 1983. Considerando i vari programmi di monitoraggio del cielo, molti astronomi si sono chiesti come sia stato possibile non vedere questi grandi massi cosmici.
La risposta sta lentamente arrivando grazie a nuovi studi. Se il terzo, 2013 UP8, rientra nella categoria NEO senza troppi problemi, gli altri due possiedono orbite molto allungate e inclinate.
2013 US10 ha addirittura un'orbita quasi parabolica e probabilmente si trova nelle zone interne del Sistema Solare forse per la prima volta nella sua esistenza. Dopo un passaggio attorno al Sole si allontanerà velocemente e non si sa se e quando ritornerà . Questa è la perfetta descrizione di una cometa di lungo periodo, un po' come sta accadendo in queste settimane per la cometa ISON che si è appena resa visibile a occhio nudo dai nostri cieli.

Le informazioni in mano agli astronomi dicono proprio che 2013 US10 potrebbe essere una cometa di lungo periodo. Questo significa che la stima delle dimensioni, che si effettua unicamente in base alla luce riflessa dalla superficie, è sbagliata. Le comete sono fatte di ghiacci che riflettono molta più luce, contrariamente agli asteroidi, alcuni dei quali scuri quanto l'asfalto appena steso.
La conseguenza? Non si tratta di un enorme asteroide ma di una piccola cometa o quello che resta della frantumazione di una grande cometa secoli o millenni fa, il cui diametro, se va bene, arriverà a qualche chilometri.
A conferma della natura cometaria, le osservazioni del 5 Novembre scorso fatte dal Canada-France-Hawaii telescope hanno mostrato una debole attività cometaria.

Anche l'altro asteroide, 2013 UQ4, ha delle caratteristiche peculiari. Possiede un'orbita addirittura retrograda (ruota attorno al Sole nel verso contrario rispetto ai pianeti), molto allungata e inclinata. Anche questo, quindi, sembra essere una cometa o ciò che rimane di una cometa ormai esaurita. Se fosse così, e le osservazioni telescopiche sembrerebbero confermarlo, è probabile che la stima delle dimensioni (19 chilometri) sia corretta. Perché non si è scoperto prima? Semplice, perché ha un'orbita molto allungata e solo in questi anni si trova sufficientemente vicino alla Terra (oltre 300 milioni di chilometri attualmente) per poter essere avvistato.

Insomma, in conclusione di questo lungo post, abbiamo capito altre due cose che è meglio mettere ben in chiaro:
1) Non ci sono corpi celesti in rotta di collisione con la Terra;
2) Le comete, attive o spente, provenienti dalla periferia del Sistema Solare sono molto più temibili degli asteroidi NEO che si trovano a orbitare sempre nei paraggi della Terra (in senso astronomico). Se quest'ultimi si possono osservare e seguire lungo tutta la loro orbita, prevedendone gli spostamenti con decenni di anticipo, le piccole comete si riescono a vedere solamente quando ormai si trovano poco oltre la distanza di Marte, un margine troppo esiguo per prevenire in tempo un eventuale impatto.
La buona notizia è che al momento non corriamo alcun pericolo, quindi rilassiamoci.


Link alla notizia ufficiale: http://neo.jpl.nasa.gov/news/news181.html

Che spettacolo, ho visto Saturno! Impariamo a utilizzare il primo telescopio


Che spettacolo, ho visto Saturno! è il libro che insegna le basi dell'osservazione del cielo a occhio nudo e con il nostro primo telescopio raccontando l'astronomia in modo chiaro, semplice e divertente. E' scritto appositamente per giovani appassionati, ma con le storie delle mie disavventure celesti è adatto a tutti i curiosi che vogliono avere un contatto un po' più stretto con il cielo.
E' il volume più completo ed economico presente in commercio.
Volete far avvicinare vostro figlio al Cosmo? Avete comprato il primo telescopio ma non sapete come usarlo? Vorreste una guida divertente e chiara che spieghi i passi dell'osservazione astronomica? Scopriamolo insieme!


Presentazione
Quando nel lontano 1993 mi feci regalare dai miei genitori un telescopio per Natale, non sapevo neanche da dove si guardavano le stelle, figuriamoci se avevo una minima idea di come usare quello strumento magico che per me rappresentava semplicemente una magnifica porta su un fantastico Universo che avevo appena iniziato ad assaporare.
L’incoscienza di bambino mi fece fare un passo molto più grande e avventato di quanto potessi mai immaginare, ma allo stesso tempo mi spinse a osare quel tanto che bastava per intraprendere un cammino irto di ostacoli.
Il mio ultimo libro
Ora, a distanza di quasi vent’anni dal momento in cui montai il mio piccolo e bellissimo rifrattore nella cucina dei miei nonni, le cose sono cambiate e posso dire finalmente a me stesso di aver completato quel lunghissimo cammino che mi ha visto iniziare come ingenuo sognatore e terminare come un astrofilo o astronomo dilettante. Ora il telescopio lo so usare; ora so come funziona, so come sceglierne uno per le mie esigenze, so come e cosa guardare e soprattutto cosa aspettarmi.
Ci ho messo quasi vent’anni a imparare tutto quel poco che so ed è per questo motivo che ho scritto un libro, per evitare che anche altri giovani appassionati debbano aspettare così tanto tempo per osservare con consapevolezza e appagamento le meraviglie dell’Universo. Perché astronomi dilettanti non ci si improvvisa, ma si diventa dopo un po’ di tempo in cui dobbiamo per forza di cose imparare a muoverci nello sterminato Universo sopra le nostre teste.
Sbagliare è il modo migliore per imparare, quindi non voglio privare nessuno di questa grande opportunità, ma vorrei dare qualche consiglio utile affinché gli errori ci portino nella giusta direzione senza dover aspettare venti lunghi anni.
Un po’ autobiografico e spesso autoironico, andremo alla scoperta dell’astronomia amatoriale e dell’immenso e magnifico Universo che sta proprio sopra le nostre teste. Comincia ad appena 100 km di altezza, eppure, per ora, solo attraverso un telescopio possiamo sperare di avvicinarci quel tanto che basta per carpirne qualche segreto e soprattutto emozionarci.
Perché la parola d’ordine dell’astronomo dilettante è solo una: emozionarsi, senza alcun limite.


Sono un po' fiero di questa opera perché rappresenta la guida che avrei sempre desiderato quando da giovane cercavo di osservare il cielo con il mio primo telescopio. E grazie all'autopubblicazione posso rendere disponibile questo lavoro per pochi euro, meno di tutti gli altri libri in commercio. La versione cartacea con immagini in bianco e nero costa solo 12,36 euro, la versione ebook per Kindle solamente 2,68 euro e il PDF in alta risoluzione a 5.20 euro.

mercoledì 13 novembre 2013

Ci vediamo alla fiera di Parma il 30 Novembre?

Il prossimo 30 novembre e il 1 dicembre si terrà nel complesso fieristico di Parma una piccola fiera dell'astronomia, l'unica rimasta in tutta Italia.
Non posso mancare all'appuntamento, quindi sarò lì entrambi i giorni in un apposito spazio messomi a disposizione dall'organizzatore Mirco Villi in compagnia di una ventina di copie dei miei libri cartacei e una pila di CD rom su cui masterizzare tutti i libri digitali che volete.
Sto già preparando sconti, promozioni e regali per chi dovesse venire in fiera, fare quattro chiacchiere con me e volesse portarsi a casa qualche mio libro (con dedica personalizzata naturalmente). Insieme a me ci sarà anche Marco Bastoni, autore di un bellissimo libro sulle eclissi di Sole.

Se siete ancora dubbiosi e pensate che sarà difficile convincere tutta la famiglia, non ci sono  problemi. La fiera dell'astronomia si svolge in un solo padiglione, mentre nei rimanenti, in quegli stessi giorni, si può gustare la fiera dell'elettronica e degli articoli natalizi.
Insomma, è un bell'evento per tutta la famiglia e anche  per chi non pensa all'astronomia giorno e notte.
Vi aspetto!

martedì 12 novembre 2013

Siamo soli nell'Universo?



Questo post è tratto dal mio libro: "Vita nell'Universo: eccezione o regola?" disponibile su Amazon.it

La risposta a livello scientifico, quindi con prove inoppugnabili a supporto, non può essere ancora data ma logica, esperienza, osservazioni e qualche principio fisico e chimico possono comunque darci un’idea piuttosto chiara.
E la sensazione, giunti a questo punto, è che si tratta solamente di una mera questione di tempo, soprattutto per quanto riguarda il molto promettente cammino attraverso la ricerca dei pianeti extrasolari.
Non abbiamo trovato il gemello perfetto della Terra, è vero, ma l’analisi delle migliaia di stelle da parte di Kepler ci ha dato una mano formidabile nel chiarire le nostre idee e dipanare i dubbi, anche dei più scettici.
Attorno a stelle simili al Sole e più piccole come le nane rosse, Kepler ha scoperto molti pianeti rocciosi. Considerando il calcolo totale, che include anche quelli fuori dalla fascia di abitabilità, Kepler ha rilevato più di 1400 superterre, più di 300 pianeti di massa terrestre, più di 50 corpi della massa di Marte e addirittura un paio di massa comparabile con quella di Mercurio (non troppo diversi dalla nostra Luna). Tutto questo analizzando solamente i transiti, quindi esclusivamente quei sistemi planetari che vengono visti quasi perfettamente di taglio. Se assumiamo che le inclinazioni dei sistemi stellari non abbiano una distribuzione particolare nei confronti della Terra, questo significa che Kepler ha scoperto meno del 10% dei sistemi planetari effettivamente presenti nel campo analizzato. Considerando i limiti nelle osservazioni, sia dal punto di vista fotometrico che temporale, la percentuale si abbassa e potrebbe attestarsi su un più verosimile valore del 5%.
Molte delle stelle analizzate sono piccoli astri rossi o al limite simili al Sole, di magnitudine intorno alla dodicesima, quindi entro un paio di migliaia di anni luce.

Le scoperte di Kepler ci dicono che nella Via Lattea potrebbero esserci qualcosa come 17 miliardi di Terre. Per pianeti simili alla Terra ci riferiamo a corpi celesti con un raggio compreso tra 0,5 e 1,4 volte, quindi anche molte delle superterre di minor massa.
Ma i dati di Kepler ci dicono anche un’altra cosa, ancora più sconvolgente: il 48% delle stelle di classe M ospiterebbe un pianeta terrestre potenzialmente abitabile. Considerando la grande abbondanza di questi astri anche nelle zone adiacenti il Sistema Solare, ci sarebbe in media un pianeta abitabile di tipo terrestre ogni 6,4 anni luce, praticamente dietro l’angolo per le scale dell’Universo. Non solo, ma la probabilità di trovare un pianeta terrestre entro una sfera dal raggio di 10 anni luce sarebbe del 94%: quasi una certezza!

Quello che ci dicono questi primi dati statistici, che finalmente si basano su un gran campione di stelle e di analisi, è che pianeti di taglia terrestre sono presenti un po’ ovunque nella Galassia e rappresentano la normale evoluzione delle stelle simili al Sole e delle piccole nane rosse, alla stregua dei satelliti naturali attorno ai pianeti gioviani: è un processo inevitabile.
Con un numero così alto di pianeti di taglia terrestre, quindi, è scontato trovarne molti nella fascia di abitabilità.

Ora basta fare davvero 2+2 per scorgere una risposta.
Le molecole organiche e l’acqua sono presenti ovunque nel Cosmo e in quantità abbondanti; la vita, per quello che vediamo qui sulla Terra e per gli esperimenti eseguiti, riesce a nascere e prosperare anche in ambienti proibitivi e quando trova condizioni stabili non si fa certo sfuggire l’occasione.

La sensazione, quindi, è che forme di vita, almeno semplice, possano prosperare un po’ ovunque nell’Universo ed essere frequenti quanto i pianeti di tipo terrestre nelle zone di abitabilità (dove è posibile l'esistenza di acqua liquida in superficie). Un’esplosione di vita che fa parte dell’essenza stessa dell’Universo alla stregua delle stelle, delle galassie, delle nebulose e degli ammassi. Non più quindi eccezione, uno strappo a una regola che deriva dalla combinazione assurda di variabili quasi impossibili da mettere nella giusta sequenza, piuttosto il risultato semplice, quasi scontato, delle leggi della fisica, le stesse che regolano tutto quello che possiamo vedere.
Alla risposta se siamo soli o meno nell’Universo ormai nessun astronomo si sognerebbe quindi di dire di no; sarebbe assurdo come credere che la Terra sia piatta.

Un discorso diverso riguarda invece l’esistenza della vita intelligente. La risposta, in senso assoluto, è probabilmente positiva: non siamo gli unici esseri intelligenti dell’intero Universo.
Bisogna però capire ancora quanto sia frequente questa eventualità, perché se nel nostro piccolo abbiamo compreso come sia relativamente facile per molecole inanimate mettersi insieme e formare i primi organismi viventi in pochi milioni di anni, è altrettanto evidente, grazie agli sconfortanti dati delle varie ricerche SETI, che l’Universo sia un luogo sorprendentemente più silenzioso di quanto si pensasse. 

Sono passati più di cento anni da quando Nikola Tesla ipotizzò di ascoltare messaggi alieni attraverso le onde radio da poco scoperte, ed ere geologiche da quando Guglielmo Marconi affermava di essere riuscito a ricevere trasmissioni da Marte.
Kepler ci ha dato risultati in forte contrasto con il SETI: possibile che su quasi 20 miliardi di Terre nella Via Lattea nessuna ospiti forme di vita intelligenti? No, c’è qualcosa sotto che riguarda sicuramente il nostro modo di cercare attraverso le onde radio.

Popolato o no da esseri intelligenti, quello che sembra evidente è la lunga strada che dobbiamo ancora compiere dal punto di vista tecnologico e biologico per comprendere come funzionano i complessi meccanismi della vita. E la risposta, prima ancora di cercarla nelle stelle, dobbiamo trovarla qui sulla Terra e nel nostro Sistema Solare.
Per il momento, quindi, accontentiamoci di qualcosa di meno scientifico: la sensazione che potrebbe succedere di tutto da un giorno all’altro. Potremmo ricevere un segnale senza preavviso, forte, inequivocabile, decifrabile, come la protagonista di “Contact” (difficile), oppure scoprire il nostro pianeta gemello da un giorno all’altro o una luna sorprendentemente simile alla Terra.
La sensazione è che una svolta improvvisa e spettacolare possa essere dietro l’angolo perché la scienza, la nostra scienza, è sul punto di una scoperta epocale.
I tempi? Forse dieci anni al massimo. 

Accontentiamoci per adesso del fatto che la prova più forte di non essere soli nell’Universo ce l’abbiamo sotto gli occhi ogni giorno: siamo noi stessi, materia comune in un luogo anonimo dell’Universo. È la nostra stessa esistenza a dirci di non essere gli unici, perché se il Cosmo ci ha dato quest’opportunità, nella sua enorme estensione sarà successo molte altre volte.

Per ora la gioia più intensa che possiamo provare è con noi stessi.
In una notte serena prendiamoci un po’ di tempo dai rumori e dalle luci delle città e andiamocene in campagna. Distesi su un prato, nel silenzio dell’Universo, osserviamo la luce scintillante di quelle lontane fiammelle. Tra noi e loro ci separa solo un sottile e trasparente strato d’aria.
Scrutiamo, e pensiamo che sicuramente su una di quelle fioche stelle ci sarà qualcuno che in questo momento, sdraiato su un prato molto diverso dal nostro, guarderà un cielo differente nel quale un debole astro giallastro condivide silenzioso il segreto più grande e misterioso dell’Universo: la sua stessa coscienza.
È successo una volta, miliardi di anni fa su un pianeta azzurro chiamato Terra quasi distrutto da un immenso impatto. Nulla vieta che possa essere accaduto altre volte, in molti altri luoghi dell’Universo.

sabato 9 novembre 2013

Il satellite GOCE sta per precipitare, ma niente allarmismi

Sono passati più di due anni dal caso più eclatante (e rumoroso) di rientro incontrollato di un satellite. Era Settembre 2011 e il mondo, in modo particolare l'Italia, sperimentò una mezza psicosi alimentata dai media generalisti. Il satellite UARS era infatti di lì a poco destinato a rientrare in atmosfera senza controllo, facendo giungere sulla superficie terrestre una pioggia dei detriti che sarebbero scampati all'estremo calore dell'impatto con l'atmosfera terrestre. Nessuno poteva prevedere però con anticipo il momento esatto del rientro del satellite, quindi dove sarebbero caduti gli eventuali detriti.
Il satellite GOCE
Nell'allarmismo generale dei media e dei poco lungimiranti politici, molte persone credettero di correre davvero un serio pericolo. In realtà la probabilità che un frammento poteva colpirci in testa era sicuramente minore della caduta di un fulmine sui nostri piedi. La superficie della Terra è infatti per larghissima parte disabitata (considerando che il 70% è pure coperto da acqua) e solo il nostro ego smisurato poteva farci credere più grandi di quando non lo fossimo per il pianeta che ci ospita. Infatti i resti del satellite precipitarono lontano da qualsiasi agglomerato urbano.
Pochi mesi più tardi toccò a un altro satellite, ROSAT, con le stesse modalità, ma i media forse avevano imparato a non fare allarmismi inutili e la notizia passò inosservata.

Ora la storia sta per ripetersi e poiché la memoria è spesso corta, si è sollevato di nuovo qualche allarme di troppo, anche se niente in confronto a quanto successe con UARS.
Quindi, alla fine di questo lungo preambolo, cosa sta per accadere? Come stanno le cose?

Quello che sappiamo è che il satellite GOCE, dell'agenzia spaziale europea e costruito dall'Alenia spazio (in parte italiana), posto nella bassa orbita terrestre dal 2009 e dedicato allo studio del campo gravitazionale della Terra e degli oceani, ha finito il carburante e non può mantenere più la sua orbita che sfiora gli strati più alti dell'atmosfera e che quindi richiede frequenti manovre per essere mantenuta. Benché ancora perfettamente funzionante, il suo destino è scontato: tra il 10 e il 12 novembre (2013) la sua orbita sarà diventata così bassa che la nostra atmosfera lo farà rallentare velocemente e poi precipitare nel giro di pochi minuti. Attualmente il momento più probabile sembra essere nella notte tra il 10 e 11 Novembre, alle 3:30 ora italiana. Il margine d'errore è di diverse ore, quindi questo dato è indicativo, ma a quell'ora si troverà ben lontano dall'Italia.

Il satellite pesa una tonnellata e si stima che circa il 25% della sua massa raggiungerà la superficie, distribuita in frammenti non più grandi di una novantina di chili.
Nessuno sa dove precipiterà. Quello che sappiamo è che le ultime orbite previste prima del brusco rientro passano anche sopra l'Italia centro settentrionale, quindi la probabilità che dei frammenti raggiungano il nostro suolo non è nulla. Detto questo, con il termine "non è nulla" si intende che la probabilità che dei frammenti cadano in Italia è comunque inferiore a una su mille.
La probabilità che uno di questi frammenti colpisca qualcuno o qualcosa è dell'ordine di una su 250 mila. Quindi, in sostanza, benché in questo periodo potremmo sentirci abbastanza sfortunati, sarebbe più probabile che uscendo di casa per andare a buttare la spazzatura ci colpisca un fulmine. In altre parole, ancora più chiare: se dobbiamo aver paura dei frammenti di questo satellite allora ci sono mille altri motivi per cui non dovremmo nemmeno alzarci dal letto la mattina per paura di rimanerci secchi.

Se abbiamo una discreta fortuna e un cielo limpido, potremo sperare di osservare il rientro, che sarebbe spettacolare e simile a quello di un lento bolide (una stella cadente molto luminosa) che si apre a ventaglio a causa della sua progressiva disintegrazione in atmosfera.
Se volete tenervi aggiornati e sapere di più sul satellite e sul rientro, questo sito della NASA è continuamente aggiornato: http://www.spaceflight101.com/goce-re-entry.html



giovedì 7 novembre 2013

Astronomia per tutti: volume 9

Dopo un paio di mesi di riposo ho ripreso il progetto Astronomia per tutti ed ecco pronto il numero 9. Siamo quasi alla fine, che verrà raggiunta al volume 12, quindi si entra ancora più nel vivo, soprattutto per le categorie di astronomia pratica.

Astronomia per tutti: volume 9.
Per chi sta imparando le basi dell’osservazione astronomica parleremo delle montature dei telescopi e di come sistemarle adeguatamente per renderle più adatte ai nostri scopi. Ne vedremo alcune un po’ strane, con movimenti bizzarri e che richiedono un’operazione chiamata stazionamento prima di essere utilizzate.
Nella sezione di fotografia astronomica parleremo ancora di imaging planetario e affronteremo la delicata fase di ripresa, momento in cui si determina la qualità dell’immagine finale, che nel prossimo volume impareremo a elaborare prima di passare all’imaging deep-sky.
Nella sezione dedicata alla ricerca verrà introdotta una branca poco conosciuta ma nella quale il contributo degli astronomi dilettanti è fondamentale: l’astrometria. Impareremo come funziona, a cosa serve e con quali strumenti si può affrontare.

Nella sezione di astrofisica scopriremo una proprietà fondamentale dell’Universo. Gli scienziati la chiamano radiazione cosmica di fondo, un termine che non rende giustizia alla sua enorme importanza. In un certo senso stiamo guardando il DNA stesso dell’Universo, nel quale è scritta in dettaglio la sua stessa storia, dall’istante iniziale a quello finale. È il sacro Graal degli astronomi, che lo hanno rincorso per decessi fino a quando non è stata scoperta per caso, da due ingegneri che di mestiere facevano tutt’altro. La scienza, a volte, è davvero bizzarra.
Torneremo poi nelle vicinanze del nostro pianeta, anzi, andremo proprio nel pianeta più vicino, Venere, e vedremo un po’ la storia della sua esplorazione, da quando degli ingenui scienziati equipaggiarono le sonde con sistemi di galleggiamento sperando che sul pianeta ci fossero grandi oceani, fino alle missioni future che cercheranno di vincere l’infernale pressione e temperatura del suolo.
Concluderemo il viaggio stuzzicando la nostra curiosità su un tema sempre molto attuale. Da oltre 40 anni, infatti, alcuni tra i più grandi radiotelescopi del mondo ascoltano il cielo alla ricerca di un debole segnale radio di origine extraterrestre. Per quasi mezzo secolo abbiamo ascoltato i messaggi dell’Universo, cercandone qualcuno che potesse darci la conferma che là fuori esistono altre forme di vita evolute oltre a noi. La domanda, quindi, è lecita: che cosa abbiamo trovato in tutto questo tempo? 

Come al solito sono disponibili le copie digitali per dispositivi Kindle e in formato PDF ad alta risoluzione. Tra qualche settimana sarà disponibile anche la copia cartacea, sempre su Amazon.it

martedì 5 novembre 2013

Domande e risposte: quanto sono violenti i venti sugli altri pianeti?

Qui sulla Terra un vento che spira a 100 km/h è sufficiente per impedirci di stare in piedi. Se dovessimo per caso trovarci in un uragano con venti a 200 km/h voleremmo letteralmente via a causa dell’enorme forza esercitata dall’aria su di noi.
La Terra non è l'unico pianeta del Sistema Solare sul quale spirano venti molto violenti, quindi viene da chiederci quali potrebbero essere i danni causati su un impavido astronauta che dovesse un giorno atterrare su quelle remote superfici planetarie.
Purtroppo il gioco è impossibile da fare per tutti i pianeti gassosi, anche se qualcosa potremo dire lo stesso, partendo proprio dai corpi sui quali si potrebbe atterrare.
Marte è sicuramente il pianeta più indicato, tanto che in un futuro non troppo lontano è certo che l’uomo vi metterà piede. Sì, ma come sopravvivere ai venti che superano i 200 km/h durante le tempeste? 

In realtà la velocità del vento non indica direttamente quanti danni potrebbe causare perché non abbiamo considerato una variabile fondamentale: la densità dell’aria in movimento.
L’atmosfera di Marte è molto meno densa della nostra, con il risultato che, calcoli alla mano, un vento pari a 200 km/h ha la stessa forza di una moderata brezza che spira a 20-25 km/h, decisamente poco per creare dei problemi! A riprova di quanto detto, la debole forza del vento marziano è stata sfruttata da un rover che gettandosi dentro una tromba d’aria è riuscito a ripulire i pannelli solari pieni di polvere, senza subire alcun danno.
L’apparenza continua a ingannare anche su Venere. Se le sommità delle nubi sperimentano venti fortissimi ma pressioni bassissime, sulla superficie un vento a 5 km/h avrebbe la stessa forza di un nostro vento a oltre 40 km/h, questa volta decisamente disturbante per un astronauta che dovesse trovarsi a camminare nel forno venusiano, o per qualsiasi capsula automatica che dovesse giungere un giorno.
Per i pianeti gassosi, sebbene non potremo mai sperimentare sulla nostra pelle l’effetto dei loro venti, tutto dipende quindi dalla pressione dello strato atmosferico che li genera. Le tenui nubi di Nettuno, ad esempio, dovrebbero essere molto più rarefatte dell’aria terrestre e il vento spaventoso di 2000 e passa km/h dovrebbe risultare meno violento.
Il vento solare rappresenta il caso limite. Con una densità di miliardi di miliardi di volte inferiore alla nostra atmosfera al livello del mare non produrrebbe danni neanche a una formica, almeno dal punto di vista della forza.