venerdì 18 luglio 2014

Di che colore sono le galassie?

Questo post è un estratto del mio libro: 125 Domande e curiosità sull'astronomia, disponibile in formato ebook e in cartaceo.


Questa domanda ha implicazioni davvero profonde e ci permette di capire meglio le proprietà delle galassie.
Il colore globale di una galassia è determinato dal colore predominante delle centinaia di miliardi di stelle di cui sono formate. Gas e nebulose contribuiscono molto poco al colore di una galassia.
Le galassie ellittiche di grandi dimensioni hanno un colore tendente al giallo.
Le ellittiche piccole, dette nane, hanno una tonalità tendente all’azzurro.
Le galassie a spirale hanno una tripla colorazione. I bracci sono nettamente azzurri, mentre il nucleo tende in modo evidente al giallo. Infine, le regioni tra i bracci di spirale appaiono bianche o al limite leggermente giallastre.
Le irregolari, infine, sono quasi tutte estremamente blu. 

I diversi colori delle galassie
Perché colori così diversi?
Semplice, quanto affascinante.
Il colore delle stelle, se ben ricordiamo, dipende dalla temperatura, la quale dipende (almeno nella grande maggioranza dei casi) dalla massa. Ma stelle più massicce hanno una vita sensibilmente più breve degli astri più snelli.
Di conseguenza le galassie con un colore tendente all’azzurro sono ricche di giovani e calde stelle blu, quindi sono oggetti ancora attivi e presumibilmente piuttosto giovani.
Al contrario, le galassie con una tonalità gialla sono oggetti composti esclusivamente di stelle molto antiche, per i quali la nascita di nuove stelle non è più attiva. 

Per le galassie a spirale, i diversi colori ci permettono di dire altre cose. La zona rigonfia nei pressi del centro è composta da stelle gialle e rosse, quindi è vecchia e priva di processi di formazione stellare.
La tonalità nettamente azzurra dei bracci di spirale conferma il modello secondo cui i processi di formazione stellare si sviluppino in queste fondamentali regioni e sono tuttora attivi.
Le zone del disco al di fuori dei bracci appaiono tendenti al bianco/giallo, indice che si tratta di regioni più vecchie perché povere di astri molto blu, ma più giovani del nucleo perché contengono ancora alcune componenti bianco/azzurre formatesi qualche decine di milioni di anni prima, quando si trovavano su uno dei bracci.

martedì 15 luglio 2014

Come si è formata la Luna?

Questo post è un estratto del mio libro: 125 Domande e curiosità sull'astronomia, disponibile in formato ebook e in cartaceo.


Tra i numerosi satelliti dei pianeti, la Luna è sicuramente il più interessante, non perché satellite del nostro pianeta, ma da un punto di vista prettamente astronomico.
I satelliti degli altri pianeti, in effetti, sono molto più piccoli in rapporto alle loro dimensioni. Phobos e Deimos, lune di Marte, hanno dimensioni di pochi chilometri, contro i 6700 km del raggio planetario.
Il confronto diventa impietoso con le lune di Giove. Ganimede, la più grande del Sistema Solare, addirittura di dimensioni maggiori di Mercurio, ha una massa infinitesima in confronto al gigante che la ospita.

La Luna, invece, fa eccezione. Rispetto alla Terra è appena 81 volte meno massiccia e solamente 4 volte più piccola.
Questo per gli astronomi ha rappresentato un grande problema.
Come si è formata la Luna?
Un pianeta ha sostanzialmente due modi per acquisire satelliti.
I più grandi generalmente si formano nelle vicinanze del pianeta, dai resti dei detriti non utilizzati dal corpo principale, un po’ come è successo per il Sole e i pianeti, ma su scala ridotta.
Il secondo metodo è quello della cattura gravitazionale. Quando un piccolo asteroide transita casualmente nei pressi di un pianeta molto più grande, è possibile che il campo gravitazionale lo catturi. Questo è probabilmente il modo in cui Marte ha guadagnato le sue piccole lune.
I corpi celesti catturati si riconoscono dalla forma irregolare, da una composizione chimica molto diversa da quella del pianeta e da orbite non regolari.
Molti dei piccoli satelliti di Giove e Saturno si pensa siano asteroidi catturati in miliardi di anni di storia.

Cosa dire, invece, della Luna?
Le sue grandi dimensioni escludono l’ipotesi di una cattura gravitazionale da parte della Terra, ma allo stesso tempo escludono anche l’ipotesi che possa essersi formata contemporaneamente al nostro pianeta.
La composizione chimica è simile a quella del mantello terrestre, ma è povera di elementi pesanti come ferro e nichel che invece sono abbondanti in molti asteroidi e pianeti.
Dopo molti anni di ricerche, gli astronomi sono arrivati a ipotizzare che la Luna non è altro che una costola della Terra.
Pochi milioni di anni dopo la formazione del nostro pianeta, un corpo celeste delle dimensioni di Marte, chiamato Theia, si è scontrato violentemente, vaporizzandosi e scagliando nello spazio miliardi di pezzi della giovane Terra, alcuni dei quali si sono di nuovo aggregati per formare la Luna.
Questo piega perché il nostro satellite naturale sia povero degli elementi più pesanti, che nella giovane Terra erano già sprofondati a formare il nucleo.
Schema di formazione della Luna: un impatto gigantesco senza il quale, probabilmente, non saremmo esistiti
Neanche la più apocalittica scena di un film avrebbe potuto immaginare uno scenario del genere, ma a quanto pare l’Universo a volte ama stupire con effetti speciali!

venerdì 11 luglio 2014

Come si diventa astronomi?

Questo post è un estratto del mio libro: 125 Domande e curiosità sull'astronomia, disponibile in formato ebook e in cartaceo.


Per diventare astronomi professionisti è necessario seguire un percorso di studi universitari lunghi e spesso piuttosto difficili, ma con passione e buona volontà tutti possono ambire a questa professione. 

Si inizia con una laurea triennale in astronomia, oppure in fisica. Si deve poi proseguire con una laurea magistrale di due anni in astrofisica o cosmologia, poi vincere una borsa di studio per un dottorato di tre anni, fortunatamente pagato (ma molto poco in Italia, e non per tutti!). Alla fine dei tre anni si diventa a pieno titolo dottori in astronomia e ricercatori. Si può partecipare a concorsi e inviare il proprio curriculum in giro per il mondo, aspettando pazientemente che qualche università o centro di ricerca sia interessato.

Le possibilità di lavoro in Italia sono purtroppo quasi nulle nel settore della ricerca. Molti astronomi trovano occupazione in aziende private specialmente come programmatori, oppure intraprendono la difficile strada dell’insegnamento.
Le prospettive sono migliori all’estero. D’altra parte un astronomo è una persona che deve essere flessibile, parlare fluentemente almeno l’inglese e disposto a viaggiare in tutto il mondo.

L’America è ancora il leader dei giovani talenti, seguita dagli altri paesi anglosassoni, dalla Germania e dalla Francia.
Un astronomo con un dottorato di ricerca troverà facilmente posto presso qualche università straniera.
Se invece non siamo disposti ad abbandonare questo Paese, dobbiamo essere pronti a fare qualcos’altro, soprattutto se tra i nostri sogni c’è la possibilità di una famiglia.

I pochi astronomi italiani hanno stipendi da dipendenti pubblici di basso rango, nonostante lavorino diverse ore al giorno, spesso di notte, e contratti a tempo determinato. I colleghi americani, ma anche tedeschi, inglesi o francesi, possono contare su stipendi di base almeno doppi, se non tripli, e ottime possibilità di fare carriera in base alle proprie capacità.

Si può fare astronomia anche per passione, senza dover sottostare alle rigide regole accademiche e scientifiche. Per questo basta un semplice telescopio amatoriale, tanta passione, pazienza, determinazione e naturalmente un cielo buio.
L’astronomo dilettante decide in piena libertà come, quando, cosa osservare e a quale livello. L’unico inconveniente è che nessun astronomo amatoriale viene pagato, neanche emigrando su altri pianeti!

martedì 8 luglio 2014

Che cosa fa un astronomo?

Questo post è un estratto del mio libro: 125 Domande e curiosità sull'astronomia, disponibile in formato ebook e in cartaceo.


Questa è una domanda che in tanti mi fanno, ma è così generica che la risposta lo deve essere altrettanto, anche se non è detto che sia meno soddisfacente.

A me piace pensare che un astronomo è un investigatore del cielo: niente di più semplice.
Attraverso l’utilizzo di leggi fisiche, deduzioni logiche e un’attenta fase di raccolta delle prove, cerca di comprendere come funzionano tutti gli oggetti dell’Universo, fino a svelare il funzionamento dell’Universo stesso. 

In effetti il lavoro di un astronomo, almeno dal punto di vista concettuale, non è poi così diverso da quello di un investigatore della polizia, con qualche piccola, ma sostanziale differenza.
La scena del crimine, ad esempio, non è circoscritta ma occupa una superficie miliardi di miliardi di volte più vasta della Terra. Anche gli esperimenti per cercare di riprodurre l’evento non sono facili da condurre. È in effetti impossibile poter viaggiare verso la galassia che si vuole studiare o riprodurre in laboratorio una stella per comprenderne meglio il funzionamento.

Contrariamente a tutti gli altri investigatori, l’astronomo può limitarsi solamente ad analizzare la radiazione elettromagnetica proveniente dalle sorgenti del cielo e da questa cercare di caratterizzare i corpi celesti che l’hanno prodotta.
Si tratta sicuramente del lavoro di indagine più difficile in assoluto, ma anche, forse, il più appagante, perché non c’è niente di più ambizioso e meraviglioso che scoprire il funzionamento dell’intero Universo. 

L’astronomo del ventunesimo secolo non osserva più direttamente al telescopio, ma passa gran parte del tempo ad analizzare dati, a fare simulazioni al computer, a viaggiare per convegni e conferenze e al limite a insegnare all’università.
L’idea romantica dell’astronomia, fatta di notti stellate, di visioni stupende al telescopio, appartiene al mondo dell’astronomia amatoriale.
Spesso i professionisti non riconoscono neanche le costellazioni in cielo!

L’astronomia professionale non è altro che fisica applicata alle stelle, quindi ricca di formule e dimostrazioni matematiche.
D’altra parte, per spiegare l’Universo e le regole che segue, non possiamo far altro che utilizzare il linguaggio veramente universale, quello della fisica, che utilizza come lettere dell’alfabeto il formalismo e le regole della matematica.
Ma non disperiamo: non dobbiamo essere dei provetti matematici per fare gli astronomi, come per parlare non bisogna essere dei linguisti. E non posso che concordare con quanto disse un mio professore universitario: quando ci sono da fare tanti e complessi calcoli matematici si chiama un matematico che li faccia al posto nostro. A noi astronomi interessano poi i risultati e le implicazioni fisiche!

venerdì 4 luglio 2014

Dove e come si formano le stelle?

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Tutte le stelle, nessuna esclusa, si formano da immense distese di gas chiamate nebulose, come conseguenza inevitabile di un’unica, fondamentale, legge della Natura: la forza di gravità.

Ogni stella nasce dal collasso di una massa di gas rarefatto
Tutto inizia quando una nebulosa piuttosto densa ed estremamente fredda (circa -260°C), magari disturbata da qualche stella vicina o dai tumultuosi ambienti interstellari, comincia a sentire la forza di gravità del suo stesso gas. 
Con il passare del tempo, gas e polveri cominciano a raccogliersi attorno a un centro, aumentando di massa e comprimendosi sempre di più. La compressione fa inevitabilmente aumentare la sua temperatura. Dopo qualche milione di anni, il gas accumulatosi forma quella che viene chiamata protostella, un oggetto gassoso, molto più grande di una stella che continua a raccogliere gas, quindi a comprimersi e a riscaldarsi sempre di più.

A un certo punto nelle zone centrali della protostella la temperatura supera la soglia critica di 10 milioni di gradi. Oltre questo valore si innescano i processi di fusione termonucleare, la cui enorme energia riesce finalmente a fermare la contrazione del gas. La protostella si accende e diventa una stella a tutti gli effetti.
10 milioni di gradi al centro: la stella è nata e spazza via il gas residuo
L’inizio della sua vita è accompagnato da un potente flusso di particelle, risultato dei processi di fusione nucleare, che si irradia nello spazio e forma quello che viene chiamato vento stellare.
Nelle prime fasi di vita il vento stellare è così violento da creare una bolla e allontanare nello spazio il gas residuo della nebulosa, interrompendo in questo modo il processo di accrescimento.


Le nebulose dalle quali nascono le stelle contengono in realtà materia per formare decine, centinaia e a volte migliaia di astri. Le stelle, in effetti, non nascono mai da sole, ma a gruppi detti ammassi stellari.
La famiglia di stelle che si forma, tuttavia, dopo qualche centinaio di milioni di anni spesi insieme verrà divisa dagli ambienti interstellari. Le componenti, pur sopravvivendo, seguiranno una strada spesso indipendente le une dalle altre.
Anche il Sole si pensa sia nato all’interno di un ammasso stellare, in compagnia di almeno altre 50-100 stelle. Alcune di esse, le più grandi, sono ormai estinte da tempo, ma altre, la maggioranza, si trovano ancora da qualche parte nella Galassia. Difficile, se non impossibile, però, riuscire a ritrovare i fratelli della nostra stella, persi ormai tra miliardi di altre stelle.

martedì 1 luglio 2014

Cosa sono i bracci di spirale delle galassie?

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Le galassie a spirale, che rappresentano i ¾ della popolazione dell’Universo, hanno degli stupendi bracci a spirale. Ma cosa sono realmente?
Per scoprirlo partiamo da una semplice osservazione: nei bracci di spirale vi è una densità maggiore del 15-20% di materiale. Questi, quindi, si rendono visibili perché ci sono più stelle e gas che nel resto del disco.
Le stelle nelle galassie non hanno tutte la stessa velocità angolare. Questo significa che un giro completo attorno al centro richiede un periodo diverso a seconda della distanza dal centro.
Si potrebbe pensare, quindi, che il problema sia stato risolto. Per qualche motivo esistono delle concentrazioni di stelle che mano a mano che ruotano con velocità diverse attorno al centro formano i bracci di spirale.
Questo modello, però, ha un piccolo problema: non funziona!
Se i bracci fossero composti sempre dallo stesso materiale, deformato poi dalla rotazione, non potrebbero esistere per più di poche centinaia di milioni di anni. Dopo appena un paio di orbite risulterebbero così distorti da mescolarsi e scomparire.
Poiché osserviamo milioni di galassie a spirale, è impossibile pensare che le stiamo vedendo tutte in quei pochi milioni di anni nei quali mostrano i bracci, se non altro perché basta guardare lontano nello spazio per farlo anche nel tempo e riuscire a scoprire oggetti delle più diverse età.
 
Ma allora, cosa sono e come si creano i bracci di spirale?
Può sembrare assurdo, ma i bracci di spirale non sono altro che delle enormi onde sonore che si propagano in modo indipendente dalla materia sul disco delle galassie a spirale.
In linguaggio più tecnico si definiscono onde di densità, ma il principio fisico alla base della loro formazione è identico a quello che ci consente di sentire il suono qui sulla Terra, con una piccola differenza: stiamo infatti osservando dei mostri estesi per decine di migliaia di anni luce, quindi anche le onde sonore che si sviluppano sono mostri con una lunghezza d’onda di altrettante migliaia di anni luce. 
Di fatto, è impossibile per qualsiasi apparato percepire il suono associato a queste speciali onde sonore, ma questo non rende di certo meno valida la loro esistenza.
L’onda sonora in un disco galattico ha una vita a se stante indipendente dalla materia, per questo motivo non si attorciglia a causa delle diverse velocità di rotazione di gas e stelle.
I bracci di spirale quindi non sono altro che le onde sonore rese visibili dal materiale che si ritrova ad attraversarle. 

Possiamo concepire un tale fenomeno con un paragone molto più familiare. Immaginiamo di percorrere un’autostrada trafficata, ma senza rallentamenti. Poi, si incontra un camion in lento movimento. In questo punto le auto rallentano e si avvicinano, probabilmente formando una coda che una volta superato l’ostacolo si dissolverà.
Il camion è un’onda di densità di una galassia: un punto nel quale il materiale deve rallentare la sua corsa e comprimersi, prima di superare l’ostacolo e riprendere la velocità di crociera originaria.
Una tipica stella impiega qualche milione di anni per percorrere un braccio di spirale, ma l’attraversamento produce degli effetti imprevedibili e importantissimi.
Quando le grandi quantità di gas freddo entrano in un braccio di spirale, sono costrette a comprimersi. Questa compressione innesca dei vivaci processi di formazione stellare, che probabilmente non sarebbero stati possibili senza il calcio iniziale offerto dall’onda di densità.



Non è infatti un caso che all’esterno dei bracci di spirale si rendano visibili ingenti quantità di nebulose oscure, mentre nel mezzo del braccio compaiono brillanti stelle azzurre estremamente giovani e immense distese di nebulose ad emissione.
I bracci a spirale delle galassie sono di fatto coloro che innescano e regolano i processi di formazione stellare, garantendo un ricambio generazionale costante nella popolazione stellare della galassia.
Davvero magnifico!