mercoledì 29 febbraio 2012

Lo spettacolo della Luna, Venere e Giove vicini nel cielo

Nei giorni passati una sottile falce lunare quasi distesa sull'orizzonte ha dato spettacolo assieme ai pianeti più brillanti del cielo: Venere e Giove.
Luna, Venere e Giove nel cielo di Bologna
L'emozionante quadro cosmico si è protratto per tutta la scorsa settimana e spero proprio che anche voi ve lo siate potuto godere.
Pubblico qui il mio piccolo contributo; uno scatto effettuato dal terrazzo della mia casa di Bologna. La luce del tramonto, la neve ancora presente sui tetti e sulle colline, hanno reso ancora più spettacolare la visione dei tre corpi celesti perfettamente allineati.
L'immagine non è stata ritoccata: gli aloni luminosi attorno ai corpi celesti sono naturali e prodotti dalle sottili nubi ancora illuminati dalla luce del Sole tramontato e resa rossa da una tenue foschia.
La Natura molto spesso è più brava di qualsiasi operazione di foto-ritocco!


Per gli amanti dei dati tecnici: Canon 450D, obiettivo da 18 mm f4.5, 400 ISO, esposizione di 8 secondi.

Aspettiamo il prossimo mese per assistere ad un altro allineamento, con Giove e Venere molto più vicini di ora!

martedì 28 febbraio 2012

La Terra di notte vista dalla ISS

Continua la serie di video time-lapse ripresi dagli astronauti a bordo della stazione spaziale internazionale (ISS) che mostrano da un punto di vista unico la bellezza del nostro pianeta.
Da quasi 400 km di altezza e con una velocità di circa 27000 km/h, gli astronauti che abitano la stazione spaziale possono assistere in un giorno a circa 16 tramonti ed altrettante albe.
Ma non solo: spettacolari aurore polari, le luci delle grandi città ben visibili (purtroppo) anche dallo spazio, addirittura i fulmini dei numerosi temporali che ogni giorno imperversano in molte aree del pianeta.
Ogni descrizione sarebbe superflua perché assolutamente inadatta nel raccontare le emozioni che si possono provare.
In attesa di aver anche noi (difficile) una chance per vedere la Terra dallo spazio, accontentiamoci di uno dei video più spettacolari mai ripresi.
Ad un certo punto dall'orizzonte compare in tutta la sua bellezza anche l'Italia, completamente sgombra da nubi. Sapete riconoscerla?
Un aiuto: è forse il territorio con la più alta concentrazione di luci di tutto il mondo.
Buona visione e buone emozioni!


Consiglio caldamente di guardarlo a risoluzione piena e schermo intero, cliccando qui

giovedì 23 febbraio 2012

Il sogno è finito: i neutrini (molto probabilmente) non viaggiano più veloci della luce

Qualche mese fa una notizia apparentemente storica aveva varcato i classici confini accademici per venire catapultata nel grande circo dei media generalisti.
Gli scienziati che lavorano all'esperimento OPERA avevano pubblicato un articolo in cui dichiaravano che i fasci di neutrini utilizzati nei loro esperimenti avevano viaggiato apparentemente ad una velocità superiore a quella della luce.
L'esperimento OPERA
Naturalmente la notizia ben presto trabordò dai binari pacati e scettici degli autori dell'articolo. I ricercatori, dopo lunghe discussioni interne, avevano infatti deciso di rendere pubblici i risultati degli esperimenti con l'unico scopo di chiedere aiuto alla comunità internazionale, per comprendere quale potesse essere l'eventuale errore.

Invece, come era prevedibile, da quel giorno nascuero decine di speculazioni fisiche. Alcuni scienziati più o meno improvvisati si spinsero nel dire che se quei dati fossero stati confermati, si sarebbe dovuta riscrivere gran parte della fisica moderna. I giornali titolavano già senza alcun dubbio che i neutrini erano più veloci della luce e che la teoria di Einstein doveva essere riscritta (nessuno scienziato serio, e men che meno gli autori dell'articolo, hanno mai fatto queste affermazioni).
Il mondo degli appassionati era in fermento, come a voler testimoniare con forza la ricerca di una grande notizia da tempo attesa in un'epoca apparentemente piatta, nella quale sorprendersi diventa sempre più difficile e allo stesso tempo necessario.

Nel rumoroso silenzio delle sterili speculazioni, la comunità scientifica si è data molto da fare nel cercare le eventuali cause di questi dati. Era infatti la prima volta, in oltre 100 anni di esperimenti, che la teoria della relatività sembrava non funzionare, per di più attraverso particelle che negli ultimi 15 anni sono state studiate molto attentamente senza notare mai nulla di anomalo.
In effetti, con razionalità e mente fredda, l'ipotesi di un errore nei calcoli è sempre stata di gran lunga più probabile rispetto al fatto che quell'esperimento avesse violato, per qualche motivo sconosciuto, i principi base della fisica così come la conosciamo.

Benché affascinato come tutti all'idea irrazionale di veder piombare una vera e propria bomba in grado di sovvertire molte delle nostre convinzioni scientifiche, ho taciuto sulla notizia, proprio perché erano necessari maggiori dati per confermare o smentire i risultati dell'esperimento OPERA.
In quei concitati momenti tutti potevano proporre una teoria che aveva esattamente le stesse probabilità di essere corretta o sbagliata.

Una recentissima breaking news di Edwin Cartlidge di sciencemag, che cita fonti vicine all'esperimento OPERA, ha spento le speranze ed i sogni degli appassionati.
A quanto pare i neutrini non avrebbero superato la velocità della luce. La misurazione sarebbe stata affetta da un paio di errori, di cui uno davvero fondamentale.
Durante i controlli, il team italiano nei laboratori del Gran Sasso ha scoperto una connessione difettosa nel cavo in fibra ottica che unisce un computer con il ricevitore GPS utilizzato per correggere il tempo di volo dei neutrini.
Il secondo errore è stato analizzato una volta sistemata la connessione ed è probabilmente quello che spiega i risultati apparentemente paradossali dell'esperimento. I ricercatori hanno scoperto che i dati al computer vengono trasmessi con 60 nanosecondi di anticipo rispetto alle previsioni.
Il numero non è un caso: 60 nanosecondi è esattamente il tempo di anticipo dei neutrini rispetto alla velocità della luce misurato nei mesi precedenti dall'esperimento OPERA.

I ricercatori del Gran Sasso hanno confermato l'individuazione di questi due errori, anche se, da bravi scienziati, mantengono ancora la calma (come successe con la notizia di Settembre) ed affermano, giustamente, che sono necessarie altre misurazioni, che arriveranno solamente nei prossimi mesi.
Purtroppo però, sembra che la storia dei neutrini più veloci della luce sembra destinata solamente a libri e racconti di fantascienza.
Non ci resta che aspettare la prossima notizia bomba, magari cercando di mantenere la calma. Scoperte eccezionali richiedono prove eccezionali. Ed in questo caso l'unica flebile prova, purtroppo, sembra essersi persa nei mai amati cavi di connessione.


Qui trovate la dichiarazione ufficiale di Edwin Cartlidge 
Qui invece potete informarvi sulla notizia che nel Settembre 2011 riportava la clamorosa scoperta dei ricercatori del CERN

lunedì 20 febbraio 2012

Cosa succede al corpo umano nello spazio aperto?

Lo spazio è un ambiente estremamente inospitale per l’uomo, il cui fisico si è sviluppato ed adattato alle particolari condizioni presenti sulla superficie della Terra.
Fuori dall’atmosfera terrestre nessun essere umano può resistere alle condizioni estreme che ci sono. 
Per quale motivo? In realtà ce ne sono molti:
Prima di tutto nello spazio non c’è alcuna atmosfera respirabile. La quantità di gas presente è davvero infinitesima, pari a poche particelle ogni centimetro cubo, contro le migliaia di migliaia di miliardi dell’atmosfera terrestre.
Di conseguenza nello spazio non c’è neanche pressione.

La mancanza di atmosfera fa si inoltre che la temperatura subisca molti sbalzi. In prossimità della Terra si passa dai circa 150°C delle zone illuminate dal Sole ai -100°C delle zone in ombra.

Contrariamente a quanto si possa credere, e a quello che ci hanno trasmesso film e racconti di fantascienza, un astronauta esposto allo spazio aperto morirebbe semplicemente soffocato per mancanza di ossigeno, non per chissà quale macabro evento. 
Il nostro corpo in effetti si dimostra essere estremamente (e sorprendentemente) resistente a queste condizioni. 

La mancanza di pressione non fa andare in ebollizione il sangue o esplodere il corpo, come si può credere. Fluidi ed organi interni sono tenuti in pressione dalla nostra pelle, che è particolarmente efficiente nell’isolarli dalle condizioni esterne. 
Quando il corpo viene esposto a pressioni estremamente basse o nulle, la nostra pelle si espande, facendoci sembrare dei body builder, ma non si lacera, così che tutti gli organi interni e l’apparato circolatorio continuano a funzionare normalmente.

Per quanto riguarda le temperature estreme, non bisogna farci spaventare, perché quello che conta è la trasmissione del calore. Nello spazio il calore viene trasferito solamente per contatto ed irraggiamento, non per convezione, visto che non esiste aria. La trasmissione di calore per convezione è la più efficiente: è quella che ci fa scottare quano ci avviciniamo troppo ad una fiamma e la stesa che nelle roventi giornate estive ci fa sudare e rimpiangere l'inverno. 

In effetti il vuoto è l’isolante termico migliore che esista. In queste condizioni, la nostra pelle quindi cambia temperatura molto lentamente, non bruciandosi al Sole e non congelando all’ombra. Al massimo ci si prende una scottatura a causa dei raggi ultravioletti non schermati provenienti dal Sole, ma ci vuole probabilmente qualche minuto.

Un problema potrebbe invece riguardare l’apparato respiratorio. 
Se prima di uscire per una passeggiata nello spazio senza alcuna protezione cerchiamo di prendere aria per poter trattenere il respiro più a lungo, facciamo un grande errore. 
I polmoni sono gli unici organi interni in diretto contatto con l’ambiente esterno. Nel momento in cui usciamo fuori, la pressione dell’aria accumulata al loro interno potrebbe danneggiarli o farli letteralmente a pezzi. 

Quindi, se avete voglia di fare una passeggiata nello spazio senza protezioni, cercate solamente di non prendere aria prima di uscire!
In questo modo un corpo umano può restare nello spazio senza protezione per oltre 30 secondi senza riportare danni irreversibili. 
A causa della mancanza di ossigeno, dopo 15-20 secondi si perde però coscienza perché il cervello non ha più rifornimenti energetici. Entro due-tre minuti arriva la morte; lo stesso tempo richiesto per un "classico" soffocamento. 

Come si può ben immaginare, nessuno si è comunque avventurato nello spazio o in una camera a vuoto per sperimentare cosa succede al proprio fisico non protetto, quindi manca uno studio statistico in merito che ci dica l'esatta tempistica.

Nel corso della storia, comunque, un paio di incidenti hanno aiutato a comprendere gli effetti del vuoto sul fisico umano.
Il primo incidente si è verificato in una camera pressurizzata della NASA durante i test di una tuta spaziale negli anni 60.
A causa di una perdita di pressione della tuta, il malcapitato che la indossava è rimasto cosciente per 14 secondi prima di svenire per la mancanza di ossigeno al cervello.
Quanto i tecnici hanno ripristinato la pressurizzazione della camera, egli ha ripreso coscienza autonomamente ed ha affermato che l’ultima cosa che ricordava era la sua saliva in ebollizione sulla sua lingua.
Questo non significa che la saliva si era scaldata, piuttosto che nel vuoto dello spazio l’acqua bolle anche a temperatura ambiente, anzi, non può proprio esistere stabilmente allo stato liquido. 

Un altro incidente è capitato sempre negli anni 60 durante l'ascesa a bordo di un pallone aerostatico. In prossimità della massima altezza, a circa 30 km, la tuta pressurizzata del capitano Joe Kittinger non funzionò perfettamente, così che una sua mano si trovò esposta al vuoto estremamente spinto di quelle regioni atmosferiche. Il comandante perse momentaneamente l'uso della mano, ma una volta tornato a Terra riacquistò mobilità senza aver subito danni permanenti. 

Bene, ora ogni volta che vedremo un film nel quale sventurati astronauti si deformano e muoiono per indicibili sofferenze se esposti allo spazio aperto, sappiamo che si tratta solamente di pura finzione. Purtroppo la realtà in questo caso è meno spettacolare, ma altrettanto efficiente!

sabato 18 febbraio 2012

Due nuove lune per Giove!

Giove è il pianeta più grande del Sistema Solare, con una forza di gravità così intensa da creare disturbi fino a centinaia di milioni di chilometri di distanza.
Il movimento rispetto alle stelle di una delle due nuove lune
Di conseguenza, non deve studipe che il pianeta gassoso abbia intorno a se una vera e propria flotta di lune.
Le più grandi sono le quattro scoperte da Galileo Galilei nel 1610, chiamate: Io, Europa, Ganimede e Callisto.
Oltre a queste quattro ne esistono molte altre di dimensioni nettamente inferiori. La loro forma irregolare ci dice che probabilmente sono asteroidi catturati dall'intenso campo gravitazionale del pianeta qualche miliardo di anni fa.
Fino a pochi giorni fa il numero delle luce di Giove era fermo a 64, ma attualmente è salito a 66 grazie alla recente scoperta di altri due satelliti artificiali risalente allo scorso Settembre.

Con la denominazione provvisoria S/2011 J1 e S/2011 J2 i satelliti sono i più piccoli mai individuati, con un diametro stimato non maggiore di un chilometro. Si pensa che anche questi siano quindi piccoli asteroidi catturati durante un passaggio ravvicinato. Il loro moto attorno a Giove si compie in modo retrogrado, ovvero nel senso contrario rispetto a quello delle altre lune interne.
Oltre al diametro veramente ridotto, le due lune orbitano così lontano da Giove che impiegano 580 e 726 giorni per compiere un giro completo.

La debolezza e soprattutto la grande distanza dal pianeta sono i motivi per cui le due lune si sono scoperte solamente adesso e sono state mancate sia dalle sonde che negli anni passati si sono avvicinate al pianeta (Voyager 1 e 2, Pioneer 11) che dalla sonda Galileo, rimasta più di dieci anni in orbita attorno a Giove.

I due satelliti scoperti, però, potrebbero essere solamente i primi di una famiglia che ne potrebbe contare almeno altri 100, con dimensioni e proprietà simili. Gli astronomi in effetti sono convinti che satelliti di queste caratteristiche potrebbero essere presenti attorno a tutti gli altri pianeti gassosi, a cominciare da Saturno.

Scoprire queste particolari famiglie di lune sarebbe molto importante per comprendere l'ambiente nel quale è nato il Sistema Solare e ricostruire le prime, intense, fasi evolutive.
Tutte le lune più grandi ed interne si pensa infatti si siano formate dallo stesso materiale che ha generato il pianeta, mentre questi piccoli ed irregolari satelliti hanno buone probabilità di essere stati catturati successivamente dai campi gravitazionali.
Capire quanti satelliti di questo tipo esistono attorno ai pianeti esterni, ci potrebbe dare ottime indicazioni sulla quantità di materiale presente al tempo della formazione del Sistema Solare; un piccolo pezzo in più per completare il complesso puzzle della nascita e del successivo sviluppo dei pianeti così come li conosciamo.

sabato 11 febbraio 2012

Prepariamoci ad osservare Marte

Dopo un'attesa di ben 26 mesi Marte, il pianeta rosso ha deciso di presentarsi di nuovo vicino al nostro pianeta e rendersi quindi facilmente osservabile con ogni telescopio.

Marte ripreso con la mia strumentazione
Il momento di massima vicinanza alla Terra, chiamato opposizione, si verificherà il 3 Marzo 2012, ma il pianeta è già perfettamente visibile come una stella dalla forte tonalità rossa nella costellazione del Leone.
Nelle prossime settimane potremo assistere ad un lento moto del pianeta, accompagnato da un graduale aumento di luminosità, fino a raggiungere magnitudine -1,2, diventando 3 volte più luminoso del pianeta Saturno.

A dire la verità, questa opposizione di Marte non è proprio favorevole. Nel momento di massimo avvicinamento alla Terra il pianeta rosso si trova in prossimità del punto orbitale più distante dal Sole, detto afelio. Le opposizioni afeliche mostrano un pianeta più piccolo rispetto a quando si verificano vicino al perielio.
Il diametro angolare massimo sfiorerà i 14", contro i 25" raggiunti nella grande opposizione del 2003, che si ripeterà solamante nel 2021.
Nonostante i dati non troppi entusiasmanti, questi sono i migliori mesi per osservare il piccolo pianeta rosso prima che se ne torni lontano dalla Terra e non si faccia vedere per altri 2 anni.

Personalmente Marte è il mio pianeta preferito da osservare, semplicemente perché il più simile alla Terra.
Come Venere e Mercurio si tratta di un pianeta con una superficie rocciosa, ma è molto diverso.
Il pianeta rosso, proprio come la Terra, possiede due calotte polari, composte per una buona percentuale da ghiaccio d'acqua, che si modificano al susseguirsi delle stagioni marziane, proprio come sul nostro pianeta.
L'atmosfera di Marte è molto rarefatta ma abbastanza attiva. A volte vin prossimità delle grandi catene montuose è possibile osservare grandi nubi simili ai cirri terrestri. Nei pressi delle grandi depressioni, come Syrtis Major, si possono osservare nebbie e foschie, soprattutto nella prima mattinata marziana.
Durante i cambi di stagione è possibile assistere ad impetuose tempeste di sabbia che modificano la visibilità dei dettagli osservabili, senza poi contare la possibilità di osservare la montagna più alta del sistema solare. Il monte Olimpo, alto circa 25 km, vale da solo il prezzo del biglietto!

Tutti questi dettagli si possono osservare anche con telescopi di 10-15 centimetri, ma serve notevole allenamento e pazienza. Marte si lascia scoprire solamente agli occhi più allenati ed attenti, non ama gli sguardi fugaci e disinteressati.

Se volete approfondire il tema dell'osservazione del paneta rosso, qui trovate un mio articolo che spero risponderà a tutte le vostre domande.

giovedì 9 febbraio 2012

Straordinarie immagini dei siti di allunaggio delle astronavi Apollo

Il programma spaziale Apollo, che ha portao per la prima volta nella storia l'uomo sulla superficie di un altro corpo celeste, è stata la sfida più grande cha abbia mai affrontato l'umanità.
I 12 astronauti che hanno avuto il privilegio di passeggiare sulla Luna ed osservare nel cielo il nostro lontano pianeta hanno sfidato difficoltà e pericoli dell'esplorazione spaziale per realizzare il sogno di una vita, in un'epoca in cui la tecnologia era ancora lontana dagli standard attuali, eppure perfettamente all'altezza di pilotare un'astronave per 380000 km.

L'area di allunaggio di Apollo 11.
Con il passare degli anni e lo scemare lento ed inesorabile dei ricordi di quegli straordinari anni, sono nate diverse teorie "alternative" che affermano con forza che sulla Luna in realtà l'uomo non abbia mai messo piede.
Inutile ribadire che queste sono semplici fantasie di persone che non conoscono la materia o, peggio, sono in malafede.
Sulla Luna ci siamo andati e sarebbe un errore gravissimo negare il traguardo più importante mai raggiunto dalla specie umana nel corso della sua breve e litigiosa permanenza su questo pianeta.

Negli ultimi anni una sonda della NASA, la Lunar Reconneissance Orbiter, ha potuto riprendere dalla bassa orbita lunare le immagini più dettagliate mai ottenute della sueprficie del nostro satellite naturale.
Nel corso della sua operazione di mappatura ha potuto riprendere in dettaglio anche le zone di allunaggio delle astronavi Apollo negli anni 60 e 70.
Le riprese mostrano la parte inferiore del modulo lunare rimasta sulla Luna, alcuni strumenti scientifici lasciati dagli astronauti (piccoli punti luminosi) e persino le tracce lasciate dalle loro passeggiate.

Sito di allunaggio di Apollo 17, l'ultima missione lunare
E' affascinante ammirare queste foto riprese ad oltre 40 anni di distanza ed avere la sensazione che nulla sia cambiato, che gli astronauti in realtà ci siano ancora sulla superficie, tanto sono evidenti e "fresche" le tracce lasciate.
Questa è più di una semplice sensazione: sulla Luna non c'è ne atmosfera, ne acqua, quindi nulla che possa alterare o cancellare le tracce lasciate sul terreno. E' per questo motivo che il tempo sembra non essere passato e tutto è rimasto esattamente come lo avevano lasciato gli astronauti molti anni fa.
Guardando queste immagini viene anche da chiedersi, un po' malinconicamente: si ripeteranno mai gli anni straordinari dell'esplorazione della Luna, quando tutto il mondo seguì unito verso una conquista comune e la conquista più grande del genere umano, dimenticandosi della superficialità delle loro guerre?
Non sembra questo purtroppo il periodo favorevole all'esplorazione umana della Luna.
Non ci resta che continuare a guardare queste immagini e sognare ad occhi aperti.

Sito di allunaggio di Apollo 14



Potete trovare altre riprese in questa pagina.

In questa pagina trovate altre riprese dell'area di allunaggio di Apollo 11.

In questa pagina potete trovare tutte le riprese particolari dei manufatti lasciati sulla Luna e ripresi dalla sonda LRO, coprese altre immagini dei siti di allunaggio.

martedì 7 febbraio 2012

La sonde Voyager e Pioneer in viaggio verso le stelle

Nella prima metà degli anni 70 l'agenzia spaziale americana (NASA) lanciò nello spazio 4 sonde automatiche per l'esplorazione dei pianeti esterni: Giove, Saturno, Urano e Nettuno.
La prima a partire fu la Pioneer 10 il 2 Marzo 1972, seguita da Pioneer 11 il 6 Aprile 1973.
Dopo qualche anno toccò alle sonde Voyager 1 e Voyager 2, lanciate a distanza di 16 giorni nel Settembre 1977.

Posizione delle 4 sonde destinate allo spazio interstellare
Oltre ad aver raggiunto tutti gli obiettivi programmati, pochi forse sanno che queste quattro sonde sono le uniche dotate di una velocità sufficiente, tra le oltre 200 lanciate nella storia dell'astronautica, per uscire dal Sistema Solare.
Nel vuoto dello spazio non esiste praticamente attrito, così un oggetto mantiene il suo movimento a meno che non è sensibilmente frenato dalla forza di gravità dei corpi maggiori, nel nostro caso il Sole.

Dopo aver terminato le rispettive missioni l'elevata velocità ha assicurato che niente e nessuno avrebbe potuto frenare a sufficienza queste quattro piccole astronavi, tanto che nel corso degli anni hanno continuato la loro corsa indisturbata verso i confini del sistema solare.

La grande affidabilità dei sistemi di bordo ed un'alimentazione basata su generatori nucleari, hanno garantito una vita operativa ben oltre le più rosee aspettative.
La sonda Pioneer 10, ad esempio, ha trasmesso dati fino al 2003.
Destino ancora migliore per quanto riguarda le due Voyager. A distanza di quasi 35 anni dalla loro partenza, sono ancora attive e trasmettono a Terra preziose informazioni sulle remote zone di spazio che stanno esplorando.
Come ho detto in un precedente post, gli ultimi comandi impartiti dai tecnici della NASA hanno garantito un'autonomia fino a circa il 2025.

Voyager 1 è la sonda attualmente più lontana ed il manufatto umano con la maggiore velocità di sempre: circa 17,5 chilometri al secondo rispetto al Sole (61000 km/h).
Nel corso del suo viaggio di oltre 35 anni si trova attualmente a 120 unità astronomiche dal Sole, quasi 18 miliardi di chilometri , ben oltre l'orbita dell'ultimo pianeta Nettuno (4,5 miliardi di chilometri).
Insieme alla gemella Voyager 2, rimasta leggermente indietro perché ha una velocità inferiore, stanno completando con successo la missione denominata Voyager Interstellar Mission, volta ad individuare e studiare i confini del sistema solare e l'inizio dello spazio interstallare.

Il sistema solare è infatti avvolto in una specie di bolla protettiva prodotta dal vento solare della nostra Stella.
La sua azione ci protegge dalle insidie e dai pericoli del mezzo interstellare, costituito da gas, polveri, particelle cariche e in generale raggi cosmici che permeano lo spazio tra le stelle della Via Lattea.
Proprio a ridosso della distanza alla quale si trovano le sonde Voyager, si dovrebbe trovare il confine in cui il vento solare viene sopraffatto dal mezzo interstellare, detto eliopausa, e la porta d'ingresso per lo spazio aperto.
Le Voyager dovrebbero attraversare queste invisibili ma importanti colonne d'ercole presumibilmente nel 2014 ed inviare a Terra dati importantissimi ed unici delle proprietà di queste lontane (per i nostri standard) regioni celesti .

L'ingresso nel grande oceano dello spazio interstellare segnerà l'inizio ufficiale dell'esplorazione umana oltre il sistema solare, un traguardo importantissimo dal punto di vista emotivo e storico.
Continuando il parallelo con le colonne d'ercole, possiamo considerarci come i primi esploratori che hanno avuto i mezzi ed il coraggio di avventutarsi in luoghi mai visitati. Di fronte a noi c'è l'oceano aperto e probabilmente per molto tempo non noteremo sostanziali cambiamenti, ma il muro è stato abbattuto segnando un nuovo importante passo verso il progresso tecnologico e la nostra evoluzione.

Se le comunicazioni con le Voyager si interromperanno nel 2025 e le trasmissioni con le Pioneer sono già interrotte da alcuni anni, la loro corsa nello spazio continuerà indisturbata. Le quattro sonde sono destinate a viaggiare sempre più lontano per milioni di anni (o forse miliardi) fino a quando non incontreranno qualche ostacolo che possa fermarle.

Nonostante una velocità per noi elevatissima, Voyager 1 percorrerà il suo primo anno luce tra circa 17700 anni. Un anno luce è per noi una distanza veramente grande, pari a circa 9500 miliardi di chilometri, ma nello spazio è ben poca cosa. Per avere un termine di paragone, la stella a noi più vicina dista 4,3 anni luce.
Secondo la nostra concezione temporale questo intervallo di tempo è immenso, maggiore addirittura dell'intrera storia delle civiltà umane, ma per la Terra e l'Universo è poco più di un battito di ciglia.
Il nostro pianeta esiste da 4,6 miliardi di anni. La vita da almeno due miliardi e mezzo di anni, alcune specie viventi, come i rettili e gli anfibi, popolano il pianeta da centinaia di milioni di anni. La stessa storia dell'uomo risale a circa 2 milioni di anni fa.

Sotto questo punto di vista possiamo riconsiderare il nostro giudizio sul tempo impiegato dalla Voyager 1 a percorrere le distanze interstellari.
In 17 milioni di anni di viaggio, ad esempio, il tempo necessario per la nascita di un sistema planetario, Voyager 1 avrà percorso nello spazio ben 1000 anni luce, che diventeranno 100000, pari al diametro della nostra Galassia, in 1,7 miliardi di anni, l'intervallo di tempo richiesto alla Terra per ospitare le prime forme di vita stabile dopo la sua formazione.
Destino simile per le altre 3 sonde, con dati che non differiscono poi molto da questi approssimati che vi ho mostrato.
Le illustrazioni portate in viaggio dalle sonde Pioneer
Con questo nuovo approccio è affascinante notare come queste quattro sonde sono destinate a diventare le prime esploratrici della storia umana dello spazio profondo, le prime a visitare altre stelle e forse a viaggiare lungo tutta la Galassia.

Nessuno sa quali stelle e pianeti avvicineranno le Voyager e le Pioneer nel viaggio attraverso l'infinito dello spazio; e chissà se qualche civiltà extraterrestre (se ne esistono e se sono evolute) potrà mai intercettare questi manufatti e scoprire i messaggi lasciati al loro interno che raccontano l'origine e le caratteristiche dei loro creatori umani.

Le due sonde Pioneer costodiscono al loro interno una placca di alluminio con incise le sembianze umane, il nostro posto nel sistema solare e nella Galassia attraverso l'identificazione di 14 pulsar, ed un'importante proprietà della Natura a testimonianza del nostro livello tecnologico, detta transizione iperfine dell'atomo di idrogeno.
Le sonde Voyager contengono invece un disco dorato con incisi immagini, suoni, musica e alcune conoscenze fisiche e matematiche. Nell'alloggiamento trova posto anche la punta in grado di leggerlo e sul contenitore sono stampate le istruzioni per decodificare i messaggi, come ad esempio il numero di giri al minuto che deve compiere il disco.
Le istruzioni per leggere il disco delel Voyager
Questo particolare comando è veramente interessante: come spieghereste ad una specie aliena che il vostro disco deve fare un giro ogni 3,6 secondi per poter decodificare le immagini contenute ed ascoltare correttamente i brani musicali? Non possiamo utilizzare i secondi, definizione tipicamente terrestre, ma un'unità di tempo uguale a tutto l'Universo e associata a qualche proprietà fisica importante.
Gli scienziati, sui suggerimenti del grande astrofisico Carl Sagan hanno utilizzato come unità di misura l'intervallo di tempo associato alla transizione iperfina dell'atomo di idrogeno. Non è interessante capire di cosa si tratta, piuttosto comprendere che questa è una proprietà uguale a tutti gli atomi di idrogeno dell'Universo e che l'intervallo di tempo richiesto è misurabile e sempre lo stesso.
In questo modo anche le eventuali civiltà avanzate che dovessero trovare questa vera e propria capsula del tempo sapranno interpretare correttamente le istruzioni per leggere le informazioni.
Questa è anche una bella prova del fatto che le leggi fisiche sono l'unico linguaggio universale, perché stabilito dall'Universo stesso.

Qualunque sarà la sorte riservata a queste quattro sonde, saranno per milioni di anni ambasciatrici silenziose di un popolo ormai lontanissimo nel tempo e nello spazio, che in un punto azzurro spertudo in questo immenso Universo riuscì a dare via ai propri sogni raggiungendo le stelle, ed affidare a loro il ricordo eterno della sua breve esistenza.

Se volete sapere in tempo reale la posizione di queste quattro sonde, guardate qui.

domenica 5 febbraio 2012

Segnali radio da altri pianeti?

Come vi ho anticipato in un precedente post, vi parlo di una nuova affascinante branca della ricerca astronomica, reduci dai freschi brividi e dalle emozioni che spero di avervi ricordato parlando del famoso segnale wow! ricevuto il 15 Agosto 1977.

Il progetto SETI si occupa da molti anni della ricerca di eventuali segnali radio provenienti da civiltà extraterrestri intelligenti, scandagliando con potenti radiotelescopi il cielo notturno alla ricerca di un flebile segnale di chiara natura artificiale, che però, ad esclusione della controversa trasmissione del 1977, non è mai stato rilevato con certezza.

I segnali radio rilevati da due possibili sistemi planetari
Questo significa che non ci sono civiltà extraterrestri là fuori?
Oppure che nessuno comunica utilizzando le onde elettromagnetiche, di cui i segnali radio fanno parte?
Non abbiamo ancora prove per confermare o smentire queste congetture, ma un dato è sicuro: il cielo è davvero troppo grande per sperare di catturare un segnale radio intelligente puntando le nostre antenne a caso.

Questo in effetti è quello che ha fatto fino a poco tempo fa il progetto SETI: ha scandagliato zone di cielo più o meno casuali. Capite anche voi che fare una ricerca senza un minimo criterio su dove orientare i telescopi, ha più o meno la stessa probabilità di riuscita del puntare casualmente il vostro piccolo telescopio di notte e scoprire un nuovo pianeta.

Grazie alla nascita e all'imponente sviluppo della branca dell'astronomia che si occupa della ricerca dei pianeti extrasolari, ora il progetto SETI ha centinaia di potenziali obiettivi sui quali puntare le proprie antenne radio. E' molto più semplice, infatti, sperare di captare qualche comunicazione (voluta o meno) puntando quei sistemi stellari che già sappiamo possedere dei pianeti, magari simili, per dimensioni e massa, alla Terra.

Il progetto è iniziato ufficialmente nei primi mesi del 2011 e già in un paio di occasioni si sono ricevuti segnali che a prima vista potevano sembrare di origine extraterrestre, provenienti da KOI 817 e KOI 812. Queste due sigle indicano pianeti candidati scoperti dal telescopio spaziale Kepler (Kepler Object of Interest), ancora in attesa di conferme indipendenti.
Le antenne del SETI hanno ricevuto dei segnali piuttosto marcati e con una ristretta ampiezza di banda, proprio come ci si aspetta da una trasmissione di origine artificiale.
Ulteriori analisi hanno poi rivelato che con tutta probabilità si tratta di interferenze di natura terrestre, visto che i segnali captati sono identici per entrambi gli oggetti, caratteristica estremamente improbabile per due possibili pianeti extrasolari posti in diverse zone di cielo.

Questi due "falsi positivi" comunque hanno ufficialmente aperto una seconda fase per il progetto SETI, che dopo quasi 40 anni era arrivato allo stremo delle forze (meglio, dei fondi).
Visto che il numero di pianeti di taglia terrestre è destinato a crescere di molto nei prossimi anni, la seconda vita del SETI potrebbe rivelarsi molto più utile e speriamo fruttuosa rispetto agli anni precedenti.


Solamente nella nostra Galassia si stima ci siano circa 200 miliardi di stelle (che potrebbero essere anche 400 miliardi). Un recente studio di cui vi ho accennato in un precedente post, si è spinto a teorizzare che i pianeti di taglia terrestre potrebbero essere la regola nella Via Lattea.
Rilevare segnali radio provenienti da questi lontani mondi resta ancora estremamente improbabile (è necessaria una civiltà evoluta che comunica con le onde radio e che ha deciso di inviare un segnale nella nostra direzione, nel momento giusto), ma sono pronto a scommettere che nei prossimi anni le sorprese, almeno da parte di Kepler, non mancheranno di certo.

venerdì 3 febbraio 2012

Quante galassie ci sono nell'Universo? Ce lo dice l'Hubble Ultra Deep Field

Questo post è ormai datato. Per conoscere la nuova stima sul numero di galassie, clicca qui.

Questo post è estratto dal mio libro: "125 domande e curiosità sull'astronomia" disponibile in formato digitale a 2.99 euro.

Quante galassie ci sono nell'Universo?
A questa semplice domanda non è affatto facile rispondere e forse neanche potremo, per un semplice motivo: l'Universo accessibile ai nostri strumenti non è necessariamente tutto l'Universo.
Non si tratta di un problema strumentale, ma temporale e ve lo spiego velocemente sperando di farmi capire.

La ripresa più profonda della storia
Secondo le moderne teorie ed osservazioni, l'Universo è nato circa 14 miliardi di anni fa.
Non ci interessa come sia nato e quali fossero le sue proprietà; quello che ci interessa capire è che da quel momento si è espanso e lo sta continuando a fare anche ai giorni nostri.

Ora consideriamo la velocità della luce e di tutte le onde elettromagnetiche. Questa è fissata dalla Natura e molto vicina al valore di 300000 km/s. Si tratta di un numero spaventosamente grande per noi, ma piccolo per l'Universo.
Visto che nulla può viaggiare più veloce della luce (almeno questo è quello che sappiamo), e visto che noi osserviamo gli oggetti celesti perché riceviamo la luce da loro emessi, il nostro orizzonte di spazio accessibile non potrà mai essere più grande di una sfera dal raggio di 14 miliardi di anni luce.

Se oltre questa distanza esistono altre porzioni di Universo noi non possiamo osservarle, perché la luce inviata da oggetti così distanti ancora non ha fatto in tempo a raggiungerci.
Ne consegue che l'Universo a noi accessibile, il cosiddetto Universo osservabile, potrebbe essere solamente una piccolissima parte di quello effettivamente esistente, ma che non possiamo ancora osservare.

Contare quindi il numero di galassie nell'Universo (potrebbe addirittura essere infinito) risulta impossibile e forse lo sarà per sempre.

Possiamo però contare il numero di galassie presenti nella porzione di Universo che possiamo osservare.
I moderni telescopi sono infatti in grado di rilevare deboli galassie fino ai confini dell'Universo osservabile.

Come fare per contare quindi quante galassie potrebbero essere contenute all'interno di questa enorme sfera dal raggio di 14 miliardi di anni luce?
E' impensabile osservarle tutte e contarne una per una, dobbiamo trovare un modo migliore.

Distribuzione nello spazio di 2 milioni di galassie
Le osservazioni degli ultimi 70 anni ci hanno mostrato che l'Universo, su larga scala, è omogeneo ed isotropo. Queste due parole stanno ad indicare che qualsiasi porzione di spazio consideriamo, troveremo circa lo stesso numero di galassie e sarà uguale ad una qualsiasi altra porzione di spazio presa a caso (stessa densità di materia, temperatura).

Se quindi le galassie sono disposte in modo omogeneo nello spazio e non vi sono zone in cui valgono proprietà diverse, possiamo calcolare in modo molto più semplice il numero di galassie totali accessibili al nostro orizzonte.
Come fare?
Semplice: basta puntare una zona casuale di cielo, non disturbata da polveri e gas della nostra galassia, non troppo piccola, e contare il numero di galassie che riusciamo ad osservare.
Se la disposizione di queste isole di stelle è la stessa per tutto l'Universo, basta moltiplicare il numero di oggetti che abbiamo contato nel nostro campo di ripresa per l'estensione angolare di tutta la sfera celeste ed avere una buona stima delle galassie presenti nell'Universo osservabile.

Seguendo questo ragionamento, nel 2004 gli astronomi hanno ripreso attraverso il telescopio spaziale Hubble una porzione di cielo 10 volte più piccola della Luna piena e contato il numero di galassie presenti.
L'immagine, denominata Hubble Ultra Deep Field, è attualmente la più profonda mai scattata e mostra uno spaccato di Universo profondo circa 13 miliardi di anni luce.
Pensate che in questa piccola porzione di cielo si contano circa 10000 galassie.
Tra l'agosto ed il settembre del 2009 questa porzione di cielo è stata ripresa anche nell'infrarosso, rilevando altre deboli galassie non visibili nella prima versione perché oscurate da polveri e gas presenti lungo la linea di vista (le polveri ed il gas risultano più trasparenti in infrarosso rispetto al visibile).
Facendo una moltiplicazione, possiamo stimare che il numeero di galassie nell'Universo osservabile è compreso tra i 300 ed i 500 miliardi!
Se consideriamo che una galassia media possiede circa 100 miliardi di stelle, lascio a voi il calcolo del numero delle stelle presenti nell'Universo osservabile.
Se vogliamo peggiorare la situazione, basta pensare che secondo la teoria dell'inflazione, attualmente la migliore per spiegare i primi istanti di vita dell'Universo, la porzione che possiamo osservare è solamente un'infinitesima parte di un volume di spazio 10 elevato alla ventitreesima potenza più grande (10 seguito da 23 zeri!), qualcosa che nessun essere umano potrà mai immaginare e neanche osservare.




Per gli amanti dei dati tecnici: la magnitudine limite raggiunta dall'Hubble Ultra Deep Field è pari a circa 30, mentre il tempo di eposizione totale per la ripresa è stato di 11,3 giorni, con singole esposizioni medie di 21 minuti. Il segnale delle galassie più deboli visili è stato pari a circa 1 fotone ogni minuto. Per confronto, l'immagine di una galassia vicina e mediamente luminosa ha un flusso pari a milioni di fotoni ogni minuto.

Qui invece è visibile l'immagine a piena risoluzione

giovedì 2 febbraio 2012

La sonda immortale: Voyager 1 continuerà a trasmettere per altri 13 anni

La sonda Voyager 1 lasciò la Terra il 5 settembre 1977 con destinazione i pianeti giganti Giove e Saturno.
L'astronave di 722 kg raggiunge brillantemente i suoi obiettivi, riprendento per la prima volta Giove (1979) e lo splendido sistema di Saturno (1980).

La sonda Voyager 1 sta ancora trasmettendo dati
Dopo l'incontro con il signore degli anelli la sonda godeva ancora di ottima salute, così gli scienziati della NASA decisero di estendere la sua missione fino a quando i sistemi di bordo sarebbero rimasti operativi.

Nemmeno nelle più rosee aspettative, però, si sarebbe potuto immaginare che la sonda sarebbe sopravvissuta a due generazioni di scienziati, portandosi ai confini del sistema solare, ai limiti dello spazio interstellare e riuscendo ancora a comunicare con la Terra, distante ormai quasi 20 miliardi di chilometri.

Eppure questa è la storia della sonda spaziale più longeva mai costruita, che con una tecnologia obsoleta riesce ancora a fornire dati essenziali agli scienziati che a Terra ricevolo le sue comunicazioni, dopo aver attraversato per oltre 13 ore alla velocità della luce l'enorme spazio quasi vuoto che separa la sonda dal suo pianeta d'origine.

Il generatore nucleare di bordo non fornirà energia per molto tempo, così gli scienziati della NASA hanno deciso di attuare un'operazione di risparmio energetico che garantirà ancora 13 anni di qutonomia a questa pietra miliare dell'esplorazione spaziale.
Il risparmio della preziosa energia rimanente è stato effettuato tagliando il riscaldamento alla strumentazione di bordo, in particolare allo spettrometro, strumento ancora in funzione e che trasmette dati in merito alla composizione dell'ambiente nel quale la sonda si trova, mai studiato così da vicino.

La sonda contininuerà a trasmettere quindi almeno fino al 2025, quando presumibilmente si troverà già nello spazio interstellare.
Sarà difficile mantenere le comunicazioni oltre quella data, ma una cosa è certa: la Voyager 1 continuerà a viaggiare nell'Universo per migliaia (o milioni) di anni, e chissà, in un futuro remoto, quali porzioni della nostra Galassia raggiungerà e cosa le riserverà il destino.
Buona fortuna Voyager 1!

mercoledì 1 febbraio 2012

La più dettagliata fotografia della Terra

Il modo migliore e più affascinante per studiare il nostro pianeta su grande scala è senza dubbio quello di inviare in orbita un satellite, munito di un potente teleobiettivo, per riprendere tutti i fenomeni che per troppi anni prima della tecnologia satellitare abbiamo fatto veramente fatica ad osservare e comprendere.

Foto della Terra da 64 milioni di pixel
Sin dagli albori dell'astronautica sono stati centinaia i satelliti lanciati per lo srudio del nostro pianeta, militari prima (soprattutto satelliti spia), civili poi (ad esempio i famosi satelliti meteosat per le previsioni del tempo).

Nonostante l'imponente mole di dati ricevuta nel corso degli anni, ci sono ancora degli interrogativi che riguardano soprattutto come varia l'attività e la trasparenza dell'atmosfera terrestre nel lungo periodo temporale (maggiore di un anno).

Per dare risposta a questi interrogativi, con una risoluzione mai vista prima, ci sta pensando l'ultimo satellite lanciato dalla NASA, denominato Suomi NPP. Posto su un'orbita particolare che gli fa osservare il nostro pianeta sempre dal lato illuminato dal Sole, il satellite studierà i cambiamenti atmosferici nel corso dei prossimi anni.

Per darci la prova delle sue eccezionali potenzialità, lo scorso 4 Gennaio ha ripreso un'immagine del nostro pianeta davvero sorprendente quanto a risoluzione e bellezza.
Durante la sessione di ripresa, il satellite ha ripreso in rapida sequenza diverse immagini parziali del nostro pianeta, con una risoluzione di circa 1,5 km per pixel. Successivamente i tecnici della NASA le hanno unite come se fossero i pezzi di un grandissimo mosaico per ottenere l'immagine completa della porzione illuminata del nostro pianeta. L'immagine, veramente sorprendente, è stata soprannominata "blue Marble".
In primo piano è visibille il continente nord americano. Impressionanti sono i sistemi nuvolosi, che lungo il bordo sembrano acquistare tridimensionalità, così come le tenui sfumature del cristallino mar dei caraibi.

Godetevi quindi l'immagine a risoluzione piena (ben 8000X8000 pixel, 64 milioni di pixel), cliccando su questo link. La piccola attesa richiesta per visualizzarla verrà ampiamente ripagata.

Clicca qui per l'immagine in alta risoluzione