venerdì 29 novembre 2013

Quanto carburante consuma un'astronave?



La parte più difficile e dispendiosa di una missione spaziale è senza dubbio lasciare la superficie terrestre.
La forza di gravità del nostro pianeta è così forte che bisogna far raggiungere a ogni astronave (con o senza equipaggio) una velocità superiore ai 10 km/s se vogliamo spedirla al di fuori dell’orbita del nostro pianeta. Se ci accontentiamo di un giretto orbitale a circa 350 km, allora la velocità può essere ridotta fino a 8 km/s, ma è sempre un valore estremamente elevato, pari a 28.800 km/h!
Per accelerare le astronavi alla partenza sono quindi necessari potentissimi razzi, detti in gergo anche vettori. Queste strutture, a volte molto più grandi dell’astronave stessa, hanno l’unico scopo di fornire il carburante per immettere la struttura nella bassa orbita terrestre, luogo decisamente più tranquillo per proiettarsi, eventualmente, verso lo spazio aperto con l’accensione di un razzo di minori dimensioni. 

I gigenteschi motori del razzo Saturn V
Gli Space Shuttle per questo scopo necessitavano di un grandissimo serbatoio dal colore rosso alto 47 metri e largo 8,4, contenente oltre 730.000 kg di carburante (idrogeno e ossigeno liquidi) e di due razzi ausiliari, altrettanto alti, contenenti un totale 1 milione di chilogrammi di carburante a base di perclorato d’ammonio.
Questa immane quantità di propellente, sufficiente per radere al suolo una cittadina, serviva unicamente per i primi minuti di volo.
I due razzi laterali fornivano l’83% della spinta totale e bruciavano un milione di chilogrammi di carburante in appena 124 secondi, tempo necessario per raggiungere un’altezza di 46 km.
Il carburante del grande serbatoio rosso, utilizzato dai cinque motori dello shuttle, veniva esaurito in otto minuti, il tempo necessario per raggiungere la velocità richiesta di 7,7 km/s per immettersi nella bassa orbita terrestre. 
Per far raggiungere 350 km di altezza a una specie di aereo dal peso massimo di 100 tonnellate, sono quindi richieste quasi 2 mila tonnellate di carburante!

Ma il record dei consumi spetta al razzo più grande mai concepito dalla mente umana, il Saturn V, il vettore utilizzato per proiettare l’astronave Apollo verso la Luna.
Ben 80 metri dei 113 dell’intera struttura erano necessari per fornire la spinta necessaria all’astronave per lasciare l’orbita terrestre, con un consumo massimo di circa 15 tonnellate di carburante ogni secondo!

La cometa ISON (forse) non ce l'ha fatta

Il suo nome è (era) C/2012 S1 (ISON), per gli amici semplicemente ISON e quando venne scoperta, nel 2012, prometteva di essere la cometa del secolo. Nonostante l'enorme distanza dalla Terra, infatti, era relativamente luminosa, il che spinse tutti a credere che in prossimità del massimo avvicinamento con il Sole avrebbe potuto illuminare quasi a giorno i nostri cieli. 


La cometa ISON al massimo della sua gloria il 15 novembre
Con l'avanzare dei mesi le cose non sono andate come previsto, ma questo fa sempre parte del gioco quando ci sono delle comete di mezzo. La cometa ISON faceva fatica a prendere luminosità, tanto che solamente dopo la metà di novembre era percepibile con grande fatica a occhio nudo la mattina poco prima dell'alba. 

Le speranze di tutti erano rivolte dopo il giro di boa, così viene chiamato in modo informale il punto in cui la cometa avrebbe circumnavigato il Sole e si sarebbe allontanata di nuovo e per sempre dal Sistema Solare interno.

Il problema della cometa ISON, però, era grande: il perielio, cioè il punto più vicino al Sole, si trovava a poco più di un milione di chilometri dalla fotosfera, ben all'interno della caldissima e irrequieta atmosfera chiamata corona. 
Le comete che compiono un avvicinamento così pericoloso sono dette in inglese sungrazer, letteramente "che sfiorano il Sole" e solamente le più grandi e tenaci riescono ad attraversare indenni questo pericoloso guado. Nel recente passato, memorabile è stato il passaggio della cometa Lovejoy nel dicembre 2011 a soli 120000 km dalla superficie.

La cometa ISON non è stata altrettanto fortunata e forte, perché sal passaggio ravvicinato al Sole non è più riapparsa, inghiottita per sempre dal caldo abbraccio della nostra Stella.
Sebbene nessuno volesse ammetterlo, in realtà il sentore che qualcosa stava per accadere c'era nell'aria già da giorni e forse la cometa era spacciata almeno una settimana fa. 
Il 14 novembre scorso si assistette a un outburst, un repentino aumento della luminosità di oltre due volte, segno di un'impennata nell'attività cometaria.
Pochi giorni più tardi le immagini in alta risoluzione della chioma mostravano due netti sbuffi, indizio che qualcosa di grave poteva essere accaduto al nucleo. Si parlò di frammentazione, ma non c'era la certezza. 

Il 25 novembre, infine, le osservazioni effettuate con il telescopio millimetrico IRAM in Spagna mostravano una costante diminuzione nell'emissione molecolare della chioma della cometa, segno che l'attività aveva raggiunto il massimo o che il nucleo non c'era più. 

Il 29 novembre il momento della verità, il passaggio al perielio monitorato in diretta dalle numerose sonde che osservano il Sole dallo spazio, la più importante delle quali è la mitica Soho. All'ingresso del campo inquadrato, la cometa ISON non si è presentata bene, con una luminosità minore del previsto. Poi, con il passare delle ore ha aumentato bruscamente luminosità, facendo sperare tutti gli appassionati. Ma forse questo è stato il canto del cigno di una cometa che nelle ore successive si è lasciata andare. Nonostante l'approssimarsi al Sole, la luminosità ha cominciato rapidamente a diminuire. Quasi in prossimità del perielio la ISON, o ciò che ne restava, si presentava come una lunga lingua nella quale non si poteva più scorgere la chioma. 
Quando è sparita dietro i dischi occultatori degli strumenti delle sonde la sua sorte era ormai segnata. 
Dall'altra parte della nostra stella è riapparsa una debole lingua di gas e polveri dispersa e molto meno luminosa di come avrebbe dovuto essere se la cometa fosse stata in perfetta salute, il ricordo di un intrepido corpo celeste che come Icaro ha affrontato una sfida troppo grande.

La cometa ISON al massimo della sua luminosità si appresta a incontrare il Sole
Colpo di scena: la luminosità è rapidamente diminuita. Qualcosa di grave è accaduto.

L'ultima immagine della cometa ISON, o di quello che ne resta.
All'uscita dal passaggio radente con il Sole resta un leggero fantasma, i resti di una cometa che avrebbe potuto farci sognare.
L'animazione mostra un fantasma che riemerge dall'abbraccio solare. Sono i resti della cometa ISON

L'ipotesi più plausibile è che il nucleo della cometa si sia disgregato e quasi completamente vaporizzato, ma questo lo sapremo con migliore certezza tra quale giorno. Di certo appare evidente che il tanto annunciato spettacolo non ci sarà, anche se qualche resto della cometa dovesse avercela fatta.
Peccato, ci abbiamo sperato. E ora all'orizzonte non ci sono comete che potrebbero farci sognare. Dobbiamo avere pazienza ancora per un bel po'.

L'unica speranza resta quella dell'ennesima sorpresa di una cometa che è stata data per morta tante volte. Che la ISON esista ancora e sia pronta a risorgere dalle ceneri? Molto difficile, ma staremo a vedere nelle prossime ore.

Qualche approfondimento utile:
http://www.cometisonnews.com/ 
http://www.universetoday.com/106813/is-comet-ison-dead-astronomers-say-its-likely-after-icarus-sun-grazing-stunt/ 
http://cometison.gsfc.nasa.gov/  per vedere i video dell'approccio della cometa (che non si vede, e questo conferma che non c'è più)

martedì 26 novembre 2013

Domande e risposte: da dove proviene l'acqua della Terra?



L’acqua sulla Terra ricopre il 71% della superficie ed è il costituente principale di tutte le forme di vita.
Il problema, per la Terra e i pianeti interni, tra cui Marte, è però grande: chi ce l’ha portata l’acqua?
I modelli di formazione del Sistema Solare ci dicono chiaramente che la nebulosa protosolare a quelle distanze dal Sole era troppo calda per permettere all’acqua di condensare in grandi quantità e formare quindi gli embrioni dei pianeti. Alla distanza della Terra, solamente i silicati e i metalli si trovavano nella forma solida capace di creare gli aggregati planetari. Le modeste quantità d’acqua inglobate dai protopianeti sono quasi certamente evaporate mano a mano che la violenza delle collisioni aggregava corpi sempre più massicci e caldi. Come se non bastasse, l’atmosfera primordiale della Terra venne distrutta dal violento impatto con Theia, formando poi la Luna e privandola ulteriormente del vapore acqueo che possedeva. La Terra quindi, appena dopo la sua formazione doveva essere un corpo celeste estremamente secco.

Chi o cosa ha portato l’acqua sul nostro pianeta? Difficile credere che l’acqua si sia formata da sola successivamente, poiché di ossigeno libero in atmosfera che potesse reagire con l’idrogeno non ce n’era (almeno non così tanto).
Se diamo un’occhiata alla distribuzione delle temperature nella nebulosa primordiale che ha formato il Sistema Solare, la zona in cui i composti più volatili contenenti l’idrogeno come l’acqua, l’ammoniaca e il metano, tutti essenziali per i processi biologici elementari, potevano trovarsi nello stato solido, quindi condensare per formare corpi celesti, si trova nel bel mezzo dell’attuale fascia principale degli asteroidi. La cosiddetta linea del ghiaccio (frost line in inglese) segna un confine netto tra i corpi celesti a base di silicati e quelli formati per buona parte di ghiacci, principalmente acqua. Non è difficile allora comprendere da dove provenga l’acqua, l’ammoniaca e forse buona parte delle molecole organiche della Terra: da corpi celesti che si sono creati più lontano, cioè asteroidi e comete.
Ce n’erano così tanti di questi piccoli proiettili cosmici che nel primo miliardo di anni, come testimonia la butterata superficie lunare, a migliaia, forse milioni, sono precipitati su tutti i pianeti interni, Terra compresa, liberando le grandi riserve di acqua e composti organici che contenevano.

venerdì 22 novembre 2013

Vita extraterrestre nel futuro del Sistema Solare?



Tra circa 5 miliardi di anni il Sole dovrebbe entrare nelle fasi finali della propria vita. L’idrogeno al centro scarseggerà, il nucleo si contrarrà aumentando di temperatura fino a 100 milioni di gradi e innescando la fusione dell’elio. Contemporaneamente gli strati esterni si espanderanno spazzando via Mercurio, Venere e probabilmente la Terra, ponendo fine per sempre al dominio della vita. Questa stella dal colore lievemente giallo, tranquilla per dieci miliardi di anni, si sarà trasformata in una gigante rossa, un astro enorme e centinaia di volte più luminoso di prima. 

Titano in un lontano futuro?
Se i pianeti interni potrebbero subire una fine scontata e terribile, grandi sconvolgimenti potrebbero toccare anche ai pianeti esterni e ai satelliti, in particolare a Titano.
La luna di Saturno, infatti, secondo alcuni studi si verrebbe a trovare alla giusta distanza dalla nuova configurazione stellare per sperimentare temperature miti, tali da sostenere l’acqua allo stato liquido.

Non sappiamo cosa succederà al metano e agli idrocarburi in superficie, probabilmente evaporeranno in poco tempo e si disperderanno prima in atmosfera, poi nello spazio. I raggi ultravioletti del Sole diraderanno la nebbia di idrocarburi, favorendo un ulteriore riscaldamento sufficiente per sciogliere le grandi riserve di ghiaccio d’acqua contenute nella crosta, generando probabilmente mari e oceani che prenderanno il posto degli antichi bacini di metano. 
L’acqua, mischiata all’ammoniaca e alle enormi quantità di molecole organiche, potrebbe rappresentare l’ambiente perfetto per la nascita di primitive forme di vita, proprio come è accaduto sulla Terra. Di tempo ce ne sarà in abbondanza, probabilmente più di un miliardo di anni.


Sarà un vero peccato non poter assistere allo spettacolo di un cielo finalmente trasparente, occupato per circa 1/3 dagli straordinari anelli di Saturno; il tutto, magari, da una tiepida spiaggia in riva a un oceano color verde smeraldo.

lunedì 18 novembre 2013

Libro gratuito fino al 20 novembre (2013)

Libro gratuito fino al 20 novembre
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