Come anticipato qualche giorno fa, è disponibile il mio ultimo libro dedicato all'Universo: un viaggio entusiasmante tra stelle, nebulose, galassie e ammassi di galassie, fino ai confini dell'Universo e della nostra mente.
Il libro è corredato da oltre 90 mie foto a colori e a grande formato, sia nell'edizione digitale che cartacea. Il linguaggio è semplice, quindi adatto a tutti: dai giovani curiosi ai sognatori appassionati un po' più avanti con l'età.
Rappresenta il regalo di Natale ideale, sia per chi vuole godersi le foto del cielo che per coloro che vogliono utilizzare anche le parole per partire per il viaggio più incredibile mai concepito da mente umana, quello attraverso un meraviglioso Universo, dove la Bellezza regna sovrana anche su fenomeni di inaudita violenza.
Il libro è disponibile in formato digitale Kindle, che può essere letto da tutti i computer, tablet e smartphone (basta scaricare l'app gratuita Kindle), e in formato cartaceo A4 completamente a colori (182 pagine). In questo caso c'è un bonus in più: spedizione gratuita in tutta Italia. Seguendo il link per l'acquisto è possibile leggere un estratto gratuito, cliccando direttamente sull'immagine di copertina.
Per chi fosse invece alla ricerca di un manuale per osservare il cielo e imparare a usare il telescopio appena comprato, consiglio il mio libro "Che spettacolo, ho visto Saturno!", in vendita a pochi euro in formato digitale e cartaceo.
Buona lettura e buone vacanze!
Blog di Daniele Gasparri, astrofisico e divulgatore scientifico. Cerca i miei libri su amazon.it
domenica 4 dicembre 2016
sabato 26 novembre 2016
In arrivo un nuovo libro sull'Universo. Prenotazione copia digitale
Se per Natale pensavate di regalare (o regalarvi) un libro, aspettate
qualche giorno. Sto per ultimare un nuovo lavoro che stavo progettando
da almeno vent'anni. Conterrà quasi 100 mie fotografie del cielo e tutta
la consapevolezza che ho maturato in cinque lustri di astronomia.
Faremo quindi un viaggio con gli occhi e con la mente in ogni angolo di
Universo, scoprendo la sua straordinaria bellezza. Sarà disponibile i
primi giorni di Dicembre, sia in ebook che in formato cartaceo, a colori
e di grandi dimensioni (A4). Qui di seguito la presentazione.
E' ora possibile prenotare la versione digitale del mio libro, al prezzo scontato di 4,99 euro. Non dovrete pagare subito ma solo quando il titolo sarà disponibile e vi sarà inviato, il 7 Dicembre. La prenotazione è un modo per mettersi in coda, aggiudicarsi il libro per primi e approfittare del prezzo scontato. Se cambiate idea e non volete più il libro, potrete disdire la prenotazione prima del 7 Dicembre: https://www.amazon.it/straordinaria-bellezza-…/…/ref=sr_1_1…
Il formato Kindle può essere letto da ogni smartphone, tablet e pc, basta scaricare la app gratuita dallo store:
La versione cartacea arriverà negli stessi giorni, spero anche prima, ma non è possibile prenotarla in anticipo. Il prezzo sarà di circa 29 euro, stampata tutta a colori e in grande formato (A4).
E' ora possibile prenotare la versione digitale del mio libro, al prezzo scontato di 4,99 euro. Non dovrete pagare subito ma solo quando il titolo sarà disponibile e vi sarà inviato, il 7 Dicembre. La prenotazione è un modo per mettersi in coda, aggiudicarsi il libro per primi e approfittare del prezzo scontato. Se cambiate idea e non volete più il libro, potrete disdire la prenotazione prima del 7 Dicembre: https://www.amazon.it/straordinaria-bellezza-…/…/ref=sr_1_1…
Il formato Kindle può essere letto da ogni smartphone, tablet e pc, basta scaricare la app gratuita dallo store:
La versione cartacea arriverà negli stessi giorni, spero anche prima, ma non è possibile prenotarla in anticipo. Il prezzo sarà di circa 29 euro, stampata tutta a colori e in grande formato (A4).
La bellezza nell’Universo è ovunque. Quella vuota e buia
cupola che sovrasta le nostre teste nasconde delle opere d’arte e dei tesori
dal valore inestimabile, che nessuno potrà imitare quanto a magnificenza,
eleganza e potenza. Avvolti dal silenzio del vuoto cosmico osserveremo fenomeni
che cambieranno per sempre la nostra visione della Natura, descritti da più di
70 spettacolari fotografie inedite a colori e in alta risoluzione scattate
dall’autore.
Partiremo dalla nostra atmosfera, viaggeremo tra i pianeti,
scopriremo le altre stelle e i modi in cui decidono di stare insieme. Ci
spingeremo verso lontane galassie e poi lungo i limiti della nostra
comprensione, fino a cercare di scoprire la struttura, l’evoluzione e i grandi
misteri irrisolti dell’Universo.
Capiremo il significato vero, profondo ed eterno della
Bellezza, qualcosa di oggettivo, tangibile, appagante, assuefacente; qualcosa di
cui noi esseri umani non possiamo fare a meno nella continua ricerca della
felicità. Lassù, nella culla della Bellezza e nelle vaste praterie della
consapevolezza, troveremo risposte alle nostre domande e sollievo a tutte le
sofferenze. Guardare l’Universo per capire chi siamo; è stato sempre così, sin
dalla notte dei tempi.
venerdì 21 ottobre 2016
La maledizione marziana e un progresso che forse non meritiamo
Amo l’astronomia, l’astrofisica e naturalmente
l’esplorazione spaziale. Amo queste materie non come un adolescente può
prendere una cotta irrazionale per una ragazza ma, al contrario, è proprio
l’estrema razionalità che ho dentro a farmi amare ambiti in cui l’uomo mette
alla prova la sua conoscenza, la sua voglia di progredire e di risolvere
problemi, siano essi grandi come una galassia o piccoli come bere un bicchier
d’acqua. Amo la scienza, tutta, perché senza di essa, tutta, staremmo ancora a
cercare un modo per accendere un fuoco, per non far morire i nostri figli poco
dopo la nascita o per evitare malattie catastrofiche come morbillo, polio,
vaiolo, peste. Insomma, se ad accoglierci c’è il più bel presente della storia
degli esseri umani, con la prospettiva di un futuro migliore, non è un caso ma
il frutto indissolubile del progresso scientifico dell’uomo, della voglia e
della capacità, almeno per alcuni, di guardare oltre il dito che punta un
problema per cercare di risolverlo, in modi e tempi imprevedibili. È un
approccio che funziona, che ha sempre funzionato e che funzionerà, almeno
finché ci sarà qualcuno che sarà in grado di vedere al di là della propria
mano.
Rappresentazione artistica di TGO e Schiaparelli |
Spesso il lavoro di chi fa ricerca o di chi la divulga,
soprattutto nell’ambito astronomico e spaziale, è avvolto da un pesante velo di
indifferenza e ignoranza, un mix che ci consente di fare il nostro lavoro,
sebbene con un po’ di latente frustrazione, in tranquillità e al riparo dal
clamore mediatico che è in grado di creare sempre più problemi che soluzioni.
Spesso, ma non sempre: non avrei mai pensato che quelle poche volte che
astrofisici e ingegneri spaziali fossero venuti alla ribalta sarebbe stato per
subire un’onta peggiore della più assordante indifferenza.
La notizia naturamente riguarda l’arrivo su marte della
prima spedizione del programma ExoMars dell’ESA e il fallimento del lander
Schiaparelli, che a quanto pare si è schiantato sulla superficie del pianetarosso.
Mi sono sentito in dovere di scrivere due parole, che poi
due non sono, ma spero che il tempo che ruberò alle vostre vite sarà stato
speso bene.
ExoMars è davvero un
fallimento?
A livello tecnico è inutile scaldarsi. L’ESA aveva già messo
in chiaro la questione da anni, non da giorni, come dice qualche commentatore
della domenica. La missione ExoMars prevedeva un orbiter, detto TGO, e una
piccola sonda da usare solo come test tecnologico per le fasi di atterraggio,
denominata Schiaparelli. La missione principale, di gran lunga più importante,
è quella di TGO, tanto che Schiaparelli non era stato dotato neanche di
pannelli solari: sarebbe quindi morto dopo qualche giorno sulla superficie di
Marte, una volta esaurite le sue batterie. Il piccolo lander
era così semplice a livello scientifico che non era neanche predisposto a
catturare immagini della superficie, visto che era dotato di una fotocamera in
bianco e nero che avrebbe dovuto riprendere solo le ultime fasi della discesa.
Insomma, a prescindere dalle opinioni, Schiaparelli era davvero solo un test,
quindi dire che tutta la missione è un fallimento rappresenta ormai una
consapevole bugia che sarebbe meglio smettere di raccontare. La sonda madre,
infatti, TGO, è in ottima forma e rappresenta una pietra miliare per
l’ambizioso piano di esplorazione dell’ESA dei prossimi anni.
E anche se lo fosse,
è la ricerca, baby
Le previste fasi di discesa di Schiaparelli |
Naturalmente se Schiaparelli si è schiantato, non tutto è
andato come doveva, anche se il suo apporto scientifico alla missione, sul
suolo di Marte, era quasi nullo. Quello che sappiamo è che i retrorazzi non
sembrano aver funzionato per il tempo previsto e che forse il paracadute non si
è aperto quando avrebbe dovuto. La chiarezza sulle delicate vicende dell’ultimo
minuto di vita del piccolo lander verrà alla luce nelle prossime settimane e
sarà ricca di dettagli e particolari, com’è giusto che sia. Quello che possiamo
dire al momento è che così funziona la ricerca. Quando ci si avventura in un
campo nuovo, gli errori non solo sono inevitabili ma fanno parte del gioco: che
ricerca sarebbe se andassimo a colpo sicuro e sapessimo esattamente cosa fare e
come farlo? L’esplorazione e la ricerca hanno in comune la conoscenza
dell’ignoto: se si sa già cosa ci aspetta, cosa può andare storto e come
affrontare ogni situazione non stiamo facendo ricerca ma qualcosa di già
conosciuto. Non è un caso che Schiaparelli fosse un test: si dovevano provare
le procedure e gli accorgimenti per fare qualcosa che all’ESA non hanno mai
fatto. È la ricerca, baby, che insegna anche qualcosa molto utile nella vita di
tutti i giorni: il fallimento è un modo per capire la strada da prendere, gli
errori da evitare, le correzioni da effettuare. È così che si impara, che ci si
evolve: può non piacerci ma così funziona tutto il mondo, persino la Natura (la
parola evoluzione non vi dice niente?).
Il
fallimento di Schiaparelli non è il primo e neanche l'ultimo: più della
metà delle missioni dirette verso Marte, sin dalla metà degli anni 60, è
fallita e solo gli americani sono riusciti a far atterrare qualcosa
sulla superficie sano e salvo. Si parla di maledizione marziana, ma la
realtà è che atterrare su Marte è molto complicato e richiede dei
sistemi di guida autonoma (vi dice qualcosa questo termine? Se ne parla
anche nella vita di tutti i giorni ormai) molto precisi e affidabili. E'
questo il gusto della sfida, la naturale attrazione per qualcosa di
quasi impossibile ma terribilmente affascinante, per un sogno che in un
primo momento sembra irrealizzabile ma poi, chissà, potrebbe funzionare.
E' un'attrazione che ci regala un perenne brivido lungo la schiena e ci
rende felici di essere vivi. Che gran peccato, invece, per chi non
riesce a emozionarsi per imprese di tale portata, perché manifesta una
triste aridità interiore.
Potere all’ignoranza
La storia del progresso umano è sempre stata trainata da un
gruppo di persone, che oggi chiamiamo ricercatori, esploratori o visionari,
limitatissimo rispetto alla popolazione mondiale, che con le proprie idee,
intuizioni e battaglie ha fatto progredire tutta l’umanità verso un benessere
che nella storia non ha mai conosciuto uguali. È normale quindi che tutta
l’umanità si regga su un manipolo di centinaia di migliaia, forse qualche
milione, di persone che dedicano la propria vita alla ricerca, alla scienza.
Perché, d’altra parte, è sicuro che senza scienza l’uomo non può progredire, in
alcun modo. Non stupiscono, quindi, certe critiche, quelle che si ricevono nel
peggior bar di Caracas tra uno shot di rum e l’altro: in un certo senso è una
manifestazione folkroristica dell’essere umano su cui ci si possono fare due
risate. Ma nel mondo attuale, globalizzato, unito dal comune rumore di fondo
dei social network che danno voce a tutti, con il medesimo diritto, e
dell’informazione che invade le nostre vite lasciandoci in pace solo quando
dormiamo, l’aspetto folkloristico si è trasformato in una pericolosa caccia
alle streghe, alimentata da un’immensa ignoranza
Un’ignoranza inconsapevole, distorta dalla realtà che si
sceglie di osservare, da rendere arroganti al punto di sentirsi in dovere di
esprimere un’opinione, spesso intrisa di odio e disprezzo verso quegli
“scienziati incompetenti”, loro che hanno studiato per anni quando bastava
frequentare l’università della vita, per capire come va il mondo. Un’opinione
che nella mente di molti risuona così importante e pomposa da reputare un
dovere il fatto di esprimerla, non più un mero diritto che spetterebbe alla
propria coscienza se rendere pubblico o meno.
Anche i miei nonni erano ignoranti, ma lo sapevano. Ecco
perché quando il dottore gli diceva di fare un vaccino, loro, senza capire come
funziona un vaccino e senza mettere in dubbio la sua efficacia, ascoltavano il
dottore perché: “Lui ci capisce, altrimenti non ci vado”. Oggi chi non capisce
come funziona una cosa è perché ha un’idea propria e distorta, della quale si è
innamorato come un tossicodipendente cronico della dose della mattina, che
sente in dovere di sbandierare a tutto il mondo, perché alla fine: “Io sono io
e voi non siete un cazzo!” è una frase che molti universitari della vita,
coloro che si informano su siti internet che parlano di scie chimiche e sbarchi
lunari farlocchi, pensano davvero.
Questo oceano in tempesta dell’esaltazione della propria
ignoranza, di una carenza di intelletto scambiata per indipendenza di pensiero,
ha travolto anche l’informazione generalista, almeno una consistente parte. Flotte
di analfabeti scientifici, tirati su orgogliosamente da un sistema scolastico
fallimentare, hanno il potere di divulgare le proprie idee su importanti mezzi
di informazione, senza conoscere affatto il campo di cui stanno parlando,
contribuendo a coltivare l’ignoranza arrogante di quelle che un noto critico
d’arte chiamerebbe capre, ripetendolo almeno tre volte.
Non viviamo nel
benessere per caso
Perché esplorare lo spazio? Perché andare su Marte con tutti
i problemi che abbiamo?
Queste due domande possono essere attaccate da almeno tre fronti:
uno prettamente logico, l’altro culturale e, infine, il terzo, pratico.
Dal punto di vista logico i problemi ci sono e ci saranno
sempre; se smettiamo di fare tutte le altre cose prima di risolverli, ci
estingueremmo. Perché comprare un telefono da centinaia di euro quando in
Africa ci sono bambini che muoiono di fame? Perché andare al ristorante quando
c’è gente che non ha un panino? Perché farsi una doccia al giorno quando in
Africa ci sono persone che muoiono di sete? Perché comprarsi vestiti quando
milioni di persone non se li possono permettere? Perché perdere tempo su Facebook
quando si potrebbe andare a fare beneficenza? Perché fare l’amore con il
proprio partner quando ogni giorno muoiono migliaia di bambini e si potrebbe
usare il tempo in cui cerchiamo di godere a fare del bene per gli altri?
Sono domande sensate o stupide? Anche se sotto ci potrebbe
essere, a volte, una sensibilità verso i problemi del mondo, il che è un bene,
le domande sono stupide perché è stupido il modo in cui si affronta la
questione, oltre che ipocrita. Qualcuno direbbe che sono tutti buoni samaritani
con il fondo schiena degli altri. È facile criticare una missione verso Marte
quando il 90% della nostra ricchezza viene sperperata in oggetti inutili, per
viziarci e ingrassare come maiali al punto da non riuscire più a muoverci,
vero?
Perché spendere soldi per vedere una partita di pallone, per
organizzare manifestazioni sportive, per andare a vedere un film al cinema e
ingozzarci di pop corn, quando nel mondo ci sono così tanti problemi e i soldi
servono per sfamare gli africani? Ecco, che sensazione si prova quando demagogia
e populismo si basano su fatti reali che mostrano la vostra superficialità e
ipocrisia?
Dal punto di vista culturale, la ricerca, qualunque sia, compresa
l’esplorazione dello spazio, è ciò che ci differenzia dalle scimmie, con
rispetto parlando per loro; è un ottimo indicatore della ricchezza culturale di
una società e dei suoi abitanti. E se in Italia le cose non vanno bene, con
decine di migliaia di giovani laureati costretti a emigrare per ottenere un
minimo di dignità, il motivo è che non si fa abbastanza ricerca. Questo è un
Paese vecchio, ma non solo anagraficamente. È un Paese vecchio di idee, che si
è arricchito senza migliorare il proprio livello culturale, con il risultato che il misero e umile contadino, come lo era mio nonno, si è trasformato in un
bifolco arricchito e viziato, con l’idiota convinzione di essere acculturato,
di avere dovere di opinione su tutto, pur non sapendo un cazzo. Un Paese di bifolchi
travolto da un immeritato benessere economico e che ora si sente così potente
da millantare verità su stupide scie chimiche o sui vaccini che causano l’autismo.
Gli scienziati veri? Gente che non capisce nulla, nella migliore delle ipotesi.
Dei patetici corrotti, al soldo dei potenti, nei casi più gravi.
Fare ricerca, fare scienza,
spendere soldi per scoprire chi siamo, da dove veniamo e dove possiamo
arrivare, risponde alla nostra voglia ancestrale di conoscere e di esplorare; è
ciò che ha guidato la nostra intera evoluzione. Se ci fossimo fermati non
saremmo qui a scrivere e a leggere su uno schermo di un dispositivo che sta nel
palmo della nostra mano. Si potrebbe dire, allora, sotto questo punto di vista:
a cosa serve la musica, la letteratura, l’arte, la pittura?
Il terzo punto è prettamente
pratico. In fin dei conti le capre se ne infischiano della cultura, degli
ideali di progresso ed esplorazione: sono contente di pasturare sempre nello
stesso campo, senza mai guardare in alto per chiedersi chi sono e cosa ci fanno
lì. Basta dar loro da bere, mangiare e qualche sedativo tecnologico per sprecare
il proprio tempo senza dover pensare davvero al prossimo e ai problemi del
mondo. La ricerca, anche spaziale, al contrario dell’abbuffata superflua di
sushi del sabato sera (quanti bambini si potevano sfamare con tutto quel cibo??),
ha un impatto incredibile sulle nostre vite. Se oggi stiamo bene, come ho già
detto, non è un caso. Gran parte della nostra tecnologia e del nostro benessere
derivano direttamente o indirettamente da pionieristici studi aerospaziali.
Quelle sonde inutili mandate su Marte, sin dagli anni 60, hanno testato
materiali e tecnologie che ora noi usiamo tutti i giorni e delle quali non
possiamo più fare a meno. Tecnologie e soluzioni che possono risolvere anche i
problemi di questo mondo, come fame e sete, se solo la politica, quindi il
popolo sovrano, lo volesse davvero. La verità, cari leoni da tastiera, è che
siete voi, con la vostra egoistica, miope e sommamente ignorante visione del
mondo a impedire che i problemi grossi di questa Terra vengano risolti, a mantenere ancora la fame nel mondo, a gioire nel soffocare sommersi dai gas di
scarico, a negare lavoro e futuro ai vostri figli. Siete voi a
comandare, purtroppo, e a decidere il futuro del mondo. Volete un esempio?
Pensate all’emergenza dei migranti e a come vorreste risolvere il problema di
questi disperati, purché se ne restino a casa loro e non minaccino il nostro
stile di vita: ipocriti!
Tutta la ricerca
scientifico/tecnologica atta a superare i propri limiti obbedisce a una regola
molto potente: non importa cosa si cerca, quale sia l’obiettivo del proprio
sforzo tecnologico; nel lungo cammino compiuto per raggiungerlo, si conquistano
decine di altri traguardi che possono rivelarsi estremamente utili per molti
altri scopi.
Le ricadute tecnologiche
dell’esplorazione spaziale sono così tante che sarebbero richieste decine di
pagine solamente per stilare uno sterile elenco. Non voglio proporre una
sterile lista, ma far capire meglio in che modo una sonda nello spazio aiuti a
migliorare le nostre vite molto di più di quanto si possa immaginare, perché è
facile criticare di fronte a un computer, magari alimentato a pannelli solari,
pubblicando fotografie scattate con un cellulare mentre si guardano le mappe
satellitari in alta risoluzione.
Da dove provengono tutte queste
tecnologie?
Con il termine inglese spin-off
si identificano tutte quelle tecnologie sviluppate per
l’esplorazione spaziale che sono state poi adattate per essere
utilizzate nella vita di tutti i giorni.
Tra le più importanti degli
ultimi anni c’è sicuramente il tema dell’energia fotovoltaica.
La tecnologia dei pannelli solari
è stata utilizzata fin dalle prime missioni spaziali automatiche, tranne nei
casi in cui le sonde erano dirette verso le regioni esterne del Sistema Solare.
L’agenzia russa e soprattutto
americana hanno effettuato importantissimi studi nel disporre di una tecnologia
leggera, affidabile e sempre più efficiente dal punto di vista energetico.
I pannelli solari che abbiamo sul
nostro tetto derivano direttamente da questi pioneristici studi; senza le sonde
interplanetarie, probabilmente questa tecnologia sarebbe arrivata solamente tra
molti anni.
Molto importante anche il campo informatico,
dove il contributo della NASA è stato fondamentale.
Negli anni 60 con l’inizio del
programma Apollo una grande quantità di energie fu destinata alla creazione di
computer abbastanza piccoli da essere contenuti nel modulo di comando e
sufficientemente potenti da pilotare l’astronave durante il viaggio verso la
Luna.
Il grande sviluppo informatico,
necessario per ricerca spaziale, è stato determinante per la rivoluzione
informatica di massa iniziata sul finire degli anni 80.
I moderni programmi di
navigazione spaziale a bordo di ogni satellite, dai GPS che guidano le nostre
auto, a quelli che consentono di guardare la televisione, derivano dagli studi
intensi condotti a partire dagli anni 60.
Anche nel campo medico le
ricadute sono molte: dai termometri a infrarossi sviluppati per primi nelle
sonde automatiche, ai nuovi materiali utilizzati per le protesi artificiali
derivati direttamente dagli studi della NASA, allo sviluppo della tecnologia a
diodi per la cura di alcune lesioni.
I sistemi di controllo remoto,
gli stessi che consentono di attivare un allarme o un elettrodomestico con
l’uso di un semplice cellulare, derivano dalla tecnologia sviluppata per il
controllo di sonde a milioni di chilometri di distanza e dei rover
radiocomandati su Marte.
Le fotocamere digitali che hanno
reso accessibile la fotografia a chiunque e che ormai equipaggiano addirittura
tutti i telefoni cellulari derivano da intensi studi e ricerche per
l’efficiente ripresa e trasmissione delle immagini provenienti dalle sonde
automatiche.
Le conoscenze tecnologiche
accumulate e poi rese pubbliche hanno dato inizio all’inevitabile era della
fotografia digitale.
I moderni pneumatici che
consentono maggiore aderenza e sicurezza derivano dalle ricerche cominciate durante l’esplorazione lunare
sulle mescole da utilizzare per le ruote della Jeep che è stata utilizzata
dagli astronauti di Apollo 15-16-17 durante la loro missione.
Il materiale ignifugo dei vigili
del fuoco deriva dallo studio sulla costruzione delle prime tute spaziali per
le passeggiate degli astronauti.
I sistemi di filtraggio,
purificazione e riciclaggio dell’acqua sono stati sviluppati per le missioni
verso la Luna e per le lunghe permanenze degli astronauti a bordo delle
stazioni spaziali e potrebbero rivelarsi fondamentali nel fornire acqua
potabile alle popolazioni povere di alcune regioni dell’Africa e dell’Asia.
(e qui: http://www.nasa.gov/mission_pages/station/research/benefits/water_purification.html
)
Hanno fatto molto di più dei
miseri ingegneri aerospaziali per risolvere la fame del mondo che tutti gli
ipocriti leoni da tastiera che regalano perle di ignoranza, di cui nessuno
sentiva la mancanza. La vera domanda è: ci meritiamo tutto questo benessere? È
giusto, a questo punto, che poche migliaia di persone che fanno ricerca,
rendano disponibili risultati e scoperte a un mondo che in gran parte non solo
non capisce quello che stanno facendo, ma vorrebbe rabbiosamente rinunciare a
tutto questo?
Un costo irrisorio per un progresso eccezionale
Come se non bastasse, c’è un mito
da sfatare: le missioni spaziali costano troppo, meglio dirigere i soldi su
altri problemi. Questa è una balla colossale: gli sprechi sono altri. Il denaro
speso per le missioni spaziali è il modo più efficiente per dare lavoro e una
carriera a gente qualificata e preparata, a quella folta schiera di ragazzi
sognatori e laureati che ogni anno devono espatriare per vedersi riconoscere un
minimo di dignità alle loro vite. Fare ricerca, anche spaziale, è l’unico modo
che conosciamo per vincere i limiti imposti da questo pianeta e sperare di
risolvere, osservando ed esplorando lo spazio, anche i problemi economici e
sociali attuali e futuri. O davvero speriamo di poter capire come generare
energia rinnovabile e a basso impatto ambientale restando chiusi in casa a
osservare una lampadina spenta, evitando persino di uscire, perché bisogna
risolvere questo problema? Davvero pensate che il mondo vada in questo modo?
Che per riuscire a conficcare un chiodo nel muro basti osservare il muro e il
chiodo per sufficiente tempo e non andare neanche in ferramenta a comprare un
martello?
I 15
miliardi di dollari destinati alla NASA attualmente ogni anno dal governo degli
Stati Uniti, possono sembrare tantissimi, ma rappresentano circa lo 0,2% del
prodotto interno lordo del paese.
Tagliare
i costi dell’esplorazione spaziale per risparmiare il 2 per mille del denaro
dei contribuenti, di certo non può in alcun modo aiutare il benessere della
comunità o rimettere ordine nel bilancio statale.
Se
questo comunque non dovesse ancora convincere i più scettici, facciamo un
paragone con altre spese, alcune di dubbia utilità, per vedere quale sia il
peso relativo dell’esplorazione spaziale nell’economia di un paese.
Il
termine di paragone più impressionante riguarda i costi di una guerra.
L’impegno
militare in Afghanistan prima e in Iraq poi del solo governo americano
ha richiesto una spesa
superiore a 3000 miliardi di dollari(!) in circa 10 anni, vale a dire circa
300 miliardi di dollari l’anno. Un paragone con il programma Apollo, costato 20
volte di meno, mostra che con questo denaro si potevano lanciare sulla Luna
almeno 7 astronavi l’anno per 10 anni e dare lavoro a centinaia di migliaia di
ingegneri, fisici, astronomi, operai, unire l’umanità invece di dividerla,
risparmiare molte vite umane e portare benessere in tutto il pianeta con le
ricadute tecnologiche di un programma così ambizioso.
Un confronto con il programma
Shuttle è ancora più impietoso: il denaro speso in 10 anni di guerra poteva
finanziare una missione al giorno per tutto questo periodo di tempo.
Anche nel nostro piccolo paese
non mancano i paragoni a effetto.
Si pensa che l’Italia sia una
nazione troppo piccola per un programma spaziale?
No, è semplicemente uno dei tanti
stati che considera prioritarie altre spese, che però non vengono comunicate ai
contribuenti, come i famosi caccia vari governi si sono impegnati ad acquistare
nei prossimi anni, per un totale di circa 15-18 miliardi di euro di spese
militari in un periodo (fortunatamente) di pace.
La missione Pathfinder, che ha
portato su Marte il primo rover ha avuto un costo totale di 280 milioni di
dollari, circa 220 milioni di euro, minore del prezzo di due di questi jet.
Con il denaro speso l’Italia avrebbe potuto mandare su Marte circa 50
rover.
Dieci euro per cinquanta milioni di italiani sarebbero sufficienti per
lanciare una sonda verso Marte. Vogliamo provare a immaginare le ricadute
sull’economia, l’industria e il nostro benessere a fronte di questo minuscolo
investimento?
Migliaia di nuovi posti di lavoro, il rientro dei nostri giovani migliori
costretti a emigrare per realizzare i propri sogni, il richiamo dei grandi
investitori esteri e l’instaurarsi di un’economia tecnologica che farebbe
diventare il nostro paese ai primi livelli nel mondo.
Pochi miliardi di euro nella giusta direzione sarebbero trasformati in un
investimento che potrebbe fruttare oltre 10 volte tanto in meno di dieci anni,
se consideriamo il lato puramente economico.
Tutto questo in uno scenario in cui dovessimo fare tutto da soli. Nella
realtà l’Italia fa parte dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e i costi sono
quindi da dividere per 22 paesi partecipanti e centinaia di milioni di persone.
Ecco allora che una missione complicata come Rosetta, i cui costi sono simili a
quelli dell'intero programma ExoMars (missioni del 2016 e del 2020), è costata ai cittadini europei circa 3 euro e mezzo in 19 anni: 20
centesimi l’anno. Ma quando apriamo la bocca dicendo che le missioni spaziali
costano troppo, abbiamo una minima idea di quello che stiamo dicendo?
Alla fine di questo lungo post, ripetiamo allora insieme la
domanda per eccellenza: perché andare su Marte quando qui c’è gente che muore
di fame? Perché stiamo facendo più noi scienziati spedendo una lavatrice su un
pianeta deserto, per tutti voi, che chiunque mentalmente limitato e comodamente
seduto sul proprio divano abbia il coraggio di porsi una domanda del genere, senza
che un brivido di vergogna attraversi il suo corpo. La domanda giusta è,
ancora una volta: ce lo meritiamo tutto il progresso e la ricerca che sta portando
avanti un pugno di uomini sognatori per tutta l’umanità, quando questa ha una
visione tanto distorta e differente della realtà e del futuro?
Qualche link per approfondire:
Il sito della NASA dedicato a tutte le tecnologie spaziali utilizzate per la vita di tutti i giorni: http://spinoff.nasa.gov/
Una divertente applicazione per scoprire quali materiali e tecnologie derivati dall'esplorazione dello spazio contiene la nostra casa e la nostra città: http://www.nasa.gov/externalflash/nasacity/index2.htm
Il sito della NASA dedicato a tutte le tecnologie spaziali utilizzate per la vita di tutti i giorni: http://spinoff.nasa.gov/
Una divertente applicazione per scoprire quali materiali e tecnologie derivati dall'esplorazione dello spazio contiene la nostra casa e la nostra città: http://www.nasa.gov/externalflash/nasacity/index2.htm
giovedì 25 agosto 2016
Un pianeta forse simile alla Terra a due passi da casa
Dal 1995 a oggi abbiamo scoperto oltre 3500 pianeti al di fuori del nostro Sistema Solare, in oltre 2600 sistemi planetari. Abbiamo trovato pianeti di ogni tipo: caldissimi gioviani, fatti di diamante, orbitanti in sistemi doppi o tripli, in evaporazione come gigantesche comete... Abbiamo visto pianeti lontani migliaia di anni luce, vecchi di 10 e più miliardi di anni, in ambienti molto diversi dai nostri e attorno ai più disparati tipi stellari. Come in molti ambiti dell'esplorazione umana, in poco tempo ci siamo spinti sempre più in là, sempre più lontano nello spazio e nel tempo, abbattendo con una facilità disarmante ogni barriera che prima sembrava un muro invalicabile. La speranza? Che il nostro interminabile viaggio potesse farci raggiungere le inafferrabili risposte alle domande che ci accompagnano da sempre.
Abbiamo cercato in lungo e in largo per la Galassia, o almeno nella sua porzione a noi più vicina, ma ci siamo sempre scontrati con un'amara verità: quei pianeti, anche se simili alla Terra quanto vogliamo, sono sempre troppo lontani, così tanto che persino la nostra immaginazione si inibisce nell'attraversare tanto spazio, al punto da non permettci di immaginarli come mondi reali, come mondi possibili, come nostri fratelli.
In questi anni di fornsennata ricerca, quasi senza respiro, ci siamo accorti però di una cosa che ora è diventata una certezza: i pianeti, sebbene piccoli, deboli e quasi sempre invisibili, ci sono e sono dappertutto, anche nei posti che non ritenevamo possibili. Ci sono pianeti probabilmente sin quasi dall'alba dell'Universo, di certo sin dal momento in cui sono nate le generazioni di stelle che possiamo osservare. Ci sono, probabilmente, persino più pianeti che stelle nella Via Lattea e questo implica l'esistenza di centinaia di miliardi di silenziosi e invisibili corpi celesti.
Pianeti, pianeti ovunque, ma non nel sistema a noi più vicino, quello formato da tre stelle e denominato Alpha Centauri. Per decenni, mentre inevitabilmente ci si allontanava sempre più da casa, ogni tanto si cercava anche tra i nostri vicini, tra quelle stelle che per l'Universo sono a un soffio da noi, a circa 40 mila miliardi di chilometri dalle nostre teste, o 4,3 anni luce; un numero, questo, che meglio riesce a illuderci della loro estrema vicinanza.
Nell'ottobre del 2012 venne pubblicato su Nature un articolo in cui si annunciava la scoperta di un pianeta di massa simile alla Terra attorno alla componente B del sistema di Alpha Centauri: è la svolta. Un pianeta attorno al sistema stellare vicino alla Terra e per di più simile, in apparenza, al nostro. L'entusiasmo, però, si affievolì sempre più, mano a mano che procedevano le verifiche, perché quel pianeta non lo "vide" proprio nessun'altro. La parola fine alla tormentata vicenda fu posta nell'ottobre del 2015: il segnale trovato dai ricercatori, che poteva corrispondere a un pianeta terrestre in orbita molto stretta attorno alla stella (con periodo di circa 3 giorni) era con ogni probabilità un segnale spurio e non un reale corpo planetario. Quella battaglia era stata persa, ma la guerra non era ancora finita.
Già dai primi anni 2000 attorno alla componente più debole del sistema, Proxima, una nana rossa migliaia di volte meno luminosa del Sole (tanto che non è visibile a occhio nudo, nonostante sia la stella più vicina), sembravano vedersi degli strani andamenti. La stella subiva dei piccoli spostamenti periodici rispetto a quanto avrebbe dovuto fare se fosse stata sottoposta solo all'attrazione gravitazionale delle due sorelle maggiori. I tempi non erano ancora maturi perché i dati non mostravano la chiarezza richiesta per confermare un possibile pianeta.
La scienza, però, è anche e soprattutto pazienza e perseveranza, così di quei segnali interessanti di molti anni fa nessuno si è dimenticato e nel Gennaio 2016 è partita una massiccia campagna di ricerca da parte dell'ESO (l'osservatorio australe europeo) con la grande novità del coinvolgimento diretto del pubblico, che ha potuto assistere alla fase di raccolta e di analisi dei dati ripresi dai più potenti telescopi del mondo, nel luogo, il deserto di Atacama, migliore che possiamo trovare qui sulla Terra. Il progetto "Pale Red Dot" aveva l'ambizioso compito di fare chiarezza sulla possibile esistenza di un pianeta attorno a Proxima Centauri, mostrando allo stesso tempo i modi e i criteri con cui viene effettuato un serio studio scientifico. Dopo mesi di lavoro e di successivo silenzio stampa, nel momento in cui è stato compilato e sottoposto a verifica il report sull'analisi dei dati raccolti, possiamo dire di avere molto più chiara la situazione.
Attorno a Proxima Centauri, la stella a noi più vicina, esiste con ogni probabilità un pianeta roccioso poco più massiccio della Terra, che orbita a pochi milioni di chilometri dalla stella, in appena 11.2 giorni. Poiché Proxima è un astro molto debole, il pianeta, nonostante sia a una distanza inferiore a quella di Mercurio dal Sole, si trova nella fascia di abitabilià e potrebbe quindi ospitare acqua liquida in superficie. Non solo, quindi, abbiamo trovato un pianeta attorno alla stelle a noi più vicina, ma questo si trova alla giusta distanza, tale da poter consentire temperature accettabili per l'esistenza di acqua liquida, quindi condizioni propizie per l'esistenza di forme di vita così come le conosciamo.
Di più, però, non possiamo dire. Come in quasi tutte le circostanze, non riusciamo a vedere direttamente il pianeta, ma ne abbiamo dedotto le sue proprietà in base alle perturbazioni, piccolissime, che esercita sulla stella attorno alla quale orbita. Non sappiamo come sia fatta la sua atmosfera, quali composti ci sono, né se effettivamente possa essere ospitale come la sua posizione orbitale lascerebbe supporre. Non conosciamo la temperatura, il raggio, la densità. Le uniche similarità con la Terra sono una massa paragonabile e una posizione orbitale tale da consentire temperature potenzialmente simili. Su quest'ultimo punto, però, non dobbiamo fare confusione e leggere bene la frase: l'avverbio "potenzialmente" suggerisce che esiste la possibilità di avere temperature miti, ma che questa non è l'unica soluzione possibile. Anche la Luna si trova ben all'interno della zona abitabile del Sistema Solare, eppure è molto diversa dalla Terra, con temperature che oscillano tra i +120 e i -100°C. Finché non riusciremo a studiare l'atmosfera di questo pianeta non potremo dare certezze, ma fare solo speculazioni sulle sue proprietà. E le speculazioni, a questo punto della nostra conoscenza, non sono neanche positive. Il pianeta, con buona probabilità, ha un periodo di rotazione sul proprio asse uguale a quello di rivoluzione, quindi mostra alla propria stella sempre la stessa faccia. Questo significa che un emisfero è sempre illuminato (quindi molto caldo) e un altro sempre al buio (quindi freddo), che potrebbero esserci anche forti venti nella sua atmosfera (se ne possiede una). Le stelle nane rosse, come Proxima, sono poi famose per essere irrequiete e originare tempeste migliaia di volte più intense di quelle che può produrre il Sole: se questo pianeta non dovesse avere un forte campo magnetico (difficile se la sua rotazione è bloccata), la sua superficie ha più probabilità di essere sterile quanto quella lunare che di avvicinarsi a quella terrestre. E' quindi meglio calmare gli entusiasmi e non avventurarsi in voli pindarici che potrebbero avere scarsa attinenza con la realtà. Questo, naturalmente, non significa smettere di sognare, anzi...
Anche se per ora non sappiamo molto, si tratta di una scoperta importantissima, perché grazie alla sua vicinanza questo sarà uno dei pochi pianeti che potremo studiare in dettagio con la prossima generazione di telescopi e perché, e questo è il grande sogno, potremo persino disporre in tempi umani di una tecnologia in grado di raggiungerlo per poterlo studiare da vicino. E sebbeme Proxima non sia visibile a occhio nudo, e tutto il sistema di Alpha Centauri non si possa osservare dalle nostre latitudini, d'ora in poi in questa enorme cupola oscura che compare ogni notte potremo alzare lo sguardo e sentirci meno soli, meno unici, meno eccezione e più regola. Perché essere eccezionali può scatenare sul breve periodo una euforica sensazione, di ma alla lunga logora. E dopo centinaia di migliaia di anni, l'Homo Sapiens è pronto per scoprire l'eccezionale normalità del pianeta sul quale vive e della materia di cui è fatto.
Per approfondire:
Il comunicato stampa di ESO
L'articolo di Nature
L'articolo scientifico originale
Il progetto Pale Red Dot
Abbiamo cercato in lungo e in largo per la Galassia, o almeno nella sua porzione a noi più vicina, ma ci siamo sempre scontrati con un'amara verità: quei pianeti, anche se simili alla Terra quanto vogliamo, sono sempre troppo lontani, così tanto che persino la nostra immaginazione si inibisce nell'attraversare tanto spazio, al punto da non permettci di immaginarli come mondi reali, come mondi possibili, come nostri fratelli.
In questi anni di fornsennata ricerca, quasi senza respiro, ci siamo accorti però di una cosa che ora è diventata una certezza: i pianeti, sebbene piccoli, deboli e quasi sempre invisibili, ci sono e sono dappertutto, anche nei posti che non ritenevamo possibili. Ci sono pianeti probabilmente sin quasi dall'alba dell'Universo, di certo sin dal momento in cui sono nate le generazioni di stelle che possiamo osservare. Ci sono, probabilmente, persino più pianeti che stelle nella Via Lattea e questo implica l'esistenza di centinaia di miliardi di silenziosi e invisibili corpi celesti.
Pianeti, pianeti ovunque, ma non nel sistema a noi più vicino, quello formato da tre stelle e denominato Alpha Centauri. Per decenni, mentre inevitabilmente ci si allontanava sempre più da casa, ogni tanto si cercava anche tra i nostri vicini, tra quelle stelle che per l'Universo sono a un soffio da noi, a circa 40 mila miliardi di chilometri dalle nostre teste, o 4,3 anni luce; un numero, questo, che meglio riesce a illuderci della loro estrema vicinanza.
Le stelle più vicine al Sole |
Già dai primi anni 2000 attorno alla componente più debole del sistema, Proxima, una nana rossa migliaia di volte meno luminosa del Sole (tanto che non è visibile a occhio nudo, nonostante sia la stella più vicina), sembravano vedersi degli strani andamenti. La stella subiva dei piccoli spostamenti periodici rispetto a quanto avrebbe dovuto fare se fosse stata sottoposta solo all'attrazione gravitazionale delle due sorelle maggiori. I tempi non erano ancora maturi perché i dati non mostravano la chiarezza richiesta per confermare un possibile pianeta.
La scienza, però, è anche e soprattutto pazienza e perseveranza, così di quei segnali interessanti di molti anni fa nessuno si è dimenticato e nel Gennaio 2016 è partita una massiccia campagna di ricerca da parte dell'ESO (l'osservatorio australe europeo) con la grande novità del coinvolgimento diretto del pubblico, che ha potuto assistere alla fase di raccolta e di analisi dei dati ripresi dai più potenti telescopi del mondo, nel luogo, il deserto di Atacama, migliore che possiamo trovare qui sulla Terra. Il progetto "Pale Red Dot" aveva l'ambizioso compito di fare chiarezza sulla possibile esistenza di un pianeta attorno a Proxima Centauri, mostrando allo stesso tempo i modi e i criteri con cui viene effettuato un serio studio scientifico. Dopo mesi di lavoro e di successivo silenzio stampa, nel momento in cui è stato compilato e sottoposto a verifica il report sull'analisi dei dati raccolti, possiamo dire di avere molto più chiara la situazione.
Proxima Centauri b e il confronto con il Sistema Solare |
Di più, però, non possiamo dire. Come in quasi tutte le circostanze, non riusciamo a vedere direttamente il pianeta, ma ne abbiamo dedotto le sue proprietà in base alle perturbazioni, piccolissime, che esercita sulla stella attorno alla quale orbita. Non sappiamo come sia fatta la sua atmosfera, quali composti ci sono, né se effettivamente possa essere ospitale come la sua posizione orbitale lascerebbe supporre. Non conosciamo la temperatura, il raggio, la densità. Le uniche similarità con la Terra sono una massa paragonabile e una posizione orbitale tale da consentire temperature potenzialmente simili. Su quest'ultimo punto, però, non dobbiamo fare confusione e leggere bene la frase: l'avverbio "potenzialmente" suggerisce che esiste la possibilità di avere temperature miti, ma che questa non è l'unica soluzione possibile. Anche la Luna si trova ben all'interno della zona abitabile del Sistema Solare, eppure è molto diversa dalla Terra, con temperature che oscillano tra i +120 e i -100°C. Finché non riusciremo a studiare l'atmosfera di questo pianeta non potremo dare certezze, ma fare solo speculazioni sulle sue proprietà. E le speculazioni, a questo punto della nostra conoscenza, non sono neanche positive. Il pianeta, con buona probabilità, ha un periodo di rotazione sul proprio asse uguale a quello di rivoluzione, quindi mostra alla propria stella sempre la stessa faccia. Questo significa che un emisfero è sempre illuminato (quindi molto caldo) e un altro sempre al buio (quindi freddo), che potrebbero esserci anche forti venti nella sua atmosfera (se ne possiede una). Le stelle nane rosse, come Proxima, sono poi famose per essere irrequiete e originare tempeste migliaia di volte più intense di quelle che può produrre il Sole: se questo pianeta non dovesse avere un forte campo magnetico (difficile se la sua rotazione è bloccata), la sua superficie ha più probabilità di essere sterile quanto quella lunare che di avvicinarsi a quella terrestre. E' quindi meglio calmare gli entusiasmi e non avventurarsi in voli pindarici che potrebbero avere scarsa attinenza con la realtà. Questo, naturalmente, non significa smettere di sognare, anzi...
Anche se per ora non sappiamo molto, si tratta di una scoperta importantissima, perché grazie alla sua vicinanza questo sarà uno dei pochi pianeti che potremo studiare in dettagio con la prossima generazione di telescopi e perché, e questo è il grande sogno, potremo persino disporre in tempi umani di una tecnologia in grado di raggiungerlo per poterlo studiare da vicino. E sebbeme Proxima non sia visibile a occhio nudo, e tutto il sistema di Alpha Centauri non si possa osservare dalle nostre latitudini, d'ora in poi in questa enorme cupola oscura che compare ogni notte potremo alzare lo sguardo e sentirci meno soli, meno unici, meno eccezione e più regola. Perché essere eccezionali può scatenare sul breve periodo una euforica sensazione, di ma alla lunga logora. E dopo centinaia di migliaia di anni, l'Homo Sapiens è pronto per scoprire l'eccezionale normalità del pianeta sul quale vive e della materia di cui è fatto.
Per approfondire:
Il comunicato stampa di ESO
L'articolo di Nature
L'articolo scientifico originale
Il progetto Pale Red Dot
martedì 2 agosto 2016
Un nuovo blog dedicato all'astronomia pratica!
Il mio amore per l'astronomia è nato quando avevo 10 anni, ben prima che
potessi approfondire la materia all'università e sceglierla poi come
professione. Già in quegli ormai lontani tempi capii che questa è forse
l'unica scienza che può essere affrontata in mille modi e alla portata
di tutti, dai bambini a chi è più avanti con l'età, senza
necessariamente avere una laurea.
Contemplare il cielo, andare alla scoperta di pianeti, nebulose e galassie, porsi domande e viaggiare senza limiti verso i confini del Cosmo, non è mai stato così facile e divertente.
Mi sono accorto negli ultimi due anni di essermi allontanato un po' dall'astronomia pratica, parlandone sempre meno. E' arrivato il momento di porvi rimedio.
Da pochi giorni è iniziata ufficialmente la mia collaborazione con Teleskop Service Italia, con la creazione di un blog che parlerà di astronomia pratica, dalla fotografia all'osservazione visuale. Ci sarà modo di scambiarsi idee, consigli, di parlare direttamente con me e con lo staff preparatissimo su tutta la strumentazione amatoriale e creare una comunità che ha l'obiettivo di rendere ancora più accessibile il mondo dell'astronomia amatoriale. Seguiteci quindi con entusiasmo, perché è davvero l'inizio di una nuova avventura!
Questo blog resterà in vita e continuerà a occuparsi di astronomia divulgativa, come ha quasi sempre fatto. Se invece siete interessati più al lato pratico, allora seguite anche questa nuova avventura:
Contemplare il cielo, andare alla scoperta di pianeti, nebulose e galassie, porsi domande e viaggiare senza limiti verso i confini del Cosmo, non è mai stato così facile e divertente.
Mi sono accorto negli ultimi due anni di essermi allontanato un po' dall'astronomia pratica, parlandone sempre meno. E' arrivato il momento di porvi rimedio.
Da pochi giorni è iniziata ufficialmente la mia collaborazione con Teleskop Service Italia, con la creazione di un blog che parlerà di astronomia pratica, dalla fotografia all'osservazione visuale. Ci sarà modo di scambiarsi idee, consigli, di parlare direttamente con me e con lo staff preparatissimo su tutta la strumentazione amatoriale e creare una comunità che ha l'obiettivo di rendere ancora più accessibile il mondo dell'astronomia amatoriale. Seguiteci quindi con entusiasmo, perché è davvero l'inizio di una nuova avventura!
Questo blog resterà in vita e continuerà a occuparsi di astronomia divulgativa, come ha quasi sempre fatto. Se invece siete interessati più al lato pratico, allora seguite anche questa nuova avventura:
mercoledì 15 giugno 2016
LIGO si ripete: rivelate per la seconda (o terza?) volta le onde gravitazionali
Dopo la storica rivelazione delle onde gravitazionali associate a due buchi neri in procinto di fondersi, confermata ufficialmente lo scorso Febbraio ma avvenuta il 14 Settembre 2015, tutti sapevano che il vaso di Pandora era stato scoperchiato e che quell'evento sarebbe rimasto unico per poco tempo. Pochi, forse, avrebbero però sperato che nel momento in cui i ricercatori stavano effettuando tutte le conferme e i calcoli, l'esperimento LIGO aveva già rivelato altre onde gravitazionali.
Con la conferenza stampa del 15 Giugno il team di LIGO, a cui collabora anche l'esperimento italiano VIRGO, ha infatti confermato una seconda rivelazione di onde gravitazionali avvenuta il 26 Dicembre 2015 alle ore 4:38:53 italiane (in pratica la sera di Natale negli Stati Uniti!), associate sempre a un sistema molto esotico, poco prima della sua fusione. Sebbene gli attori siano gli stessi, due buchi neri, e la fine la medesima, la trama che ha portato all'inevitabile fine, con associata l'emissione di onde gravitazionali, si è sviluppata in modo diverso rispetto all'evento osservato a Settembre 2015.
I due buchi neri di questa nuova danza cosmica ad altissima energia hanno una massa stimata di circa 14 e 8 masse solari, circa la metà dell'evento precedente, e distano da noi circa 1,4 miliardi di anni luce(!). La spirale mortale che li ha portati alla fusione ha generato onde gravitazionali più deboli, ma che sono state ricevute per più tempo, circa un secondo. Sembra poco, ma per l'Universo di queste estreme energie equivale ad aver osservato le ultime 55 orbite di questi due mostri celesti, contro le appena 10 del primo evento, con un'emissione di energia pari a quella contenuta in una massa solare.
Per capire l'incredibile energia emessa sotto forma di onde gravitazionali possiamo ricordarci la famosa equazione di Einstein: E = Mc^2 e sostituire la massa del Sole, pari a circa 2 X 10^30 kg, e la velocità della luce al quadrato, che è di 9 X 10^16 metri al secondo, tutto al quadrato. Il risultato è espresso in Joule ed è un numero che ha 47 zeri. Per confronto, una bomba atomica di media potenza ha un'energia di circa 10^11 Joule, 36 ordini di grandezza inferiore a quella emessa da questi due buchi neri in un secondo attraverso le onde gravitazionali. Quanti sono 36 ordini di grandezza in più? Sono miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di volte di più!
Anche in questo frangente le onde gravitazionali sono state ricevute da entrambe le stazioni LIGO, una in Lousiana e l’altra nello stato di Washington, e hanno provocato spostamenti periodici e infinitesimi dello spazio, di gran lunga inferiori al diametro di un atomo. Nonostante questa piccolissima distanza, le onde sono state rivelate con una confidenza di 5 sigma, ovvero il segnale associato a questo evento ha una probabilità di essere reale di oltre il 99,999%.
Questa nuova scoperta conferma che le onde gravitazionali sono ormai alla nostra portata e la loro osservazione ci aiuterà a capire molto delle proprietà e della distribuzione dei buchi neri di taglia stellare, oggetti impossibili da osservare in qualsiasi altro modo ma che alla luce di questo nuovo risultato potrebbero essere più abbondanti di quanto si pensasse. A confermare questa idea c'è anche un'altra probabile sorgente di onde gravitazionali, rivelata da LIGO il 10 Ottobre 2015, meno di un mese dopo il primo segnale, che però è risultata troppo debole per poter essere confermata, sebbene l'idea è che si tratti di un altro sistema di due buchi neri che si sono fusi.
Alcuni ricercatori si sono addirittura spinti a ipotizzare che gran parte della materia oscura che permea l'Universo e che è circa 10 volte più abbondante di quella che possiamo osservare, potrebbe essere fatta di buchi neri, la cui origine risalirebbe ai primi istanti di vita dell'Universo. Come insaziabili divoratori, poi, molti sarebbero cresciuti mangiando grandi quantità di materia o attraverso fusioni, fino a raggiungere masse pari, o superiori, a quelle delle stelle più massicce che conosciamo.
Sono davvero tempi entusiasmanti per chi ha l'ambizione di scoprire e caratterizzare l'Universo invisibile, di certo la sfida scientifica più ambiziosa della nostra storia, fino a questo momento.
Per approfondire: L'articolo scientifico di questa nuova scoperta è stato pubblicato qui ed è liberamente scaricabile.
Il mio speciale su Coelum in merito alla rivelazione del primo segnale, per capire meglio anche cosa sono le onde gravitazionali
Le onde gravitazionali sono increspature dello spazio-tempo |
I due buchi neri di questa nuova danza cosmica ad altissima energia hanno una massa stimata di circa 14 e 8 masse solari, circa la metà dell'evento precedente, e distano da noi circa 1,4 miliardi di anni luce(!). La spirale mortale che li ha portati alla fusione ha generato onde gravitazionali più deboli, ma che sono state ricevute per più tempo, circa un secondo. Sembra poco, ma per l'Universo di queste estreme energie equivale ad aver osservato le ultime 55 orbite di questi due mostri celesti, contro le appena 10 del primo evento, con un'emissione di energia pari a quella contenuta in una massa solare.
Per capire l'incredibile energia emessa sotto forma di onde gravitazionali possiamo ricordarci la famosa equazione di Einstein: E = Mc^2 e sostituire la massa del Sole, pari a circa 2 X 10^30 kg, e la velocità della luce al quadrato, che è di 9 X 10^16 metri al secondo, tutto al quadrato. Il risultato è espresso in Joule ed è un numero che ha 47 zeri. Per confronto, una bomba atomica di media potenza ha un'energia di circa 10^11 Joule, 36 ordini di grandezza inferiore a quella emessa da questi due buchi neri in un secondo attraverso le onde gravitazionali. Quanti sono 36 ordini di grandezza in più? Sono miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di volte di più!
Anche in questo frangente le onde gravitazionali sono state ricevute da entrambe le stazioni LIGO, una in Lousiana e l’altra nello stato di Washington, e hanno provocato spostamenti periodici e infinitesimi dello spazio, di gran lunga inferiori al diametro di un atomo. Nonostante questa piccolissima distanza, le onde sono state rivelate con una confidenza di 5 sigma, ovvero il segnale associato a questo evento ha una probabilità di essere reale di oltre il 99,999%.
Le onde gravitazionali captate da entrambi i rivelatori di LIGO. |
Questa nuova scoperta conferma che le onde gravitazionali sono ormai alla nostra portata e la loro osservazione ci aiuterà a capire molto delle proprietà e della distribuzione dei buchi neri di taglia stellare, oggetti impossibili da osservare in qualsiasi altro modo ma che alla luce di questo nuovo risultato potrebbero essere più abbondanti di quanto si pensasse. A confermare questa idea c'è anche un'altra probabile sorgente di onde gravitazionali, rivelata da LIGO il 10 Ottobre 2015, meno di un mese dopo il primo segnale, che però è risultata troppo debole per poter essere confermata, sebbene l'idea è che si tratti di un altro sistema di due buchi neri che si sono fusi.
Alcuni ricercatori si sono addirittura spinti a ipotizzare che gran parte della materia oscura che permea l'Universo e che è circa 10 volte più abbondante di quella che possiamo osservare, potrebbe essere fatta di buchi neri, la cui origine risalirebbe ai primi istanti di vita dell'Universo. Come insaziabili divoratori, poi, molti sarebbero cresciuti mangiando grandi quantità di materia o attraverso fusioni, fino a raggiungere masse pari, o superiori, a quelle delle stelle più massicce che conosciamo.
Sono davvero tempi entusiasmanti per chi ha l'ambizione di scoprire e caratterizzare l'Universo invisibile, di certo la sfida scientifica più ambiziosa della nostra storia, fino a questo momento.
Per approfondire: L'articolo scientifico di questa nuova scoperta è stato pubblicato qui ed è liberamente scaricabile.
Il mio speciale su Coelum in merito alla rivelazione del primo segnale, per capire meglio anche cosa sono le onde gravitazionali
venerdì 3 giugno 2016
Un piccolo asteroide impatta... sulla Terra
Poco meno di tre mesi fa abbiamo osservato in diretta l'impatto di un piccolo asteroide nell'atmosfera di Giove, che ha prodotto un flash visibile da Terra anche con telescopi amatoriali. Sebbene sia il pianeta più grosso e massiccio, quindi uno dei bersagli preferiti, non è però di certo l'unico a venir colpito da piccoli asteroidi, in grado di generare però grandi effetti.
A ricordarci di quanto sia affollato e anche pericoloso, a volte, lo spazio, è arrivato puntuale un impatto meno potente ma molto più vicino. La mattina del 2 Giugno, alle ore 03:57 locali (12:57 italiane) un enorme bolide - così vengono chiamate le stelle cadenti più brillanti - ha illuminato a giorno i cieli dell'Arizona, territorio già famoso tra le altre cose per il celeberrimo Meteor crater, con una luminosità stimata circa 10 volte maggiore di quella della Luna piena.
Il passaggio di questo oggetto a grande velocità, circa 18 chilometri al secondo, ha lasciato dei segni ben più duraturi del tipico flash delle normali stelle cadenti. Molti osservatori, nel cielo che si accendeva dei colori dell'alba, hanno assistito a una lunga e complessa scia, persistente per diverse ore, creata proprio dal passaggio dell'oggetto che aveva illuminato il cielo poco prima. Raccogliendo le informazioni sulla luminosità e sulla lunga e complessa scia di condensazione, si pensa che a entrare nell'atmosfera e a generare un tale shock sia stato un piccolo asteroide dal diametro massimo di un paio di metri. Non si hanno al momento notizie di un eventuale contatto con la superficie terrestre. In ogni caso, se qualcosa è sopravvissuto al grande calore dell'ingresso in atmosfera, è precipitato al suolo a bassa velocità, senza produrre crateri. Tutti gli oggetti sotto circa i 100 metri di diametro, infatti, vengono rallentati a sufficienza dall'aria e precipitano al suolo a velocità dell'ordine di qualche centinaio di chilometri l'ora, contro le decine o centinaia di migliaia iniziali.
Quando piccoli asteroidi delle dimensioni di un'auto da città si trovano in rotta di collisione con il nostro pianeta, riescono a penetrare con molta energia negli strati più densi dell'atmosfera, e possono produrre due tipi di scie, oltre al classico bagliore: la prima, debolmente luminosa, è dovuta al fatto che il loro passaggio a decine di migliaia di chilometri l'ora riesce a ionizzare gli atomi di cui è composta la nostra aria, ovvero l'urto è così violento da strappare gli elettroni dagli atomi. Quando questi si ricombinano per tornare nella normale forma neutra, emettono una fioca luce rossastra o verdastra. Questo tipo di traccia è visibile di notte, spesso in fotografia, e dura al massimo poche decine di minuti.
Il secondo effetto è ancora più spettacolare perché può durare ore, sebbene possa essere osservato con chiarezza solo di giorno o al crepuscolo. Il passaggio dell'asteroide comprime e riscalda l'aria a migliaia di gradi, strappando via porzioni della sua superficie sotto forma di particolato sottile. E cosa succede quando in una regione molto fredda, e magari satura di umidità, gettiamo del gas (aria) caldissimo e ricco di nuclei di condensazione? Che il vapore acqueo, anche se poco, solidifica in sottili aghi di ghiaccio e forma una scia di condensazione, simile a quella prodotta dai motori degli aerei. La grande quantità di particolato strappata via dalla superficie dell'asteroide può colorare in modo tenue le tracce generate in questo modo, al contrario di quelle bianchissime degli aerei. Anche la quota è modo diversa: gli spettacolari disegni nel cielo lasciati dal passaggio di piccoli asteroidi si sviluppano a un'altezza di poco inferiore agli 80 chilometri, comunque sempre maggiore (tranne nei casi più violenti) delle rotte degli aerei. A seconda delle condizioni atmosferiche (temperatura e umidità relativa) negli strati d'aria interessati, le scie possono persistere anche per diverse ore. I venti in quota riescono poi a disegnare delle forme meravigliose che possono lasciare a bocca aperta gli osservatori e permettono anche di risalire al fenomeno che l'ha generate.
Gli esperti osservatori, infatti, quando vedono tali disegni in cielo sanno già che i colpevoli possono essere solo due: o un lancio di un razzo o un piccolo asteroide: non c'è nessun altro disturbo che possa raggiungere gli 80 km di quota e innescare la solidificazione del poco vapore acqueo presente. Poiché i lanci dei razzi sono rumorosi, luminosi e soprattutto conosciuti, è facile escludere un'ipotesi e confermare l'altra.
Ogni anno cadono sulla Terra migliaia di tonnellate di materiale proveniente dallo spazio. Nella grandissima maggioranza dei casi si tratta di granelli di polvere e piccole meteore dalle dimensioni di un granello di sabbia. Gli eventi più spettacolari, che generano i bolidi, ovvero meteore più brillanti delle stelle più luminose, sono più rari ma possono capitare anche diverse volte al mese, per una data località, il che si traduce in decine di migliaia di bolidi ogni anno visibili da ogni punto della Terra.
I fenomeni più violenti, con asteroidi dal diametro superiore a un metro, sono molto più rari ma non tanto quanto si pensava fino a qualche anno fa: uno ogni anno probabilmente, ma la statistica ancora non è precisa. Vale infatti la pena ricordare che oltre il 70% del nostro pianeta è ricoperto da acqua e del restante 29% di terre emerse solo una piccola porzione è monitorata dal suolo alla ricerca di meteore e bolidi. La categoria di asteroidi tra qualche metro e qualche decina di metri di diametro è la più subdola di tutte: questi infatti non sono così rari come i grandi massi da estinzione, quindi ce ne dobbiamo per forza di cose preoccupare. Tuttavia, riescono a sfuggire a tutti i monitoraggi e al contempo hanno la potenza sufficiente per poter creare seri danni alle abitazioni, come è accaduto nel 2013 per il meteorite di Cheliyabinsk. Quello dello scorso 2 giugno, per fortuna, era molto meno massiccio e non ha prodotto altro se non un bellissimo spettacolo nel cielo, ma ancora una volta l'avvertimento è fin troppo chiaro: è solo una mera questione di tempo, meglio farci trovare preparati.
Qualche approfondimento sul grosso bolide: http://earthsky.org/todays-image/smoke-trail-fireball-arizona-june-2-2016
http://spaceweather.com/archive.php?view=1&day=03&month=06&year=2016
http://www.nasa.gov/feature/fireball-lights-pre-dawn-sky-over-arizona
A ricordarci di quanto sia affollato e anche pericoloso, a volte, lo spazio, è arrivato puntuale un impatto meno potente ma molto più vicino. La mattina del 2 Giugno, alle ore 03:57 locali (12:57 italiane) un enorme bolide - così vengono chiamate le stelle cadenti più brillanti - ha illuminato a giorno i cieli dell'Arizona, territorio già famoso tra le altre cose per il celeberrimo Meteor crater, con una luminosità stimata circa 10 volte maggiore di quella della Luna piena.
Il passaggio di questo oggetto a grande velocità, circa 18 chilometri al secondo, ha lasciato dei segni ben più duraturi del tipico flash delle normali stelle cadenti. Molti osservatori, nel cielo che si accendeva dei colori dell'alba, hanno assistito a una lunga e complessa scia, persistente per diverse ore, creata proprio dal passaggio dell'oggetto che aveva illuminato il cielo poco prima. Raccogliendo le informazioni sulla luminosità e sulla lunga e complessa scia di condensazione, si pensa che a entrare nell'atmosfera e a generare un tale shock sia stato un piccolo asteroide dal diametro massimo di un paio di metri. Non si hanno al momento notizie di un eventuale contatto con la superficie terrestre. In ogni caso, se qualcosa è sopravvissuto al grande calore dell'ingresso in atmosfera, è precipitato al suolo a bassa velocità, senza produrre crateri. Tutti gli oggetti sotto circa i 100 metri di diametro, infatti, vengono rallentati a sufficienza dall'aria e precipitano al suolo a velocità dell'ordine di qualche centinaio di chilometri l'ora, contro le decine o centinaia di migliaia iniziali.
La spettacolare scia lasciata dal meteorite sopra i cieli dell'Arizona. Foto di Mike Lerch. |
Il secondo effetto è ancora più spettacolare perché può durare ore, sebbene possa essere osservato con chiarezza solo di giorno o al crepuscolo. Il passaggio dell'asteroide comprime e riscalda l'aria a migliaia di gradi, strappando via porzioni della sua superficie sotto forma di particolato sottile. E cosa succede quando in una regione molto fredda, e magari satura di umidità, gettiamo del gas (aria) caldissimo e ricco di nuclei di condensazione? Che il vapore acqueo, anche se poco, solidifica in sottili aghi di ghiaccio e forma una scia di condensazione, simile a quella prodotta dai motori degli aerei. La grande quantità di particolato strappata via dalla superficie dell'asteroide può colorare in modo tenue le tracce generate in questo modo, al contrario di quelle bianchissime degli aerei. Anche la quota è modo diversa: gli spettacolari disegni nel cielo lasciati dal passaggio di piccoli asteroidi si sviluppano a un'altezza di poco inferiore agli 80 chilometri, comunque sempre maggiore (tranne nei casi più violenti) delle rotte degli aerei. A seconda delle condizioni atmosferiche (temperatura e umidità relativa) negli strati d'aria interessati, le scie possono persistere anche per diverse ore. I venti in quota riescono poi a disegnare delle forme meravigliose che possono lasciare a bocca aperta gli osservatori e permettono anche di risalire al fenomeno che l'ha generate.
Gli esperti osservatori, infatti, quando vedono tali disegni in cielo sanno già che i colpevoli possono essere solo due: o un lancio di un razzo o un piccolo asteroide: non c'è nessun altro disturbo che possa raggiungere gli 80 km di quota e innescare la solidificazione del poco vapore acqueo presente. Poiché i lanci dei razzi sono rumorosi, luminosi e soprattutto conosciuti, è facile escludere un'ipotesi e confermare l'altra.
Il video dell'enorme fireball ripreso da una delle telecamere della NASA adibite al monitoraggio delle meteore.
Questo video mostra l'orbita del piccolo asteroide.
Ogni anno cadono sulla Terra migliaia di tonnellate di materiale proveniente dallo spazio. Nella grandissima maggioranza dei casi si tratta di granelli di polvere e piccole meteore dalle dimensioni di un granello di sabbia. Gli eventi più spettacolari, che generano i bolidi, ovvero meteore più brillanti delle stelle più luminose, sono più rari ma possono capitare anche diverse volte al mese, per una data località, il che si traduce in decine di migliaia di bolidi ogni anno visibili da ogni punto della Terra.
I fenomeni più violenti, con asteroidi dal diametro superiore a un metro, sono molto più rari ma non tanto quanto si pensava fino a qualche anno fa: uno ogni anno probabilmente, ma la statistica ancora non è precisa. Vale infatti la pena ricordare che oltre il 70% del nostro pianeta è ricoperto da acqua e del restante 29% di terre emerse solo una piccola porzione è monitorata dal suolo alla ricerca di meteore e bolidi. La categoria di asteroidi tra qualche metro e qualche decina di metri di diametro è la più subdola di tutte: questi infatti non sono così rari come i grandi massi da estinzione, quindi ce ne dobbiamo per forza di cose preoccupare. Tuttavia, riescono a sfuggire a tutti i monitoraggi e al contempo hanno la potenza sufficiente per poter creare seri danni alle abitazioni, come è accaduto nel 2013 per il meteorite di Cheliyabinsk. Quello dello scorso 2 giugno, per fortuna, era molto meno massiccio e non ha prodotto altro se non un bellissimo spettacolo nel cielo, ma ancora una volta l'avvertimento è fin troppo chiaro: è solo una mera questione di tempo, meglio farci trovare preparati.
Qualche approfondimento sul grosso bolide: http://earthsky.org/todays-image/smoke-trail-fireball-arizona-june-2-2016
http://spaceweather.com/archive.php?view=1&day=03&month=06&year=2016
http://www.nasa.gov/feature/fireball-lights-pre-dawn-sky-over-arizona
lunedì 30 maggio 2016
La migliore immagine di Plutone per molti, molti anni
A quasi un anno dallo storico incontro tra la sonda New Horizons e Plutone, sono finalmente arrivate tutte le immagini a maggiore risoluzione scattate durante il fugace e concitato momento di massimo avvicinamento, avvenuto a una velocità relativa di diverse decine di migliaia di chilometri l'ora, il 14 Luglio dello scorso anno.
Al di là delle considerazioni sugli intriganti e sorprendenti misteri di Plutone, di cui abbiamo già parlato più volte, godiamoci un po' di puro, sano e incontaminato stupore per gli occhi e per l'anima, in uno di quei rarissimi momenti della vita in cui la Natura riesce a togliere ogni parola e a farci dimenticare tutto quanto non va bene nel nostro piccolissimo angolo di realtà chiamato società.
Quella che stiamo per ammirare per molti anni resterà la più dettagliata immagine della superficie del lontano pianeta nano mai scattata dall'Umanità. Fino a quando un'altra sonda, che ancora non è neanche stata pensata, non verrà spedita in queste remote, ma sorprendenti, zone del Sistema Solare, nessun occhio potrà vedere qualcosa di più dettagliato.
In realtà non si tratta di un'unica immagine, ma di un gigantesco mosaico che ritrae una lunga striscia di Plutone, dal bordo illuminato fino al terminatore, dove la luce del debole Sole lascia il posto alle tenebre più profonde. La striscia inquadrata copre una larghezza variabile tra i 90 km della parte superiore e i 75 km delle regioni vicino al terminatore ed è stata ottenuta quando New Horizons si trovava a 15850 km, 23 minuti dopo il massimo avvicinamento. La risoluzione massima raggiunta è dell'ordine di 80 metri per ogni pixel, davvero impressionante!
Perdiamoci allora ad ammirare la complessa superficie di questo pianeta (nano) remoto, un mondo distante più di 4 miliardi di chilometri, nostro fratello da 4,6 miliardi di anni nel balletto cosmico del Sistema Solare, che è un punto per l'Universo ma un luogo immenso per la nostra giovane specie.
Immaginiamo di sorvolare le regioni del terminatore, di osservare stupefatti quelle bianchissime zone composte in gran parte da materiali ghiacciati che qui sulla Terra spesso sono sotto forma di gas. Scendiamo sulle montagne imponenti, tanto simili alle nostre, eppure così diverse, perché non sono fatte di rocce ma di ghiaccio d'acqua. A -230°C il ghiaccio infatti diventa duro come la nostra roccia.
Superata questa strana catena montuosa, ecco che ci si apre di fronte a noi una splendida valle, una pianura composta da enormi placche di azoto ghiacciato, che hanno addirittura la forza di strappare, ogni tanto, una collina dalla catena montuosa sovrastante e portarla in giro come un iceberg nelle acque dei nostri poli. Scendendo verso il terminatore, la pianura si costella di piccole zone scure, prima punti, poi macchie sempre più fitte e contrastate. Qui l'azoto ghiacciato riesce a sublimare, ovvero evapora nella tenue atmosfera plutoniana, e lascia posto a strati di ghiacci e rocce sottostanti.
Il viaggio si conclude quasi come iniziato. Al confine tra giorno e notte la pianura lascia posto di nuovo a coline e montagne, questa volta dall'aspetto diverso dalle precedenti, costellate da scarpate e burroni in cui il Sole non riesce ad arrivare.
Il viaggio mentale è finito, ma nulla vieta di poterlo fare un'altra volta, poi di nuovo ancora. E per facilitare questo meraviglioso perdersi nella bellezza della Natura, possiamo dare un'occhiata al video che la NASA ha composto e che amplifica ancora di più questa eccezionale traversata cosmica, là dove nessun uomo era mai arrivato e mai ritornerà per molto, molto tempo.
Il video originale si trova qui: https://www.youtube.com/watch?v=NEdvyrKokX4
La fonte della foto è qui: http://www.nasa.gov/feature/new-horizons-best-close-up-of-plutos-surface
Una porzione del grande mosaico |
Quella che stiamo per ammirare per molti anni resterà la più dettagliata immagine della superficie del lontano pianeta nano mai scattata dall'Umanità. Fino a quando un'altra sonda, che ancora non è neanche stata pensata, non verrà spedita in queste remote, ma sorprendenti, zone del Sistema Solare, nessun occhio potrà vedere qualcosa di più dettagliato.
In realtà non si tratta di un'unica immagine, ma di un gigantesco mosaico che ritrae una lunga striscia di Plutone, dal bordo illuminato fino al terminatore, dove la luce del debole Sole lascia il posto alle tenebre più profonde. La striscia inquadrata copre una larghezza variabile tra i 90 km della parte superiore e i 75 km delle regioni vicino al terminatore ed è stata ottenuta quando New Horizons si trovava a 15850 km, 23 minuti dopo il massimo avvicinamento. La risoluzione massima raggiunta è dell'ordine di 80 metri per ogni pixel, davvero impressionante!
Il grande mosaico di New Horizons che contiene le immagini a migliore risoluzione mai scattate aPlutone. |
Perdiamoci allora ad ammirare la complessa superficie di questo pianeta (nano) remoto, un mondo distante più di 4 miliardi di chilometri, nostro fratello da 4,6 miliardi di anni nel balletto cosmico del Sistema Solare, che è un punto per l'Universo ma un luogo immenso per la nostra giovane specie.
Immaginiamo di sorvolare le regioni del terminatore, di osservare stupefatti quelle bianchissime zone composte in gran parte da materiali ghiacciati che qui sulla Terra spesso sono sotto forma di gas. Scendiamo sulle montagne imponenti, tanto simili alle nostre, eppure così diverse, perché non sono fatte di rocce ma di ghiaccio d'acqua. A -230°C il ghiaccio infatti diventa duro come la nostra roccia.
Superata questa strana catena montuosa, ecco che ci si apre di fronte a noi una splendida valle, una pianura composta da enormi placche di azoto ghiacciato, che hanno addirittura la forza di strappare, ogni tanto, una collina dalla catena montuosa sovrastante e portarla in giro come un iceberg nelle acque dei nostri poli. Scendendo verso il terminatore, la pianura si costella di piccole zone scure, prima punti, poi macchie sempre più fitte e contrastate. Qui l'azoto ghiacciato riesce a sublimare, ovvero evapora nella tenue atmosfera plutoniana, e lascia posto a strati di ghiacci e rocce sottostanti.
Il viaggio si conclude quasi come iniziato. Al confine tra giorno e notte la pianura lascia posto di nuovo a coline e montagne, questa volta dall'aspetto diverso dalle precedenti, costellate da scarpate e burroni in cui il Sole non riesce ad arrivare.
Il viaggio mentale è finito, ma nulla vieta di poterlo fare un'altra volta, poi di nuovo ancora. E per facilitare questo meraviglioso perdersi nella bellezza della Natura, possiamo dare un'occhiata al video che la NASA ha composto e che amplifica ancora di più questa eccezionale traversata cosmica, là dove nessun uomo era mai arrivato e mai ritornerà per molto, molto tempo.
Il video originale si trova qui: https://www.youtube.com/watch?v=NEdvyrKokX4
La fonte della foto è qui: http://www.nasa.gov/feature/new-horizons-best-close-up-of-plutos-surface
venerdì 20 maggio 2016
La più bella immagine di Marte di questa stagione
Se avete a disposizione un po' di cielo sereno (una rarità di questi tempi!) e vi capita di guardare a sud verso le 23, noterete di sicuro una "stella" rossastra molto più luminosa di tutti gli altri astri del cielo. Niente paura, non si tratta di qualche cataclisma in atto: è Marte, il nostro vicino di casa, che dopo 26 mesi di latitanza è arrivato di nuovo in prossimità della Terra.
Brillante quasi quanto Giove e circa 10 volte più delle stelle più luminose del cielo estivo (come Vega), Marte sta per raggiungere l'opposizione con la Terra. Non ci sono significati astrologici nascosti in questo termine, che celano chissà quali significati. Il termine opposizione significa che il pianeta che stiamo considerando si trova esattamente dalla parte opposta rispetto al Sole, quindi in prossimità del punto più vicino alla Terra, e sorgerà proprio quando la nostra stella tramonterà dalla parte opposta del cielo. L'opposizione di marte avverrà il 22 Maggio, mentre il punto più vicino con la Terra si raggiungerà il 30 Maggio.
Osservandolo al telescopio, con un po' di allenamento e pazienza, Marte mostra tutte quelle caratteristiche che lo rendono tanto affascinante e simile alla Terra. Oltre alle macchie scure dovute ai differenti terreni della superficie, si possono osservare nubi solcare il globo e concentrarsi spesso nella parte sud del pianeta, verso le zone polari. Dall'altra parte, l'emisfero nord, leggermente inclinato verso di noi, mostrerà un debole punto bianco: la calotta polare, composta per buona parte, almeno in questa stagione, da ghiaccio d'acqua.
Questo è il periodo migliore per osservare e fotografare il nostro affascinante e misterioso vicino, ma per quante belle foto potremo sperare di fare, c'è già qualcuno che ha sovrastato in qualità e spettacolarità tutti i tentativi passati, presenti e futuri. Non stiamo parlando delle sonde in orbita attorno al pianeta o i rover sulla superficie (altrimenti la competizione non sarebbe leale) ma proprio di un telescopio: il glorioso telescopio spaziale Hubble.
Questa meraviglia tecnologica ha puntato Marte il 12 Maggio scorso e, grazie all'assenza della turbolenza atmosferica e alla potenza intrinseca dello strumento, ha ottenuto una meravigliosa foto che mostra un pianeta ricco di nubi, crateri da impatto, terreni aridi, ghiaccio e nebbie, che anche sul nostro vicino di casa sembrano voler mettere radici in certi punti della superficie, come nella regione di Syrtis Major ed Hellas, visibili proprio sul bordo destro di questa immagine.
La risoluzione raggiunta è di crca 30 km e fa impressione pensare che questa immagine tanto nitida sia stata scattata da 75 milioni di chilometri di distanza.
In queta fotografia troviamo l'essenza dell'astronomia: la meravigliosa eleganza dell'Universo e le incredibili capacità della specie umana che cerca di osservarlo con sempre maggiore dettaglio. Non resta che ammirare ancora il monitor e perderci in un viaggio straordinario fin verso Marte, dove tempo e spazio si confondono e ci regalano visioni che per molto tempo potremo solo immaginare. Ma con foto di questo tipo, immaginare diventa molto più semplice.
Per approfondire: http://www.nasa.gov/feature/goddard/2016/new-hubble-portrait-of-mars
Brillante quasi quanto Giove e circa 10 volte più delle stelle più luminose del cielo estivo (come Vega), Marte sta per raggiungere l'opposizione con la Terra. Non ci sono significati astrologici nascosti in questo termine, che celano chissà quali significati. Il termine opposizione significa che il pianeta che stiamo considerando si trova esattamente dalla parte opposta rispetto al Sole, quindi in prossimità del punto più vicino alla Terra, e sorgerà proprio quando la nostra stella tramonterà dalla parte opposta del cielo. L'opposizione di marte avverrà il 22 Maggio, mentre il punto più vicino con la Terra si raggiungerà il 30 Maggio.
Osservandolo al telescopio, con un po' di allenamento e pazienza, Marte mostra tutte quelle caratteristiche che lo rendono tanto affascinante e simile alla Terra. Oltre alle macchie scure dovute ai differenti terreni della superficie, si possono osservare nubi solcare il globo e concentrarsi spesso nella parte sud del pianeta, verso le zone polari. Dall'altra parte, l'emisfero nord, leggermente inclinato verso di noi, mostrerà un debole punto bianco: la calotta polare, composta per buona parte, almeno in questa stagione, da ghiaccio d'acqua.
Questo è il periodo migliore per osservare e fotografare il nostro affascinante e misterioso vicino, ma per quante belle foto potremo sperare di fare, c'è già qualcuno che ha sovrastato in qualità e spettacolarità tutti i tentativi passati, presenti e futuri. Non stiamo parlando delle sonde in orbita attorno al pianeta o i rover sulla superficie (altrimenti la competizione non sarebbe leale) ma proprio di un telescopio: il glorioso telescopio spaziale Hubble.
Questa meraviglia tecnologica ha puntato Marte il 12 Maggio scorso e, grazie all'assenza della turbolenza atmosferica e alla potenza intrinseca dello strumento, ha ottenuto una meravigliosa foto che mostra un pianeta ricco di nubi, crateri da impatto, terreni aridi, ghiaccio e nebbie, che anche sul nostro vicino di casa sembrano voler mettere radici in certi punti della superficie, come nella regione di Syrtis Major ed Hellas, visibili proprio sul bordo destro di questa immagine.
Marte fotografato dal telescopio spaziale Hubble |
La risoluzione raggiunta è di crca 30 km e fa impressione pensare che questa immagine tanto nitida sia stata scattata da 75 milioni di chilometri di distanza.
In queta fotografia troviamo l'essenza dell'astronomia: la meravigliosa eleganza dell'Universo e le incredibili capacità della specie umana che cerca di osservarlo con sempre maggiore dettaglio. Non resta che ammirare ancora il monitor e perderci in un viaggio straordinario fin verso Marte, dove tempo e spazio si confondono e ci regalano visioni che per molto tempo potremo solo immaginare. Ma con foto di questo tipo, immaginare diventa molto più semplice.
Per approfondire: http://www.nasa.gov/feature/goddard/2016/new-hubble-portrait-of-mars
domenica 15 maggio 2016
Un perfetto arcobaleno doppio
A volte la Natura dà spettacolo anche quando il cielo è coperto. Nonostante questo sia un blog di astronomia, anche la Terra fa parte dell'Universo e a volte ci regala degli spettacoli assoluti, che risulta anche difficile commentare.
Ecco perché invece di continuare a scrivere vi lascio alla visione di quello che oggi ho potuto ammirare dalla mia finestra: fantastico!
mercoledì 4 maggio 2016
Le eruzioni vulcaniche più grandi del Sistema Solare
Il vulcanesimo è un fenomeno comune sulla Terra, e sembra pure aver giocato un ruolo molto importante nel creare un'atmosfera e permettere agli esseri viventi di prosperare. Sono pochi i pianeti con vulcani attivi: probabilmente solo Venere mostra segni di eruzioni, almeno in tempi geologicamente recenti (qualche milione di anni), ma il Sistema Solare non è formato solo da pianeti.
Se vogliamo cercare il mondo più vulcanico in assoluto, dobbiamo spingerci a circa 800 milioni di chilometri dal Sole, circa 650 dalla Terra, su un corpo celeste che a prima vista nessuno avrebbe pensato potesse essere così attivo: Io. No, non sono impazzito credendo di essere un vulcano posto a centinaia di milioni di chilometri dal Sole. Io è una delle quattro principali lune di Giove, scoperte da Galileo Galilei nel 1609, all'alba della storia delle osservazioni al telescopio. Poco più grande della nostra Luna (ha un diametro di soli 180 km maggiore), posto in una zona del Sistema Solare che anche alla luce fioca del Sole sperimenta temperature di -140°C, privo di atmosfera, è questo il mondo più attivo del Sistema Solare con centinaia, se non migliaia, di vulcani in eruzione su tutta la sua superficie.
Come si spiega la presenza di un gran numero di vulcani attivi, quando il corpo celeste più simile per dimensioni e massa, la nostra Luna, è geologicamente morta da miliardi di anni? Il segreto non è Io ma la sua posizione. Se prendessimo la Luna o qualsiasi altro corpo celeste di dimensioni paragonabili e lo ponessimo nella stessa orbita di Io, si accenderebbe in breve tempo di centinaia di imponenti vulcani.
L'enorme attività di Io è da imputare all'ingombrante vicino: Giove, il gigante del Sistema Solare, oltre 300 volte più massiccio della Terra e 11 volte più grande. Non è difficile, a questo punto, immaginare gli effetti di un padrone di casa di così spropositate dimensioni. Io orbita a una distanza dal centro di Giove di circa 420 mila km, simile a quella del sistema Terra-Luna. E se la Terra è stata in grado, a causa della forza di marea che esercita sulla Luna, di rallentarne la rotazione sul proprio asse fino a renderla uguale al periodo di rivoluzione, di innescare, probabilmente, decine di eruzioni vulcaniche quando il suo interno era ancora caldo e tuttora riesce a stirare la roccia di centinaia di metri e provocare deboli lunamoti a causa dello stress che esercita sulla superficie, cosa succederebbe se sostituissimo il nostro piccolo pianeta con un gigante come Giove?
Su Io le forze di marea sono estremamente violente, al punto da deformare l'intero corpo celeste di diversi chilometri e di mantenere, a causa del calore sprigionato dalle rocce che si deformano e sfregano le une contro le altre, un interno fuso e una crosta fratturata in centinaia di punti da cui esce il magma.
A rendere ancora più efficace il vulcanesimo di Io concorrono anche gli altri satelliti galileiani, tutti più massicci e su orbite relativamente vicine. Di conseguenza, non è solo Giove a stirare la luna ma anche la forza di marea esercitata dagli altri satelliti nei punti orbitali in cui si trovano a passare a breve distanza da Io. Il satellite, quindi, viene continuamente stirato in direzioni differenti nel corso della sua veloce orbita intorno a Giove, che ha una durata di meno di due giorni e viene percorsa a una velocità media di 17300 km/h (4,8 km/s!). L'accumulo di tutta questa energia trova quindi un'unica valvola di sfogo: immensi fenomeni di vulcanesimo che rigenerano di continuo tutta la sua superficie, che non a caso risulta priva di crateri da impatto.
Le eruzioni vulcaniche di Io sono talmente enormi che sono state pure osservate dalla Terra dal telescopio spaziale Hubble. Le piume di magma, grazie alla ridotta forza di gravità, circa 1/5 di quella terrestre, si sollevano dalla superficie per centinaia di chilometri, per poi ricadere in spettacolari fontane incandescenti che riescono a coprire migliaia di chilometri di superficie. Sarebbe uno scenario apocalittico se accadesse sulla Terra, ma alla debita distanza di 650 milioni di chilometri diventa uno spettacolo di assoluta bellezza, una delle tantissime imponenti, eleganti e straordinarie manifestazioni della Natura.
La più bella fotografia di un'eruzione vulcanica su Io è stata catturata però da un'insospettabile sonda: New Horizons. Nel suo viaggio quasi decennale verso Plutone, nel 2007 si avvicinò a Giove, dal quale avrebbe preso la spinta per raggiungere il pianeta nano. Nel mezzo della numerosa corte di satelliti del gigante gassoso, New Horizons attivò la strumentazione e riuscì per la prima volta nella storia a filmare un'eruzione vulcanica di un altro mondo. Io, per gran parte illuminato dalla luce riflessa da Giove, mostra il vulcano Tvashtar, nei pressi del suo polo nord, che immette fino a 400 km di altezza una fontana di lava che ricade al suolo con un'eleganza e un'imponenza che hanno pochi eguali nel Sistema Solare e nella parte di Universo che conosciamo. Se questo vulcano si fosse trovato sulla Terra, i suoi zampilli di lava avrebbero raggiunto addirittura la Stazione Spaziale Internazionale e sarebbero poi ricaduti su una superficie con il diametro dell'Italia intera!
Iniziò così, forse un po' in sordina, anche la straordinaria avventura di New Horizons, che diede una spettacolare prova di cosa era in grado di fare la sua sofisticata strumentazione di bordo. Come sono andate po le cose ormai lo sappiamo: New Horizons ha raggiunto Plutone e ci ha svelato un mondo che nessuno sulla Terra si sarebbe aspettato di trovare.
Per approfondire: http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/image_feature_956.html
http://www.nasa.gov/topics/solarsystem/features/io-volcanoes-displaced.html
Se vogliamo cercare il mondo più vulcanico in assoluto, dobbiamo spingerci a circa 800 milioni di chilometri dal Sole, circa 650 dalla Terra, su un corpo celeste che a prima vista nessuno avrebbe pensato potesse essere così attivo: Io. No, non sono impazzito credendo di essere un vulcano posto a centinaia di milioni di chilometri dal Sole. Io è una delle quattro principali lune di Giove, scoperte da Galileo Galilei nel 1609, all'alba della storia delle osservazioni al telescopio. Poco più grande della nostra Luna (ha un diametro di soli 180 km maggiore), posto in una zona del Sistema Solare che anche alla luce fioca del Sole sperimenta temperature di -140°C, privo di atmosfera, è questo il mondo più attivo del Sistema Solare con centinaia, se non migliaia, di vulcani in eruzione su tutta la sua superficie.
Come si spiega la presenza di un gran numero di vulcani attivi, quando il corpo celeste più simile per dimensioni e massa, la nostra Luna, è geologicamente morta da miliardi di anni? Il segreto non è Io ma la sua posizione. Se prendessimo la Luna o qualsiasi altro corpo celeste di dimensioni paragonabili e lo ponessimo nella stessa orbita di Io, si accenderebbe in breve tempo di centinaia di imponenti vulcani.
L'enorme attività di Io è da imputare all'ingombrante vicino: Giove, il gigante del Sistema Solare, oltre 300 volte più massiccio della Terra e 11 volte più grande. Non è difficile, a questo punto, immaginare gli effetti di un padrone di casa di così spropositate dimensioni. Io orbita a una distanza dal centro di Giove di circa 420 mila km, simile a quella del sistema Terra-Luna. E se la Terra è stata in grado, a causa della forza di marea che esercita sulla Luna, di rallentarne la rotazione sul proprio asse fino a renderla uguale al periodo di rivoluzione, di innescare, probabilmente, decine di eruzioni vulcaniche quando il suo interno era ancora caldo e tuttora riesce a stirare la roccia di centinaia di metri e provocare deboli lunamoti a causa dello stress che esercita sulla superficie, cosa succederebbe se sostituissimo il nostro piccolo pianeta con un gigante come Giove?
Io transita su Giove e mostra un enorme vulcano. |
A rendere ancora più efficace il vulcanesimo di Io concorrono anche gli altri satelliti galileiani, tutti più massicci e su orbite relativamente vicine. Di conseguenza, non è solo Giove a stirare la luna ma anche la forza di marea esercitata dagli altri satelliti nei punti orbitali in cui si trovano a passare a breve distanza da Io. Il satellite, quindi, viene continuamente stirato in direzioni differenti nel corso della sua veloce orbita intorno a Giove, che ha una durata di meno di due giorni e viene percorsa a una velocità media di 17300 km/h (4,8 km/s!). L'accumulo di tutta questa energia trova quindi un'unica valvola di sfogo: immensi fenomeni di vulcanesimo che rigenerano di continuo tutta la sua superficie, che non a caso risulta priva di crateri da impatto.
Le eruzioni vulcaniche di Io sono talmente enormi che sono state pure osservate dalla Terra dal telescopio spaziale Hubble. Le piume di magma, grazie alla ridotta forza di gravità, circa 1/5 di quella terrestre, si sollevano dalla superficie per centinaia di chilometri, per poi ricadere in spettacolari fontane incandescenti che riescono a coprire migliaia di chilometri di superficie. Sarebbe uno scenario apocalittico se accadesse sulla Terra, ma alla debita distanza di 650 milioni di chilometri diventa uno spettacolo di assoluta bellezza, una delle tantissime imponenti, eleganti e straordinarie manifestazioni della Natura.
Il vulcano Tvashtar in eruzione immortalato da New Horizons. |
Iniziò così, forse un po' in sordina, anche la straordinaria avventura di New Horizons, che diede una spettacolare prova di cosa era in grado di fare la sua sofisticata strumentazione di bordo. Come sono andate po le cose ormai lo sappiamo: New Horizons ha raggiunto Plutone e ci ha svelato un mondo che nessuno sulla Terra si sarebbe aspettato di trovare.
Per approfondire: http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/image_feature_956.html
http://www.nasa.gov/topics/solarsystem/features/io-volcanoes-displaced.html
venerdì 29 aprile 2016
Osserviamo in diretta il transito di Mercurio
Segnatevi la data: 9 Maggio, a partire dalle 13 circa, si verificherà un evento raro che coinvolgerà il nostro Sole ma che sarà impossibile da vedere a occhio nudo (oltre che pericoloso). Mercurio, il piccolo pianeta interno, verrà visto dalla Terra attraversare il disco infuocato del Sole, in un fenomeno chiamato transito. La prospettiva sarà da brividi perché noi terrestri non riusciremo ad apprezzare la diversa distanza dei due corpi celesti. L'effetto, quindi, sarà quello di un impavido pianeta che sfiderà l'infuocata atmosfera del Sole e, contro ogni previsione, ne uscirà vivo dopo più di sette ore, attraversando protuberanze, regioni attive e l'immensa granulazione fotosferica.
Il transito in diretta e in alta risoluzione |
Data la difficoltà di osservare il transito per chi è sprovvisto di appositi telescopi solari, con Teleskop Service Italia abbiamo preparato una serie di eventi in diretta. Il mio compito sarà quello di mostrarvi in diretta le fasi del transito in alta risoluzione e in luce H-alpha, lunghezza d'onda alla quale il Sole dà spesso spettacolo con esplosioni ed eruzioni. Non una semplice diretta, quindi, in cui il Sole sarà sfocato e Mercurio piccolo: effettuerò riprese in H-alpha che elaborerò in tempo reale per mostrare alla migliore risoluzione possibile l'evolversi dell'evento.
L'evento inizierà poco dopo le 13 e andrà avanti fino al tramonto della nostra Stella. Sperando nel meteo favorevole, seguiremo insieme il tragitto di Mercurio e la composizione di un filmato time-lapse che renderà apprezzabile e spettacolare il suo movimento.
Oltre alla data, quindi, segnatevi questo sito e aspettiamo in trepidante attesa un fenomeno che si ripete, per una certa località terrestre, solo ogni 13 anni.
Seguite qui la diretta: http://transitodimercurio.teleskop-express.it/
NGC4565: la "gemella" della Via Lattea
La primavera, astronomicamente parlando, è la stagione delle
galassie. Alzando gli occhi al cielo troveremo meno stelle brillanti rispetto
all’inverno e non noteremo quel gran fiume di luce in piena della Via Lattea,
tipico delle calde serate estive. Stiamo infatti guardando perpendicolarmente
al disco della nostra Galassia, in una regione dell’Universo che è quindi molto
trasparente e ci permette di arrivare molto in profondità, anche con piccoli
telescopi e un pizzico di consapevolezza.
A circa 60 milioni di anni luce di distanza, tra le
costellazioni del Leone, della Vergine e della Chioma di Berenice, si trova un
grande agglomerato di galassie, detto ammasso della Vergine. E’ esteso per
diversi gradi, nonostante la distanza enorme. Non lo vediamo a occhio nudo, ma
c’è e possiamo ammirare le componenti più brillanti già con un semplice
binocolo. Si tratta di una struttura enorme, estesa per decine di milioni di
anni luce, che conta più di 1000 galassie, tenute insieme dalla reciproca forza
gravitazionale. L’ammasso della Vergine è il più vicino a noi ed è facile da
osservare anche con un piccolo telescopio, sotto cieli scuri.
Nelle regioni centrali dominano le grandi galassie
ellittiche, che si pensa si formino per aggregazione di galassie più piccole, tipicamente
a spirale. Tra le giganti per eccellenza spicca M87, estesa per qualche milione
di anni luce e contenente centinaia di migliaia di miliardi di stelle.
Nelle periferie dell’ammasso troviamo le più componenti più
piccole, e spettacolari: le galassie a spirale. La più bella di tutte, senza
alcun dubbio, è NGC4565, splendida spirale vista di profilo, distante da noi
circa 52 milioni di anni luce.
Questo gioiello del cielo ha la forma di un disco tagliato a
metà da una scura e sottile banda. Benché la nostra mente non riesca ad
afferrarlo subito, stiamo osservando una struttura elegantissima estesa per
decine di migliaia di anni luce e contenente centinaia di miliardi di stelle.
Ma NGC4565 è più di una semplice galassia. Con molta probabilità è l’isola di
stelle più somigliante alla nostra galassia, la
Via Lattea. La nostra Galassia, se fosse
vista dall’esterno e lungo il disco, apparirebbe quasi esattamente come questo
gioiello cosmico che possiamo osservare anche con piccoli telescopi.
In fotografia NGC4565 mostra le caratteristiche tipiche
delle galassie a spirale, che costituiscono circa il 75% di tutte le galassie.
La banda scura che taglia il disco è prodotta dalle grandi quantità di polveri
presenti lungo tutta la sua sottile figura. Le polveri sono tra gli ingredienti
fondamentali per la nascita di nuove stelle. Il rigonfiamento centrale è
chiamato bulge e appare più giallo delle parti periferiche, che nelle regioni
più esterne diventano tendenti all’azzurro. In astronomia il colore degli oggetti
celesti è sempre molto importante, perché trasporta preziosissime informazioni.
Nel caso delle galassie ci può dare ottimi indizi sull’età media delle stelle.
Ecco allora che il bulge appare giallo perché ricco di stelle simili al Sole.
L’assenza di astri brillanti di color bianco-azzurro, che si formano sempre
quando nascono anche le componenti simili al Sole, sta a indicare che in queste
regioni non c’è quasi per nulla formazione di nuove stelle e che stiamo
osservando gli astri superstiti dopo diversi miliardi di anni di evoluzione
passiva, senza alcuna nuova nascita. Nelle porzioni periferiche del disco,
invece, il colore dominante diventa l’azzurro: significa che in queste regioni
sono attivi processi di formazione stellare che stanno generando nuove stelle
anche in epoche recenti, perché gli astri azzurri non vivono più di qualche
decina di milione di anni: se vediamo il loro contributo cromatico vuol dire
che si sono formati da poco o che si stanno ancora formando. NGC4565, quindi,
come tutte le galassie a spirale, è ancora un oggetto vivo che genera nuove
stelle e pianeti, che cambia di continuo nel tempo, al contrario delle galassie
ellittiche, la cui maggior parte è composta da fossili che non generano più
stelle da diversi miliardi di anni.
Attorno a NGC4565 si notato anche piccoli batuffoletti di
luce: sono le sue galassie satelliti. Come la
Via Lattea e molte galassie di cospicue
dimensioni, anche questo splendido disco cosmico, disteso nel buio apparente
dell’Universo, è circondato da piccoli satelliti contenenti qualche miliardo di
stelle.
Quante informazioni si possono estrapolare da una semplice
foto, vero? E con un minimo di consapevolezza, questa immagine acquista ancora
più valore, ancora più significato, ancora più emozione. Questo è il bello
dell’astronoma, fatta di bellezze nascoste ai più ma che con un pizzico di
impegno e di consapevolezza diventano più straordinarie di qualsiasi cosa che
potremo mai vedere o creare su questo piccolo Pianeta.
lunedì 11 aprile 2016
Cos’è tutto quel fumo alla partenza delle astronavi?
Le fasi della partenza delle astronavi a bordo di potentissimi razzi sono
sicuramente le più delicate e violente di tutta la missione. Il calore
sviluppato dai giganteschi motori è così grande che potrebbe fondere il metallo
di cui è fatta la piattaforma. Ma il nemico principale è il rumore, capace di
frantumare finestre e creare danni a edifici e persone, fino a una distanza di
oltre dieci chilometri dalla rampa di lancio.
Il decollo dello Shuttle |
Ne sanno qualcosa alcuni tecnici di una stazione televisiva che nel 1967 si sono
ritrovati con finestre frantumate e pannelli del soffitto caduti a seguito del
primo volo dell’enorme razzo lunare Saturn V, nonostante una distanza di oltre 6 chilometri. Dopo
quest’avventura i tecnici della NASA pensarono bene di dotare la rampa di
lancio di un sistema che attenuasse il rumore e i danni prodotti.
L’iniezione di grandi quantità d’acqua nei pochi secondi della partenza è
più che sufficiente per rendere sopportabili rumore e vibrazioni ed evitare il
surriscaldamento della piattaforma.
Quando i razzi si accendono vaporizzano istantaneamente l’acqua, che poi
condensa e forma delle vere e proprie nubi estremamente dense.
Più grande è la potenza dei razzi, maggiore la quantità d’acqua
utilizzata, quindi più imponente sarà la nuvola di vapore che si alzerà.
Ad alimentare la nube di vapore ci pensano anche gli scarichi dei razzi.
Spesso il carburante utilizzato è idrogeno e ossigeno, il cui materiale di
scarto è proprio vapore acqueo puro. Anche nei razzi che utilizzano carburanti diversi il prodotto principale
è il vapore acqueo, sebbene accompagnato da altre sostanze, decisamente inquinanti.
Nonostante gli accorgimenti, la partenza di un razzo è ancora qualcosa di
spaventoso.
Peccato che gli Shuttle non volino più… Sarebbe stato spettacolare assistere alla straordinaria
partenza dell’unica astronave riutilizzabile mai progettata dall’uomo.
La scena sarebbe stata incredibile. Per lunghi secondi si sarebbe visto
decollare lo Shuttle con la lunghissima scia di fuoco ai suoi piedi, senza
sentire alcun suono. Poi sarebbe arrivato, dopo più di un minuto, il rumore assordante della
partenza, con la navicella ormai a diversi chlometri dal suolo. Un
rumore così forte e strano che spaventava molte persone e faceva tremare la
terra, reso surreale e improvviso dal ritardo con cui arrivava alle orecchie
rispetto alla luce. Eppure, in tutto questo caos trovavo qualcosa di terribilmente
affascinante, perché quell’astronave in pochi minuti arrivava nello spazio,
così vicino eppure tanto difficile da raggiungere.
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