venerdì 27 dicembre 2013

Come atterrava uno Shuttle?



Gli Space Shuttle sono state le prime e uniche (fino a questo momento) navicelle riutilizzabili della storia, andate ormai in pensione nel luglio del 2011. Partivano cme un razzo e atterravano come un aereo, ma pochi forse sanno in che modo avveniva la discesa. 
Una volta terminata la missione in orbita terrestre, ad almeno 350 km di altezza, iniziava il momento più delicato dell'intero viaggio: il ritorno a casa. 
Senza più carburante per effettuare una discesa controllata e lenta, lo Shuttle, come tutte le altre capsule, precipitava letteralmente nell'atmosfera. Per perdere quota dall’orbita azionava per pochi minuti i razzi di manovra che ne rallentavano la velocità orbitale. A questo punto il campo gravitazionale terrestre faceva perdere rapidamente elevazione all’astronave. L’impatto con gli strati superiori dell’atmosfera, a una quota di 120 km, avveniva a circa 8 km/s.

Planando senza motori verso terra: ecco l'atterraggio di uno Shuttle
A una velocità così sostenuta l’aria diventa un ostacolo davvero pericoloso da attraversare.
Proprio come un sasso che viene lanciato velocemente al pelo dell’acqua rimbalza invece di affondare, anche lo Shuttle e tutte le capsule che rientrano in atmosfera devono avere la giusta angolazione, altrimenti potrebbero rimbalzare sullo strato d’aria come una grande pietra e perdersi nello spazio. D’altra parte, un ingresso troppo diretto nel mare d’aria vorrebbe dire la distruzione dell’astronave a causa dell’eccessivo calore generato dall’attrito. Per questo motivo la discesa in atmosfera doveva avvenire secondo una particolare angolazione e orientazione, rigidamente controllata dai computer di bordo.

Il rientro violento in atmosfera dello Shuttle aveva la funzione fondamentale di rallentare l’astronave e prepararla per l’atterraggio, che sarebbe avvenuto a oltre 8000 km di distanza dal punto di rientro in atmosfera.
Con una velocità sufficientemente bassa, l’assetto della navetta a poche decine di chilometri dalla superficie cambiava, trasformandosi in un gigantesco aliante che planava nell’aria e rallentava ulteriormente la sua corsa, senza mai utilizzare i razzi, totalmente inadatti all’assetto da aereo di queste fasi. 

L’atterraggio avveniva a una velocità di circa 350 km/h, sensibilmente maggiore di quella dei grandi aerei di linea (circa 260 km/h), tanto da richiedere una pista più lunga e un paracadute per frenarne la corsa.
Certo, le possibilità di manovra non erano simili a quelle di un normale aereo, tanto che dai tecnici fu definito un mattone con le ali, ma osservando gli atterraggi così naturali delle navicelle  su una pista di asfalto, invece di un tuffo incontrollato in mezzo all’oceano di una piccola capsula alta neanche tre metri, per la prima volta nella storia si è avuta la sensazione che la conquista dello spazio non fosse più al limite delle nostre capacità tecnologiche.

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