Gli Space Shuttle sono state le prime e uniche (fino a questo momento) navicelle riutilizzabili della storia, andate ormai in pensione nel luglio del 2011. Partivano cme un razzo e atterravano come un aereo, ma pochi forse sanno in che modo avveniva la discesa.
Una volta terminata la missione in orbita terrestre, ad almeno 350 km di altezza, iniziava il momento più delicato dell'intero viaggio: il ritorno a casa.
Senza più
carburante per effettuare una discesa controllata e lenta, lo Shuttle, come
tutte le altre capsule, precipitava letteralmente nell'atmosfera. Per perdere quota
dall’orbita azionava per pochi minuti i razzi di manovra che ne rallentavano la
velocità orbitale. A questo punto il campo gravitazionale terrestre faceva perdere
rapidamente elevazione all’astronave. L’impatto con gli strati superiori
dell’atmosfera, a una quota di 120
km, avveniva a circa 8 km/s.
Planando senza motori verso terra: ecco l'atterraggio di uno Shuttle |
A una
velocità così sostenuta l’aria diventa un ostacolo davvero pericoloso da attraversare.
Proprio
come un sasso che viene lanciato velocemente al pelo dell’acqua rimbalza invece
di affondare, anche lo Shuttle e tutte le capsule che rientrano in atmosfera
devono avere la giusta angolazione, altrimenti potrebbero rimbalzare sullo
strato d’aria come una grande pietra e perdersi nello spazio. D’altra parte, un
ingresso troppo diretto nel mare d’aria vorrebbe dire la distruzione dell’astronave
a causa dell’eccessivo calore generato dall’attrito. Per questo motivo la
discesa in atmosfera doveva avvenire secondo una particolare angolazione e orientazione,
rigidamente controllata dai computer di bordo.
Il rientro violento
in atmosfera dello Shuttle aveva la funzione fondamentale
di rallentare l’astronave e prepararla per l’atterraggio, che sarebbe avvenuto
a oltre 8000 km
di distanza dal punto di rientro in atmosfera.
Con una
velocità sufficientemente bassa, l’assetto della navetta a poche decine di
chilometri dalla superficie cambiava, trasformandosi in un gigantesco aliante
che planava nell’aria e rallentava ulteriormente la sua corsa, senza mai
utilizzare i razzi, totalmente inadatti all’assetto da aereo di queste fasi.
L’atterraggio
avveniva a una velocità di circa 350 km/h, sensibilmente maggiore di quella dei
grandi aerei di linea (circa 260
km/h), tanto da richiedere una pista più lunga e un
paracadute per frenarne la corsa.
Certo, le
possibilità di manovra non erano simili a quelle di un normale aereo, tanto che
dai tecnici fu definito un mattone con le ali, ma osservando gli atterraggi
così naturali delle navicelle su una
pista di asfalto, invece di un tuffo incontrollato in mezzo all’oceano di una
piccola capsula alta neanche tre metri, per la prima
volta nella storia si è avuta la sensazione che la conquista dello spazio non fosse
più al limite delle nostre capacità tecnologiche.
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