Questo post è tratto dal mio libro: "Vita nell'Universo: eccezione o regola?" disponibile su Amazon.it
La risposta a livello scientifico, quindi con prove
inoppugnabili a supporto, non può essere ancora data ma logica, esperienza,
osservazioni e qualche principio fisico e chimico possono comunque darci
un’idea piuttosto chiara.
E la sensazione, giunti a questo punto, è che si tratta solamente
di una mera questione di tempo, soprattutto per quanto riguarda il molto
promettente cammino attraverso la ricerca dei pianeti extrasolari.
Non abbiamo trovato il gemello perfetto della Terra, è vero,
ma l’analisi delle migliaia di stelle da parte di Kepler ci ha dato una mano
formidabile nel chiarire le nostre idee e dipanare i dubbi, anche dei più
scettici.
Attorno a stelle simili al Sole e più piccole come le nane
rosse, Kepler ha scoperto molti pianeti rocciosi. Considerando il calcolo
totale, che include anche quelli fuori dalla fascia di abitabilità, Kepler ha
rilevato più di 1400 superterre, più di 300 pianeti di massa terrestre, più di
50 corpi della massa di Marte e addirittura un paio di massa comparabile con
quella di Mercurio (non troppo diversi dalla nostra Luna). Tutto questo analizzando
solamente i transiti, quindi esclusivamente quei sistemi planetari che vengono
visti quasi perfettamente di taglio. Se assumiamo che le inclinazioni dei
sistemi stellari non abbiano una distribuzione particolare nei confronti della
Terra, questo significa che Kepler ha scoperto meno del 10% dei sistemi
planetari effettivamente presenti nel campo analizzato. Considerando i limiti
nelle osservazioni, sia dal punto di vista fotometrico che temporale, la
percentuale si abbassa e potrebbe attestarsi su un più verosimile valore del
5%.
Molte delle stelle analizzate sono piccoli astri rossi o al
limite simili al Sole, di magnitudine intorno alla dodicesima, quindi entro un
paio di migliaia di anni luce.
Le scoperte di Kepler ci dicono che nella Via Lattea
potrebbero esserci qualcosa come 17 miliardi di Terre. Per pianeti simili alla
Terra ci riferiamo a corpi celesti con un raggio compreso tra 0,5 e 1,4 volte,
quindi anche molte delle superterre di minor massa.
Ma i dati di Kepler ci dicono anche un’altra cosa, ancora
più sconvolgente: il 48% delle stelle di classe M ospiterebbe un pianeta
terrestre potenzialmente abitabile. Considerando la grande abbondanza di questi
astri anche nelle zone adiacenti il Sistema Solare, ci sarebbe in media un
pianeta abitabile di tipo terrestre ogni 6,4 anni luce, praticamente dietro
l’angolo per le scale dell’Universo. Non solo, ma la probabilità di trovare un
pianeta terrestre entro una sfera dal raggio di 10 anni luce sarebbe del 94%:
quasi una certezza!
Quello che ci dicono questi primi dati statistici, che
finalmente si basano su un gran campione di stelle e di analisi, è che pianeti
di taglia terrestre sono presenti un po’ ovunque nella Galassia e rappresentano
la normale evoluzione delle stelle simili al Sole e delle piccole nane rosse,
alla stregua dei satelliti naturali attorno ai pianeti gioviani: è un processo inevitabile.
Con un numero così alto di pianeti di taglia terrestre,
quindi, è scontato trovarne molti nella fascia di abitabilità.
Ora basta fare davvero 2+2 per scorgere una risposta.
Le molecole organiche e l’acqua sono presenti ovunque nel
Cosmo e in quantità abbondanti; la vita, per quello che vediamo qui sulla Terra
e per gli esperimenti eseguiti, riesce a nascere e prosperare anche in ambienti proibitivi
e quando trova condizioni stabili non si fa certo sfuggire l’occasione.
La sensazione, quindi, è che forme di vita, almeno semplice,
possano prosperare un po’ ovunque nell’Universo ed essere frequenti quanto i
pianeti di tipo terrestre nelle zone di abitabilità (dove è posibile l'esistenza di acqua liquida in superficie). Un’esplosione di vita che
fa parte dell’essenza stessa dell’Universo alla stregua delle stelle, delle
galassie, delle nebulose e degli ammassi. Non più quindi eccezione, uno strappo
a una regola che deriva dalla combinazione assurda di variabili quasi
impossibili da mettere nella giusta sequenza, piuttosto il risultato semplice,
quasi scontato, delle leggi della fisica, le stesse che regolano tutto quello
che possiamo vedere.
Alla risposta se siamo soli o meno nell’Universo ormai
nessun astronomo si sognerebbe quindi di dire di no; sarebbe assurdo come
credere che la Terra
sia piatta.
Un discorso diverso riguarda invece l’esistenza della vita
intelligente. La risposta, in senso assoluto, è probabilmente positiva: non siamo
gli unici esseri intelligenti dell’intero Universo.
Bisogna però capire ancora quanto sia frequente questa eventualità,
perché se nel nostro piccolo abbiamo compreso come sia relativamente facile per
molecole inanimate mettersi insieme e formare i primi organismi viventi in
pochi milioni di anni, è altrettanto evidente, grazie agli sconfortanti dati
delle varie ricerche SETI, che l’Universo sia un luogo sorprendentemente più silenzioso
di quanto si pensasse.
Sono passati più di cento anni da quando Nikola Tesla
ipotizzò di ascoltare messaggi alieni attraverso le onde radio da poco scoperte,
ed ere geologiche da quando Guglielmo Marconi affermava di essere riuscito a
ricevere trasmissioni da Marte.
Kepler ci ha dato risultati in forte contrasto con il SETI:
possibile che su quasi 20 miliardi di Terre nella Via Lattea nessuna ospiti
forme di vita intelligenti? No, c’è qualcosa sotto che riguarda sicuramente il nostro
modo di cercare attraverso le onde radio.
Popolato o no da esseri intelligenti, quello che sembra
evidente è la lunga strada che dobbiamo ancora compiere dal punto di vista
tecnologico e biologico per comprendere come funzionano i complessi meccanismi della
vita. E la risposta, prima ancora di cercarla nelle stelle, dobbiamo trovarla
qui sulla Terra e nel nostro Sistema Solare.
Per il momento, quindi, accontentiamoci di qualcosa di meno
scientifico: la sensazione che potrebbe succedere di tutto da un giorno
all’altro. Potremmo ricevere un segnale senza preavviso, forte, inequivocabile,
decifrabile, come la protagonista di “Contact” (difficile), oppure scoprire il
nostro pianeta gemello da un giorno all’altro o una luna sorprendentemente
simile alla Terra.
La sensazione è che una svolta improvvisa e spettacolare
possa essere dietro l’angolo perché la scienza, la nostra scienza, è sul punto
di una scoperta epocale.
I tempi? Forse dieci anni al massimo.
Accontentiamoci per adesso del fatto che la prova più forte
di non essere soli nell’Universo ce l’abbiamo sotto gli occhi ogni giorno:
siamo noi stessi, materia comune in un luogo anonimo dell’Universo. È la nostra
stessa esistenza a dirci di non essere gli unici, perché se il Cosmo ci ha dato
quest’opportunità, nella sua enorme estensione sarà successo molte altre volte.
Per ora la gioia più intensa che possiamo provare è con noi
stessi.
In una notte serena prendiamoci un po’ di tempo dai rumori e
dalle luci delle città e andiamocene in campagna. Distesi su un prato, nel
silenzio dell’Universo, osserviamo la luce scintillante di quelle lontane
fiammelle. Tra noi e loro ci separa solo un sottile e trasparente strato
d’aria.
Scrutiamo, e pensiamo che sicuramente su una di quelle fioche
stelle ci sarà qualcuno che in questo momento, sdraiato su un prato molto diverso
dal nostro, guarderà un cielo differente nel quale un debole astro giallastro condivide
silenzioso il segreto più grande e misterioso dell’Universo: la sua stessa coscienza.
È
successo una volta, miliardi di anni fa su un pianeta azzurro chiamato Terra
quasi distrutto da un immenso impatto. Nulla vieta che possa essere accaduto
altre volte, in molti altri luoghi dell’Universo.
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