La
risposta, purtroppo, almeno secondo le nostre conoscenze della fisica, è: no, almeno non nel modo in cui siamo abituati a pensare l'esplorazione spaziale umana (ad esempio le missioni lunari o i soggiorni sulla ISS).
Il pianeta
extrasolare a noi più vicino dista circa 10 anni luce, quasi 100 mila miliardi di chilometri. Questo significa che
impiegheremmo un decennio per raggiungerlo alla velocità della luce. Il
problema è che nessun oggetto materiale può avere tanta fretta,
così almeno ha deciso l'Universo quando si è dato le proprie regole: è la stessa fisica a dirci che nessun oggetto dotato di massa può raggiungere la velocità della luce ma solo avvicinarcisi. Come se non bastasse, la
nostra tecnologia ci mette un bel carico perché attualmente siamo ben lontani dal raggiungere i limiti imposti dalla fisica.
Le
astronavi attualmente più veloci viaggiano a circa 70.000 km/h, circa 20 km/s, contro i 300.000 km/s della luce: un bel divario!
Se
inviassimo una sonda verso il pianeta extrasolare più vicino, impiegherebbe
qualcosa come 200.000 anni per raggiungerlo, dieci volte più della storia
dell’intera civiltà umana! Non
possiamo quindi pensare di mandare una sonda automatica per esplorare da vicino
un pianeta extrasolare, almeno non con questa tecnologia. Il problema è: esisterà una tecnologia rivoluzionaria in grado di farci attraversale le distanze tra le stelle, almeno con missioni robotiche e in poco tempo? Al momento non lo sappiamo ancora, ma la strada, se mai ci fosse, sarebbe molto lunga.
Probabilmente
il nostro destino, almeno per i prossimi secoli, sarà quello di ammirare da
lontano, ma sempre con maggior dettaglio, questi intriganti corpi celesti. I
telescopi di prossima generazione saranno in grado finalmente di riprendere la
loro debolissima luce, milioni di volte meno intensa di quella delle stelle
attorno alle quali orbitano. Strumenti
sempre di maggiore precisione e sensibilità consentiranno di scoprire in modo
chiaro tutta quell’invisibile flotta di pianeti terrestri, ancora per gran
parte ignota.
Una volta
individuati i candidati ideali per ospitare forme di vita, sarà possibile
dirigere verso di loro le potenti antenne del SETI, che si occupa di rilevare
trasmissioni radio di origine extraterrestre, per confermare o meno l’esistenza
di altre civiltà avanzate nell’Universo. Ma a
un
certo punto dovremo fermarci. Probabilmente l’Universo è troppo vasto
per
poterlo esplorare direttamente; le leggi fisiche attualmente conosciute
sembrano evidenziare questa sensazione. E forse non è neanche un male,
perché conosco almeno una civiltà che se avesse la possibilità di
avvicinare
un altro pianeta abitabile, e ricco di risorse come la Terra, non ci
penserebbe due volte a colonizzarlo e sterminarne gli abitanti. È
successo ogni
volta che l’uomo europeo “avanzato” ha scoperto nuovi mondi: l’America,
l’Africa,
l’Oceania. E di certo, se ne avrà la possibilità, lo farà ancora, ma
questa
volta su scala cosmica.
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