Per mesi si sono rincorsi pettegolezzi incontrollati, degni delle peggiori
riviste scandalistiche. Notizie non confermate hanno rimbalzato dall’Italia
agli Stati Uniti ma, al contrario del gossip della vita di tutti i giorni,
riportavano tutte gli stessi dettagli, nonostante le fonti non si conoscessero.
Già questo era un chiaro sintomo che qualcosa di vero poteva esserci, che la
scoperta del secolo era davvero stata fatta.
Questa ormai è storia vecchia che a nessuno più importa, perché con una
conferenza stampa storica, un articolo che guadagnerà presto l’attenzione ditutti i futuri libri di fisica, astrofisica e cosmologia, e molto probabilmente
un meritato Nobel per la fisica assegnato a tempo di record, i ricercatori
dell’esperimento americano LIGO hanno confermato la prima, storica rivelazione
di un’onda gravitazionale. Più sfuggenti dei già elusivi neutrini, che per
decenni hanno dato indicibili grattacapi a fisici e astrofisici di mezzo mondo;
più ricercate della materia oscura perché ipotizzate dal lontano 1916, cento
anni fa esatti, da uno scienziato che tutti conosciamo: Albert Einstein, le
onde gravitazionali erano diventate il sacro Graal della fisica, guadagnandosi,
per la loro sfuggevolezza, persino un’aura di mistico mistero e di tacito scetticismo.
Ma Einstein aveva ragione ancora una volta; ora lo possiamo dire con certezza.
La mente del grande fisico era almeno 100 anni più avanti della strumentazione
che sarebbe stata necessaria per confermare le sue previsioni teoriche ma alla
fine, con una determinazione che meriterebbe anch’essa un sostanzioso
riconoscimento, ce l’abbiamo fatta.
Gli scienziati del team di LIGO, esperimento americano, hanno
riportato la rivelazione di onde gravitazionali associate a uno degli eventi
più esotici e violenti dell’Universo: la fusione di due buchi neri. Due mostri
di 36 e 29 masse solari, legati in un sistema binario sempre più stretto, hanno
alla fine deciso di darsi il bacio mortale e fondersi per formare un unico
oggetto di 62 masse solari. Distanti circa un miliardo e trecento milioni di anni luce, le onde
gravitazionali sono state ricevute negli istanti precedenti la fusione, il 14
settembre 2015 alle ore 9:51 tempo universale. Poiché queste si propagano alla velocità della luce, stiamo parlando di un evento accaduto un miliardo e trecento milioni di anni fa. Le onde gravitazionali sono
state ricevute da entrambi i rivelatori di LIGO, che consistono in due strumenti
indipendenti distanziati da 3000
km, uno in Louisiana e l’altro nello stato di
Washington. La natura del segnale registrato dagli strumenti sembra essere il
tipico eco gravitazionale di un evento di tale violenza. Poco prima di
fondersi, i buchi neri hanno emesso sotto forma di onde gravitazionali
un’energia superiore a quella emessa da tutte le stelle dell’Universo. La
quantità di energia emessa si può calcolare notando che il buco nero risultante
ha una massa inferiore di 3 masse solari alla somma dei singoli buchi neri che
l’hanno formato. Secondo la relazione di Einstein E = mc2, la massa mancante si
è trasformata in energia. In pochi istanti sono state convertite in onde
gravitazionali l’equivalente di tre soli, qualcosa di davvero incredibile.
I grafici presentati durante la conferenza stampa mostrano
molto bene la tipica forma di onde gravitazionali che precedono gli istanti
finali di un sistema molto stretto e massiccio e testimoniano l’ottima
confidenza di rivelazione rispetto al rumore di fondo e la perfetta
sovrapposizione dei dati provenienti da entrambi gli interferometri. Nel
momento in cui due buchi neri sono sul punto di fondersi iniziano ad emettere
onde gravitazionali di frequenza sempre maggiore, in un crescendo che si
conclude con la loro fusione. Se potessimo sentire queste onde con le nostre
orecchie, la situazione sarebbe simile a ciò che possiamo udire quando
riempiamo una bottiglia d’acqua. All’inizio il suono è grave (bassa frequenza),
poi quando l’acqua sta per arrivare in cima all’improvviso il suono diventa
sempre più acuto fino al momento in cui la bottiglia trabocca e non si sente
più nulla.
L'analisi dell'articolo pubblicato e reso disponibile a tutti (da salvare, stampare e incorniciare) conferma la soglia di rivelazione di 5,1 sigma, il che equivale a dire che la probabilità che il doppio segnale sia reale è superiore al 99,9999%: in pratica è molto reale.
L'analisi dell'articolo pubblicato e reso disponibile a tutti (da salvare, stampare e incorniciare) conferma la soglia di rivelazione di 5,1 sigma, il che equivale a dire che la probabilità che il doppio segnale sia reale è superiore al 99,9999%: in pratica è molto reale.
Insomma, questa volta ci siamo. I dati in possesso degli
scienziati di LIGO sembrano essere inattaccabili e chiari: le onde gravitazionali
sono state rivelate davvero!
La
sovrapposizione delle misure effettuate dai due rivelatori distanti 3000 km, dopo aver corretto per la differenza temporale, è eccellente e
questo conferma la natura reale del fenomeno.
|
Cosa
sono le onde gravitazionali?
Nel 1915 Albert
Einstein terminò la stesura della teoria della relatività generale, a
completamento di un lavoro iniziato oltre 10 anni prima con l’enunciazione
della teoria della relatività speciale.
Sorvolando sui dettagli di
questa meravigliosa teoria, Einstein stesso nel 1916 si accorse di un fatto
curioso previsto dalla sua creatura: gli oggetti massicci sottoposti a
un’accelerazione avrebbero dovuto emettere delle onde gravitazionali.
Ma cosa sono queste
onde gravitazionali?
Per capirlo bene è
meglio considerare una situazione che conosciamo senza dubbio meglio, pur con
le dovute differenze, alcune delle quali verranno evidenziate nel seguito.
La teoria
dell’elettromagnetismo suggerisce che l’oscillazione di una carica elettrica
generi un’onda elettromagnetica. Questa non è altro che l’informazione in
merito all’energia e alle proprietà della carica che l’ha creata, che si muove
nello spazio alla velocità della luce. Un’onda elettromagnetica, quindi, è un
fenomeno che trasporta informazione ed energia attraverso lo spazio. I nostri
occhi riescono a percepire una piccola parte dell’enorme spettro delle onde
elettromagnetiche sotto forma di luce.
Possiamo immaginare la creazione di una generica onda in una situazione ancora più familiare per noi. Basta guardare la figura sotto, che ritrae la generazione di un'onda elettromagnetica, e immaginare di avere una lunga corda distesa sul terreno. Noi facciamo le veci della carica elettrica e teniamo in mano un capo della corda. Se lo facciamo oscillare velocemente in alto e in basso creaiamo un'onda che si propaga lungo la fune, proprio come un'onda elettromagnetica fa nello spazio.
Possiamo immaginare la creazione di una generica onda in una situazione ancora più familiare per noi. Basta guardare la figura sotto, che ritrae la generazione di un'onda elettromagnetica, e immaginare di avere una lunga corda distesa sul terreno. Noi facciamo le veci della carica elettrica e teniamo in mano un capo della corda. Se lo facciamo oscillare velocemente in alto e in basso creaiamo un'onda che si propaga lungo la fune, proprio come un'onda elettromagnetica fa nello spazio.
Come generare un'onda |
Bene, adesso diventa
facile trasformare tutto in termini di gravità e magari,
poi, capire perché la rivelazione delle onde gravitazionali potrebbe aprire le porte a una
rivoluzione entusiasmante per l’intera umanità.
La regola di base è
infatti semplice: prendiamo una carica, la facciamo oscillare e creiamo
radiazione elettromagnetica (i termini onda e radiazione sono di fatto
sinonimi in questo contesto); prendiamo un oggetto massiccio, lo facciamo oscillare e cosa
creeremo? Radiazione gravitazionale.
In linea teorica anche
un corpo umano che saltella produce onde gravitazionali, tanto quanto una palla
che rimbalza, ma non riusciremo mai a rivelarle. Il problema è che per generare
onde gravitazionali misurabili, al contrario di quelle elettromagnetiche, ci
servono oggetti molto massicci, perché la forza di gravità è incredibilmente
debole, migliaia di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di volte più di
tenue di quella elettromagnetica tra due protoni. I candidati ideali sono
quindi una stella di neutroni o un buco nero stellare. Chi li fa oscillare? La
gravità stessa, che a differenza della forza elettromagnetica ha un solo verso
(non esistono masse negative): mettiamo i nostri oggetti massicci e compatti in
un sistema binario stretto in modo che orbitino l’uno attorno all’altro ed ecco
create le oscillazioni necessarie per generare un’onda gravitazionale.
Le onde gravitazionali sono distorsioni dello spazio-tempo |
Una delle differenze più
interessanti tra le onde elettromagnetiche e quelle gravitazionali (ce ne sono
diverse ma per comprende il ragionamento non ci servono) riguarda il loro modo
di interagire con lo spazio e questa è la chiave per comprendere come poterle
rivelare. Se la luce è un’onda che si propaga nello spazio, le onde
gravitazionali sono onde dello spazio stesso, che si manifestano come delle
increspature, proprio come le onde di un lago quando vi gettiamo un sasso. Lo
spazio, quindi, non è più solo un mezzo di propagazione statico, ma è ciò che
varia fisicamente con il passaggio di un’onda gravitazionale.
Questo potrebbe
sembrare un passaggio complicato, meglio approfondirlo.
Possiamo descrivere lo spazio-tempo (spazio e tempo sono infatti legati
in un’unica “entità”) come una sottile, e per noi invisibile, rete sulla quale sono poggiati i corpi
celesti, che a causa della loro massa la incurvano generando la forza di
gravità. È un concetto piuttosto forte questo, perché la nostra esperienza ci
insegna che lo spazio debba essere vuoto e privo di energia. Invece non è così:
lo spazio-tempo, per quanto vuoto e privo di interesse possa sembrarci, è la
struttura sulla quale si sviluppano tutti i corpi e i fenomeni dell’Universo,
proprio come per portare avanti le attività della società moderna servono
strade, ponti e ferrovie. E come le nostre auto sono costrette a seguire le
strade che abbiamo costruito per loro, tutti gli oggetti dell’Universo devono
muoversi sulle strade invisibili costituite dalla struttura dello spazio-tempo.
È facile immaginare una strada che si snoda su una superficie circa piana come
quella terrestre (almeno su piccole distanze); meno facile, anzi, impossibile,
immaginare una struttura quadridimensionale come è lo spazio-tempo, quindi non
sforziamo troppo la nostra immaginazione e rimaniamo concentrati sul problema,
trattandolo a due dimensioni fino a quando possiamo.
Tenendo in mente
questa nuova definizione, possiamo ora capire il parallelismo tra il sasso
nello stagno e le proprietà delle onde gravitazionali.
Il nostro bacino
d’acqua piatto rappresenta il tessuto dello spazio-tempo, mentre l’oggetto
massiccio che le crea può essere una bottiglia, più pratica del sasso per
quello che vogliamo fare.
Se immergiamo la
bottiglia senza muoverla, lo specchio d’acqua dopo un po’ torna nella posizione
di quiete iniziale. Se iniziamo invece a far oscillare la bottiglia in alto e
in basso vedremo che sulla superficie dell’acqua inizieranno a comparire delle
onde, la cui lunghezza (o frequenza) è legata a quanto velocemente facciamo
oscillare la bottiglia. Maggiore è la velocità di oscillazione, più “fitte”
saranno le onde generate. Più pesante, quindi massiccia, sarà la nostra
bottiglia e più grandi saranno le onde prodotte, a parità di frequenza di
oscillazione.
Come immaginare le onde gravitazionali: un oggetto che oscilla in uno spechcio d'acqua calmo |
Se costelliamo lo
specchio d’acqua intorno a noi di palline poste a una distanza fissa le une
dalle altre, al passaggio delle onde generate dalla bottiglia la loro distanza
reciproca varierà, perché l’onda incresperà lo stagno e farà in modo che alcune
palline si troveranno su una cresta e altre su un minimo. Attenzione: un’onda
non trasporta materia, quindi le palline non vengono trascinate via, ma si
limitano a galleggiare sull’acqua senza spostarsi tra di loro. Il passaggio
dell’onda le fa solo oscillare in alto e in basso, cambiando la geometria del
mezzo nel quale sono immerse ed è per questo motivo che la loro distanza varia,
pur non essendosi fisicamente spostate rispetto al mezzo. Quando l’onda è
passata e lo stagno torna fermo, la distanza tra le palline ritorna quella
iniziale.
Nel caso delle onde
gravitazionali succede una cosa simile, sebbene più complicata da visualizzare.
Un oggetto massiccio che oscilla immerso nello spazio-tempo produce delle onde
che si manifestano come delle increspature del tessuto stesso. In pratica, lo
spazio non è un’entità fissa che non varia mai, ma può allungarsi e contrarsi con
la stessa modalità con cui possiamo increspare uno stagno. Degli oggetti che
sono ancorati nella stessa posizione dello spazio-tempo possono variare la loro
distanza perché a cambiare è la geometria stessa del “mezzo”.
Se abbiamo digerito
questa nuova definizione di spazio, che di certo mal si accorda con la nostra
comune esperienza (ecco perché abbiamo creato la scienza, perché l’esperienza inganna!), abbiamo capito tutto, persino come sperare di misurare
il passaggio di un’onda gravitazionale.
Visualizzazione e propagazione dell'onda gravitazionale più semplice da creare (detta polarizzata linearmente) |
Come si rivelano le onde gravitazionali?
Sembrerebbe tutto molto facile a questo punto: basta porre due (o più) oggetti a una
distanza fissata, che possiamo misurare molto bene, e aspettare che il
passaggio di un’onda gravitazionale increspi lo spazio-tempo modificando
temporaneamente la separazione dei nostri due oggetti, senza che nessuno li
sposti fisicamente.
In effetti è su questo
principio che si basano tutti gli esperimenti che hanno l’obiettivo di misurare
il passaggio di un’onda gravitazionale, ma la realtà ci presenta due problemi
davvero molto, molto grossi.
Il primo problema è
legato, ancora una volta, alla grande debolezza della forza di gravità. È
infatti impossibile creare in laboratorio un’onda gravitazionale come invece
possiamo fare con la luce, perché ci servono oggetti milioni di volte più
massicci della Terra da far oscillare. Dobbiamo allora limitarci a osservare e
aspettare che l’Universo ci presenti la situazione perfetta: buchi neri o
stelle di neutroni che orbitano in un sistema molto stretto e a velocità
prossime a quelle della luce.
Un sistema doppio
formato da due stelle di neutroni sul punto di fondersi ruota con un periodo
anche superiore alle 100 volte al secondo. Di conseguenza, la frequenza delle
onde gravitazionali emesse sarà dello stesso ordine di grandezza e la lunghezza
d’onda di circa 3000 km: enorme. Questa considerazione ci porta dritti al
secondo problema, che per essere capito ha bisogno di un’altra variabile:
l’intensità delle onde gravitazionali (la loro "altezza"), che è molto bassa anche per gli eventi
più violenti dell’Universo.
Continuando infatti il
parallelo con lo stagno pieno di palline e la bottiglia che facciamo
oscillare, possiamo cercare di misurare le onde generate agendo su due
quantità: l’intensità e la distanza. Se l’onda è molto intensa e di una
lunghezza non esagerata, per rivelarla sarà sufficiente posizionare due palline
a qualche centimetro di distanza l’una dall’altra: tanto basta, infatti,
all’onda breve e intensa per cambiare in modo drastico la loro separazione al
suo passaggio. Se tuttavia l’onda è molto lunga e magari anche poco intensa, e
le palline sono distanti tra di loro molto meno della
lunghezza dell’onda, è possibile che la variazione della distanza non si riesca
a misurare perché al di sotto della sensibilità degli strumenti usati. Se non
vogliamo cambiare lo strumento per la misura, possiamo aumentare la distanza
tra le palline, fino a una o diverse volte la lunghezza dell’onda che vogliamo
osservare. In questo caso, in effetti, se tra una pallina e l’altra ci sono
almeno un paio o più di onde, anche se queste fossero di intensità bassissima
la grande separazione dell’apparato di misura garantirebbe una variazione delle
posizioni ben misurabile. Questa è una
regola generale: all’aumentare della separazione tra gli apparati di misura si
incrementa lo spostamento causato dal passaggio delle onde, che può quindi
essere rivelato in modo molto più semplice.
Tornando alle nostre
onde gravitazionali, la loro bassa intensità e lunghissima lunghezza, di
migliaia di chilometri nel migliore dei casi, ci presenta uno scenario un po’
sconfortante. Se per misurarle poniamo le nostre due palline separate da un
solo metro di distanza, lo spostamento che subiranno al passaggio dell’onda
sarà dell’ordine di 10-21 metri: un milione di volte inferiore delle
dimensioni di un protone! Impossibile quindi misurarlo.
Come possiamo fare, in
concreto, per sperare di rivelare un’onda gravitazionale? Anche se allungassimo
a milioni di chilometri la separazione dell’apparato di misurazione, la
combinazione grande lunghezza d’onda e scarsa intensità non produrrebbe
spostamenti superiori a frazioni di atomo di idrogeno.
Non è possibile pensare
di misurare una variazione di spazio così piccola con un normale metro o con un
microscopio: ci serve qualcosa che riesca ad arrivare a queste precisioni, se
esiste.
Il principio su cui ci
si basano i rivelatori di onde gravitazionali è l’interferenza della luce. Uno
strumento che sfrutta le proprietà delle onde elettromagnetiche per misurare
separazioni piccolissime è chiamato interferometro ed è il righello più potente
che possiamo avere in Natura.
L’interferometro si
basa su due principi: 1) La velocità della luce è costante nel vuoto e
2) Le onde elettromagnetiche sono, appunto, delle onde. Se potessimo vedere con
una velocità super rallentata un raggio di luce propagarsi nel vuoto, non ci
apparirebbe come una minuscola pallina, ma come un’onda che oscilla fino a
miliardi di miliardi (e ancora miliardi, volendo) di volte al secondo. Quando
questo raggio di luce incide su uno schermo e viene quindi fermato, si può
notare come i valori del campo elettrico associato (e di quello magnetico) dipendano
dal punto dell’oscillazione che ha impattato con lo schermo.
Questa proprietà delle
onde ci consente di misurare delle distanze piccolissime basandoci sul
principio dell’interferenza. Prendiamo un raggio di luce monocromatico, ovvero
composto di luce di un solo colore, lo scomponiamo in due raggi identici e
perpendicolari e a questi facciamo fare lo stesso identico percorso, poi li
facciamo tornare e li ricombiniamo insieme. Se la distanza percorsa è
esattamente la stessa, le due onde si ricombineranno perfettamente in fase,
ovvero i valori del campo elettrico e magnetico nel momento in cui si
incontreranno saranno gli stessi: i massimi con i massimi e i minimi con i minimi.
L’intensità totale, trascurando le perdite durante il tragitto, sarà pari
all’intensità iniziale e uguale alla
somma dei due raggi.
Quando passa un’onda
gravitazionale, però, le distanze percorse dai due raggi di luce perpendicolari
non sono più le stesse, in particolare una direzione verrà leggermente
contratta e l’altra allungata. Anche se la variazione fosse di una frazione
impercettibile, quando questi torneranno indietro e si ricombineranno, le due
onde non saranno più in perfetta fase perché entrambe spostate a causa del
tragitto più lungo (o più corto) che hanno dovuto compiere. I massimi dell’una
non coincideranno con i massimi dell’altra, così l’intensità totale sarà minore
di quella iniziale e della somma delle intensità dei due raggi. Poiché la luce
che osserviamo ha una lunghezza d’onda, ovvero la distanza tra due massimi,
dell’ordine di qualche centinaio di nanometri, anche uno spostamento
di una minuscola frazione di nanometro può essere facilmente misurato.
Questo però non è ancora sufficiente per rivelare un’onda gravitazionale,
perché con un percorso di qualche chilometro lo spazio verrebbe distorto di appena 10-18 metri, le
dimensioni di un elettrone. Per questo motivo
dobbiamo allungare il tragitto compiuto dai raggi di luce fino a diverse
migliaia di chilometri. Se arrivassimo a qualche milione di chilometri, la
variazione di distanze arriverebbe alla stratosferica quantità di 10-12
metri,
100 volte più grandi delle dimensioni tipiche di un nucleo atomico. Sarebbe
bello e facile da fare su un pianeta piatto e con un’estensione infinita (o
nello spazio), ma sulla Terra non si può. Per questo motivo negli
interferometri vengono usati degli specchi, in modo da far allungare il
tragitto dei raggi di luce senza per questo estendere la lunghezza
dell’apparato di rivelazione di migliaia di chilometri. Non arriviamo ai
milioni di chilometri, ma superiamo i 1000 chilometri
(precisamente 1600 per LIGO).
Allungando la distanza
che devono compiere i raggi, diminuendo la lunghezza d’onda utilizzata e incrementando
la sensibilità di misura dell’intensità totale in modo da misurare anche
piccolissimi cambi di fase, ecco che con questo metodo possiamo rivelare
spostamenti addirittura inferiori alle dimensioni di un atomo, proprio la
precisione richiesta per sperare di intercettare un’onda gravitazionale.
Effetto di distorsione dello spazio-tempo si un'onda gravitazionale che si propaga verso di noi. Una dimensione si allunga e l'altra, perpendicolare, si accorcia |
Non basta tuttavia
avere un apparato molto sensibile (la vita degli
scienziati sperimentali è molto complicata!) ma anche e soprattutto eliminare o riconoscere tutte
le fonti di disturbo che potrebbero produrre effetti superiori a quelli del
passaggio di un’onda gravitazionale. E su un pianeta geologicamente attivo,
abitato da oltre 7 miliardi di esseri umani e miliardi di animali che si
muovono sulla superficie, la cosa è tutt’altro che scontata.
Schema di un interferometro per la misura delle onde gravitazionali, in questo caso dell'esperimento VIRGO, ora denominato EGO. |
LIGO e gli altri interferometri
Tutti gli esperimenti
per la rivelazione delle onde gravitazionali si basano sul principio
dell’interferometria laser appena descritto. Alcuni misurano il tragitto
percorso dai raggi di luce, altri la
posizione accurata di alcuni oggetti lungo il percorso, l’analogo delle palline
che abbiamo utilizzato nell’esperimento della misura delle onde dello stagno,
come LIGO. Tuttavia fino a questo momento nessuno strumento aveva raggiunto la
sensibilità necessaria.
LIGO, autore della
storica scoperta, è al momento l’interferometro più sensibile, complesso e
potente del mondo. Nel settembre 2015 si sono completati i lavori che l’hanno
reso molto più sensibile rispetto a prima (Advanced LIGO), nella speranza di
riuscire a superare la soglia di rivelazione. Obiettivo che è stato raggiunto,
addirittura prima della ripresa ufficiale dei lavori.
Nella configurazione
attuale, LIGO è formato da due strutture identiche, separate da 3000 km, ognuna delle quali
è un interferometro laser. Ogni interferometro possiede due
bracci, uno perpendicolare all’altro, costituiti da tubi lunghi 4 chilometri, larghi 1,2 metri e all’interno
dei quali si trova il vuoto più spinto che possiamo sperare di riprodurre sulla
Terra, proprio per rendere costante la velocità della luce ed evitare fenomeni
di diffusione a causa delle molecole di gas, che potrebbero falsare la lettura
dei dati. Le due strutture poste agli antipodi degli Stati Uniti hanno il
compito di aiutare i ricercatori nel distinguere un segnale di natura cosmica
associato a onde gravitazionali dalle numerose interferenze di origine
terrestre. Il passaggio di un’onda gravitazionale che si muove alla velocità
della luce verrà quindi rivelato da entrambi gli strumenti, misurato nello
stesso modo e a seconda della direzione dell’onda subirà dei ritardi dovuti
alla diversa distanza che la perturbazione deve percorrere per raggiungere i
due strumenti. Questo punto è cruciale perché la misura del ritardo di
rivelazione tra i due strumenti aiuta a risalire alla direzione dalla quale
proviene l’onda. La nostra tecnologia per la rivelazione delle onde
gravitazionali, infatti, è ancora tanto acerba che siamo molto lontani dal
costruire un vero e proprio osservatorio in grado, come i telescopi che
rivelano la luce, di raccogliere e focalizzare la radiazione gravitazionale. Al
momento ci accontentiamo di captarla senza focalizzarla, un po’ come una
persona cieca si accontenterebbe di vedere un tenue e indistinto bagliore
tenendo gli occhi ancora chiusi.
Sullo stesso principio si basa l’altro importante esperimento: VIRGO, recentemente rinominato
EGO (European Gravitational Telescope), che si trova sul suolo italiano (ogni
tanto abbiamo anche seri motivi per essere fieri del nostro Paese!), nei
dintorni di Pisa, in particolare nel comune di Cascina. Come LIGO, anche l’ex
VIRGO sta affrontando lavori di miglioramento della precisione che dovrebbero
terminare quest’anno e consentirgli la rivelazione di onde gravitazionali. EGO in un prossimo futuro farà anche parte
di una rete mondiale, insieme a
LIGO e agli altri due interferometri dedicati alla rivelazione delle onde
gravitazionali: GEO600 in Germania e KAGRA, che sta per essere ultimato in Giappone. L'obiettivo è una collaborazione tra Paesi che possa portare a risultati sempre migliori.
Una complicata ricerca
lunga più di un secolo
La corsa alle elusive
onde gravitazionali ha alle spalle un secolo di tentativi falliti, alcuni
in modo fragoroso, altri invece nascosti dal silenzio del tempo. Teorizzate
addirittura da Poincaré, prima dell’arrivo della relatività generale, seguendo
lo stesso filo logico delle onde elettromagnetiche con cui ho cercato di
spiegarle in questo articolo, la loro reale esistenza venne fuori in modo del
tutto naturale dalle equazioni della relatività generale, quando si descriveva
il comportamento dello spazio-tempo prodotto da una massa in oscillazione. Si
trattava di una previsione reale o di un artefatto matematico delle formule? Lo
stesso Einstein nel tempo cambiò idea più volte a riguardo.
Quando un modello
fisico fa delle previsioni di fenomeni del tutto sconosciuti, l’unica cosa che
resta da fare è condurre degli esperimenti per capire se queste siano reali o
meno, oltre a controllare accuratamente tutte le formule e i passaggi fatti per
arrivarci.
La discussione restò su
termini puramente teorici fino al 1969, quando il fisico Joseph Weber annunciò
di aver rivelato le distorsioni dello spazio-tempo prodotte dalle ormai già
leggendarie onde gravitazionali. Ora che conosciamo il finale di questo film,
sappiamo dire con certezza che Weber si sbagliava. Il suo rivelatore era un
grosso cilindro di alluminio che sosteneva avesse vibrato al passaggio di
un’onda gravitazionale. Sapendo ora quanto sia difficile rivelare queste
minuscole increspature, appare evidente l’innocente ingenuità di
quell’esperimento, che sperava di creare da un’onda gravitazionale un suono
udibile attraverso un grosso diapason messo in vibrazione.
Se la rivelazione diretta delle onde gravitazionali era condotta ancora con strumenti del tutto insufficienti per raggiungere lo scopo, la prima prova indiretta della loro esistenza si ebbe nel 1974. Joseph Taylor e un suo studente, Russell Hulse, osservarono l’evoluzione di un sistema doppio costituito da due stelle di neutroni in rapida rotazione. Notarono che la loro orbita si stava restringendo e avrebbe portato i due corpi celesti sempre più vicini, fino a fondersi. Chi stava togliendo energia a un sistema che avrebbe dovuto essere stabile? Proprio le onde gravitazionali. La loro intensa emissione in quelle circostanze tanto estreme stava letteralmente strappando al sistema l’energia che lo teneva in equilibrio. Il tasso di perdita di energia era in perfetto accordo con la teoria di Einstein. Per la prima volta, quindi, c’erano delle prove sperimentali: il grande genio, probabilmente, aveva ragione anche questa volta.
La scoperta valse ai
due astrofisici il premio Nobel nel 1993 e aprì di fatto la più grande caccia a
un fenomeno fisico mai vista nell’era moderna.
Il primo, grosso, interferometro
laser dedicato alla ricerca delle onde gravitazionali fu LIGO, la cui
costruzione fu approvata nel 1990, terminata nel 1999 e reso operativo dal
2001. Seguì l’esperimento italo-francese VIRGO, completato nel 2003. Entrambi
gli esperimenti furono accolti con freddezza o vera e propria ostilità dalla
maggioranza della comunità scientifica estranea al campo di ricerca sulle onde gravitazionali, lamentando un grande investimento di
risorse in progetti che con ogni probabilità avrebbero fallito nel loro lavoro.
E così, puntualmente, è stato. I passati 10 anni hanno rappresentato
probabilmente il periodo più duro della ricerca delle onde gravitazionali, con
macchinari da centinaia di milioni di euro che non erano abbastanza sensibili
per raggiungere lo scopo per il quale erano stati costruiti. Le strade
possibili erano quindi due: abbandonare tutto con la certezza di aver fallito, o continuare e potenziare gli
esperimenti sperando di riuscire a raggiungere la soglia di rivelazione. Se siamo qui a parlare della prima, storica, rivelazione, sappiamo
come sono andate le cose, ma nel periodo della più grande crisi economica
mondiale della nostra storia l’esito non era affatto scontato.
Ne fece ad esempio le
spese l’ambiziosissima missione eLISA, che sarebbe dovuta chiamarsi LISA, una collaborazione tra NASA ed ESA che doveva essere lanciata nel 2017 e
disporsi in una formazione di tre satelliti distanziati da 5 milioni di
chilometri. Ora la missione si chiama eLISA, dopo che la NASA si è tirata indietro per
problemi economici; sarà composta da tre satelliti distanziati da 1 milione di
chilometri e non si sa quando e se verrà lanciata, perché si è appena iniziata
a testare la tecnologia necessaria per capire se questo esperimento potrà avere
successo o meno (e questo doveva avvenire nel 2011).
Il momento più basso nella
corsa alle onde gravitazionali arrivò due anni fa sotto forma di una delle armi
più subdole puntate contro ogni scienziato sperimentale: una straordinaria
illusione. Nel 2014 l'esperimento Bicep 2, dedicato allo studio delle proprietà della radiazione
cosmica di fondo emessa dall’Universo circa 400 mila anni dopo la sua nascita,
sembrò di aver rivelato le impronte delle onde gravitazionali emesse niente
meno che dal Big Bang stesso, distribuite in un fondo che permea tutto il
cielo, proprio come la radiazione cosmica. Pochi mesi dopo si scoprì
che le conclusioni erano sbagliate: le tracce lasciate sulla radiazione cosmica
di fondo erano reali ma non erano causate dalle onde gravitazionali
primordiali, piuttosto dalle minuscole particelle di polveri presenti nella nostra
Galassia.
Il resto è una storia
tanto recente da chiamarsi cronaca: i più grandi interferometri, LIGO e VIRGO
hanno superato il momento critico e sono stati migliorati in sensibilità. Il
primo a concludere i lavori, nel settembre 2015,
è stato LIGO che quindi si è aggiudicato, con merito, la scoperta del secolo.
Cosa
significa questa scoperta?
Per capire la portata di questa prima rivelazione dobbiamo guardare ancora una volta alle onde elettromagnetiche e a cosa significano per noi.
Di fatto tutto, o quasi, l’Universo che possiamo vedere si basa sull’osservazione delle onde elettromagnetiche emesse, riflesse o assorbite dagli oggetti. Grazie alle onde elettromagnetiche possiamo osservare pianeti, stelle, nebulose, galassie, e riusciamo a risalire alle loro proprietà, perché ogni onda, nessuna esclusa, ha una bellissima caratteristica: trasporta con sé preziose informazioni sui luoghi e i meccanismi con cui è stata generata. Ecco allora che analizzando le onde elettromagnetiche provenienti dalle stelle siamo in grado di determinare la loro temperatura e i meccanismi fisici che le producono, nonché la precisa composizione chimica. Osservando le onde elettromagnetiche emesse dalle galassie possiamo dire quante stelle producono, qual è la loro massa, quanto sono vecchie, quanto gas contengono, quanto sono estese, dove e in che modo si muovono. È proprio dall’analisi delle onde elettromagnetiche che Hubble scoprì per primo l’espansione dell’Universo, grazie al fatto che tutte le galassie tendono ad allontanarsi dalla nostra. È per mezzo delle onde elettromagnetiche che scopriamo pianeti di altre stelle e le loro caratteristiche. Sono proprio le onde elettromagnetiche prodotte agli albori dell’Universo a dirci quanto è vecchio, quanta materia contiene, quanto potrebbe vivere e in che modo evolverà. Insomma, grazie a queste piccole cariche che oscillano noi dobbiamo la grandissima parte della conoscenza dell’astronomia (e non solo dell’astronomia). Senza poter rivelare le onde elettromagnetiche noi saremmo stati del tutto ciechi e non avremmo mai scoperto tutto quello che invece oggi sappiamo dell’Universo e del nostro mondo.
Per capire la portata di questa prima rivelazione dobbiamo guardare ancora una volta alle onde elettromagnetiche e a cosa significano per noi.
Di fatto tutto, o quasi, l’Universo che possiamo vedere si basa sull’osservazione delle onde elettromagnetiche emesse, riflesse o assorbite dagli oggetti. Grazie alle onde elettromagnetiche possiamo osservare pianeti, stelle, nebulose, galassie, e riusciamo a risalire alle loro proprietà, perché ogni onda, nessuna esclusa, ha una bellissima caratteristica: trasporta con sé preziose informazioni sui luoghi e i meccanismi con cui è stata generata. Ecco allora che analizzando le onde elettromagnetiche provenienti dalle stelle siamo in grado di determinare la loro temperatura e i meccanismi fisici che le producono, nonché la precisa composizione chimica. Osservando le onde elettromagnetiche emesse dalle galassie possiamo dire quante stelle producono, qual è la loro massa, quanto sono vecchie, quanto gas contengono, quanto sono estese, dove e in che modo si muovono. È proprio dall’analisi delle onde elettromagnetiche che Hubble scoprì per primo l’espansione dell’Universo, grazie al fatto che tutte le galassie tendono ad allontanarsi dalla nostra. È per mezzo delle onde elettromagnetiche che scopriamo pianeti di altre stelle e le loro caratteristiche. Sono proprio le onde elettromagnetiche prodotte agli albori dell’Universo a dirci quanto è vecchio, quanta materia contiene, quanto potrebbe vivere e in che modo evolverà. Insomma, grazie a queste piccole cariche che oscillano noi dobbiamo la grandissima parte della conoscenza dell’astronomia (e non solo dell’astronomia). Senza poter rivelare le onde elettromagnetiche noi saremmo stati del tutto ciechi e non avremmo mai scoperto tutto quello che invece oggi sappiamo dell’Universo e del nostro mondo.
Nel corso degli anni
non ci siamo limitati però solo a riceverle, ma abbiamo imparato anche a
crearle e a manipolarle per migliorare la nostra vita.
La creazione di onde
elettromagnetiche mediante l’oscillazione di cariche elettriche è alla base
della nostra tecnologia: tv, radio, satelliti, wifi, bluetooth, radar,
cellulari, forni a microonde... si basano tutti sul principio con cui si genera
un’onda elettromagnetica. Non passa un giorno sulla Terra senza usare qualcosa che impieghi la manipolazione della radiazione elettromagnetica.
Rivelare
le onde gravitazionali è quindi come per una persona vedere la luce per la prima
volta, dopo una vita di cecità completa. E cosa si potrà mai scoprire
dall’osservare per la prima volta una parte della realtà mai vista? Tutto.
Con
la rivelazione delle onde gravitazionali non solo si è data una spettacolare
conferma alla teoria della relatività generale, quindi ai principi base su cui
interpretiamo i fenomeni dell’Universo, ma abbiamo aperto un vaso di Pandora
che ci permetterà di osservare la realtà da un altro punto di vista del tutto
differente. Le onde gravitazionali trasportano le informazioni sui fenomeni più
violenti dell’Universo, che fino a questo momento abbiamo con estrema fatica
solo iniziato a comprendere con il limitato aiuto delle onde elettromagnetiche.
Le possibilità sono quindi infinite e potenzialmente rivoluzionarie. Potremo
far luce sugli scontri tra buchi neri, sulla formazione e lo scontro delle
galassie, sulla nascita e sulle proprietà dell’Universo stesso, persino
sull’esistenza della materia oscura e dell’energia oscura. Allo stesso tempo
potremo capire come si comporta la forza di gravità in ambienti che non
riprodurremo mai in laboratorio e confermare, o smentire, le nostre conoscenze fisiche
sulla forza che domina tutto l’Universo.
È quindi un momento epocale. È come se fino a questo momento avessimo guardato il mondo sempre dalla stessa, limitata finestra e ora avessimo a disposizione una visione del tutto nuova da un punto di vista completamente diverso rispetto a prima: ora riusciamo a vedere ciò che fino a ieri era invisibile. E sebbene l’utilità pratica della scoperta delle onde gravitazionali potrebbe non essere immediatamente alla nostra portata, torniamo indietro alla metà dell’800 in un laboratorio inglese in cui un certo Maxwell faceva esperimenti sugli strani fenomeni elettrici e magnetici, ignorando del tutto cosa avrebbe significato per l’umanità la comprensione che stava regalando al mondo. Sono sicuro che in una circostanza del genere il nostro viso si tingerebbe del sorriso più profondo della storia; una smorfia che nasconderebbe 150 anni di una rivoluzione sociale e tecnologica che quell’ingenuo fisico non avrebbe mai potuto immaginare.
È quindi un momento epocale. È come se fino a questo momento avessimo guardato il mondo sempre dalla stessa, limitata finestra e ora avessimo a disposizione una visione del tutto nuova da un punto di vista completamente diverso rispetto a prima: ora riusciamo a vedere ciò che fino a ieri era invisibile. E sebbene l’utilità pratica della scoperta delle onde gravitazionali potrebbe non essere immediatamente alla nostra portata, torniamo indietro alla metà dell’800 in un laboratorio inglese in cui un certo Maxwell faceva esperimenti sugli strani fenomeni elettrici e magnetici, ignorando del tutto cosa avrebbe significato per l’umanità la comprensione che stava regalando al mondo. Sono sicuro che in una circostanza del genere il nostro viso si tingerebbe del sorriso più profondo della storia; una smorfia che nasconderebbe 150 anni di una rivoluzione sociale e tecnologica che quell’ingenuo fisico non avrebbe mai potuto immaginare.
Siamo
di fronte a una rivoluzione nell’astrofisica della stessa portata di quella
dell’invenzione del telescopio, ma siamo anche testimoni in prima linea
dell’impetuoso progresso scientifico che il genere umano ha compiuto
nell’ultimo secolo; qualcosa che nella nostra storia non si era mai visto.
Stiamo riuscendo nell’impresa più difficile di tutte: comprendere il funzionamento
dell’Universo. E se non è meraviglioso questo, non so cos’altro possa esserlo.
Il
futuro: eLISA
Il futuro
dell’astrofisica delle onde gravitazionali è ancora più entusiasmante del
presente e di certo da questa scoperta riceverà una grande spinta economica.
Nel dicembre scorso è
stata lanciata la missione LISA Pathfinder, una sonda con il compito di
testare la strumentazione e la precisione per l’esperimento più grande,
complesso e ambizioso della storia dell’umanità.
Se tutto andrà bene, la
successiva missione eLISA sarà formata da un gruppo di tre satelliti
indipendenti che orbiteranno intorno al
Sole a formare un triangolo equilatero immaginario con lati di un milione di
chilometri. Ogni satellite sarà dotato di un cubo di 4 kg di oro e platino che
fluttuerà liberamente nello spazio; tutti e tre saranno collegati da
altrettanti laser, con il compito di controllare la posizione dei rispettivi
cubi.
Grazie alla grande
distanza che separerà i rilevatori, il passaggio di un’onda gravitazionale
dovrebbe essere in grado di generare uno spostamento tipico di 10-12
metri,
di gran lunga superiore alla sensibilità di LIGO e consentirà di rivelare onde
gravitazionali con maggiore facilità e con diverse frequenze, provenienti da
centinaia, o migliaia, di corpi celesti.
Tutto questo sembra davvero fantascienza: misurare
uno spostamento di 10-12
metri
di due masse di platino e oro fluttuanti nello spazio a un milione di km l’una
dall’altra e collegate da un raggio laser, mentre orbitano ad una velocità
prossima a 30 km/s.
Viviamo davvero in un’epoca eccezionale per alzare gli occhi al cielo e
chiedersi cosa ci sia lassù, oltre i limiti dei nostri occhi e dei nostri fragili
corpi.
complimenti bell'articolo
RispondiEliminaBello? MAGNIFICO direi :-)
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaDavvero un bellissimo articolo di divulgazione scientifica. Un plauso all'autore
RispondiEliminaGrazie, grazie! Per la prima volta ho avuto l'impressione di capire veramente qualcosa di un argomento che, pur affascinandomi, mi è sempre sembrato troppo lontano dalle mie capacità intellettive.
RispondiEliminaLucio Invernizzi
Complimenti, ottimo articolo!
RispondiEliminaOttima esposizione Daniele, però mi rimane un dubbio: tutti gli articoli giustificano la perdita di massa del buco nero risultante (le famose 3 masse solari) nell'emissione delle onde gravitazionali. Ma qual è il meccanismo che le ha generate? Perché si parla conversione di massa in onde gravitazionali e non, invece, di emissione di energia e neutrini?
RispondiEliminaLe onde gravitazionali trasportano energia e questa, per il principio di conservazione, deve essere presa da qualche altra fonte. Nel caso in questione deriva dall'energia gravitazionale del sistema, che infatti alla fine si fonde e dalla conversione di parte della massa dei due buchi neri in energia. Perché non sono state emesse grandi quantità di neutrini o fotoni? Perché questi non possono uscire fisicamente dai buchi neri, quindi se vengono prodotti durante lo scontro dentro l'orizzonte degli eventi vi restano imprigionate. La loro emissione sarebbe quindi possibile solo in regioni adiacenti all'orizzonte degli eventi da parte del gas esterno che eventualmente orbitava attorno al sistema. In effetti girano ipotesi secondo cui quasi in contemporanea all'arrivo delle onde gravitazionali si sia rivelato anche un debole lampo nei raggi X, dovuto non si sa ancora a quale processo perché a livello teorico due buchi neri che si fondono, se non hanno gas nei dintorni, non possono emettere nient'altro se non onde gravitazionali.
EliminaBellissimo, grazie!
RispondiEliminaInteressante grazie
RispondiEliminaComplimenti, gran bell'articolo. Ben fatto, completo e chiaro. Ci sarebbe da proseguire con le implicazioni quantistiche, per chiudere il cerchio con la gravità. Dove c'è un'onda c'è un quanto da qualche parte. La rilevazione del gravitone, e poi l'unione delle forze, e poi la materia oscura e l'energia oscura.....quante belle sfide ci attendono.
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