giovedì 11 febbraio 2016

La scoperta del secolo: rivelate le onde gravitazionali


Per mesi si sono rincorsi pettegolezzi incontrollati, degni delle peggiori riviste scandalistiche. Notizie non confermate hanno rimbalzato dall’Italia agli Stati Uniti ma, al contrario del gossip della vita di tutti i giorni, riportavano tutte gli stessi dettagli, nonostante le fonti non si conoscessero. Già questo era un chiaro sintomo che qualcosa di vero poteva esserci, che la scoperta del secolo era davvero stata fatta. 


Questa ormai è storia vecchia che a nessuno più importa, perché con una conferenza stampa storica, un articolo che guadagnerà presto l’attenzione ditutti i futuri libri di fisica, astrofisica e cosmologia, e molto probabilmente un meritato Nobel per la fisica assegnato a tempo di record, i ricercatori dell’esperimento americano LIGO hanno confermato la prima, storica rivelazione di un’onda gravitazionale. Più sfuggenti dei già elusivi neutrini, che per decenni hanno dato indicibili grattacapi a fisici e astrofisici di mezzo mondo; più ricercate della materia oscura perché ipotizzate dal lontano 1916, cento anni fa esatti, da uno scienziato che tutti conosciamo: Albert Einstein, le onde gravitazionali erano diventate il sacro Graal della fisica, guadagnandosi, per la loro sfuggevolezza, persino un’aura di mistico mistero e di tacito scetticismo. Ma Einstein aveva ragione ancora una volta; ora lo possiamo dire con certezza. La mente del grande fisico era almeno 100 anni più avanti della strumentazione che sarebbe stata necessaria per confermare le sue previsioni teoriche ma alla fine, con una determinazione che meriterebbe anch’essa un sostanzioso riconoscimento, ce l’abbiamo fatta.


Gli scienziati del team di LIGO, esperimento americano, hanno riportato la rivelazione di onde gravitazionali associate a uno degli eventi più esotici e violenti dell’Universo: la fusione di due buchi neri. Due mostri di 36 e 29 masse solari, legati in un sistema binario sempre più stretto, hanno alla fine deciso di darsi il bacio mortale e fondersi per formare un unico oggetto di 62 masse solari. Distanti circa un miliardo e trecento milioni di anni luce, le onde gravitazionali sono state ricevute negli istanti precedenti la fusione, il 14 settembre 2015 alle ore 9:51 tempo universale. Poiché queste si propagano alla velocità della luce, stiamo parlando di un evento accaduto un miliardo e trecento milioni di anni fa. Le onde gravitazionali sono state ricevute da entrambi i rivelatori di LIGO, che consistono in due strumenti indipendenti distanziati da 3000 km, uno in Louisiana e l’altro nello stato di Washington. La natura del segnale registrato dagli strumenti sembra essere il tipico eco gravitazionale di un evento di tale violenza. Poco prima di fondersi, i buchi neri hanno emesso sotto forma di onde gravitazionali un’energia superiore a quella emessa da tutte le stelle dell’Universo. La quantità di energia emessa si può calcolare notando che il buco nero risultante ha una massa inferiore di 3 masse solari alla somma dei singoli buchi neri che l’hanno formato. Secondo la relazione di Einstein E = mc2, la massa mancante si è trasformata in energia. In pochi istanti sono state convertite in onde gravitazionali l’equivalente di tre soli, qualcosa di davvero incredibile.
I grafici presentati durante la conferenza stampa mostrano molto bene la tipica forma di onde gravitazionali che precedono gli istanti finali di un sistema molto stretto e massiccio e testimoniano l’ottima confidenza di rivelazione rispetto al rumore di fondo e la perfetta sovrapposizione dei dati provenienti da entrambi gli interferometri. Nel momento in cui due buchi neri sono sul punto di fondersi iniziano ad emettere onde gravitazionali di frequenza sempre maggiore, in un crescendo che si conclude con la loro fusione. Se potessimo sentire queste onde con le nostre orecchie, la situazione sarebbe simile a ciò che possiamo udire quando riempiamo una bottiglia d’acqua. All’inizio il suono è grave (bassa frequenza), poi quando l’acqua sta per arrivare in cima all’improvviso il suono diventa sempre più acuto fino al momento in cui la bottiglia trabocca e non si sente più nulla.

L'analisi dell'articolo pubblicato e reso disponibile a tutti (da salvare, stampare e incorniciare) conferma la soglia di rivelazione di 5,1 sigma, il che equivale a dire che la probabilità che il doppio segnale sia reale è superiore al 99,9999%: in pratica è molto reale.
Insomma, questa volta ci siamo. I dati in possesso degli scienziati di LIGO sembrano essere inattaccabili e chiari: le onde gravitazionali sono state rivelate davvero!


Il segnale registrato dai due interferometri di LIGO testimonia la prima rivelazione della storia di un’onda gravitazionale. Da notare la non contemporaneità degli eventi dovuti alla diversa distanza percorsa dalle onde gravitazionali per raggiungere i due rivelatori. Poiché queste si propagano alla velocità della luce, la misura del ritardo dà indicazioni sulla posizione della sorgente nel cielo.




La sovrapposizione delle misure effettuate dai due rivelatori distanti 3000 km, dopo aver corretto per la differenza temporale, è eccellente e questo conferma la natura reale del fenomeno.




Grazie alla triangolazione del segnale, questa è la zona in cui si è verificato l’evento di fusione dei due buchi neri che ha emesso ben 3 masse solari di energia sotto forma di onde gravitazionali: un evento potentissimo.



Cosa sono le onde gravitazionali?
Nel 1915 Albert Einstein terminò la stesura della teoria della relatività generale, a completamento di un lavoro iniziato oltre 10 anni prima con l’enunciazione della teoria della relatività speciale.
Sorvolando sui dettagli di questa meravigliosa teoria, Einstein stesso nel 1916 si accorse di un fatto curioso previsto dalla sua creatura: gli oggetti massicci sottoposti a un’accelerazione avrebbero dovuto emettere delle onde gravitazionali.
Ma cosa sono queste onde gravitazionali?
Per capirlo bene è meglio considerare una situazione che conosciamo senza dubbio meglio, pur con le dovute differenze, alcune delle quali verranno evidenziate nel seguito.
La teoria dell’elettromagnetismo suggerisce che l’oscillazione di una carica elettrica generi un’onda elettromagnetica. Questa non è altro che l’informazione in merito all’energia e alle proprietà della carica che l’ha creata, che si muove nello spazio alla velocità della luce. Un’onda elettromagnetica, quindi, è un fenomeno che trasporta informazione ed energia attraverso lo spazio. I nostri occhi riescono a percepire una piccola parte dell’enorme spettro delle onde elettromagnetiche sotto forma di luce. 
Possiamo immaginare la creazione di una generica onda in una situazione ancora più familiare per noi. Basta guardare la figura sotto, che ritrae la generazione di un'onda elettromagnetica, e immaginare di avere una lunga corda distesa sul terreno. Noi facciamo le veci della carica elettrica e teniamo in mano un capo della corda. Se lo facciamo oscillare velocemente in alto e in basso creaiamo un'onda che si propaga lungo la fune, proprio come un'onda elettromagnetica fa nello spazio.

Come generare un'onda

Bene, adesso diventa facile trasformare tutto in termini di gravità e magari, poi, capire perché la  rivelazione delle onde gravitazionali potrebbe aprire le porte a una rivoluzione entusiasmante per l’intera umanità.
La regola di base è infatti semplice: prendiamo una carica, la facciamo oscillare e creiamo radiazione elettromagnetica (i termini onda e radiazione sono di fatto sinonimi in questo contesto); prendiamo un oggetto massiccio, lo facciamo oscillare e cosa creeremo? Radiazione gravitazionale.
In linea teorica anche un corpo umano che saltella produce onde gravitazionali, tanto quanto una palla che rimbalza, ma non riusciremo mai a rivelarle. Il problema è che per generare onde gravitazionali misurabili, al contrario di quelle elettromagnetiche, ci servono oggetti molto massicci, perché la forza di gravità è incredibilmente debole, migliaia di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di volte più di tenue di quella elettromagnetica tra due protoni. I candidati ideali sono quindi una stella di neutroni o un buco nero stellare. Chi li fa oscillare? La gravità stessa, che a differenza della forza elettromagnetica ha un solo verso (non esistono masse negative): mettiamo i nostri oggetti massicci e compatti in un sistema binario stretto in modo che orbitino l’uno attorno all’altro ed ecco create le oscillazioni necessarie per generare un’onda gravitazionale.

Le onde gravitazionali sono distorsioni dello spazio-tempo
   
Una delle differenze più interessanti tra le onde elettromagnetiche e quelle gravitazionali (ce ne sono diverse ma per comprende il ragionamento non ci servono) riguarda il loro modo di interagire con lo spazio e questa è la chiave per comprendere come poterle rivelare. Se la luce è un’onda che si propaga nello spazio, le onde gravitazionali sono onde dello spazio stesso, che si manifestano come delle increspature, proprio come le onde di un lago quando vi gettiamo un sasso. Lo spazio, quindi, non è più solo un mezzo di propagazione statico, ma è ciò che varia fisicamente con il passaggio di un’onda gravitazionale.
Questo potrebbe sembrare un passaggio complicato, meglio approfondirlo.

Possiamo descrivere lo spazio-tempo (spazio e tempo sono infatti legati in un’unica “entità”) come una sottile, e per noi invisibile,  rete sulla quale sono poggiati i corpi celesti, che a causa della loro massa la incurvano generando la forza di gravità. È un concetto piuttosto forte questo, perché la nostra esperienza ci insegna che lo spazio debba essere vuoto e privo di energia. Invece non è così: lo spazio-tempo, per quanto vuoto e privo di interesse possa sembrarci, è la struttura sulla quale si sviluppano tutti i corpi e i fenomeni dell’Universo, proprio come per portare avanti le attività della società moderna servono strade, ponti e ferrovie. E come le nostre auto sono costrette a seguire le strade che abbiamo costruito per loro, tutti gli oggetti dell’Universo devono muoversi sulle strade invisibili costituite dalla struttura dello spazio-tempo. È facile immaginare una strada che si snoda su una superficie circa piana come quella terrestre (almeno su piccole distanze); meno facile, anzi, impossibile, immaginare una struttura quadridimensionale come è lo spazio-tempo, quindi non sforziamo troppo la nostra immaginazione e rimaniamo concentrati sul problema, trattandolo a due dimensioni fino a quando possiamo.

Tenendo in mente questa nuova definizione, possiamo ora capire il parallelismo tra il sasso nello stagno e le proprietà delle onde gravitazionali.
Il nostro bacino d’acqua piatto rappresenta il tessuto dello spazio-tempo, mentre l’oggetto massiccio che le crea può essere una bottiglia, più pratica del sasso per quello che vogliamo fare.
Se immergiamo la bottiglia senza muoverla, lo specchio d’acqua dopo un po’ torna nella posizione di quiete iniziale. Se iniziamo invece a far oscillare la bottiglia in alto e in basso vedremo che sulla superficie dell’acqua inizieranno a comparire delle onde, la cui lunghezza (o frequenza) è legata a quanto velocemente facciamo oscillare la bottiglia. Maggiore è la velocità di oscillazione, più “fitte” saranno le onde generate. Più pesante, quindi massiccia, sarà la nostra bottiglia e più grandi saranno le onde prodotte, a parità di frequenza di oscillazione.

Come immaginare le onde gravitazionali: un oggetto che oscilla in uno spechcio d'acqua calmo

Se costelliamo lo specchio d’acqua intorno a noi di palline poste a una distanza fissa le une dalle altre, al passaggio delle onde generate dalla bottiglia la loro distanza reciproca varierà, perché l’onda incresperà lo stagno e farà in modo che alcune palline si troveranno su una cresta e altre su un minimo. Attenzione: un’onda non trasporta materia, quindi le palline non vengono trascinate via, ma si limitano a galleggiare sull’acqua senza spostarsi tra di loro. Il passaggio dell’onda le fa solo oscillare in alto e in basso, cambiando la geometria del mezzo nel quale sono immerse ed è per questo motivo che la loro distanza varia, pur non essendosi fisicamente spostate rispetto al mezzo. Quando l’onda è passata e lo stagno torna fermo, la distanza tra le palline ritorna quella iniziale.

Come misurare le onde gravitazionali: poniamo delle "palline" ferme sulla superficie dello stagno e misuriamo la loro distanza reciproca. Quando passa un'onda la loro distanza varia, pur restando ferme rispetto al mezzo

Nel caso delle onde gravitazionali succede una cosa simile, sebbene più complicata da visualizzare. Un oggetto massiccio che oscilla immerso nello spazio-tempo produce delle onde che si manifestano come delle increspature del tessuto stesso. In pratica, lo spazio non è un’entità fissa che non varia mai, ma può allungarsi e contrarsi con la stessa modalità con cui possiamo increspare uno stagno. Degli oggetti che sono ancorati nella stessa posizione dello spazio-tempo possono variare la loro distanza perché a cambiare è la geometria stessa del “mezzo”.
Se abbiamo digerito questa nuova definizione di spazio, che di certo mal si accorda con la nostra comune esperienza (ecco perché abbiamo creato la scienza, perché l’esperienza inganna!), abbiamo capito tutto, persino come sperare di misurare il passaggio di un’onda gravitazionale.

 
Visualizzazione e propagazione dell'onda gravitazionale più semplice da creare (detta polarizzata linearmente)
 
Come si rivelano le onde gravitazionali?
Sembrerebbe tutto molto facile a questo punto: basta porre due (o più) oggetti a una distanza fissata, che possiamo misurare molto bene, e aspettare che il passaggio di un’onda gravitazionale increspi lo spazio-tempo modificando temporaneamente la separazione dei nostri due oggetti, senza che nessuno li sposti fisicamente.
In effetti è su questo principio che si basano tutti gli esperimenti che hanno l’obiettivo di misurare il passaggio di un’onda gravitazionale, ma la realtà ci presenta due problemi davvero molto, molto grossi.
Il primo problema è legato, ancora una volta, alla grande debolezza della forza di gravità. È infatti impossibile creare in laboratorio un’onda gravitazionale come invece possiamo fare con la luce, perché ci servono oggetti milioni di volte più massicci della Terra da far oscillare. Dobbiamo allora limitarci a osservare e aspettare che l’Universo ci presenti la situazione perfetta: buchi neri o stelle di neutroni che orbitano in un sistema molto stretto e a velocità prossime a quelle della luce.
Un sistema doppio formato da due stelle di neutroni sul punto di fondersi ruota con un periodo anche superiore alle 100 volte al secondo. Di conseguenza, la frequenza delle onde gravitazionali emesse sarà dello stesso ordine di grandezza e la lunghezza d’onda di circa 3000 km: enorme. Questa considerazione ci porta dritti al secondo problema, che per essere capito ha bisogno di un’altra variabile: l’intensità delle onde gravitazionali (la loro "altezza"), che è molto bassa anche per gli eventi più violenti dell’Universo. 
Continuando infatti il parallelo con lo stagno pieno di palline e la bottiglia che facciamo oscillare, possiamo cercare di misurare le onde generate agendo su due quantità: l’intensità e la distanza. Se l’onda è molto intensa e di una lunghezza non esagerata, per rivelarla sarà sufficiente posizionare due palline a qualche centimetro di distanza l’una dall’altra: tanto basta, infatti, all’onda breve e intensa per cambiare in modo drastico la loro separazione al suo passaggio. Se tuttavia l’onda è molto lunga e magari anche poco intensa, e le palline sono distanti tra di loro molto meno della lunghezza dell’onda, è possibile che la variazione della distanza non si riesca a misurare perché al di sotto della sensibilità degli strumenti usati. Se non vogliamo cambiare lo strumento per la misura, possiamo aumentare la distanza tra le palline, fino a una o diverse volte la lunghezza dell’onda che vogliamo osservare. In questo caso, in effetti, se tra una pallina e l’altra ci sono almeno un paio o più di onde, anche se queste fossero di intensità bassissima la grande separazione dell’apparato di misura garantirebbe una variazione delle posizioni ben misurabile. Questa è una regola generale: all’aumentare della separazione tra gli apparati di misura si incrementa lo spostamento causato dal passaggio delle onde, che può quindi essere rivelato in modo molto più semplice.

Tornando alle nostre onde gravitazionali, la loro bassa intensità e lunghissima lunghezza, di migliaia di chilometri nel migliore dei casi, ci presenta uno scenario un po’ sconfortante. Se per misurarle poniamo le nostre due palline separate da un solo metro di distanza, lo spostamento che subiranno al passaggio dell’onda sarà dell’ordine di 10-21 metri: un milione di volte inferiore delle dimensioni di un protone! Impossibile quindi misurarlo.
Come possiamo fare, in concreto, per sperare di rivelare un’onda gravitazionale? Anche se allungassimo a milioni di chilometri la separazione dell’apparato di misurazione, la combinazione grande lunghezza d’onda e scarsa intensità non produrrebbe spostamenti superiori a frazioni di atomo di idrogeno.
Non è possibile pensare di misurare una variazione di spazio così piccola con un normale metro o con un microscopio: ci serve qualcosa che riesca ad arrivare a queste precisioni, se esiste.
Il principio su cui ci si basano i rivelatori di onde gravitazionali è l’interferenza della luce. Uno strumento che sfrutta le proprietà delle onde elettromagnetiche per misurare separazioni piccolissime è chiamato interferometro ed è il righello più potente che possiamo avere in Natura.

L’interferometro si basa su due principi: 1) La velocità della luce è costante nel vuoto e 2) Le onde elettromagnetiche sono, appunto, delle onde. Se potessimo vedere con una velocità super rallentata un raggio di luce propagarsi nel vuoto, non ci apparirebbe come una minuscola pallina, ma come un’onda che oscilla fino a miliardi di miliardi (e ancora miliardi, volendo) di volte al secondo. Quando questo raggio di luce incide su uno schermo e viene quindi fermato, si può notare come i valori del campo elettrico associato (e di quello magnetico) dipendano dal punto dell’oscillazione che ha impattato con lo schermo.

Questa proprietà delle onde ci consente di misurare delle distanze piccolissime basandoci sul principio dell’interferenza. Prendiamo un raggio di luce monocromatico, ovvero composto di luce di un solo colore, lo scomponiamo in due raggi identici e perpendicolari e a questi facciamo fare lo stesso identico percorso, poi li facciamo tornare e li ricombiniamo insieme. Se la distanza percorsa è esattamente la stessa, le due onde si ricombineranno perfettamente in fase, ovvero i valori del campo elettrico e magnetico nel momento in cui si incontreranno saranno gli stessi: i massimi con i massimi e i minimi con i minimi. L’intensità totale, trascurando le perdite durante il tragitto, sarà pari all’intensità iniziale e uguale  alla somma dei due raggi.

Tutte le onde si combinano secondo i valori dell quantità che oscilla quando questa viene rivelata. Nel caso di due onde elettromagnetiche identiche, se queste percorrono distanze differenti prima di venir combinate, può accadere che i valori del campo elettrico (e magnetico) non siano più in fase. In questi casi misurerò un'intensità totale minore della somma delle intensità. E' il modo migliore che abbiamo per misurare le infinitesime variazioni di distanze prodotte dal passaggio di un'onda gravitazionale

Quando passa un’onda gravitazionale, però, le distanze percorse dai due raggi di luce perpendicolari non sono più le stesse, in particolare una direzione verrà leggermente contratta e l’altra allungata. Anche se la variazione fosse di una frazione impercettibile, quando questi torneranno indietro e si ricombineranno, le due onde non saranno più in perfetta fase perché entrambe spostate a causa del tragitto più lungo (o più corto) che hanno dovuto compiere. I massimi dell’una non coincideranno con i massimi dell’altra, così l’intensità totale sarà minore di quella iniziale e della somma delle intensità dei due raggi. Poiché la luce che osserviamo ha una lunghezza d’onda, ovvero la distanza tra due massimi, dell’ordine di qualche centinaio di nanometri, anche uno spostamento di una minuscola frazione di nanometro può essere facilmente misurato. Questo però non è ancora sufficiente per rivelare un’onda gravitazionale, perché con un percorso di qualche chilometro lo spazio verrebbe distorto di appena 10-18 metri, le dimensioni di un elettrone. Per questo motivo dobbiamo allungare il tragitto compiuto dai raggi di luce fino a diverse migliaia di chilometri. Se arrivassimo a qualche milione di chilometri, la variazione di distanze arriverebbe alla stratosferica quantità di 10-12

metri, 100 volte più grandi delle dimensioni tipiche di un nucleo atomico. Sarebbe bello e facile da fare su un pianeta piatto e con un’estensione infinita (o nello spazio), ma sulla Terra non si può. Per questo motivo negli interferometri vengono usati degli specchi, in modo da far allungare il tragitto dei raggi di luce senza per questo estendere la lunghezza dell’apparato di rivelazione di migliaia di chilometri. Non arriviamo ai milioni di chilometri, ma superiamo i 1000 chilometri (precisamente 1600 per LIGO).
Allungando la distanza che devono compiere i raggi, diminuendo la lunghezza d’onda utilizzata e incrementando la sensibilità di misura dell’intensità totale in modo da misurare anche piccolissimi cambi di fase, ecco che con questo metodo possiamo rivelare spostamenti addirittura inferiori alle dimensioni di un atomo, proprio la precisione richiesta per sperare di intercettare un’onda gravitazionale.

Effetto di distorsione dello spazio-tempo si un'onda gravitazionale che si propaga verso di noi. Una dimensione si allunga e l'altra, perpendicolare, si accorcia

Non basta tuttavia avere un apparato molto sensibile (la vita degli scienziati sperimentali è molto complicata!) ma anche e soprattutto eliminare o riconoscere tutte le fonti di disturbo che potrebbero produrre effetti superiori a quelli del passaggio di un’onda gravitazionale. E su un pianeta geologicamente attivo, abitato da oltre 7 miliardi di esseri umani e miliardi di animali che si muovono sulla superficie, la cosa è tutt’altro che scontata.

Schema di un interferometro per la misura delle onde gravitazionali, in questo caso dell'esperimento VIRGO, ora denominato EGO.

  
LIGO e gli altri interferometri
Tutti gli esperimenti per la rivelazione delle onde gravitazionali si basano sul principio dell’interferometria laser appena descritto. Alcuni misurano il tragitto percorso dai raggi di luce, altri  la posizione accurata di alcuni oggetti lungo il percorso, l’analogo delle palline che abbiamo utilizzato nell’esperimento della misura delle onde dello stagno, come LIGO. Tuttavia fino a questo momento nessuno strumento aveva raggiunto la sensibilità necessaria.
LIGO, autore della storica scoperta, è al momento l’interferometro più sensibile, complesso e potente del mondo. Nel settembre 2015 si sono completati i lavori che l’hanno reso molto più sensibile rispetto a prima (Advanced LIGO), nella speranza di riuscire a superare la soglia di rivelazione. Obiettivo che è stato raggiunto, addirittura prima della ripresa ufficiale dei lavori.
Nella configurazione attuale, LIGO è formato da due strutture identiche, separate da 3000 km, ognuna delle quali è un interferometro laser. Ogni interferometro possiede due bracci, uno perpendicolare all’altro, costituiti da tubi lunghi 4 chilometri, larghi 1,2 metri e all’interno dei quali si trova il vuoto più spinto che possiamo sperare di riprodurre sulla Terra, proprio per rendere costante la velocità della luce ed evitare fenomeni di diffusione a causa delle molecole di gas, che potrebbero falsare la lettura dei dati. Le due strutture poste agli antipodi degli Stati Uniti hanno il compito di aiutare i ricercatori nel distinguere un segnale di natura cosmica associato a onde gravitazionali dalle numerose interferenze di origine terrestre. Il passaggio di un’onda gravitazionale che si muove alla velocità della luce verrà quindi rivelato da entrambi gli strumenti, misurato nello stesso modo e a seconda della direzione dell’onda subirà dei ritardi dovuti alla diversa distanza che la perturbazione deve percorrere per raggiungere i due strumenti. Questo punto è cruciale perché la misura del ritardo di rivelazione tra i due strumenti aiuta a risalire alla direzione dalla quale proviene l’onda. La nostra tecnologia per la rivelazione delle onde gravitazionali, infatti, è ancora tanto acerba che siamo molto lontani dal costruire un vero e proprio osservatorio in grado, come i telescopi che rivelano la luce, di raccogliere e focalizzare la radiazione gravitazionale. Al momento ci accontentiamo di captarla senza focalizzarla, un po’ come una persona cieca si accontenterebbe di vedere un tenue e indistinto bagliore tenendo gli occhi ancora chiusi.

Sullo stesso principio si basa l’altro importante esperimento: VIRGO, recentemente rinominato EGO (European Gravitational Telescope), che si trova sul suolo italiano (ogni tanto abbiamo anche seri motivi per essere fieri del nostro Paese!), nei dintorni di Pisa, in particolare nel comune di Cascina. Come LIGO, anche l’ex VIRGO sta affrontando lavori di miglioramento della precisione che dovrebbero terminare quest’anno e consentirgli la rivelazione di onde gravitazionali.  EGO in un prossimo futuro farà anche parte di una rete mondiale, insieme a LIGO e agli altri due interferometri dedicati alla rivelazione delle onde gravitazionali: GEO600 in Germania e KAGRA, che sta per essere ultimato in Giappone. L'obiettivo è una collaborazione tra Paesi che possa portare a risultati sempre migliori.


Una complicata ricerca lunga più di un secolo
La corsa alle elusive onde gravitazionali ha alle spalle un secolo di tentativi falliti, alcuni in modo fragoroso, altri invece nascosti dal silenzio del tempo. Teorizzate addirittura da Poincaré, prima dell’arrivo della relatività generale, seguendo lo stesso filo logico delle onde elettromagnetiche con cui ho cercato di spiegarle in questo articolo, la loro reale esistenza venne fuori in modo del tutto naturale dalle equazioni della relatività generale, quando si descriveva il comportamento dello spazio-tempo prodotto da una massa in oscillazione. Si trattava di una previsione reale o di un artefatto matematico delle formule? Lo stesso Einstein nel tempo cambiò idea più volte a riguardo.
Quando un modello fisico fa delle previsioni di fenomeni del tutto sconosciuti, l’unica cosa che resta da fare è condurre degli esperimenti per capire se queste siano reali o meno, oltre a controllare accuratamente tutte le formule e i passaggi fatti per arrivarci.
La discussione restò su termini puramente teorici fino al 1969, quando il fisico Joseph Weber annunciò di aver rivelato le distorsioni dello spazio-tempo prodotte dalle ormai già leggendarie onde gravitazionali. Ora che conosciamo il finale di questo film, sappiamo dire con certezza che Weber si sbagliava. Il suo rivelatore era un grosso cilindro di alluminio che sosteneva avesse vibrato al passaggio di un’onda gravitazionale. Sapendo ora quanto sia difficile rivelare queste minuscole increspature, appare evidente l’innocente ingenuità di quell’esperimento, che sperava di creare da un’onda gravitazionale un suono udibile attraverso un grosso diapason messo in vibrazione.

Se la rivelazione diretta delle onde gravitazionali era condotta ancora con strumenti del tutto insufficienti per raggiungere lo scopo, la prima prova indiretta della loro esistenza si ebbe nel 1974. Joseph Taylor e un suo studente, Russell Hulse, osservarono l’evoluzione di un sistema doppio costituito da due stelle di neutroni in rapida rotazione. Notarono che la loro orbita si stava restringendo e avrebbe portato i due corpi celesti sempre più vicini, fino a fondersi. Chi stava togliendo energia a un sistema che avrebbe dovuto essere stabile? Proprio le onde gravitazionali. La loro intensa emissione in quelle circostanze tanto estreme stava letteralmente strappando al sistema l’energia che lo teneva in equilibrio. Il tasso di perdita di energia era in perfetto accordo con la teoria di Einstein. Per la prima volta, quindi, c’erano delle prove sperimentali: il grande genio, probabilmente, aveva ragione anche questa volta.
La scoperta valse ai due astrofisici il premio Nobel nel 1993 e aprì di fatto la più grande caccia a un fenomeno fisico mai vista nell’era moderna. 
Il primo, grosso, interferometro laser dedicato alla ricerca delle onde gravitazionali fu LIGO, la cui costruzione fu approvata nel 1990, terminata nel 1999 e reso operativo dal 2001. Seguì l’esperimento italo-francese VIRGO, completato nel 2003. Entrambi gli esperimenti furono accolti con freddezza o vera e propria ostilità dalla maggioranza della comunità scientifica estranea al campo di ricerca sulle onde gravitazionali, lamentando un grande investimento di risorse in progetti che con ogni probabilità avrebbero fallito nel loro lavoro. E così, puntualmente, è stato. I passati 10 anni hanno rappresentato probabilmente il periodo più duro della ricerca delle onde gravitazionali, con macchinari da centinaia di milioni di euro che non erano abbastanza sensibili per raggiungere lo scopo per il quale erano stati costruiti. Le strade possibili erano quindi due: abbandonare tutto con la certezza di aver fallito, o continuare e potenziare gli esperimenti sperando di riuscire a raggiungere la soglia di rivelazione. Se siamo qui a parlare della prima, storica, rivelazione, sappiamo come sono andate le cose, ma nel periodo della più grande crisi economica mondiale della nostra storia l’esito non era affatto scontato.
Ne fece ad esempio le spese l’ambiziosissima missione eLISA, che sarebbe dovuta chiamarsi LISA,  una collaborazione tra NASA ed ESA che doveva essere lanciata nel 2017 e disporsi in una formazione di tre satelliti distanziati da 5 milioni di chilometri. Ora la missione si chiama eLISA, dopo che la NASA si è tirata indietro per problemi economici; sarà composta da tre satelliti distanziati da 1 milione di chilometri e non si sa quando e se verrà lanciata, perché si è appena iniziata a testare la tecnologia necessaria per capire se questo esperimento potrà avere successo o meno (e questo doveva avvenire nel 2011).
Il momento più basso nella corsa alle onde gravitazionali arrivò due anni fa sotto forma di una delle armi più subdole puntate contro ogni scienziato sperimentale: una straordinaria illusione. Nel 2014 l'esperimento Bicep 2, dedicato allo studio delle proprietà della radiazione cosmica di fondo emessa dall’Universo circa 400 mila anni dopo la sua nascita, sembrò di aver rivelato le impronte delle onde gravitazionali emesse niente meno che dal Big Bang stesso, distribuite in un fondo che permea tutto il cielo, proprio come la radiazione cosmica. Pochi mesi dopo si scoprì che le conclusioni erano sbagliate: le tracce lasciate sulla radiazione cosmica di fondo erano reali ma non erano causate dalle onde gravitazionali primordiali, piuttosto dalle minuscole particelle di polveri presenti nella nostra Galassia.
Il resto è una storia tanto recente da chiamarsi cronaca: i più grandi interferometri, LIGO e VIRGO hanno superato il momento critico e sono stati migliorati in sensibilità. Il primo a concludere i lavori, nel settembre 2015, è stato LIGO che quindi si è aggiudicato, con merito, la scoperta del secolo.


Cosa significa questa scoperta?
Per capire la portata di questa prima rivelazione dobbiamo guardare ancora una volta alle onde elettromagnetiche e a cosa significano per noi.
Di fatto tutto, o quasi, l’Universo che possiamo vedere si basa sull’osservazione delle onde elettromagnetiche emesse, riflesse o assorbite dagli oggetti. Grazie alle onde elettromagnetiche possiamo osservare pianeti, stelle, nebulose, galassie, e riusciamo a risalire alle loro proprietà, perché ogni onda, nessuna esclusa, ha una bellissima caratteristica: trasporta con sé preziose informazioni sui luoghi e i meccanismi con cui è stata generata. Ecco allora che analizzando le onde elettromagnetiche provenienti dalle stelle siamo in grado di determinare la loro temperatura e i meccanismi fisici che le producono, nonché la precisa composizione chimica. Osservando le onde elettromagnetiche emesse dalle galassie possiamo dire quante stelle producono, qual è la loro massa, quanto sono vecchie, quanto gas contengono, quanto sono estese, dove e in che modo si muovono. È proprio dall’analisi delle onde elettromagnetiche che Hubble scoprì per primo l’espansione dell’Universo, grazie al fatto che tutte le galassie tendono ad allontanarsi dalla nostra. È per mezzo delle onde elettromagnetiche che scopriamo pianeti di altre stelle e le loro caratteristiche. Sono proprio le onde elettromagnetiche prodotte agli albori dell’Universo a dirci quanto è vecchio, quanta materia contiene, quanto potrebbe vivere e in che modo evolverà. Insomma, grazie a queste piccole cariche che oscillano noi dobbiamo la grandissima parte della conoscenza dell’astronomia (e non solo dell’astronomia). Senza poter rivelare le onde elettromagnetiche noi saremmo stati del tutto ciechi e non avremmo mai scoperto tutto quello che invece oggi sappiamo dell’Universo e del nostro mondo.
Nel corso degli anni non ci siamo limitati però solo a riceverle, ma abbiamo imparato anche a crearle e a manipolarle per migliorare la nostra vita.
La creazione di onde elettromagnetiche mediante l’oscillazione di cariche elettriche è alla base della nostra tecnologia: tv, radio, satelliti, wifi, bluetooth, radar, cellulari, forni a microonde... si basano tutti sul principio con cui si genera un’onda elettromagnetica. Non passa un giorno sulla Terra senza usare qualcosa che impieghi la manipolazione della radiazione elettromagnetica.

Rivelare le onde gravitazionali è quindi come per una persona vedere la luce per la prima volta, dopo una vita di cecità completa. E cosa si potrà mai scoprire dall’osservare per la prima volta una parte della realtà mai vista? Tutto.
Con la rivelazione delle onde gravitazionali non solo si è data una spettacolare conferma alla teoria della relatività generale, quindi ai principi base su cui interpretiamo i fenomeni dell’Universo, ma abbiamo aperto un vaso di Pandora che ci permetterà di osservare la realtà da un altro punto di vista del tutto differente. Le onde gravitazionali trasportano le informazioni sui fenomeni più violenti dell’Universo, che fino a questo momento abbiamo con estrema fatica solo iniziato a comprendere con il limitato aiuto delle onde elettromagnetiche. Le possibilità sono quindi infinite e potenzialmente rivoluzionarie. Potremo far luce sugli scontri tra buchi neri, sulla formazione e lo scontro delle galassie, sulla nascita e sulle proprietà dell’Universo stesso, persino sull’esistenza della materia oscura e dell’energia oscura. Allo stesso tempo potremo capire come si comporta la forza di gravità in ambienti che non riprodurremo mai in laboratorio e confermare, o smentire, le nostre conoscenze fisiche sulla forza che domina tutto l’Universo.
È quindi un momento epocale. È come se fino a questo momento avessimo guardato il mondo sempre dalla stessa, limitata finestra e ora avessimo a disposizione una visione del tutto nuova da un punto di vista completamente diverso rispetto a prima: ora riusciamo a vedere ciò che fino a ieri era invisibile. E sebbene l’utilità pratica della scoperta delle onde gravitazionali potrebbe non essere immediatamente alla nostra portata, torniamo indietro alla metà dell’800 in un laboratorio inglese in cui un certo Maxwell faceva esperimenti sugli strani fenomeni elettrici e magnetici, ignorando del tutto cosa avrebbe significato per l’umanità la comprensione che stava regalando al mondo. Sono sicuro che in una circostanza del genere il nostro viso si tingerebbe del sorriso più profondo della storia; una smorfia che nasconderebbe 150 anni di una rivoluzione sociale e tecnologica che quell’ingenuo fisico non avrebbe mai potuto immaginare.
Siamo di fronte a una rivoluzione nell’astrofisica della stessa portata di quella dell’invenzione del telescopio, ma siamo anche testimoni in prima linea dell’impetuoso progresso scientifico che il genere umano ha compiuto nell’ultimo secolo; qualcosa che nella nostra storia non si era mai visto. Stiamo riuscendo nell’impresa più difficile di tutte: comprendere il funzionamento dell’Universo. E se non è meraviglioso questo, non so cos’altro possa esserlo.


Il futuro: eLISA
Il futuro dell’astrofisica delle onde gravitazionali è ancora più entusiasmante del presente e di certo da questa scoperta riceverà una grande spinta economica.
Nel dicembre scorso è stata lanciata la missione LISA Pathfinder, una sonda con il compito di testare la strumentazione e la precisione per l’esperimento più grande, complesso e ambizioso della storia dell’umanità.
Se tutto andrà bene, la successiva missione eLISA sarà formata da un gruppo di tre satelliti indipendenti  che orbiteranno intorno al Sole a formare un triangolo equilatero immaginario con lati di un milione di chilometri. Ogni satellite sarà dotato di un cubo di 4 kg di oro e platino che fluttuerà liberamente nello spazio; tutti e tre saranno collegati da altrettanti laser, con il compito di controllare la posizione dei rispettivi cubi.
Grazie alla grande distanza che separerà i rilevatori, il passaggio di un’onda gravitazionale dovrebbe essere in grado di generare uno spostamento tipico di 10-12

metri, di gran lunga superiore alla sensibilità di LIGO e consentirà di rivelare onde gravitazionali con maggiore facilità e con diverse frequenze, provenienti da centinaia, o migliaia, di corpi celesti.
Tutto questo sembra davvero fantascienza: misurare uno spostamento di 10-12

metri di due masse di platino e oro fluttuanti nello spazio a un milione di km l’una dall’altra e collegate da un raggio laser, mentre orbitano ad una velocità prossima a 30 km/s.
Viviamo davvero in un’epoca eccezionale per alzare gli occhi al cielo e chiedersi cosa ci sia lassù, oltre i limiti dei nostri occhi e dei nostri fragili corpi.
Spettro teorico delle onde gravitazionali associate ad alcuni fenomeni dell'Universo, con sovraimpresse le curve di sensibilità degli strumenti attuali e di quelli in costruzione. Il futuro dell'astrofisica gravitazionale è appena iniziato!



11 commenti:

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  2. Davvero un bellissimo articolo di divulgazione scientifica. Un plauso all'autore

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  3. Grazie, grazie! Per la prima volta ho avuto l'impressione di capire veramente qualcosa di un argomento che, pur affascinandomi, mi è sempre sembrato troppo lontano dalle mie capacità intellettive.
    Lucio Invernizzi

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  4. Ottima esposizione Daniele, però mi rimane un dubbio: tutti gli articoli giustificano la perdita di massa del buco nero risultante (le famose 3 masse solari) nell'emissione delle onde gravitazionali. Ma qual è il meccanismo che le ha generate? Perché si parla conversione di massa in onde gravitazionali e non, invece, di emissione di energia e neutrini?

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    1. Le onde gravitazionali trasportano energia e questa, per il principio di conservazione, deve essere presa da qualche altra fonte. Nel caso in questione deriva dall'energia gravitazionale del sistema, che infatti alla fine si fonde e dalla conversione di parte della massa dei due buchi neri in energia. Perché non sono state emesse grandi quantità di neutrini o fotoni? Perché questi non possono uscire fisicamente dai buchi neri, quindi se vengono prodotti durante lo scontro dentro l'orizzonte degli eventi vi restano imprigionate. La loro emissione sarebbe quindi possibile solo in regioni adiacenti all'orizzonte degli eventi da parte del gas esterno che eventualmente orbitava attorno al sistema. In effetti girano ipotesi secondo cui quasi in contemporanea all'arrivo delle onde gravitazionali si sia rivelato anche un debole lampo nei raggi X, dovuto non si sa ancora a quale processo perché a livello teorico due buchi neri che si fondono, se non hanno gas nei dintorni, non possono emettere nient'altro se non onde gravitazionali.

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  5. Complimenti, gran bell'articolo. Ben fatto, completo e chiaro. Ci sarebbe da proseguire con le implicazioni quantistiche, per chiudere il cerchio con la gravità. Dove c'è un'onda c'è un quanto da qualche parte. La rilevazione del gravitone, e poi l'unione delle forze, e poi la materia oscura e l'energia oscura.....quante belle sfide ci attendono.

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