giovedì 1 ottobre 2015

Perché in astronomia c’è così tanta matematica e fisica?



Molte persone che vogliono approfondire i grandi temi dell'astronomia, dopo un po' mi pongono questa domanda, spaventati e di certo scoraggiati dalla situazione. La risposta è semplice: perché numeri e formule sono il linguaggio con cui si può descrivere in modo oggettivo e non interpretabile il comportamento dell’Universo.
La Natura stessa sembra avere nella matematica il suo linguaggio fondamentale: niente è lasciato al caso, tutto può essere descritto con precise regole fisiche che utilizzano la matematica per essere espresse. 

Sulla Terra, due persone che non si conoscono, un cinese e un arabo, non si comprenderanno mai senza conoscere almeno qualche parola delle rispettive lingue.
La matematica invece, o meglio, i suoi principi base, sono gli stessi sulla Terra e nell'intero Universo. Il significato di addizione, sottrazione, divisione e moltiplicazione sono fissati dalla Natura, non dall'Uomo, il quale ha solo inventato una nomenclatura per poterle applicare e scrivere su un foglio. I numeri primi, i numeri divisibili per due, i numeri razionali, irrazionali e complessi, la potenza di un numero e le radici di un'equazione sono proprietà universali, che valgono in ogni posto dell'Universo, perché intrinseche a questo Universo.

La matematica, dunque, è il linguaggio della Natura, attraverso il quale possiamo spiegare il suo comportamento fondato su regole fisiche, ovvero su regole spiegabili con la notazione matematica.
Possiamo affinare questo concetto dicendo che nell'ambito della Natura, intesa come Universo, la matematica rappresenta le lettere dell'alfabeto, la fisica parole e frasi di senso compiuto con la quale si sviluppa e funziona.
Ultimo, ma non per importanza: la matematica è molto più sintetica delle parole.

Vediamo un piccolo esempio: siamo degli astronomi che studiano la forma delle galassie chiamate a spirale e scopriamo con molta sorpresa che tutte hanno delle dimensioni definite; inoltre, maggiori sono le dimensioni, maggiori sono le stelle contenute. Questa teoria, per essere accettabile, deve quantificare con numeri le parole espresse, le quali sono interpretabili e non forniscono dati oggettivi. Dire, ad esempio, che tutte le spirali hanno dimensioni inferiori a 100 mila anni luce e che le dimensioni sono proporzionali al numero di stelle contenute, è già un buon metodo per esprimere la propria teoria perché espressa secondo grandezze definite.
Se poi riuscissimo a tradurre in linguaggio puramente matematico tutto questo ragionamento, la frase precedente potrebbe essere espressa con due semplici formule che richiedono neanche un quarto di riga: semplice, breve, oggettivo e NON interpretabile!

C’è una certa riverenza, se non paura verso qualsiasi simbolo matematico, ma in realtà comprendere le formule e saperle leggere in modo adeguato non è differenze dall’imparare a comprendere una nuova lingua, oppure le note di una composizione musicale scritte su un pentagramma. Tutti possono riuscirci senza alcun problema!

martedì 29 settembre 2015

Come si diventa astronauti?



Diventare astronauti è forse la cosa più difficile da realizzare nella propria vita.
Non è necessario essere astronomi professionisti e aver affrontato un lungo percorso di studi, anzi, astronomi e astronauti non hanno quasi nulla in comune.
Prima di tutto serve una laurea scientifica o in ingegneria. Ma questo è solamente l’inizio. Un addestramento militare, specialmente nell’aeronautica, è molto ben visto e garantisce degli indubbi vantaggi: se oltre il 50% degli astronauti sono ufficiali o ex ufficiali dell’esercito non può di certo essere un caso. In alternativa è consigliabile non limitarsi a una laurea di primo livello ma affrontare tutto l'iter per raggiungere la massima istruzione: laurea magistrale prima e dottorato poi. In questo modo si parte di certo avvantaggiati.

Una volta in possesso di questi requisiti di base, bisogna aspettare l’uscita di un concorso.
Se abbiamo cittadinanza Italiana o europea, possiamo partecipare solamente ai concorsi indetti dall’agenzia spaziale europea. Alle selezioni dell’agenzia americana, la NASA, possono partecipare solamente cittadini americani.

Generalmente il concorso per diventare astronauti si svolge una volta ogni diversi anni, 5 o forse anche 10 e riguarda, naturalmente, tutti i cittadini europei in possesso dei requisiti minimi.
La concorrenza, inutile dirlo, è agguerrita. Dei migliaia di candidati solamente pochi, meno di dieci, verranno selezionati.
Come se non bastasse, ogni paese ha una quota massima di astronauti. Nel concorso tenutosi nel 2009 al nostro paese spettavano solamente due posti.
Le prove da superare durante il concorso sono di cultura generale, psichiche e fisiche. Per essere astronauti non bisogna essere dei geni o dei superuomini dotati di abilità fisiche fuori dal comune ma in ogni caso servono persone in gamba e molto determinate.
Ma come ogni sogno che si rispetti, non è ammissibile considerarsi perdenti prima ancora di iniziare. Provare non costa nulla, rinunciare in partenza porterebbe solamente rimpianti per tutto il resto della nostra vita.

Per approfondire, questi sono i consigli della NASA e questi quelli dell'ESA che tra l'altro specifica che in questo monento non si cercano nuovi astronauti. Poco male, abbiamo tempo per prepararci nel migliore dei modi per il prossimo concorso! Se consultando questi link avete pensato "cavolo, sono in inglese" allora avete già trovato il punto di partenza per costruire la vostra preparazione. Conoscere l'inglese come e meglio della propria lingua madre è un requisito minimo, davvero minimo.

giovedì 24 settembre 2015

Una grande lezione di vita dalle stelle



L'osservazione dell'Universo e in particolare la comprensione dell'evoluzione delle stelle, ci insegna che qualsiasi astro ha una fine. È vero, le stelle meno massicce vivranno forse più dell’Universo stesso, ma se questo finisce si trascina con sé tutti i suoi abitanti, anche se avrebbero potuto vivere quasi per sempre. A prescindere dai complicati problemi astrofisici, da questi esempi possiamo trarre un'importante lezione di vita. Nulla nell’Universo è per sempre. Il concetto di immobilità, quindi di qualcosa che duri per l’eternità, non esiste tra le regole che governano il funzionamento di un ambiente che abbiamo scoperto essere molto, molto, molto più grande, esteso e complicato del piccolo pianeta sul quale noi minuscoli moscerini ci ritroviamo a vivere. Nulla nell’Universo vive in eterno, nemmeno l’Universo stesso. Ma nulla nell’Universo muore, nemmeno l’Universo stesso. 

L’Universo, infatti, proprio con l’avventurosa vita delle stelle, ci ha insegnato qualcosa di incredibile sul concetto di morte. La morte, infatti, non esiste. Se nulla dura per sempre è altrettanto vero che niente scompare dalla faccia dell’Universo perché tutto si trasforma, in continuazione.

Tutte le stelle dal momento in cui nascono sanno che quella loro condizione di astri splendenti non è destinata a durare per sempre, ma sanno anche di far parte di un ciclo, un ciclo enorme, lunghissimo, che coinvolge tutto l’Universo e che nessuno può fermare. Un ciclo che comunque le vede protagoniste perché la trasformazione al termine della loro vita sarà nuova vita per altre generazioni di stelle o per esseri intelligenti come noi.

L’Universo, allora, proprio con il ciclo delle stelle ci insegna anche qualcos’altro, che potremmo applicare nella vita di tutti i giorni per affrontarla al meglio, nel rispetto di noi stessi e degli altri.
Le stelle si formano dalla materia presente nell’Universo. Compiono il loro ciclo vitale, producono molti elementi che all’inizio non esistevano e poi restituiscono di nuovo quasi tutto il materiale all’Universo. Quello che per loro era materia da scartare, non più utile al loro ciclo vitale, diventerà preziosa fonte per molti altri oggetti: per successive stelle, per i pianeti, per gli esseri viventi. Nulla va sprecato, perché nulla deve essere sprecato.

E allora noi, in tutto questo, non siamo altro che materia stellare presa in prestito per un centinaio d’anni, giusto per dare all’Universo la soddisfazione che in questo spazio sterminato e in gran parte buio c’è qualcuno che può ammirare lo spettacolo così perfetto che ha creato. E c’è davvero di cui essere orgogliosi, perché tra miliardi di miliardi di oggetti inanimati che non possono pensare, noi, piccoli esseri, abbiamo questo inestimabile dono. Siamo gli ambasciatori stessi dell’Universo, un ruolo che non sappiamo ancora quanti altri esseri su altri pianeti abbiano. Un giorno questi atomi coscienti che formano la nostra mente e i nostri pensieri ritroveranno la strada dello spazio e ricominceranno a viaggiare per tutta la Galassia, per l’Universo, pronti a iniziare una delle mille nuove avventure che li aspettano. Forse non si ritroveranno più tutti insieme come lo sono ora, ma di certo nel loro lunghissimo viaggio, all’interno di qualche nuova stella o pianeta, saranno orgogliosi di avere una storia in più da raccontare nel loro incredibile peregrinare cosmico. Potranno portare con sé il ricordo di un tempo lontano in cui potevano leggere, imparare, amare, sognare, capire il mondo che li circondava. Quanto è straordinario tutto questo? Miliardi di atomi inanimati che insieme formano un unico essere cosciente. E allora, a maggior ragione, gli atomi del nostro corpo meritano una vita così straordinaria da poterla ricordare con orgoglio per miliardi e miliardi di anni.

Non sprechiamo questa occasione concessa dall’Universo, cerchiamo di vivere al massimo coltivando sogni e passioni e combattendo ogni giorno per fare quello che più ci piace. Esploriamo, scopriamo, amiamo, sogniamo inventandoci traguardi e sfide che sembrano impossibili, ma che in realtà non lo saranno mai. Non poniamoci alcun limite, non lasciamoci influenzare dalle altre persone e non accontentiamoci di sopravvivere facendo cose che non ci piacciono. Gioiamo della vita in ogni sua sfumatura e impariamo a far tesoro anche delle sconfitte e dei momenti difficili, perché da questi potremo capire la giusta strada da seguire per raggiungere i nostri sogni. Lo dobbiamo a noi stessi e a questi atomi così preziosi di cui siamo fatti, che si aspettano un’avventura all’altezza di quelle già vissute.

E in effetti, anche se noi non lo ricordiamo, ogni atomo del nostro corpo ha già viaggiato per miliardi di anni, milioni di anni luce e ha visto cose che nessuno di noi può immaginare. Ha solcato i mari cosmici passando dai tumultuosi nuclei delle stelle ai più freddi e desolati luoghi dell’Universo, godendosi panorami straordinari, viaggiando a migliaia di chilometri al secondo e ammirando l’Universo che evolveva. Ha osservato la nascita di tante stelle e chissà quanti pianeti; si è scambiato idee ed energie con altri atomi provenienti anche da altre galassie ed ha assistito a cambiamenti epocali dell’Universo e della nostra Galassia. Gli atomi di idrogeno dell’acqua del nostro corpo si sono generati addirittura pochi minuti dopo la nascita dell’Universo, 13,8 miliardi di anni fa, e sono ciò che di più antico potremmo mai osservare. Rocce terrestri, fossili, monete antiche; in realtà per trovare qualcosa di antico, antichissimo, basta guardarci una mano o ammirare stupefatti l’acqua di una normale bottiglia. Nessun processo stellare produce atomi di idrogeno, quindi qualsiasi molecola o materiale che lo contiene custodisce la materia più antica dell’Universo, formatasi quando questo era più piccolo del nostro Sistema Solare e molto diverso rispetto ad ora.

Se ogni atomo del nostro corpo potesse parlare, saprebbe raccontare la storia dell’Universo molto meglio di qualsiasi uomo che vivrà mai su questo pianeta. Non ricordare non significa non aver vissuto, perché la nostra storia, la storia del Cosmo, noi ce l'abbiamo scritta nel DNA, anzi, è il DNA stesso la testimonianza migliore che la materia del nostro corpo racconta una vita vecchia di 13,8 miliardi di anni, sebbene la nostra mente riesca a ricordarne solo poche decine. 

giovedì 17 settembre 2015

Signori, benvenuti su Plutone!

Proprio pochi giorni fa la NASA rilasciò alcune tra le migliaia di fotografie scattate da New Horizons nel suo avvicinamento a Plutone e già quelle ci sembrarono spettacolari quanto a bellezza estetica, nonché per il grande contenuto scientifico.
Ora, con una nuova serie di immagini appena rilasciate, tutti i mirabolanti aggettivi usati per descrivere la straordinaria bellezza di quel luogo remoto devono essere moltiplicati per 10, 100 o forse 1000.

Nessuno, neanche i tecnici della NASA che hanno lavorato alla missione da molto prima della partenza, si sarebbe aspettato un tale paesaggio di fronte ai loro occhi.
Le nuove immagini, scattate proprio in concomitanza con la minima distanza di New Horizons da Plutone, mostrano dei suggestivi ingrandimenti di una delle tante aree interessanti di Plutone. Il panorama mostrato non è solo una miniera di informazioni per astronomi e geologi, ma a mio modesto avviso rappresenta anche una delle immagini più belle dell'intera esplorazione spaziale.

Pensiamoci un attimo: un'astronave sorvola un corpo celeste che orbita a oltre 4,5 miliardi di chilometri dalla Terra, in una regione di spazio dove la temperatura massima è di -230°C e il Sole di mezzogiorno fa la stessa luce che c'è qui latitudini un'ora dopo il suo tramonto.
In questa zona oscura, ai confini del Sistema Solare, dopo quasi 10 anni di viaggio, un manufatto umano alimentato con qualche chilogrammo di plutonio si è spinto dino a 15 mila chilometri da Plutone, superandolo poi a una velocità di decine di migliaia di chilometri l'ora. Come se tutto questo non bastasse a far venire i brividi, ecco cosa ha visto questa impavida ambasciatrice della nostra specie:

Benvenuti su Plutone

Può sembrare un comune paesaggio artico ma non lo è. Quelle enormi montagne sono probabilmente immensi blocchi di ghiaccio d'acqua che si sono innalzati dalle soffici pianure composte da altri gas ghiacciati, probabilmente azoto. La timida luce solare getta delle drammatiche ombre e illumina debolmente il cielo grazie alla diffusione dovuta alla tenue atmosfera di Plutone.

Guardiamo questa foto e le altre e soffermiamoci un attimo, isolandoci da tutti quei noiosi problemi della nostra esistenza, e gioiamo del grande dono che abbiamo. Tra mille difficoltà, ingiustizie, problemi e mancanze che affliggono il nostro mondo, lassù, ad appena 100 chilometri sopra le nostre teste, si apre l'Universo vero, il luogo nel quale abitiamo e che con tante difficoltà abbiamo iniziato a esplorare. Guardiamo questa foto e gioiamo orgogliosi, almeno una volta ogni tanto, del grande cammino che abbiamo fatto come specie nella nostra travagliata, ma straordinaria, storia.

Ammiriamo esterrefatti le montagne di ghiaccio di Plutone e le imprese incredibili che sono servite per arrivare sin lì, per trovare la forza dentro di noi di dare il giusto senso alla nostra esistenza, ai piccoli problemi della vita e ad affrontare più determinati che mai questa straordinaria possibilità che capita molto, molto raramente: essere coscienti dell'intero Universo, poterlo guardare e comprendere. Sulla Terra, tra miliardi di miliardi di esseri viventi, sono 7 miliardi hanno questo dono. Che sia questo, alla fine, l'unico scopo della nostra vita? Se l'Universo non avesse voluto essere contemplato e capito, non avrebbe avuto bisogno di creare noi, e nulla sarebbe cambiato nel suo perfetto funzionamento. Siamo superflui per far funzionare il Cosmo, ma siamo di inestimabile valore quando si tratta di comprenderlo.

Il mio primo Saturno e l'amore per l'astronomia



Non riesco a ricordare in che modo riesplose in me la voglia di astronomia, forse solo a causa del bel tempo e delle serate trascorse a casa dei miei nonni, dove le stelle brillavano più intense e dove avevo trascorso ogni giorno dei miei primi 13 anni di vita.
Credo che in ogni persona la visione di un cielo scuro, in una calda e limpida serata estiva, lontano dalle luci artificiali, in compagnia del profumo dei fiori e del sapore unico che solo l'estate può dare, riesca a risvegliare la nostra parte ancestrale, il desiderio innato di voler conoscere e scoprire il mondo che ci circonda. Farci domande è ciò che ci ha guidato fuori dalle caverne, fin sulla Luna; spesso crediamo di non averne il tempo, la forza, il diritto perché immersi in problemi ben più grandi della vita di tutti i giorni. Purtroppo ci dimentichiamo che l'Universo e il cielo sono la vita di tutti i giorni, il contesto nel quale siamo nati e cresciuti come specie. È tutto il resto, artificiale, ipocrita e spesso senza senso, riassunto in una parola: “società”, che è venuto dopo e in un certo senso ha corrotto il nostro spirito e la nostra anima.
Tutto ciò che ci ha spinto a costruire il tessuto economico e sociale di oggi, e che ci permette di avere vite molto più agiate dei nostri antenati, è anche ciò che ci ha allontanato dallo spirito di scoperta e curiosità che ha innescato questo cambiamento unico tra tutte le specie della Terra.
Non facciamo l'errore di pensare di non aver tempo per sognare, per immaginare, per osservare il cielo, perché queste sono tutte attività fondamentali per il nostro benessere economico e soprattutto dell'anima, alla ricerca di quella parola: felicità, che dovrebbe essere l'obiettivo di ogni essere umano. E la felicità non è di certo scegliere il locale in cui ubriacarsi il sabato sera o la persona da rimorchiare per passare un paio di minuti in balia degli ormoni. Felicità è sinonimo di uno stile di vita, di un progetto, di voglia di vivere, diventando noi stessi i comandanti della nostra esistenza, non subendola passivamente come spesso, troppo spesso, accade.

Il mio primo Saturno arrivò allora per caso, durante la mia prima estate da vero astronomo dilettante, nella quale, con un astrolabio preso da un'enciclopedia settimanale chiamata “L'Universo”, cercavo di trovare le costellazioni di quel cielo scuro.
Ogni tanto usavo anche il mio telescopio, ma trovare i pianeti meno brillanti non era per niente facile perché servivano mappe aggiornate.  In un mondo, il mio, senza internet, amici astrofili, programmi per computer e tantomeno cellulari, non facile. Avrei dovuto cercare stella per stella con la speranza di trovare il mio grande obiettivo: Saturno.
Erano ormai mesi che sfogliavo quella paginetta del manuale del telescopio nella quale capeggiava una splendida foto del pianeta con gli anelli e pochi consigli per poterlo osservare al meglio. Cercai spesso in quelle serate estive ma tutte le stelle continuavano a essere dei minuscoli puntini. Dov’era finito il Signore degli Anelli?
Nei primi giorni di Agosto decisi di provare a vedere come sarebbe stato il cielo della mattina prima dell'alba. Se in prima serata non ero riuscito a osservarlo, era probabile che non fosse osservabile a quell’ora; valeva la pena provare a cambiare.
Alle 4:35, orario che da quel momento in poi sarebbe stata sempre la mia sveglia per le osservazioni all'alba, del 2 Agosto 1998 mi svegliai e andai sul balcone del mio appartamento di città per vedere il cielo di quello strano momento della notte. Ora sono consapevole che quello era un cielo come tutti gli altri ma in quel momento per me qualcosa di nuovo, completamente diverso da quello che di solito si saluta prima di andare a dormire, con un'atmosfera diversa, un profumo diverso e tanti odori tipici dell'adrenalina che ci fa desiderare qualcosa così tanto sognato.

Poco prima del sorgere del Sole, con il cielo che timidamente si rischiara verso est, anche le città sembrano luoghi incantati. Tutti dormono, le macchine non creano quel fastidioso sottofondo rumoroso, la scena è tutta di quegli impavidi uccellini che hanno deciso di coabitare con l’uomo, cinguettando sugli alberi dei parchi circondati da cemento e asfalto. L’aria di solito è ferma e d’estate si sente anche un freschino che rende difficile immaginare quale inferno di rumore e caldo diventerà quello stesso luogo qualche ora più tardi.
Senza svegliare nessuno, mi abbassai fino a quasi strisciare per passare sotto la serranda della finestra della mia camera. Il movimento ginnico mi costrinse a guardare all’insù prima ancora che il resto del corpo avesse varcato la soglia. Subito vidi un cielo diverso, dominato da due astri. Il più luminoso, ormai altissimo nel cielo, era di sicuro Giove, ormai non avevo più alcun dubbio. L’altra stella, invece, a sinistra di Giove e circa alla stessa altezza, non avevo idea di cosa fosse.
In un silenzio surreale mi avvicinai al telescopio che avevo già posizionato la sera e puntai subito l’astro più luminoso per capire avevo ragione. Era proprio Giove; bellissimo, luminosissimo, con i satelliti ben visibili e brillanti, ancora più spettacolare di quanto lo ricordassi.
Ma non riuscii a godermi la visione perché il mio obiettivo era un altro e prima o poi ci sarei riuscito a trovarlo!
Senza troppo pensare  ripresi a cercare saturno con lo stesso metodo con cui non l’avevo trovato di sera: di stella in stella, a cominciare dalle più brillanti perché pensavo non fosse poi così tanto debole. Indirizzai allora il telescopio verso quell’altra stellina che, seppur molto più debole di Giove, era il secondo astro più brillante di quella porzione di cielo che potevo ammirare. Quell’operazione così normale per tutti gli appassionati di astronomia, che si ripete decine di volte ogni notte e che ormai alcuni considerano così noiosa da lasciarla fare ai computer, si rivelò per me il più importante viaggio che feci alla scoperta di me stesso e di quello che sarebbe stato della mia vita.

Pochi secondi per il resto del mondo, anni luce per me e il mio essere, mi proiettarono verso la visione più bella che ebbi mai avuto e, forse, la più bella in assoluto. Quella stella nel cielo non era una stella, era Saturno!
Con l’oculare che mi dava solo 25 ingrandimenti riuscivo già a vedere qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Spesso ci si informa, si legge, si immagina come potrebbe essere qualcosa che si desidera vedere per così tanto tempo, ma non si può arrivare mai preparati ai grandi eventi, ed è un bene, perché regalano scariche di emozioni che niente può imitare. Vuol dire che siamo ancora capaci di emozionarci, a prescindere dall’età, da quante avventure abbiamo vissuto, da dove siamo e da quanto è stata dura la nostra vita. Siamo, ancora, esseri umani nella definizione più potente: creature coscienti in grado di provare emozioni fortissime.
Quel piccolo dischetto fluttuante nello spazio mi stregò. Restai a bocca aperta, in silenzio, come se all’improvviso il tempo fosse stato rallentato, i suoni silenziati, il mio cuore accelerato. Cambiai subito oculare arrivando al massimo che potevo, 70 ingrandimenti, e la visione me la porterò per sempre dentro di me. Anche adesso, scrivendo queste righe, io vedo la più bella foto di Saturno che abbia mai scattato e visto. Non è su carta, non è sul freddo schermo di un computer; è dentro di me ed è arricchita da una montagna di sensazioni che nessuna macchina fotografica può catturare. L’attimo, quell’attimo indescrivibile non può che essere fotografato con la mente e fissato in cima a una scatola di sensazioni che renderanno quell’esperienza unica. Unico il momento, unica l’immagine personale che ognuno di noi si terrà stretta come il più grande tesoro mai esistito.

Non so quanto tempo passò; so solo che quando riuscii per un attimo a staccarmi dall’oculare il cielo era già chiaro. Saturno, i suoi anelli, erano lì di fronte a me, a più di un miliardo di chilometri di distanza e io cercavo di far mie quelle distanze e rifiutare l’idea che il mio cervello continuava latente a suggerirmi, cioè quella di un quadro piccolo, un dipinto osservato a pochi metri di distanza.
No, la perfezione non ha bisogno di piccole dimensioni, di scale spaziali umane né della nostra mano artistica: la perfezione, la meraviglia può essere 10 volte più grande della Terra, avere anelli larghi quanto la distanza Terra-Luna, così regolari e perfetti che non si capisce come siano fatti. La perfezione, quella vera, è nell’Universo, e noi possiamo solo cercare di usare la nostra mente per provare a replicarla, attraverso l’arte, su scale più piccole. Siamo un po’ come dei miniaturizzatori: osserviamo gli enormi spazi dell’Universo, anche senza un telescopio, perché in realtà tutto ciò è già scritto nei nostri atomi, e attraverso l’arte cerchiamo di riprodurre tale bellezza, spesso ignorandone l’origine.
Quella mattina, dall’emozione svegliai mia madre e la invitai a osservare quel pianeta che si era fatto desiderare per così tanto tempo. “Mamma, l’ho trovato, vieni a vedere!” E lei, senza nemmeno una smorfia di disappunto per averla svegliata alle 5 di mattina, con il pigiama venne a condividere con me sul balcone quella visione tanto cercata, al punto che l’emozione assalì anche lei con un’espressione di meraviglia ancora ben nitida nella mia mente.

Con il Sole che ormai stava per cancellare tutto, decidemmo di tornare dentro e io provai ad addormentarmi. Ci riuscii forse solo qualche ora più tardi, quando la mia mente si placò quel tanto che bastò per decidere di farmi sognare quegli anelli così perfetti. Ce l’avevo fatta. E lo sapevo già: il mio cammino nell’astronomia era ora ufficialmente iniziato e non l’avrei mai più abbandonato. Fu proprio così.
Quel ragazzino meravigliato e sognatore avrebbe affrontato il  liceo, le prime cotte, la nascita della barba, gli amici, lo sport. Sarebbe cresciuto, anche se non tanto, in altezza, avrebbe comprato telescopi sempre più potenti, si sarebbe iscritto al corso di laurea in astronomia, abbandonando a 19 anni la propria città per andare a vivere da solo a Bologna. Si sarebbe fatto nuovi amici, avrebbe affrontato tante altre avventure, moltissime difficoltà, si sarebbe laureato, avrebbe iniziato a scrivere libri e a raccontare agli altri quanto può essere bella una vita vissuta cercando di soddisfare le proprie passioni e i propri sogni, qualunque essi siano.
L’unica paura che ogni tanto mi assale è non vivere abbastanza a lungo per tutto quello di meraviglioso che vorrei fare e vedere!