Dall’inizio dell’era spaziale, nel 1958, sono tante le sonde inviate
verso altri corpi celesti, molte di più di quanto si possa immaginare.
Negli anni sessanta e settanta Stati Uniti e Unione Sovietica, in piena
guerra fredda, non risparmiarono risorse per dimostrare al mondo la propria
supremazia nello spazio.
Tutti abbbiamo avuto qualche compagno di scuola che doveva far vedere
quanto era forte e spaccone, picchiando e mostrando di essere invincibile ai suoi compagni,
vero? I grandi li chiamano bulli e cercano giustamente di impedirgli di fare
del male agli altri; i ragazzini, invece, di solito subiscono.
Lo Sputnik 1, nel 1957, inaugurò la corsa allo spazio. |
Quando i bulli diventano adulti, i grandi li chiamano in diversi altri
modi: politici, industriali, magnati, speculatori, grandi finanzieri, banchieri... Cambiano i modi con cui esercitano potere e terrore sulla gente, ma i risultati sono gli stessi. Inspiegabilmente, però, queste persone sono osannate e spesso prese come esempio dalle stesse che
vanno nelle scuole cercando di separare i ragazzini che si azzuffano.
Come due perfetti bulli, che però disponevano di un potere illimitato ed
enormi quantità di denaro, Stati Uniti e Unione Sovietica dovevano dimostrare
al mondo chi fosse il più forte e chi avrebbe avuto il diritto di comandare su
tutta la popolazione mondiale. Scelsero di farlo a suon di astronavi inviate in
ogni punto del Sistema Solare; se non altro hanno contribuito, di certo involontariamente, a un enorme sviluppo tecnologico e scientifico. Ma questa sembra essere una regola: se uno stato sembra far del bene all’intera popolazione è perché non
poteva fare altrimenti per raggiungere i suoi, personali e per nulla altruistici, obiettivi. La beneficienza è
qualcosa che molti pubblicamente osannano ma che tutti, almeno oltre un certo
livello, disprezzano.
Per circa 30 anni la gara tra Unione Sovietica e Stati Uniti è andata
avanti senza esclusione di colpi e senza l’intervento di nessun’altro stato
poi, lentamente, anche altre potenze economiche hanno timidamente iniziato ad affacciarsi
allo spazio.
Il programma spaziale con equipaggio umano è stato il meno sviluppato.
Sei missioni Apollo hanno portato astronauti sulla superficie lunare;
altre tre quelle che hanno raggiunto la
Luna, la distanza maggiore compiuta fino ad ora dagli esseri umani.
I voli con equipaggio umano nella bassa orbita terrestre sono invece
molti di più: solamente gli Shuttle hanno effettuato 135 lanci, di cui 134
hanno raggiunto lo spazio.
Le missioni dedicate all’esplorazione automatica dei pianeti
sono state circa 190. Contando i satelliti dedicati allo studio del Sole, delle
comete e degli asteroidi, potremmo superare la straordinaria cifra di 200!
Quasi la metà riguarda l’esplorazione della Luna, con ben 88 missioni attualmente
all’attivo, in gran parte concentrate negli anni 60 e 70 durante l’apice della
gara allo spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
La percentuale di successi, tuttavia, non è per niente elevata. Una
rapida stima ci suggerisce che poco più del 50% delle missioni ha
raggiunto gli obiettivi.
Le percentuali di
fallimento erano elevatissime nei primi anni di esplorazione, a causa delle
scarse conoscenze di una scienza ancora tutta da scoprire, ma anche soprattutto
per la fretta imposta dai ritmi serrati della guerra fredda tra Sovietici e
Americani. Non c’era tempo per accumulare conoscenze attraverso un percorso
lento e prudente, bisognava produrre risultati. Poco importava se l’obiettivo veniva
raggiunto dopo decine di fallimenti: era sufficiente per dimostrare la propria
superiorità tecnologica al mondo e all’avversario.
La fretta non è mai una buona consigliera; ti rende nervoso, vulnerabile,
ti fa dimenticare quello che sai e quello che sei, e spesso ti fa commettere
azioni stupide che non avresti mai fatto se fossi stato più lucido. Ma a quanto pare il mondo, anche quello della ricerca e della conoscenza, sembra andare in questo insensato verso: meglio produrre qualcosa di pessimo che impiegare anni per arrivare a un risultato sensato e di qualità. Ecco perché il mondo è destinato a un'inesorabile involuzione.
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