Rispondere
in modo esauriente a questa domanda non è affatto facile perché non possiamo
invertire il tempo e osservare i pianeti come erano miliardi di anni fa.
Dobbiamo quindi trasformarci in scrupolosi storici e cercare di ricostruire le
vicende del nostro vicinato cosmico analizzando i pochi indizi di cui disponiamo,
senza dimenticare di sfruttare a nostro favore l’enorme vastità dell’Universo.
Un aiuto
molto importante può arrivare dallo studio degli asteroidi e delle comete, poiché
si pensa che le loro caratteristiche non siano mutate radicalmente dal tempo della
loro formazione. Questi, quindi, possono darci informazioni sull’età delle più
antiche rocce del Sistema Solare e sulla composizione chimica del materiale con
cui si sono formati i pianeti.
Un altro
aiuto potrebbe arrivare dall’analisi dei crateri da impatto su corpi celesti
senza atmosfera, come Luna e Mercurio. Il numero degli impatti e una stima
dell’età dei terreni che hanno subito il bombardamento consentono di caratterizzare
l’ambiente interplanetario nel corso della storia.
Molti
degli impatti lunari sono avvenuti tra i 3,5 e i 4 miliardi di anni fa.
Porzioni di superficie più recenti, come i mari, hanno una concentrazione nettamente
minore di crateri.
La
conclusione più logica è pensare che in quelle remote ere il Sistema Solare fosse
un posto molto più affollato, popolato da miliardi di asteroidi e addirittura
molti piccoli pianeti.
Dischi di detriti attorno a stelle in formazione |
Degli
importanti indizi per cercare di far luce sulla storia del Sistema Solare
arrivano anche dall’esterno.
L’osservazione
di numerose stelle, nebulose e sistemi planetari di diverse età, quindi a
diversi stadi evolutivi, fornisce un’istantanea abbastanza precisa delle tappe
che presumibilmente ha percorso il Sistema Solare dal momento della sua
formazione. Non ci sono in effetti motivi per considerare lo sviluppo del
Sistema Solare in qualche modo diverso e privilegiato rispetto a quanto accade
alle altre stelle dell’Universo. A conferma di ciò, sembra che la formazione di
dischi di detriti, quindi sistemi planetari, possa essere un fenomeno comune
quanto quello che porta alla nascita delle stelle, probabilmente addirittura
inevitabile per tutti gli astri, tranne forse le grandi stelle blu, la cui vita
potrebbe essere più breve del tempo richiesto ai pianeti per formarsi.
La teoria
attualmente più accreditata per la formazione dei sistemi planetari, compreso
il Sistema Solare, è quella della “nebulosa primordiale". Un'immensa nube
di gas e polvere in rotazione dalla quale si sarebbero formati il Sole e i pianeti,
insieme ad altre decine o centinaia di stelle. È curioso come questa teoria sia
stata ipotizzata ben prima delle evidenze scientifiche da alcuni illustri
filosofi del passato, tra i quali il grande Immanuel Kant.
Lo
scenario della formazione del Sistema Solare potrebbe allora essere il
seguente.
Una nube
fredda molto estesa di gas interstellare composta di idrogeno, elio, e una
piccola parte di elementi pesanti aggregati in forma di polveri (meno del 2% in
massa), vaga per la
Galassia. Questo miscuglio di sostanze è probabilmente ciò
che resta della morte di diverse stelle più antiche, raggruppato dai moti
galattici e dalla forza di gravità.
A un
certo punto la quantità di gas della nube interstellare è così elevata che la
forza di gravità comincia a far sentire i suoi effetti, magari a causa di
qualche perturbazione esterna, come l’esplosione di una supernova o la
compressione dovuta all’ingresso di uno dei bracci a spirale della Via Lattea.
Quando si rompe il delicato equilibrio che sostiene la nube contro la sua
stessa forza di gravità, questa prende il sopravvento e inizia a comandare il
gioco.
Gas e
polveri cominciano a contrarsi sotto il loro stesso peso; la nebulosa si
frammenta in regioni più piccole. In ognuna di queste regioni nascerà una stella
e, se non ci saranno grossi problemi, anche un sistema planetario.
Concentriamoci
quindi solo sulla porzione di nebulosa che produrrà il Sole e i pianeti, la
nostra nebulosa primordiale.
Durante la
fase di contrazione, che dura diversi milioni di anni, la nube comincia a
ruotare sempre più velocemente a causa del principio di conservazione del
momento angolare.
Cos’è il
momento angolare e cosa implica la sua conservazione? Senza ricorrere a formule
fisiche, facciamo un esperimento: proviamo a sederci su una sedia girevole,
allarghiamo braccia e gambe e facciamoci mettere in rotazione da un amico.
Quando stiamo per fermarci chiudiamo velocemente braccia e gambe, portandole
più vicino possibile al corpo: la sedia a questo punto riprenderà a ruotare!
Questo
effetto è un principio valido per ogni oggetto e in qualsiasi luogo
dell’Universo.
Se la
nube protosolare possiede una piccolissima rotazione, quando riduce il suo
diametro di diverse decine di volte aumenta per forza la velocità di rotazione.
La rotazione globale spiega perfettamente anche perché tutti i pianeti e una
grandissima parte dei corpi celesti del Sistema Solare odierno ruotino attorno
al Sole nello stesso senso.
A causa
della forza centrifuga, la nube assume la forma di un disco, con un diametro della
parte più densa di circa 10 miliardi di chilometri e uno spessore di 100
milioni di chilometri.
Nel
centro, laddove nascerà il Sole, si accumula una grande quantità di gas.
La
contrazione gravitazionale riscalda la zona centrale da una temperatura iniziale
di circa -260°C
fino a circa 2000°C: si e' formata una protostella, un
embrione dalla forma sferica che si trasformerà presto in una stella a tutti
gli effetti.
Alla fine
del processo il Sole conterrà ben il 99,86% della massa dell’intero Sistema
Solare.
Le
briciole del gas e polveri rimaste in rotazione attorno alla protostella formano
quello che si chiama disco di accrescimento. Le porzioni più
vicine alle zone centrali lentamente vengono inglobate dalla protostella, in un
processo che aumenta il calore interno a causa della compressione sempre maggiore.
Abbastanza
lontano dal centro, il gas si raffredda a sufficienza, a tal punto che una
parte si ricondensa in polveri e ghiaccio; le particelle ora sono molto più
vicine tra di loro rispetto a quando si trovavano nella nebulosa primordiale, che
era migliaia di volte più grande.
Le
continue collisioni e la forza di gravità danno inizio a un lento processo di
aggregazione fino a formare dei pezzi di roccia di cospicue dimensioni, detti
planetesimi. A causa dell’estrema debolezza della forza di gravità, si pensa
che le primissime fasi di formazione dei detriti a partire da granelli di
polveri dalle dimensioni tipiche di qualche micron, siano in realtà dominate da
un’altra forza. Proprio come le goccioline di pioggia di una nube, scontrandosi
tra di loro si caricano di elettricità statica che scaricano poi a terra
attraverso un fulmine, anche nella nebulosa primordiale il materiale nel disco
di carica per sfregamento. La forza elettrostatica risultante è abbastanza
forte, di certo ben più della gravità, per iniziare ad accumulare i granelli di
polvere e formare dei piccoli nuclei che mano a mano inizieranno a sentire
anche la reciproca forza di gravità.
Non si sa
bene quando avvenga il passaggio di consegne tra forza elettrostatica e
gravità, ma di certo, quando si arriva ad avere dei planetesimi, che si possono
considerare dei piccoli asteroidi, la gravità ormai è l’unica forza a comandare
il gioco, in un crescendo Rossiniano.
Fasi principali della formazione del Sistema Solare |
Presenti probabilmente
a migliaia di miliardi lungo il disco di accrescimento, i planetesimi, mano a
mano che si scontrano e si fondono generano sempre maggiore forza di gravità,
che aumenta il tasso e la violenza delle collisioni con altri planetesimi. Le
elevatissime temperature indotte dalle collisioni sempre più violente fondono
il planetesimo e lentamente gli conferiscono una forma sferica, cancellando
completamente qualsiasi segno evolutivo precedente, compresi i materiali più
volatili, che si aggregheranno solamente nelle più tranquille periferie o
formeranno successivamente le atmosfere.
Dopo
queste violente fasi, i planetesimi sono diventati dei protopianeti
completamente fusi, con temperature di diverse migliaia di gradi.
I protopianeti
sono gli embrioni dei pianeti attuali. Le loro dimensioni dipendono
criticamente dalla distanza dal Sole e dalla densità del disco di polveri.
In questa
fase si produce anche il fenomeno della differenziazione gravitazionale: i
materiali più pesanti, come nichel e ferro, sprofondano verso il centro
lasciando sulla superficie principalmente silicati e metalli leggeri.
Il calore
lentamente si disperderà nello spazio raffreddando la superficie, ma non il
nucleo, che potrà mantenersi a migliaia di gradi per diversi miliardi di anni,
grazie anche al calore generato dal decadimento radioattivo di alcuni elementi,
tra cui l’uranio, almeno per i corpi celesti massicci almeno quanto la Terra.
Nelle
regioni interne, la grande quantità di radiazione emessa dalla protostella che
si sta accendendo e l’intenso calore tendono a vaporizzare e disperdere verso l’esterno
gas e polveri del disco. La maggiore concentrazione si raggiunge in una zona a
circa 600-800 milioni di chilometri di distanza.
La
differenza di dimensioni tra i pianeti rocciosi e quelli giganti prova la validità di questo scenario, con Giove, il
più grande, aggregatosi proprio a circa 800 milioni di chilometri dal centro.
La
formazione dei protopianeti può richiedere da circa centomila a venti milioni di
anni.
A un
certo punto, però, qualcosa interrompe bruscamente la fase di accrescimento.
Il calore
nel nucleo della protostella sta superando la temperatura critica di 10 milioni
di gradi.
Il Sole
si accende finalmente di energia propria attraverso i processi di fusione termonucleare:
la nostra stella è nata.
In
conseguenza dell’accensione, il Sole primordiale emette un grande flusso di
particelle cariche, un vento solare piuttosto violento in grado di spazzare via
il gas residuo dalle regioni interne del Sistema Solare.
Da questo
momento il destino dei pianeti è determinato dalla massa raggiunta fino a quel
momento e dalla distanza dal neonato Sole.
Se il protopianeta
è abbastanza massiccio da trattenere una parte del gas con la propria gravità,
si formerà un pianeta gassoso, altrimenti parte o addirittura tutto l’inviluppo
gassoso formatosi verrà spazzato via dal vento solare. Il risultato in questo
caso sarà un pianeta roccioso.
Le
osservazioni dei nuclei dei pianeti gassosi confermano questa ipotesi: le loro
dimensioni sono simili a quelle dei pianeti interni, a conferma che sotto un
certo punto di vista i pianeti rocciosi non sono altro che nuclei di pianeti
gassosi privati dell’inviluppo atmosferico a causa del vento solare e delle
alte temperature nelle regioni in cui si sono formati.
La
pulizia operata dal vento solare di fatto blocca completamente il processo di
formazione dei corpi celesti, dando inizio a una nuova e violenta fase.
L'evoluzione
successiva è infatti una strenua lotta per la sopravvivenza.
Nel
Sistema Solare non c’è posto per tutti: molti degli inquilini vengono distrutti
da violenti impatti, confinati nelle periferie o addirittura espulsi a seguito
di incontri ravvicinati.
Alcuni
corpi riescono ad assestare dei colpi micidiali ai principali, modificandone
caratteristiche e proprietà orbitali.
Presumibilmente
questa sorte è toccata alla Terra, colpita da un planetesimo delle dimensioni
di Marte circa 100 milioni di anni dopo la sua formazione, che ne ha rallentato
il moto orbitale, inclinato l’asse di oltre 23° e scagliato nello spazio una
quantità di materiale sufficiente per formare la Luna.
Per
quanto possa sembrare distruttivo, un impatto del genere è probabilmente stato
provvidenziale per lo sviluppo tranquillo della vita sul nostro pianeta e
un’evoluzione garantita per miliardi di anni. La presenza della Luna, infatti,
svolge un ruolo fondamentale nello stabilizzare l’inclinazione dell’asse
terrestre. Senza la sua presenza l’asse avrebbe cambiato inclinazione nel tempo,
portando a sconvolgimenti climatici che avrebbero rallentato o addirittura
impedito l’evoluzione degli esseri viventi complessi.
Violentissimi
impatti sembrano aver interessato anche altri pianeti, producendo risultati
diversi, ma altrettanto evidenti. Una sorte simile potrebbe essere accaduta a
Venere: un impatto probabilmente centrale ha invertito e reso lentissimo il
periodo di rotazione, cancellando anche il campo magnetico.
Probabilmente
neanche Urano si è salvato, nonostante si trovasse in una regione
presumibilmente più tranquilla: un impatto ha fatto ruotare il pianeta e
inclinato l’asse di rotazione di quasi 100°.
Questo
duro combattimento consumatosi entro 200 milioni di anni dalla formazione ha
modificato i corpi principali e distrutto i planetesimi più pericolosi. Si
pensa infatti che il Sistema Solare primordiale fosse molto più affollato dei
pianeti che possiamo vedere ora. Qualcuno ipotizza l’esistenza di una ventina
di corpi di taglia planetaria. Molti si sono scontrati e distrutti, altri
potrebbero essere stati scagliati nella periferia del Sistema Solare e altri
ancora potrebbero essere stati espulsi dai complicati giochi di fionde
gravitazionali e condannati a vagare in solitudine per la Galassia.
La prima
battaglia termina quindi con l’eliminazione dei corpi celesti superflui, che
non avrebbero potuto garantire la stabilità del Sistema Solare.
La
seconda battaglia ha visto protagonisti i corpi minori che ancora popolavano le
regioni del Sistema Solare in grandissimo numero. Nel successivo miliardo di
anni scagliarono tutta la loro forza distruttiva contro i pianeti superstiti.
Alla fine
della guerra, 3,5 miliardi di anni fa, dei miliardi di piccoli corpi celesti e
planetesimi che popolavano le zone interne del Sistema Solare non vi era più
traccia, mentre i corpi superstiti avrebbero portato, alcuni per sempre, le
ferite di uno scontro terribile che non ha conosciuto pietà.
La lotta
per la sopravvivenza non è solo una prerogativa degli animali che popolano la
superficie della Terra, ma una legge naturale attraverso cui l’Universo
effettua le proprie scelte evolutive.
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