L’astronomo
americano Frank Drake, negli anni 60 del secolo scorso, propose un’equazione
semplice per cercare di stimare il numero di civiltà evolute nella Via Lattea,
introducendo una serie di parametri e moltiplicandoli tra di loro.
Nella sua
forma classica, l’equazione è questa:
A livello
matematico non fa una piega, ma tra la matematica e la fisica c’è di mezzo la
conoscenza della realtà. Indaghiamo il significato delle variabili e capiremo
meglio cosa influisce sull’esistenza di una tale civiltà.
R*
rappresenta il tasso di formazione di nuove stelle nella Via Lattea, un dato
importante che può fornirci uno spaccato temporale dell’eventuale evoluzione
della vita.
fp è la
frazione di stelle che possiedono dei pianeti. È un parametro scontato, perché
civiltà evolute hanno sicuramente bisogno di un corpo planetario.
ne rappresenta
il numero medio dei pianeti in un dato sistema stellare che sono in grado di
ospitare la vita, quindi, in prima approssimazione quei corpi celesti nelle
condizioni simili alla Terra.
fl rappresenta
la frazione di pianeti abitabili su cui si è effettivamente sviluppata la vita.
Com’è facile intuire, questo è un valore molto difficile da stimare con le
nostre attuali conoscenze.
fi è la
frazione di quei pianeti in cui si è sviluppata la vita intelligente. A titolo
di esempio Marte, che potrebbe ospitare forme di vita primitive, sarebbe
escluso da questo conteggio.
fc
rappresenta la frazione di quelle civiltà che sono in grado di comunicare
direttamente o indirettamente.
L infine, è una stima della durata
di una tale civiltà evoluta e/o del periodo in cui riesce a comunicare.
Detta in
questi termini, l’equazione di Drake sembra solo un bell’esercizio matematico
di dubbia utilità per la ricerca di vita intelligente perché per dirci quante
civiltà possiamo scoprire richiede di conoscerne il numero e tutta una serie di
parametri che non possiamo in alcun modo conoscere, ancora.
Tuttavia,
in questi ultimi 50 anni la conoscenza dell’Universo, in particolare dei
sistemi planetari, è passata dallo zero iniziale a un livello che per la prima
volta ci consente di fare supposizioni sensate in merito all’esistenza di altre
civiltà avanzate nell’Universo.
I
parametri che ora conosciamo molto meglio di prima sono due: 1) La frazione di
stelle che possiedono pianeti e 2) Il numero di pianeti in grado di ospitare la
vita, ovvero che si trovano nella fascia di abitabilità.
Non c’è
invece speranza per conoscere gli altri parametri, tra cui anche il tasso
preciso di formazione di nuove stelle nella Via Lattea, quindi possiamo
semplificare l’equazione di Drake accontentandoci di dare una stima delle
civiltà avanzate che possono aver abitato l’Universo nel corso dei miliardi di
anni invece di voler stimare il numero di civiltà che esistono in contemporanea
alla nostra e che sono in grado di comunicare con noi.
Questa è l’obiettivo
che si sono posti due ricercatori: Adam Frank dell’università di Rochester e
Woody Sullivan dell’università di Whashington di Seattle.
Utilizzando
le nuove conoscenze sul numero di pianeti e sulla frazione di questi che si
trova nella fascia di abitabilità, hanno cercato di trovare un limite inferiore
al numero di civiltà mai esistite nell’Universo. In questo modo non si deve più
stimare il tasso di formazione stellare della Via Lattea né il numero di
civiltà che esistono attualmente e che sono in grado di comunicare con noi e
tantomeno la loro durata. Di fatto, la domanda non è più: quante civiltà
esistono in contemporanea alla nostra e sono in grado di comunicare con noi,
ma: qual è la probabilità che la nostra civiltà sia l’unica mai esistita nell’Universo
osservabile?
Ecco,
sebbene la risposta istintiva di ogni persona che conosce a grani linee quanto
sia vasto l’Universo, nonché la base dei principi fisici su cui funziona, sarà
sempre improntata ad affermare che noi non possiamo essere l’unica civiltà mai
esistita in 14 miliardi di anni di storia del Cosmo, ora per la prima volta
abbiamo un limite inferiore sotto cui sembra impossibile scendere. Anche
volendo essere pessimisti all’ennesima potenza e affermare che la probabilità
che un pianeta abitabile sviluppi forme di vita intelligenti sia di 10-24
ovvero di una su un milione di miliardi di miliardi (!), non sarebbe comunque
abbastanza piccola da impedire l’esistenza di altre specie intelligenti in
qualche parte dell’Universo, in un tempo qualsiasi della sua storia.
Chi
mastica un po’ di proprietà dell’Universo, una probabilità così bassa non l’ha
mai vista in nessun fenomeno conosciuto ed è per questo che a sensazione questo
è davvero un valore minimo. Di fatto, è la presenza di pianeti nelle zone di
abitabilità delle proprie stelle e l’esistenza della nostra specie a porre un
limite inferiore alla probabilità dell’esistenza di altre forme di vita
intelligenti; un numero che per quanto possa essere piccolo sarà sempre diverso
da zero. E qualsiasi probabilità diversa da zero, in un ambiente la cui
estensione spaziale tende (o lo è davvero) a infinito e quella temporale supera
i 10 miliardi di anni, implica che l’evento associato si è ripetuto almeno
un’altra volta al di fuori di noi, a voler essere davvero super pessimisti.
Frank e
Sullivan hanno anche stimato che, se la possibilità che un pianeta nella zona
abitabile sviluppi forme di vita intelligenti sia di una su 60 miliardi, allora
nella Via Lattea non saremmo l’unica civiltà mai esistita.
Trovare
dei valori più specifici richiederà ancora molto tempo e studi, ma di fatto
l’articolo pubblicato da Frank e Sullivan sembra gettare per la prima volta le
basi scientifiche affinché possiamo affermare con una certa confidenza di non
essere gli unici abitanti intelligenti dell’Universo. E d’altra parte, una specie
che abita su un pianeta comune, che orbita attorno a una stella normalissima,
in un punto anonimo di una delle miliardi di galassie a spirale, fatta degli
elementi più comuni dell’Universo, perché mai avrebbe dovuto essere l’unica mai
esistita nel Cosmo?
Per
approfondire qui c’è l’articolo originale pubblicato da Frank e Sullivan.
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