Marte non è il pianeta a noi più vicino; il primato spetta infatti a Venere, che può arrivare fino a poco più di 40 milioni di chilometri dalla Terra. Tuttavia il pianeta rosso, nonostante non si avvicini a più di 56 milioni di chilometri, è di certo il più interessante del Sistema Solare.
La ricerca della vita intelligente prima e di quella microscopica attualmente è il motore trainante dell’esplorazione marziana, un mistero ancora non risolto nonostante le numerose spedizioni automatiche.
La ricerca della vita intelligente prima e di quella microscopica attualmente è il motore trainante dell’esplorazione marziana, un mistero ancora non risolto nonostante le numerose spedizioni automatiche.
Sono questi i motivi per cui Marte è stato il pianeta più studiato dalle sonde interplanetarie, sin dagli albori dell'era spaziale.
Naturalmente
nessuna
astronave con equipaggio umano ha raggiunto Marte e quasi certamente
non
lo farà almeno per i prossimi 30 anni, ma dopo la Luna è stato il corpo
celeste più esplorato, con ben 43 missioni attualmente all’attivo.
Marte è
anche l’unico pianeta sul quale è possibile atterrare e muoversi senza
problemi. L’altro candidato, Venere, ha condizioni così terrificanti che le
uniche capsule che hanno raggiunto la superficie sono state distrutte dopo
pochi minuti di funzionamento.
La
superficie di Marte, invece, è relativamente tranquilla. La pressione è
quasi
100 volte inferiore all’atmosfera terrestre, la temperatura è bassa ma
non
troppo, tanto che all’equatore d’estate si possono raggiungere i +20°C e
le condizioni atmosferiche non creano grandi problemi, nemmeno quando generano le enormi
tempeste di sabbia, che a causa della scarsa densità dell’atmosfera non
causano
i danni che si potrebbe immaginare.
Non è
quindi un caso neanche dal punto di vista prettamente tecnologico se Marte sia il pianeta sul quale sono atterrate più sonde,
l’unico che ha ospitato dei rover in grado di muoversi per diversi chilometri e
compiere preziose analisi.Neanche
sulla Luna sono giunte macchine così complesse.
Tuttavia, raggiungere Marte, in particolar modo la sua superficie, è un’impresa tutt’altro
che semplice. Un dato su
tutti forse può aiutare a comprendere meglio la situazione: delle 19 sonde
lanciate dall’Unione Sovietica prima e dalla Russia poi, nessuna ha raggiunto
sana e salva il pianeta rosso, tanto che tra i tecnici si parla apertamente di maledizione marziana.
La
superficie di Marte, in effetti, è ancora un’esclusiva tutta americana. L’unico
tentativo europeo, con la capsula inglese Beagle 2 nel 2003, è fallito ma non si sa in che modo. All'inizio si pensava a uno schianto dovuto al fallimento di una delle delicate fasi della discesa. Tuttavia nel 2013, 10 anni dopo, la sonda Mars Reconnaissance Orbiter l'ha ripreso nelle sue immagini ad altissima risoluzione e sembra che fosse atterrato sano e salvo su Marte. A quanto pare la maledizione marziana, oltre a non colpire solo i russi, si diverte nel creare ogni tipo di malfunzionamento, anche quando sembra che tutto sia andato per il verso giusto!
Al
momento, il bilancio delle missioni che hanno provato ad atterrare sul pianeta
rosso è in passivo: sono più quelle che si sono schiantate rispetto a quelle
che effettivamente sono riuscite ad effettuare un atterraggio dolce.
Perché è così difficile posarsi sulla rossa sabbia del pianeta?
Prima di
tutto non si può controllare manualmente la sonda. La distanza che devono
percorrere le onde radio è così grande che il segnale viene ricevuto diversi
minuti dopo essere stato trasmesso. Poiché la discesa sul pianeta rosso ha una
durata inferiore ai 10 minuti, ne consegue che quando si registra il segnale di
ingresso della sonda in atmosfera, dopo circa 14 minuti, i giochi sono stati
già fatti.
Tutto deve
quindi essere gestito in automatico dal computer di bordo della sonda, che non
sempre, naturalmente, funziona in modo adeguato.
E di
inconvenienti ne possono succedere parecchi. Dal classico crash, odiatissimo
anche sui nostri pc, all’errore di conversione di unità di misura, come
successe nel 1999 a Mars Climate Orbiter; dall’avaria di qualche sistema al
sovraccarico e a falsi allarmi.
Se tutta
la parte software funziona nel modo giusto, non è detto che altrettanto faccia
la complessa parte hardware.Marte, in
effetti, è un incubo per gli ingegneri e i tecnici di missione che devono far
giungere qualcosa sulla superficie sano e salvo.
L’atmosfera
è abbastanza spessa da creare attrito, quindi un fortissimo calore quando
qualsiasi sonda vi impatta, rendendo necessario uno scudo termico per
evitare l’esplosione della sonda.Ma allo
stesso tempo, la densità non è sufficiente per poter atterrare con un semplice
paracadute, come facevano le capsule lunari con gli astronauti di ritorno dalla
Luna.
Per questo
motivo servono dei sistemi per frenare la corsa, come ad esempio dei razzi. Ma
lasciare comandare totalmente in automatico al computer di bordo il controllo
dei razzi per atterrare senza problemi sulla superficie, è una scommessa
azzardata che poche volte è riuscita.
Per
evitare questo problema i tecnici della NASA per le ultime missioni
hanno
inventato un sistema molto semplice e infallibile per atterrare. Dopo
aver
superato il calore dell’atmosfera, l’astronave apriva un paracadute che
ne
rallentava la discesa, poi, in prossimità della superficie una serie di
airbag
ricoprivano tutta la capsula, che terminava la sua corsa precipitando
sulla
superficie marziana a circa 300 km/h. Dopo qualche rimbalzo alto fino a
30 metri, finalmente si fermava; il grappolo di palloni si sgonfiava e
liberava la capsula contenente
il rover, senza che avesse subito alcun danno.
Con questo
sistema poco ortodosso ma efficiente, la NASA portò sani e salvi sulla superficie tre rover su altrettante missioni.
Il metodo
degli aribag, però, ha dei limiti evidenti: non si può scegliere con precisione
la zona dove si fermerà la corsa della capsula, e non può essere utilizzato per
grandi e delicati carichi.
Così,
la NASA, con la missione Mars Science Laboratory, che trasportava un
grande rover da 900 kg di peso (Curiosity), ha giocato d’azzardo, con un piano
d’atterraggio fantascientifico.
La capsula
contenente il complesso rover si è immessa nell’atmosfera marziana a una
velocità di diversi chilometri al secondo. Durante la discesa, il computer di
bordo ha effettuato rapidissime correzioni per dirigersi con la massima precisione
verso la zona di atterraggio.
A
pochi
chilometri dal suolo, diminuita la velocità dalla resistenza
dell’atmosfera, un
grande paracadute ha rallentato la discesa fino a una velocità di 320
km/h, ancora però decisamente elevata per un comodo atterraggio.
A questo
punto il paracadute è stato tagliato e la capsula ha azionato automaticamente i
razzi di manovra e discesa, che l’hanno rallentata e guidata verso il punto di
atterraggio.
A pochi
metri dal suolo, i razzi hanno stabilizzato la capsula come se fosse un
elicottero in sospensione nell’aria e un verricello ha calato il rover sulla
superficie. Questa manovra è stata necessaria perché se i razzi si fossero avvicinati
troppo al suolo la polvere sollevata avrebbe potuto rovinare la strumentazione di
bordo.
Con il
rover poggiato al suolo, i cavi sono stati tagliati e la capsula ha dato piena
potenza ai razzi, consumando il carburante residuo e precipitando a una
distanza di sicurezza dal prezioso carico lasciato in superficie.
Tutto
questo ha richiesto sette minuti, gestiti completamente in automatico dai
computer di bordo, anche perché il segnale per arrivare sulla Terra alla
velocità della luce impiegava 14 minuti, quindi quando i tecnici hanno ricevuto
i dati che testimoniavano l’ingresso della sonda nell’atmosfera di Marte, essa
era già arrivata, integra o in mille pezzi, sulla superficie da circa sette
minuti.
Su Venere
o sul satellite di Saturno Titano è sufficiente un semplice paracadute, che
aumenta drasticamente le possibilità di successo e limita di molto i costi
della missione. Ma la superficie di Venere è troppo calda, mentre Titano è
tremendamente lontano, quindi Marte resta comunque l’obiettivo preferito.
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