Questo post è in parte tratto dal mio libro "Tecniche, trucchi e segreti dell'imaging planetario", disponibile in formato ebook e in cartaceo.
L'imaging planetario è una branca dell'astronomia amatoriale molto prolifica quanto a risultati estetici e scientifici, ma è anche quella più sensibile a errori e pericolose derive che possono allontanare gli astroimager, soprattutto i meno esperti, dallo scopo della nostra attività: la passione per l'Universo, in particolare per i pianeti; la voglia di scoprirli in dettaglio, di mettere alla prova noi stessi, la nostra strumentazione e, soprattutto, il voler partecipare, attraverso la collaborazione e la condivisione, al miglioramento della nostra conoscenza.
Anche se l'imaging planetario viene condotto a livello amatoriale, quindi come un hobby, le responsabilità che implica, soprattutto quando decidiamo di partecipare alla vita pubblica, non possono essere declassate: che ci piaccia o no, ogni volta che riprendiamo i pianeti stiamo facendo scienza. I nostri strumenti sono ormai così potenti che qualsiasi immagine è preziosa per comprendere qualcosa di più su questi ancora misteriosi corpi celesti.
Nel momento in cui scopriamo quindi le nostre carte e pubblichiamo i dati, sia su siti astronomici o sulla nostra pagina facebook, abbiamo di fronte a noi stessi e a tutti gli altri una forte responsabilità etica, morale e scientifica: assicurarci che quello che abbiamo ripreso corrisponda effettivamente alla realtà.
Purtroppo non basta la buona fede dell'astrofotografo a garantire che un'immagine planetaria sia esente da particolari non reali e che rappresenti quindi una realtà in qualche modo alterata. All'integrità morale devono essere affiancate altre qualità tra cui competenza, conoscenza del corpo celeste e delle sue dinamiche, ma anche e soprattutto spirito di condivisione, umiltà, voglia di confrontarsi e piena trasparenza, perché le prime verranno con il tempo e con l'esperienza se e solo se saremo abbastanza umili da metterci in gioco ogni giorno, anche quando ci sentiremo dei super esperti infallibili, perché una cosa è certa: nessuno è infallibile.
La dura verità è che in ogni immagine astronomica c’è sempre
un nemico da dover combattere ed evitare a ogni costo: gli artefatti, dettagli
o disturbi fittizi che pregiudicano la qualità scientifica ed estetica della
ripresa. Prima prendiamo atto di questo e minori saranno le possibilità di
prendere un clamoroso abbaglio in futuro, perché prima o poi l’occasione si
presenterà inevitabilmente.
Gli artefatti alterano la reale natura della sorgente e possono
rendersi visibili a causa di un procedimento di elaborazione sbagliato o della
stessa architettura del sensore di ripresa (dinamica, rumore, amplificatore),
dell’ambiente circostante (disturbi elettromagnetici) e del telescopio (come la
vignettatura, cioè una caduta di luce ai bordi, o imperfezioni nella lavorazione
degli specchi).
Benché il procedimento di elaborazione di un’immagine possa
fornire in apparenza un risultato esteticamente molto diverso a seconda del
procedimento e della bravura di ogni astrofotografo, è altresì vero che ogni
tipo di ripresa debba rappresentare la realtà, un fatto oggettivo.
A prescindere dal tipo di elaborazione, i dettagli visibili
non devono quindi cambiare: può variare il colore, il contrasto e la
luminosità; l’immagine può risultare più o meno rumorosa, più o meno sfocata,
ma il numero, le dimensioni e la forma dei particolari devono prescindere
dall’elaborazione. In altre parole, l’informazione originale non deve essere in
alcun modo alterata ma solamente resa più visibile.
Qualsiasi immagine nella quale i particolari siano stati
trasformati, oppure ancora ne sono apparsi di fittizi, non è più valida, né dal
punto di vista scientifico, né estetico. Questo è il punto fondamentale che
dovrebbe differenziare l’imaging astronomico (di natura estetica e a maggior ragione
scientifica) da quello puramente artistico. In questo secondo caso, per definizione,
non ci sono limiti alla creatività dell’artista, mentre nel primo non si può
prescindere dai dati reali che vengono raccolti dai nostri sensori digitali.
Chi non è interessato a fare delle proprie immagini dei dati di analisi
scientifica non è vincolato a questa regola, ma comunque a una propria etica:
gli astronomi amatoriali non sono artisti ma persone che cercano di rappresentare
l’Universo per quello che è.
La comparsa degli artefatti può essere più frequente di
quanto si possa pensare ed è bene che siano riconosciuti ed evitati, anche se
non sempre è possibile.
Spesso è l’attaccamento alla propria immagine che impedisce
di vedere ciò che un osservatore estraneo e imparziale noterebbe alla prima
occhiata, da qui un consiglio generale e molto importante: noi dobbiamo essere
i critici più severi dei nostri lavori. Non dobbiamo cercare di difendere
un’immagine che dopo ore di elaborazione ci sembra perfetta, o che mostra
dettagli mai ripresi da nessun altro fino ad ora.
Prima è meglio sottoporre il metodo di elaborazione a una serie
di controlli e verifiche, aiutandoci con il confronto tra le decine di immagini
che ormai con un semplice click del mouse si possono visualizzare quasi in tempo
reale.
Poi manteniamo sempre il contatto con qualche legge fisica
fondamentale: per quanto possiamo considerarci bravi, è impossibile riprendere
la bandiera americana sventolare (davvero?) sul suolo lunare o gli alieni che
ci salutano da Marte.
Questi sono naturalmente casi volutamente esasperati, ma
spesso può succedere di prendere delle serie cantonate e non vederle. Quale
esempio un po’ più verosimile?
È impossibile catturare dettagli su oggetti che sono molto
al di sotto del potere di separazione del telescopio. Non possiamo sperare di
risolvere Tritone, satellite di Nettuno, e vedere dettagli, poiché il suo disco
ha un diametro inferiore a 0,1”!
Non possiamo sperare di riprendere le formazioni sulla superficie di Titano con
un telescopio di 20
centimetri, primo perché le dimensioni del satellite
sono al limite del diametro della figura di diffrazione per lo strumento, secondo
perché l’atmosfera nel visibile è completamente opaca.
Se quindi
otteniamo un’immagine del genere su Urano
non dobbiamo gridare al miracolo e farci prendere dalla sindrome
di onnipotenza, piuttosto dubitare fortemente del nostro operato.
Facile a dirsi, meno da farsi e io sono stato il primo a
cadere, diversi anni fa, in questa trappola, alimentata dall’entusiasmo
irrefrenabile di un giovane uomo.
Bisogna però mantenere la calma e capire una cosa
importante: l’astronomia raramente gioca brutti scherzi. Se quei particolari
sono davvero reali (difficilissimo) saremo in grado di riprenderli ogni volta
che le condizioni atmosferiche lo permettono e devono corrispondere alle
caratteristiche fisiche del corpo celeste.
Quando andiamo verso il limite della nostra strumentazione,
e questo generalmente succede per i pianeti remoti come Urano e Nettuno, i
piccoli satelliti di Giove, Venere e Mercurio, è necessario stare molto
attenti.
Non possiamo pretendere che il telescopio, per quanto potente
e utilizzato dalla persona più capace del mondo (ecco, giusto per confermare il
fatto di mantenere i piedi per terra), sia stato in grado di catturare
un’immagine più definita di quella del telescopio spaziale Hubble.
È più probabile che abbiamo commesso qualche errore in fase
di elaborazione che ha creato dettagli che non esistono. Bene, rimbocchiamoci
le maniche e cerchiamo di scovarlo. In questo modo metteremo in atto un
processo di indagine che sarà utilissimo per noi e per tutti gli altri appassionati
impegnati nel nostro stesso lavoro (o davvero pensiamo di essere gli unici in
tutto?).
Non sempre è facile riconoscere gli artefatti, ma
sicuramente su nessun pianeta compaiono cerchi concentrici, bande oblique,
righe e spirali più regolari di un disegno ingegneristico.
Conoscere il pianeta aiuta moltissimo: se su Giove scopriamo
una banda che attraversa i poli da nord a sud sappiamo già che a meno di un
evento catastrofico, che in molti avrebbero già notato, questo particolare non
può essere reale perché la circolazione atmosferica si sviluppa lungo i
paralleli e non lungo i meridiani (non c’è proprio evento naturale che possa farlo!).
Stessa cosa per Venere, ma in modo più sottile: le nubi possiedono
una certa simmetria attorno all’equatore, estendendosi principalmente proprio
parallelamente a esso.
Una banda più scura simile a quelle di Giove che
l’attraversa obliquamente, magari proprio parallela al lato lungo o corto del
sensore, è sicuramente un difetto della nostra camera di ripresa che è venuto a
galla con l’elaborazione.
La domande che sorge spontanea, a questo punto, è: come
evitare gli artefatti?
Prima di tutto evitiamo di massacrare le nostre immagini con
elaborazioni pasticciate e troppo intense. Semplici maschere di contrasto o filtri
wavelet sono tutto ciò che ci serve per far emergere tutti i dettagli. Il resto
dell’elaborazione serve solo per farli vedere al meglio, in un ritocco estetico
alla ricerca della perfezione che non tutti, soprattutto gli astronomi
professionisti, vedono di buon occhio. Ma, considerazioni tecniche a parte, i
particolari, se ci sono, emergono subito, non dopo decine di passaggi con
programmi nati per altri scopi, quali Photoshop o i deleteri software per
l’eliminazione del rumore.
Oltre a questi consigli è sufficiente applicare il metodo
scientifico.
Se un dettaglio è reale, questo deve emergere con diversi metodi
elaborativi e non solo con l’applicazione di un determinato filtro di
contrasto.
Ma è nella fase di ripresa che possiamo creare le condizioni
per non prendere clamorosi abbagli.
Gli artefatti, in effetti, hanno una curiosa doppia
tendenza: quelli generati dalla camera di ripresa restano stazionari, mantenendo
sempre la stessa posizione sul sensore, mentre quelli creati da un’elaborazione
eccessiva (il rumore casuale che sembra essersi organizzato) non si ripetono
mai uguali da un’immagine all’altra.
Quali sono gli effetti di questo comportamento duale?
Che in nessun caso in riprese consecutive gli artefatti
avranno la stessa forma e la stessa orientazione rispetto al pianeta.
Se effettuiamo due video ruotando la camera di almeno 50°,
gli artefatti del primo tipo resteranno ancorati alla posizione del sensore e
non ruoteranno con il pianeta.
Se le riprese sono distanziate di qualche minuto, questi non
seguiranno nemmeno la rotazione planetaria attorno all’asse.
Quelli generati dall’enfatizzazione del rumore casuale tenderanno
semplicemente a sparire o cambiare forma. Se sono causati dalle particolari
condizioni di illuminazione del pianeta non seguiranno di certo la rotazione
dei dettagli, come la famosa macchia di Therby sugli anelli di Saturno.
Una buona tecnica per riconoscere quasi il 100% dei falsi dettagli
è quella di effettuare quindi più video durante la serata di ripresa, magari
ruotando la camera e controllare bene l’aspetto delle immagini elaborate
(ognuna per ogni filmato).
Sarà poi
l’esperienza e il confronto civile e umile con gli altri astroimager a dirimere
definitivamente la questione. In questo caso esistono due regole semplici:
1) Non credersi dei supereroi o dei
super esperti e avere l’umiltà di confrontarsi alla pari con gli altri
competenti astroimager;
2) Avere fiducia nel metodo
scientifico. Questo, a differenza degli esseri umani che possono essere
influenzati da mille e più motivi che spesso esulano il campo oggettivo, è
infallibile se ben applicato e ha il bellissimo pregio di prescindere
completamente.
Alcuni tipici artefatti nelle immagini in alta risoluzione |
Sbagliare è
possibile, anzi, spesso succede anche in ambiti ben più importanti. Non c’è
nulla di male nell’errore se è stato fatto in buona fede e il confronto su basi
oggettive è il modo migliore per dirimere una questione a volte troppo grande
per una sola persona. Basti ricordare la fresca vicenda del gruppo di ricercaitaliano che dopo una moltitudine di esperimenti aveva concluso che i neutrini,particelle massicce e molto sfuggenti, sembravano viaggiare più veloci della luce, contraddicendo tutti i principi base della fisica. Dopo aver fatto tutti
i controlli possibili, decisero di pubblicare i dati, ma con uno scopo ben
preciso: non per proclamarsi geni indiscussi per aver scardinato tutta la
fisica contemporanea, ma per chiedere aiuto all’intera comunità e cercare di
capire se i loro risultati fossero reali o affetti da qualche errore che non
erano riusciti a trovare.
Il
risultato di questo sforzo collettivo ha portato a dirimere la questione in
nome della scienza, senza personalismi e insulti. Nessuno si è azzardato a dare
epiteti poco simpatici a chi, con metodi oggettivi, ha cercato una spiegazione
plausibile e nessuno si è rifiutato di fornire per questo scopo i propri dati.
Perché la scienza è condivisione, non una gara all’ultimo sangue e spesso
scorretta; perché il metodo di verifica è oggettivo e i risultati non possono
cambiare, nemmeno se noi cerchiamo di restarci attaccati con qualsiasi forza
irrazionale e cominciamo a dispensare insulti e diffamazioni. Gli insulti verso altre persone non cambiano il giudizio critico su un'immagine planetaria; prendiamone atto.
Perché condotta
per hobby o professione poco importa; la conoscenza scientifica rappresenta
qualcosa di infinitamente più alto e nobile di qualsiasi mania di grandezza
umana. Una lezione etica e morale di cui tutti noi dovremo far tesoro per
migliorare come scienziati amatoriali e soprattutto come esseri umani. Una
lezione che dovremo digerire e accettare, mettendo da parte l’orgoglio.
Impariamo a capire che non è l’errore il problema, piuttosto il difenderlo con
qualsiasi mezzo. E che ci piaccia o meno, le nostre immagini saranno sempre sottoposte al giudizio critico e oggettivo del metodo scientifico. Una parte importante della scienza, anche amatoriale, è proprio quella di mettere alla prova i risultati, soprattutto quelli ritenuti eccezionali. Fa parte del gioco e garantisce, contrariamente a molti altri ambiti della vita, un'imparziale meritocrazia. Se non siamo disposti a metterci in gioco, allora dovremo riprendere i pianeti solamente per nostro sfizio personale ed evitare di rendere pubblici i risultati con il rischio di prendere in giro molte persone. Per questo scopo il mondo ne è già pieno, evitiamo quindi di aggravare la situazione.
Sul mensile Focus ho letto un articolo davvero interessante che parla della luna e della sua origine. Pensavamo di conoscere tutto del nostro satellite e invece ci riserva ancora un sacco di sorprese. Sapevate che la fase migliore per osservarla non è quando è piena, poiché troppo brillante, ma bensì nel primo e ultimo quarto quando è illuminata solo in parte?
RispondiEliminaFocus è davvero una rivista interessantissima.Da anni non perde mai di qualità, anzi si rinnova e migliora.
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