sabato 9 aprile 2016

SpaceX ce l'ha fatta: il Falcon 9 atterra su una chiatta nell'oceano

Quella che è stata scritta ieri, passata in sordina su quasi tutti i media italiani, è forse una delle pagine più importanti dell'esplorazione spaziale, uno di quei rari eventi che hanno il potenziale di rivoluzionare un settore, alla stregua dell'invenzione del motore a jet per gli aerei che ha aperto la strada ai voli di linea su lunghe distanze.

Il profilo di volo tipico del Falcon 9
SpaceX, compagnia privata che fa capo a Elon Musk, creatore di PayPal e gran capo di Tesla, è riuscita in un'impresa che nessuno aveva mai neanche tentato: far ritornare a terra in modo controllato il primo stadio del suo razzo Falcon 9 e farlo posare delicatamente su una chiatta larga poche decine di metri, in balia delle alte onde dell'Oceano Atlantico.

Sembra fantascienza, qualcosa di assurdo che non riesce nemmeno nei videogiochi, figuriamoci nella realtà, eppure il team di fisici e ingegneri di SpaceX c'è riuscito proprio l'8 aprile scorso. Ci sono voluti ben 5 tentativi falliti in precedenza, ma questo testimonia che i tecnici hanno imparato molto dalle precedenti esperienze, fino a raggiungere il risultato che tutti speravano.
Nella scienza, soprattutto quella applicata, non c'è modo migliore che imparare dagli errori per avvicinarsi al raggiungimento del proprio obiettivo. Simulazioni, calcoli e teorie sono la base per mettere in pista i primi tentativi ma il riscontro sul campo, dove le variabili in gioco sono molte di più e molto più imprevedibili di quelle che si considerano in laboratorio, è di impagabile importanza.

 
Il video dell'atteggaggio del Falcon 9 sulla chiatta "Of course I still love you"

Il razzo Falcon 9 di SpaceX è il suo fiore all'occhiello e i tentativi di recuperare la porzione principale (il primo stadio) sono solo la ciliegina sulla torta, un di più oltre agli obiettivi, ben più importanti, delle missioni per le quali viene usato. La missione dell'8 aprile scorso trasportava sulla sommità la capsula Dragon, contenente 3 tonnellate di rifornimenti per la stazione spaziale internazionale.
La struttura del razzo è simile a quella di tutti i predecessori e concorrenti adibiti al volo orbitale. La parte principale, nel caso del Falcon 9 alta 50 metri sui 70 totali, è detta primo stadio ed è quella che fa il lavoro più difficile di tutti: far sollevare il carico dal suolo. I primi stadi dei razzi sono di fatto dei giganteschi serbatori contenenti enormi quantità di carburante, che vengono quasi del tutto svuotati in 2 minuti e mezzo dai potenti motori collocati alle estremità: questa è l'energia richiesta per sollevare poche tonnellate di peso netto (il carico vero e proprio) fino a un centinaio di chilometri dalla superficie terrestre. Una volta esaurito il carburante, il primo stadio si sgancia dalla struttura portante, liberando un altro razzo, meno potente, detto secondo stadio: è questo che con un'accensione di una decina di minuti farà guadagnare altra altezza al carico e soprattutto molta della velocità orbitale richiesta, che è di circa 27 mila chilometri l'ora per un'orbita tipica di 400 km. In pratica, possiamo semplificare il concetto dicendo che il primo stadio serve per dare gran parte della spinta verso l'alto, mentre il secondo deve provvedere anche a dare la grande velocità tangenziale richiesta per orbitare.
Il razzo al sicuro sulla chiatta

In tutta la storia del volo spaziale, il primo stadio di ogni razzo, una volta esaurito il carburante, veniva abbandonato a sé stesso, precipitando nell'oceano e distruggendosi del tutto. A ogni missione, quindi, doveva essere ricostruito dal primo bullone, con un costo di svariate decine di milioni di dollari (il primo stadio del Falcon 9 costa a SpaceX circa 60 milioni di dollari). Sotto questa luce è evidente l'enorme spreco di risorse: è come se ogni volta che la nostra macchina finisse la benzina noi dovremmo comprarne una nuova, o almeno cambiarne il motore. E' da questa semplice considerazione che SpaceX ha cercato di rivoluzionare il concetto di volo spaziale dedicandosi, oltre alle missioni principali, ai tentativi di recupero del primo stadio, una volta svolto il lavoro per cui era stato progettato.


Ripresa on board dell'atterraggio

Recuperare un razzo alto 50 metri che si sgancia dal carico principale a circa 100 km dal suolo, con una velocità ben superiore a quella del suono, non è proprio semplicissimo e se prima di SpaceX nessuno ci aveva provato un motivo c'era. Eppure ci sono riusciti. La prima volta lo scorso 21 Dicembre, ma l'atterraggio era avvenuto sulla terraferma grazie al profilo particolare della missione principale. Nella grande maggioranza deli casi, il distacco del primo stadio avviene quando questo si trova sopra l'oceano e, per utilizzare la minima quantità di carburante possibile, il rientro non può avvenire troppo distante dalla verticale. In effetti il razzo viene fatto precipitare per la gran parte del tempo, apportando correzioni solo per mantenerne l'assetto e indirizzarlo verso l'obiettivo. L'accensione più violenta per rallentarne la corsa avviene a poche centinaia di metri dal suolo. Il tutto è comandato completamente dai computer di bordo, senza il minimo intervanto umano. Pensate quindi di lanciare qualcosa a 100 km dalla superficie, farlo precipitare per gran parte del tempo e poi fargli centrare, in modo perfetto e automatico, una chiatta poco più larga della sua altezza, senza farlo esplodere né ribaltare. Difficile, vero? Ma anche estremamente affascinante per chi di sfide vive ogni giorno e ha l'obiettivo di vincerle.

Con questa dimostrazione tecnologica, SpaceX ha il potenziale di abbattere i costi del volo spaziale, qualora il razzo si dimostri pronto per un nuovo volo senza una costosa e lunga manutenzione. I test di accensione effettuati sull'unico esemplare tornato a terra integro hanno mostrato un buon potenziale e Musk si è già sbilanciato dicendo che il Falcon 9 recuperato l'8 Aprile sarà impiegato in una nuova missione, che di certo verrà resa economicamente più appetibile per gli eventuali clienti. In effetti solo a fronte di un notevole sconto una qualsiasi compagnia potrà affidare il suo prezioso carico di satelliti al primo razzo riutilizzato della storia.
Sono davvero tempi eccitanti per tutti gli amanti dell'esplorazione dello spazio e non solo.

giovedì 7 aprile 2016

Quanto è davvero grande la Terra?



Per molti esseri umani la Terra rappresenta tutto il loro, personalissimo, universo. Ti stupiresti nello scoprire quante persone, così impegnate nella scelta dei vestiti, dei locali e nella moda del consumismo, di cui, un giorno, ti spiegherò il significato se mai dovessi riuscire a scoprirlo, ignorino completamente cosa ci sia poco sopra le loro teste, che cosa sia davvero l’Universo e quale la loro reale, insignificante, importanza.
Tutto il nostro mondo in due pixel. Ecco qual è la realtà
Se questo pianeta lo sentiamo così enorme, al punto che non riusciamo neanche a capire che in realtà non è piatto, come potrebbe sembrare, ma una sfera quasi perfetta, è semplicemente perché siamo talmente piccoli da non riuscire a vedere chiaramente, a volte, neanche quello che si mostra di continuo sotto i nostri occhi.
Per completare un giro attorno alla Terra, e ritrovarsi esattamente nel punto di partenza, ti servirà un aereo potente, con abbastanza carburante per compiere i 40.000 km necessari. Viaggiando a circa 800 km/h, una velocità molto più elevata di qualsiasi automobile, impiegheresti 50 ore esatte per chiudere il cerchio.
Se decidessi di provare a fare il giro del mondo a piedi, trovando il modo di camminare sul 70% della superficie, nonostante sia piena d’acqua, ci vorranno mesi, forse anni, per tornare al punto di partenza.
Nessuna persona vive così a lungo da riuscire a vedere in una vita intera tutto il pianeta, neanche limitandosi al 30% di terre emerse.
Ora, invece, immagina di essere a bordo di un raggio di luce, che per qualche strano motivo riesce a portarti con sé nel proprio viaggio attraverso il Cosmo. Aggrappati bene alle sue comode spalle e lasciati trasportare dall’incredibile velocità.
Poco più di un secondo, neanche il tempo di capire cosa stia succedendo, e ti vedi sfrecciare alla tua destra la Luna. Ti servirà un altro secondo per voltarti a vedere dove sia finita la Terra, stendere rapidamente il braccio, e capire che quella sterminata distesa di acqua e vita, ora, è una biglia sempre più piccola adagiata sulla tua mano.

Sono passati quindici secondi ed è sufficiente il mignolo per coprire quella capocchia di chiodo azzurra. Neanche un quarto d’ora di viaggio su questo raggio di luce, e acqua e suolo si fondono in punto infinitesimo molto più luminoso di qualsiasi stella; vicino un altro punto che ricorda vagamente, dal colore, la Luna. Di fronte Marte saluta fugacemente per ricordarti che sei, forse, a poco più di 60 milioni di chilometri da casa.  Un’ora di viaggio, e mentre Saturno mostra quegli incredibili e perfetti anelli, la Terra e la fidata compagna, la Luna, sono ormai un unico spillo indistinto investito dalla vicina luce solare.
Il tempo che qualche uomo d’affari impiega per volare da Roma a New York e tu sei a oltre 10 miliardi di chilometri. Il Sole s’è fatto piccolissimo e molto più debole; la Terra… beh, la potrai vedere solamente se ti sarai portato almeno un binocolo. Ma devo essere sincero, non ti servirà a molto, perché tra qualche ora non riuscirai più a vederla neanche con un telescopio.

Un giorno di viaggio, il tempo richiesto per volare in Australia, e sei già circondato da un cielo nero come la pece, privo di pianeti, con il Sole che sembra aver preso il posto di Venere dei cieli terrestri. Credi di essere in chissà quale parte sperduta dello spazio, ma in realtà hai appena girato l’angolo di via del Sistema Solare, più che una via un piccolo e stretto vicolo di una grande megalopoli.
Le altre stelle non sembrano essersi spostate di un millimetro; possibile? Sì, perché solamente per giungere alla più vicina ti serviranno oltre 4 anni di viaggio, e almeno la metà per riuscire a notare, ben più lento del cammino del Sole durante un’assolata giornata terrestre, lo spostamento delle più vicine causato dalla tua enorme velocità.

Non ci sarà molto da fare; avrai tempo per pensare che vite, urla, guerre, voci, ma anche sogni, speranze, grandi imprese, di cui sono capaci gli esseri umani, nonché tutto quello che hai visto fino al momento di partire, sono così lontani che si perdono in un punto visibile solamente con telescopi molto, molto più potenti di quelli che su quel pianeta chiamato Terra scrutano la vastità del Cosmo.
Avrai molto da pensare, ma anche dopo 1000 vite avrai esplorato solamente una parte su 200.000 dell’Universo che possiamo osservare. Avrai modo, forse, anche di sentire il peso della consapevolezza di qualcosa molto più grande di noi; qualcosa che fa star male, a volte, quando qualcuno, non molti, intraprende nell’immaginazione il tuo stesso viaggio.
Devi partire.
Riuscirai a vedere molto più chiaro il significato di certe azioni dei tuoi simili; capirai quali sono le vere priorità della vita, forse troverai e capirai la vera Vita, e sicuramente imparerai ad apprezzare e sfruttare molto meglio il tempo a tua disposizione. 

Poi ti sentirai piccolo e insignificante, e realizzerai che una formica, anche se regina del suo folto popolo, non potrà fare nulla contro un elefante, che da quell’altezza neanche vedrà quegli indisciplinati puntini che fanno tanto baccano, ma non comprendono che le loro urla non si alzeranno mai per più di pochi centimetri dal suolo. E stai pur certo che quell’elefante continuerà la sua esistenza con o senza la regina e il suo piccolo popolo, perché per lui, da quell’altezza, nulla cambierebbe se non esistessero.
Non andare troppo lontano; magari un giorno torna su questo pianeta e mostra come sarebbe bello e utile se molti altri riuscissero ad aggrapparsi alle spalle di un raggio di luce.
Non c’è bisogno di spaventarli con il buio e il freddo del Cosmo. Quell’esperienza non tutti possono sopportarla; giusto un giro dell’angolo per

lunedì 4 aprile 2016

Perché fai l'astronomo?



Nel profondo dell’animo umano, quello a contatto con l’Universo, c’è un sentimento molto grande e profondo chiamato amore. Proprio come i misteri più grandi del Cosmo, l’amore è l’incomprensibile mistero dell’essere umano. Non puoi visualizzarlo, non puoi eliminarlo; puoi cercare di ignorarlo, ma la tua vita non sarà mai felice se te ne priverai. 

Si può provare amore per i genitori, per un figlio, per un perfetto sconosciuto che per qualche motivo diventa poi la nostra ragione di vita. Si può provare amore anche per un’idea o un valore, per un sogno e una passione. Come fare a riconoscere l’amore? Quando immagini di fare un’azione ripetendola all’infinito, e l’unica cosa a cui pensi sono i momenti magnifici e sempre diversi che queste azioni, apparentemente identiche, ti regaleranno, allora hai trovato la tua strada e l’amore della tua vita. Non importa chi o cosa sia il destinatario, questo amore è qualcosa di unico e prezioso che non potrà essere represso. Non sperare di essere compreso; spesso non capiterà… Ma pretendi sempre rispetto e libertà, perché amare non sarà mai una colpa.

Io quindi faccio l’astronomo perché questo è quello che amo fare. Per i pochi anni che l'Universo ha deciso di rendermi cosciente di quello che accade intorno a me, voglio sfruttare al massimo questo rarissimo dono. Pensaci un attimo: 300 miliardi di galassie, 100 miliardi di stelle per ogni galassia, altrettanti pianeti, miliardi di miliardi di miliardi e miliardi ancora di particelle sparse a caso per tutto l'Universo e solo noi, piccoli esseri insignificanti, abbiamo il dono di inestimabile valore della coscienza, della consapevolezza di tutto quello che accade. Per quanto ne sappiamo è il dono più raro, strampalato, incredibile e sorprendente di tutto l'Universo. 7 miliardi di miliardi di miliardi di atomi che provengono da ogni parte dell'Universo, e da tempi differenti, si uniscono per formare un corpo e una mente in grado di pensare e di comprendere sé stesso e l'ambiente nel quale vive. Prova tu a mettere insieme tanti atomi e a fare in modo che acquistino coscienza: non ci riuscirai, è impossibile qualcuno ti dirà, eppure tu sei la spettacolare prova di questo apparente paradosso. Questo dono ce lo abbiamo noi, per una manciata di anni solamente, ma ce l'abbiamo. La consapevolezza vale più di mille diamanti, più di un quintale d'oro zecchino, più di tutto il denaro che riuscirai ad accumulare in mille e più vite. La consapevolezza rende liberi; la consapevolezza rende felici; la consapevolezza ci rende chi siamo.

Io ho deciso di sfruttare questo dono proiettandomi verso distanze impossibili da percorrere con il corpo, attraversando luoghi impervi per ogni forma di vita, immaginandomi situazioni che nemmeno la più fervida mente poteva creare prima di osservarle nel Cosmo. Voglio esplorare, capire, meravigliarmi, sognare, amare.. Voglio spingermi ai limiti delle mie possibilità, ogni giorno; voglio tentare di risolvere problemi più grandi di me e rispondere a domande impossibili. Non ci riuscirò, forse, ma inseguire l'impossibile è l'unico modo per rendere giustizia a questi atomi che non conoscendo questa parola hanno creato noi, esseri impossibili in un Universo meraviglioso.


venerdì 1 aprile 2016

I misteriosi raggi cosmici

L'Universo che possiamo osservare attraverso la luce che ci arriva dai corpi celesti rappresenta solo una minuscola parte di una realtà molto più ampia e complessa. I nostri occhi, infatti, sono sensibili solo a un piccolissimo intervallo di frequenze elettromagnetiche, che per convenzione abbiamo chiamato luce. Tuttavia, le onde elettromagnetiche possono avere frequenze che i nostri occhi non riescono a percepire, anzi, gran parte dell'Universo emette radiazione elettromagnetica che noi non vediamo. E' per questo motivo che ci siamo inventati telescopi in grado di farci osservare l'invisibile. I radiotelescopi indagano le onde radio, emesse da fenomeni violenti come i nuclei delle galassie che nascondono immensi buchi neri, ma anche dall'immensa quantità di gas rarefatto e freddo (circa -200°C) che riempie le galassie a spirale.

I telescopi a infrarossi indagano una regione dello spettro elettromagnetico in cui è molto forte l'emissione delle stelle rosse e della polvere cosmica. Sì, anche nel Cosmo c'è un problema di polveri, come accade nelle nostre case. Tuttavia, al contrario della nemica di tutte le stanze, la polvere cosmica è fondamentale per la nascita delle stelle e dei pianeti: se nella Via Lattea non ci fosse stata la polvere, la Terra non sarebbe nata perché il nostro pianeta è un aggregato di polveri cresciuto fino a migliaia di chilometri di diametro.
Dall'altra parte dello spettro, verso energie maggiori, troviamo l'ultravioletto, emesso dalle stelle più calde e massicce che conosciamo, poi i raggi X e gamma che si generano negli ambienti più violenti, come i buchi neri galattici che fagocitano grandi quantità di materia o l'esplosione di stelle almeno 8 volte più massicce del Sole, chiamate supernovae. Per nostra fortuna l'atmosfera terrestre ci protegge da queste onde elettromagnetiche così potenti che diminuirebbero di molto la nostra aspettativa di vita.

Lo spettro elettromagnetico.


Non tutto l'Universo, però, si fa osservare attraverso le onde elettromagnetiche, che vengono emesse ogni volta che una particella carica viene sottoposta a un’accelerazione.
Esistono altri fenomeni con cui i corpi celesti si fanno notare e studiare. Da poco tempo abbiamo avuto una spettacolare prova attraverso le onde gravitazionali, o radiazione gravitazionale. In pratica, possiamo osservare i fenomeni più violenti dell'Universo attraverso le rapide modificazioni della forza di gravità che producono quando si verifica un fenomeno di oscillazione. Il caso tipico è quello di due buchi neri che ruotano l'uno attorno all'altro fino a fondersi. L'emissione di energia sotto forma di radiazione elettromagnetica in questi casi è minima o addirittura nulla, ma le onde gravitazionali trasportano enormi quantità di energia, decine di volte superiore alle onde elettromagnetiche prodotte da tutte le stelle dell’Universo osservabile. La loro osservazione potrebbe darci in futuro un'incredibile occasione di osservare i fenomeni che le producono in abbondanza con un dettaglio che al momento non possiamo neanche immaginare e che di certo non potremo mai ottenere attraverso le onde elettromagnetiche.

Lo spettro delle onde gravitazionali


Esiste un altro modo attraverso cui l’Universo ci comunica la sua presenza; è poco conosciuto ma lo sappiamo sfruttare molto meglio della neonata astronomia delle onde gravitazionali. Molti corpi celesti, oltre alla radiazione elettromagnetica, emettono anche una grande quantità di particelle cariche che si muovono quasi alla velocità della luce. Queste particelle sono dette raggi cosmici e rappresentano una ghiotta opportunità per osservare la realtà da un’altra prospettiva; proprio quello che ci vuole quando cerchiamo di comprendere qualcosa di tremendamente difficile come l’Universo. I raggi cosmici sono particelle composte per il 90% da nuclei di idrogeno, o in altre parole da protoni, le particelle fondamentali dei nuclei atomici. Circa il 9% è composto da nuclei di elio, dette anche particelle alpha. Il resto è un miscuglio di particelle più pesanti, fino ai massicci nuclei di ferro, o più leggere ed elusive come neutrini, elettroni e positroni.

Lo spettro dei raggi cosmici. Sono riportate le frequenze d'impatto delle particelle in funzione dell'energia. Le più energetiche e dannose sono per fortuna molto rare, con una frequenza di un impatto ogni chilometro quadrato di superficie ogni anno. Le meno energetiche, ma comunque dannose, impattano l'atmosfera terrestre al ritmo di


Se i nostri occhi potessero osservare i raggi cosmici, vedrebbero un cielo 10 o persino 100 volte più brillante di quello notturno: sarebbe come trovarsi di notte sotto il cielo pieno di inquinamento luminoso di una grande metropoli come Milano o Roma, in cui le stelle visibili si conterebbero sulle dita di due mani. L’Universo, sotto questa nuova “luce”, apparirebbe privo di astri e illuminato in modo perfettamente uniforme. I raggi cosmici, infatti, poiché sono composti da particelle cariche, sono molto sensibili ai campi magnetici e la Via Lattea ne possiede uno molto, molto complicato. La grandissima parte dei raggi cosmici, sebbene provenga da particolari corpi celesti, viene diffusa e deviata in modo casuale dal campo magnetico della Via Lattea, al punto che questi perdono del tutto memoria della direzione iniziale dalla quale sono stati emessi. Questo è un bel problema perché di fatto non potremo mai risalire direttamente ai corpi celesti che li emettono e infatti ancora si discute sulle misteriose e violente origini di questa continua flotta di particelle. Sicuramente sono coinvolti fenomeni violenti come le esplosioni di supernovae e stelle di neutroni rapidamente rotanti. Una percentuale di raggi cosmici viene direttamente dal Sole e si intensifica durante le tempeste solari, quando la nostra stella emette una grande quantità di particelle cariche, sebbene con energie molto minori dei raggi cosmici provenienti dallo spazio aperto. Ci sono raggi cosmici che sono così energetici che provengono addirittura da altre galassie e viaggiano praticamente alla velocità della luce, con energie milioni di volte superiori rispetto a quelle raggiungibili dai migliori acceleratori di particelle mai costruiti sulla Terra (come LHC).

I raggi cosmici sono anche molto pericolosi per la nostra salute, perché di fatto si tratta di una potente forma di radioattività. Protoni lanciati a velocità molto prossime a quelle della luce possono penetrare la nostra pelle, distruggere le cellule e il DNA e causare malattie gravi e mortali, proprio come la normale radioattività prodotta da materiali come l’uranio. Per fortuna abbiamo uno schermo naturale che provvede a proteggerci in modo piuttosto efficace: la nostra atmosfera. Fuori da questo sottile strato d’aria, il flusso di raggi cosmici energetici raggiunge le 10 mila particelle al secondo, per ogni metro quadrato di superficie e per unità di angolo solido. In altre parole, una persona nello spazio viene attraversata ogni secondo da circa 100 mila particelle al secondo, un valore enorme! Sulla Terra, grazie alla presenza del nostro pianeta sotto e dell’atmosfera sopra, il flusso di particelle si riduce di molto, a qualche centinaio di particelle, massimo un migliaio. Inoltre, i pericolosi protoni vengono trasformati in particelle dette secondarie, tipicamente muoni, neutrini ed elettroni, meno energetiche e molto meno dannose per la nostra salute. Muoni e neutrini, addirittura, possono attraversare il nostro corpo come se non esistesse, tanto sono riluttanti a interagire con altre particelle, quindi sono del tutto innocui.  

Un raggio cosmico molto energetico non viene deviato dal campo magnetico terrestre e raggiunge la nostra atmosfera. Gli urti con le molecole d'aria creano una cascata di particelle secondarie con energie minori e con una probabilità di interazione con il nostro corpo molto limitata.

Anche il campo magnetico terrestre ci protegge molto dai raggi cosmici meno energetici, come quelli solari. Mano a mano che ci allontaniamo dalla superficie terrestre il flusso di particelle radioattive che ci colpisce aumenta. Già alla quota di un volo di linea, in 10 ore si assorbe una radioattività pari a quella di 3-5 panoramiche dentali: mica male!
Nella stazione spaziale internazionale, dove resta solo la protezione del campo magnetico terrestre, il flusso di particelle, quindi di radiazione, è circa 800 volte superiore rispetto al livello del mare: ecco perché gli astronauti non restano mai per lunghi periodi nello spazio, al massimo, ma proprio massimo, per un anno. Fuori dalla protezione del campo magnetico terrestre le cose peggiorano: il flusso di raggi cosmici aumenta di un’altra volta e mezzo. In tutto questo calcolo non abbiamo considerato i raggi cosmici prodotti dal Sole durante le tempeste, che vengono bloccati in modo efficace dal campo magnetico terrestre perché relativamente poco energetici ma che nello spazio interplanetario possono uccidere un astronauta se venisse investito in pieno dal flusso di una forte tempesta. La mancanza di protezione del campo magnetico terrestre e l’imprevedibile minaccia solare rappresentano i pericoli maggiori di un lungo viaggio con equipaggio umano verso Marte. Se mai un giorno l’uomo si spingerà così lontano, dovrà trovare un modo per schermare i raggi cosmici durante il viaggio e sulla superficie del pianeta rosso: un’operazione per niente banale perché servirebbero pareti di piombo spesse qualche centimetro, che farebbero aumentare in modo esponenziale il peso dell’astronave.

I raggi cosmici più energetici sono di origine galattica o extragalattica, mentre quelli meno energetici provengono dal Sole, che con il suo campo magnetico blocca quelli di origine esterna ma che con le sue imprevedibili tempeste può rappresentare una minaccia per tutti coloro posti fuori dalla protezione del campo magnetico terrestre, come gli eventuali astronauti che si spingeranno, un giorno, verso Marte.
 
Sebbene il Sole possa rappresentare un pericolo per quanto riguarda le sue tempeste di particelle cariche, in realtà ci fornisce una grande protezione dallo spazio interstellare. Il suo campo magnetico, infatti, protegge tutti i pianeti del Sistema Solare deviando parte dei raggi cosmici meno energetici, ma ugualmente dannosi per la nostra salute. Non è un caso, infatti, che durante i minimi solari il flusso di raggi cosmici con energia inferiore a qualche GeV (Giga elettronVolt) provenienti dallo spazio interstellare aumenti anche del 15-20% rispetto a quando il nostro Sole attraversa un massimo di attività e ci protegge in modo più efficace con il suo campo magnetico.

Problemi di salute a parte, i raggi cosmici che penetrano il campo magnetico terrestre, quindi quelli di origine galattica con energie superiori a 1 GeV, si pensa svolgano un ruolo fondamentale per la nostra sopravvivenza. E' infatti opinione diffusa tra la comunità scientifica che i raggi cosmici svolgano la fondamentale azione di inseminazione delle nubi, senza la quale non avremmo precipitazioni sulla superficie terrestre. Per generare le nuvole, infatti, servono due ingredienti: una temperatura più bassa del punto di condensazione del vapore acqueo e dei nuclei di condensazione attorno ai quali il vapore inizi a condensare. Se l'aria a qualche chilometro di quota fosse pura, il vapore acqueo non condenserebbe mai e di fatto non si formerebbero né nubi, né tantomeno precipitazioni. I nuclei di codensazione ideali sono rappresentati dagli atomi atmosferici ionizzati dal passaggio di raggi cosmici, e in generale da particelle cariche nella giusta quantità. Se il flusso infatti non fosse attenuato dal campo magnetico terrestre, l'atmosfera sarebbe stata spazzata via come quella di Marte e noi saremmo stati cancellati dalle radiazioni. Nella giusta quantità, invece, i raggi cosmici possono limitare i loro danni e rivelarsi i salvatori del Pianeta. E' spettacolare osservare come un fenomeno che sembra dannoso per la nostra salute mostri invece un'altra faccia della medaglia che lo rende addirittura indispendabile alla vita come la conosciamo. Questa è una prova ulteriore che l'Universo non conosce i concetti di bene o male: lui si limita a funzionare secondo le regole che si è dato nel momento della nascita.
  
I raggi cosmici si possono osservare più spesso di quanto si pensi. Nelle immagini della sonda Soho, ad esempio, si vedono spesso delle linee brillanti che scompaiono già nell’immagine successiva: questo è l’effetto del passaggio di un raggio cosmico sul sensore. Al contrario della luce, un raggio cosmico trasporta molta più energia, quindi attraversa un grande spessore del sensore di ripresa (o addirittura può trapassarlo) e produce non un punto brillante ma una scia di luce. Anche nelle immagini ottenute dagli astronomi amatoriali, in particolare quelle a lunga esposizione e con camere CCD, sono spesso visibili, e fastidiosi, gli effetti del passaggio dei raggi cosmici. Non è un caso se esiste una vera e propria disciplina dell’astronomia, chiamata astrofisica delle particelle, che attraverso la costruzione di telescopi sensibili solo a queste particelle cariche cerca di capire quante ce ne sono, quanta energia hanno, da dove vengono (questo è molto più difficile) e la loro composizione chimica.

Raggi cosmici misti a stelle in una ripresa del telescopio spaziale Hubble.
 
Una piccola percentuale di raggi cosmici, infatti, è formata da antimateria e il cui studio è molto importante. Una tipica particella di antimateria è identica alla materia normale ma ha carica opposta, come se fosse vista in uno speciale specchio. Un elettrone, quindi, ha come antiparticella il positrone, che è un elettrone in tutto e per tutto ma con carica positiva. Un protone ha come antiparticella un antiprotone, che gli equivale se non per la carica, che è negativa. Poiché si pensa che nell’Universo primordiale si creavano in modo uguale materia e antimateria, la scienza si chiede perché ora viviamo in un universo dominato dalla materia e se esistono zone in cui a dominare è l’antimateria. Di fatto, studiando l’Universo sotto la “luce” dei raggi cosmici cerchiamo di rispondere a una delle più importanti domande di sempre: perché esistiamo e siamo fatti di materia? Quando una particella di antimateria ne incontra una di materia, queste all’istante si trasformano in energia, ovvero in un’onda elettromagnetica molto energetica. Se nell’Universo primordiale si fosse generata esattamente la stessa quantità di materia e antimateria, noi non esisteremmo perché tutto quanto si sarebbe trasformato in energia e l’Universo sarebbe fatto solo di fotoni. Qualcosa, che ancora non conosciamo, qualche asimmetria nelle leggi fisiche, ha fatto sì che per un istante brevissimo la creazione di materia sull’antimateria fosse leggermente più veloce, creando una sovrabbondanza di una parte su un miliardo, che è poi tutta la materia che è sopravvissuta. Di fatto, noi siamo il risultato di una particella su un miliardo che è sopravvissuta alle tumultuose fasi iniziali dell’Universo; siamo il frutto di un evento ben più raro di qualsiasi vincita alla lotteria, eppure siamo qui e nessuno sa, ancora, per quale motivo.

lunedì 28 marzo 2016

Un asteroide impatta (di nuovo) su GIove

Giove ha da poco passato l'opposizione e si trova quindi nel periodo migliore dell'anno per essere osservato. Grazie alla numerosa schiera di appassionati di astronomia e di fotografia planetaria, il gigante gassoso è continuamente monitorato con un'ottima risoluzione e può quindi regalare sorprese inaspettate.

L'impatto scoperto dall'austriaco Kernbauer
Lo scorso 17 Marzo, alle ore 00:17 UT (Tempo Universale) è arrivato il momento di una di quelle sorprese che ogni appassionato spera di ricevere e che di certo ci fanno ben comprendere come l'Universo non sia affatto un luogo statico e pacifico come potremmo erroneamente pensare.
Almeno due osservatori indipendenti hanno registrato un breve flash proveniente dal bordo del pianeta gassoso, che ha raggiunto una luminosità superiore a quella dei satelliti medicei. L'evento è stato scoperto per primo dall'astronomo dilettante austriaco Kernbauer e poi confermato da
John McKeon, a nord di Dublino.
Con molta probabilità il flash, della durata dell'ordine di un secondo, è associabile all'impatto di un piccolo asteroide o di una cometa con l'atmosfera del gigante gassoso.
L'impatto confermato da John McKeon

Non sono ancora disponibili stime delle dimensioni del corpo celeste che ha deciso di soccombere all'enorme forza di gravità di Giove e nemmeno una stima precisa della posizione, anche a causa del fatto che l'evento si è verificato proprio nei pressi del bordo, laddove la determinazione esatta della posizione presenta grossi problemi, all'altezza della banda equatoriale nord. L'impatto è comunque reale perché è stato registrato dalle camere planetarie che molti astronomi dilettanti utilizzano per catturare splendide immagini in alta risoluzione dei pianeti, quindi su un supporto di certo ben più oggettivo dell'occhio umano. I due video che mostrano il flash sono stati pubblicati su YouTube e sono visualizzabili qui e qui.

Osservando a occhio i filmati disponibili è ragionevole stimare che il corpo impattante potrebbe avere avuto un diametro massimo di qualche decina di metri, probabilmente non troppo dissimile dal meteorite di 17 metri di diametro che nel Febbraio del 2013 solcò i cieli della Siberia, portandosi dietro una lunga scia di danni causati dalle onde d'urto generate dall'impatto con gli strati atmosferici più densi, a circa 30-50 km di altezza. Si tratta tuttavia di una rozza stima, perché l'evento potrebbe essere avvenuto nella porzione di Giove non visibile dalla Terra in quel momento. Se questa ipotesi si rivelasse vera, l'energia liberata potrebbe essere stata maggiore, quindi l'asteroide (o la cometa) aumentare di dimensioni.
Sarà interessante notare l'eventuale presenza di cicatrici nell'atmosfera di Giove, che potrebbero presentarsi come delle zone molto scure, quasi come l'ombra lasciata dal passaggio di un satellite mediceo, ma dalla forma più irregolare. Queste cicatrici sono lasciate dagli impatti più violenti che hanno un'alta penetrazione nell'atmosfera gioviana, al punto da bloccare in modo temporaneo i possenti moti convettivi che mantengono sempre in movimento i gas atmosferici. Se il corpo celeste era più grande di 10-20 metri potrebbe aver lasciato una traccia visibile anche con telescopi di piccolo diametro (10 cm).

Assistere in diretta all'impatto di un asteroide, o una piccola cometa, con un corpo celeste che si trova a una distanza che non ha bisogno di scomodare l'anno luce per essere espressa, e che orbita attorno alla nostra stessa stella, rappresenta di certo una forte emozione ma anche un piccolo campanello d'allarme perché ci rende partecipi in prima persona, e quasi in diretta, di quanto sia affollato il Sistema Solare, quindi potenzialmente pericoloso.


Una zona più affollata del previsto
L'impatto registrato lo scorso 17 Marzo non è infatti che l'ultimo di una lunga serie.
L'evento più spettacolare e violento è avvenuto nell'estate del 1994 con una ventina di frammenti della cometa Showmaker-Levy 9 che hanno lasciato profondi e duraturi segni nell'atmosfera di Giove, grandi fino al diametro del nostro pianeta. Fu la prima volta che l'essere umano osservava un oggetto schiantarsi contro un pianeta.

Tutti gli altri impatti registrati risalgono agli ultimi 7 anni e sono opera di astronomi dilettanti.
Il 19 Luglio 2009 l'australiano Anthony Wasley ha scoperto per primo le cicatrici lasciate da un probabile impatto asteroidale, simili a quelle prodotte dai frammenti cometari del 1994. Nessuno, però, aveva assisito in diretta all'evento vero e proprio, che si è stimato essere stato prodotto da un asteroide compreso tra 200 e 500 metri di diametro.
Il 3 Giugno 2010 il famoso imager planetario Christopher Go ha registrato per la prima volta il flash prodotto dall'ingresso nell'atmosfera Gioviana di un asteroide o una cometa dal diametro di una decina di metri.
Il 20 Agosto dello stesso anno sempre Go, con la conferma di altri osservatori, registrò un altro flash associabile a un nuovo impatto.
Il 10 Settembre 2012 un altro flash associato a un impatto è stato avvistato questa volta visualmente dall'astronomo dilettante Dan Petersen e poi confermato da una ripresa di George Hall. Erano quindi quattro anni e mezzo che non si osservavano più eventi di questo tipo, che ora molti planetologi ritengono più frequenti di quanto si pensasse prima del prezioso aiuto arrivato dalla comunità amatoriale nel corso degli ultimi 10 anni.
Capire quanto sia affollato il Sistema Solare e il ruolo che ha Giove nel proteggerci attirando su di sé molte comete e asteroidi sono attività fondamentali per ogni abitante della Terra che spera che la sua e le altre specie possano sopravvivere ancora per molto tempo.