Se in queste settimane avete alzato gli occhi al cielo e notato un lungo treno di deboli puntini in movimento in fila indiana e vi siete allarmati per un'imminente invasione aliena, non c'è di che preoccuparsi: nessun'astronave aliena sta per invadere il nostro Pianeta. Vi siete imbattuti in un treno di satelliti artificiali rigorosamente "made in Earth", parte di un controverso progetto chiamato Starlink e capitanato niente di meno che da Elon Musk, l'eccentrico (e geniale) uomo d'affari a capo (o quasi) di SpaceX e di Tesla.
Starlink è un faraonico progetto che comprende il lancio di migliaia di piccoli satelliti poco più grandi di una lavatrice, a gruppi di 60, che si posizioneranno nella bassa orbita terrestre (circa 500 km) con l'obiettivo di portare in ogni parte del mondo internet ad alta velocità (e a pagamento).
La configurazione finale prevede qualcosa come 12 mila satelliti; al momento sono poche centinaia (360 ad aprile 2020) ma stanno rapidamente crescendo, considerando un ritmo di lanci di 1, persino 2 al mese. I satelliti vengono rilasciati nella bassa orbita e attraverso il loro piccolo motore a ioni raggiungeranno automaticamente, in poche settimane, l'orbita definitiva. Durante il periodo di "migrazione" orbitale si rendono facilmente visibili perché più vicini alla superficie terrestre. Considerando che a ogni lancio ne vengono dispiegati 60, è questa la cifra che possiamo arrivare a contare quando li osserviamo nel cielo.
Tralasciando le implicazioni per l'astronomia e la radioastronomia che potrebbero essere devastanti, soprattutto quando tutta la costellazione sarà dispiegata (in ogni momento si conteranno in cielo circa 100 satelliti contemporaneamente), non c'è da gridare all'invasione aliena ma riflettere, questi sì, sul fatto se sia eticamente accettabile che una società privata monopolizzi la bassa orbita terrestre, mettendo in pericolo tutta la ricerca astronomica e tutti gli altri satelliti per una questione di profitto. Considerando le recenti uscite del presidente degli Stati Uniti che ha sentenziato, unilateralmente che "Lo spazio esterno è un dominio legalmente e fisicamente unico dell’attività umana e gli Stati Uniti non lo considerano un bene comune globale" sembra chiara la direzione che ha intrapreso il Paese che si professa più ricco e potente del mondo. Per sapere quando saranno visibili i satelliti Starlink visitare https://www.heavens-above.com o scaricare l'applicazione Heavens Above per il proprio smartphone. Ponendo le proprie coordinate si potranno vedere tutti i passaggi. Proprio in questi giorni (22 aprile) SpaceX ha rilasciato altri 60 satelliti, ancora nella bassa orbita terrestre, vicini tra di loro e per questo luminosi e spettacolari (o terrificanti) da osservare nel cielo.
Per saperne di più sul progetto Starlink, cliccare qui.
Quella che è stata scritta ieri, passata in sordina su quasi tutti i media italiani, è forse una delle pagine più importanti dell'esplorazione spaziale, uno di quei rari eventi che hanno il potenziale di rivoluzionare un settore, alla stregua dell'invenzione del motore a jet per gli aerei che ha aperto la strada ai voli di linea su lunghe distanze.
Il profilo di volo tipico del Falcon 9
SpaceX, compagnia privata che fa capo a Elon Musk, creatore di PayPal e gran capo di Tesla, è riuscita in un'impresa che nessuno aveva mai neanche tentato: far ritornare a terra in modo controllato il primo stadio del suo razzo Falcon 9 e farlo posare delicatamente su una chiatta larga poche decine di metri, in balia delle alte onde dell'Oceano Atlantico.
Sembra fantascienza, qualcosa di assurdo che non riesce nemmeno nei videogiochi, figuriamoci nella realtà, eppure il team di fisici e ingegneri di SpaceX c'è riuscito proprio l'8 aprile scorso. Ci sono voluti ben 5 tentativi falliti in precedenza, ma questo testimonia che i tecnici hanno imparato molto dalle precedenti esperienze, fino a raggiungere il risultato che tutti speravano.
Nella scienza, soprattutto quella applicata, non c'è modo migliore che imparare dagli errori per avvicinarsi al raggiungimento del proprio obiettivo. Simulazioni, calcoli e teorie sono la base per mettere in pista i primi tentativi ma il riscontro sul campo, dove le variabili in gioco sono molte di più e molto più imprevedibili di quelle che si considerano in laboratorio, è di impagabile importanza.
Il video dell'atteggaggio del Falcon 9 sulla chiatta "Of course I still love you"
Il razzo Falcon 9 di SpaceX è il suo fiore all'occhiello e i tentativi di recuperare la porzione principale (il primo stadio) sono solo la ciliegina sulla torta, un di più oltre agli obiettivi, ben più importanti, delle missioni per le quali viene usato. La missione dell'8 aprile scorso trasportava sulla sommità la capsula Dragon, contenente 3 tonnellate di rifornimenti per la stazione spaziale internazionale.
La struttura del razzo è simile a quella di tutti i predecessori e concorrenti adibiti al volo orbitale. La parte principale, nel caso del Falcon 9 alta 50 metri sui 70 totali, è detta primo stadio ed è quella che fa il lavoro più difficile di tutti: far sollevare il carico dal suolo. I primi stadi dei razzi sono di fatto dei giganteschi serbatori contenenti enormi quantità di carburante, che vengono quasi del tutto svuotati in 2 minuti e mezzo dai potenti motori collocati alle estremità: questa è l'energia richiesta per sollevare poche tonnellate di peso netto (il carico vero e proprio) fino a un centinaio di chilometri dalla superficie terrestre. Una volta esaurito il carburante, il primo stadio si sgancia dalla struttura portante, liberando un altro razzo, meno potente, detto secondo stadio: è questo che con un'accensione di una decina di minuti farà guadagnare altra altezza al carico e soprattutto molta della velocità orbitale richiesta, che è di circa 27 mila chilometri l'ora per un'orbita tipica di 400 km. In pratica, possiamo semplificare il concetto dicendo che il primo stadio serve per dare gran parte della spinta verso l'alto, mentre il secondo deve provvedere anche a dare la grande velocità tangenziale richiesta per orbitare.
Il razzo al sicuro sulla chiatta
In tutta la storia del volo spaziale, il primo stadio di ogni razzo, una volta esaurito il carburante, veniva abbandonato a sé stesso, precipitando nell'oceano e distruggendosi del tutto. A ogni missione, quindi, doveva essere ricostruito dal primo bullone, con un costo di svariate decine di milioni di dollari (il primo stadio del Falcon 9 costa a SpaceX circa 60 milioni di dollari). Sotto questa luce è evidente l'enorme spreco di risorse: è come se ogni volta che la nostra macchina finisse la benzina noi dovremmo comprarne una nuova, o almeno cambiarne il motore. E' da questa semplice considerazione che SpaceX ha cercato di rivoluzionare il concetto di volo spaziale dedicandosi, oltre alle missioni principali, ai tentativi di recupero del primo stadio, una volta svolto il lavoro per cui era stato progettato.
Recuperare un razzo alto 50 metri che si sgancia dal carico principale a circa 100 km dal suolo, con una velocità ben superiore a quella del suono, non è proprio semplicissimo e se prima di SpaceX nessuno ci aveva provato un motivo c'era. Eppure ci sono riusciti. La prima volta lo scorso 21 Dicembre, ma l'atterraggio era avvenuto sulla terraferma grazie al profilo particolare della missione principale. Nella grande maggioranza deli casi, il distacco del primo stadio avviene quando questo si trova sopra l'oceano e, per utilizzare la minima quantità di carburante possibile, il rientro non può avvenire troppo distante dalla verticale. In effetti il razzo viene fatto precipitare per la gran parte del tempo, apportando correzioni solo per mantenerne l'assetto e indirizzarlo verso l'obiettivo. L'accensione più violenta per rallentarne la corsa avviene a poche centinaia di metri dal suolo. Il tutto è comandato completamente dai computer di bordo, senza il minimo intervanto umano. Pensate quindi di lanciare qualcosa a 100 km dalla superficie, farlo precipitare per gran parte del tempo e poi fargli centrare, in modo perfetto e automatico, una chiatta poco più larga della sua altezza, senza farlo esplodere né ribaltare. Difficile, vero? Ma anche estremamente affascinante per chi di sfide vive ogni giorno e ha l'obiettivo di vincerle.
Con questa dimostrazione tecnologica, SpaceX ha il potenziale di abbattere i costi del volo spaziale, qualora il razzo si dimostri pronto per un nuovo volo senza una costosa e lunga manutenzione. I test di accensione effettuati sull'unico esemplare tornato a terra integro hanno mostrato un buon potenziale e Musk si è già sbilanciato dicendo che il Falcon 9 recuperato l'8 Aprile sarà impiegato in una nuova missione, che di certo verrà resa economicamente più appetibile per gli eventuali clienti. In effetti solo a fronte di un notevole sconto una qualsiasi compagnia potrà affidare il suo prezioso carico di satelliti al primo razzo riutilizzato della storia.
Sono davvero tempi eccitanti per tutti gli amanti dell'esplorazione dello spazio e non solo.
Me lo sono sempre chiesto, mentre sognavo di fronte alla tv che trasmetteva i lanci delle varia missioni spaziali, da quelle lunari agli Shuttle. Purtroppo non ho avuto la possibilità di assistere alla partenza del grande Saturn V verso la Luna perché sarei nato 11 anni dopo l'ultima missione lunare. Non ho visto partire neanche lo Space Shuttle perché nel 2011, anno dell'ultimo volo, ancora non avevo le risorse economiche per affrontare un viaggio intercontinentale.
Il mio desiderio, comunque, è diventato realtà lo scorso 21 Dicembre 2015. Mi trovavo in Florida per una vacanza e proprio in quei giorni avrebbe dovuto partire un razzo Falcon 9 della compagnia privata SpaceX. L'occasione diventò importantissima perché per la prima volta nella storia il primo stadio, invece di precipitare in mare ormai esausto, avrebbe tentato un atterraggio automatico e controllato su una rampa non troppo lontana da quella di partenza.
Tutto andò bene, come forse già sapete se seguite questo blog da almeno un paio di mesi.
Ora, a distanza di diverse settimane, ho trovato il tempo di montare il filmato della partenza e dell'atterraggio che ripresi con il cellulare, per cercare di rendere meglio l'idea di cosa voglia dire assistere al lancio notturno di un razzo diretto verso lo spazio.
Il filmato è stato fatto con il cellulare e un obiettivo
grandangolare, quindi non ha una gran qualità ma rende l'idea di cosa
significhi assistere al lancio notturno di un razzo. La scena era più
brillante (e "vicina") a occhio nudo rispetto al video; la luminosità
del razzo ben maggiore di quella della Luna piena, tanto che rischiarava
tutto il panorama intorno. Se avete pazienza sentirete il suono
arrivare... quasi un minuto e mezzo dopo la partenza! All'atterraggio,
invece, si sente un doppio boom sonico dovuto al rientro del razzo a
gran velocità negli strati alti dell'atmosfera, oltre alle scene di
giubilo tipicamente americane della folta schiera di spettatori che si
era radunata. Che emozione.