Osserviamo questa foto e proviamo ad andare oltre la mera bellezza. Stiamo ammirando la nebulosa di Andromeda, che copre nel cielo un’area 12 volte superiore a quella della Luna piena vista a occhio nudo ed è un ottimo rappresentante di quella classe di nebulose spiraliformi che fino agli anni ’20 del ‘900 facevano discutere molto gli astronomi circa la loro natura. In questa immagine scattata con un piccolo telescopio da 70 mm di diametro possiamo indagare meglio la struttura di questi strani oggetti.
Il colore, intanto, si conferma differente da quello che ci aspetteremmo da una distesa di gas rarefatto di una vera nebulosa. Se potessimo scomporre la sua luce con una specie di prisma noteremmo molto bene che la luce si estende su una grande varietà di colori, o lunghezze d’onda, al contrario dell’emissione a righe strette e molto rade delle nebulose. Sembra proprio di stare osservando un oggetto che ha proprietà più simili alle stelle, ma non a un singolo astro, piuttosto a un gruppo molto eterogeneo. A proposito di stelle, uno sguardo d’insieme ci dà l’impressione che nei pressi della porzione di colore azzurro il loro numero aumenti. Abbiamo trovato il modo di capire la natura di quest’oggetto misterioso? Se riuscissimo a trovare degli astri particolari, come le Cefeidi, ed essere sicuri che appartengano alla nebulosa di Andromeda, potremmo misurarne la distanza senza grossi problemi.
Eccoci allora arrivati a quello che sembra uno dei due grossi colpi di fortuna della storia dell’astronomia contemporanea citati nel post precedente. Nel 1917 gli Americani, da sempre fautori di opere esagerate, inaugurarono il telescopio più grosso del mondo sulla cima del monte Wilson. Il telescopio Hooker, così era stato chiamato, aveva un diametro di 100 pollici, ben 2,54 metri. Ecco quindi l’avanzamento tecnologico che avrebbe permesso di dirimere la questione sulle nebulose spiraliformi una volta per tutte. A questo punto la fortuna scelse “il chi”, ovvero il personaggio che avrebbe scritto la storia. Era un signore laureato in legge per volere del padre e uno sportivo di ottimo livello, che poi non riuscì a resistere alla passione di una vita e prese un dottorato in astronomia proprio nel 1917. Si chiamava Edwin Hubble e la sua tesi di dottorato sull’investigazione fotografica delle nebulose deboli era l’argomento perfetto per venir approfondito attraverso il telescopio più grande del mondo. Il fondatore, George Hale, lo volle infatti nel suo staff e Hubble divenne a quel tempo uno degli astronomi più invidiati al mondo. Per il come, invece, la sorte scelse una nebulosa famosa e una classe di oggetti appena caratterizzata: la nebulosa di Andromeda e le Cefeidi di Henrietta Leavitt.
Hubble ottenne quelle che al tempo erano le fotografie più dettagliate e profonde che essere umano avesse mai scattato all’Universo e cercando su quelle lastre traccia di stelle particolari notò quella che presto identificò come una variabile Cefeide. Era debolissima, molto più debole di quelle che Ejnar Hertzsprung aveva utilizzato per misurare la distanza delle varie zone della Via Lattea.
Applicando la relazione periodo-luminosità Hubble scoprì che quella debolissima stellina doveva trovarsi molto oltre i confini stimati della Via Lattea. Se quella stella apparteneva alla nebulosa di Andromeda, non poteva trattarsi di una mera distesa di gas dalle proprietà ancora sconosciute, ma di un sistema esteso almeno quanto la Via Lattea e a questo punto contenente miliardi di stelle.
Hubble aveva appena risolto un dilemma che aveva assunto i contorni di un grosso mistero, ma aveva anche lasciato in eredità un fardello difficile da digerire per tutte le generazioni a venire. La cupola protettiva si era sollevata del tutto: l’Universo era cresciuto in dimensioni ben oltre la nostra immaginazione. Da allora niente sarebbe stato lo stesso e tutto, di nuovo, sarebbe stato da scoprire. Quell’insignificante dettaglio che era l’unico dubbio a una conoscenza perfetta di un Universo statico, immobile e dominato dalla Via Lattea quale unica galassia, era stato il cavallo di troia che distrusse le certezze di un’intera generazione di astronomi e aprì le porte alla più grande rivoluzione culturale e scientifica della storia.
Oggi basta un
telescopio 10 volte più piccolo di quello utilizzato da Edwin Hubble per
ottenere un’immagine 10 volte più dettagliata di quella che gli ha permesso di
scoprire la natura extragalattica della nebulosa di Andromeda e non avere più
dubbi di alcun tipo, sebbene la nostra mente continuerà a faticare per tutta la
vita ad accettare tutto questo.
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