venerdì 27 giugno 2014

Ganimede ripreso al telescopio

Pratico imaging planetario da ormai 15 anni, eppure ancora continuo a stupirmi delle grandi potenzialità della strumentazione amatoriale accoppiata a un buon sensore di ripresa, tecnica e metodo scientifico, soprattutto per quanto riguarda l'alta risoluzione planetaria.
Sin da piccolo mi chiedevo spesso quale fosse il limite dei nostri telescopi, fino a quali dettagli era possibile osservare.
In questa mia ricerca, che ormai va avanti da molti anni, mi sono imbattuto pochi giorni fa in qualche mia ripresa di Giove risalente al 2010 e ho notato che una in particolare poteva ben rendere l'idea di cosa si è in grado di fare oggi con la nostra strumentazione.

In un'immagine del 23 luglio 2010, ottenuta con ottima stabilità atmosferica, c'era Ganimede, la Luna più grande del Sistema Solare, in transito sul disco di Giove, che sembrava mostrare molti dettagli superficiali.
Ho allora isolato il satellite, l'ho ingrandito e ho cercato di capire se quelli che sembravano dettagli superficiali potessero essere confermati in qualche modo.
Gli astroimager planetari con maggiore esperienza sanno che questa luna mostra spesso particolari, grazie al loro elevato contrasto, ma fin dove si può arrivare?
Confrontando la mia immagine con le mappe cartografiche ho scoperto che non solo è visibile la famosa Galileo Regio, una regione più scura che compare quasi sempre nelle immagini, ma anche un punto bianco in basso che corrisponde a un grande cratere da impatto, il cratere Osiris.
Questo è il limite, probabilmente, di un telescopio da 35-40 centimetri: mostrare un cratere di poche centinaia di chilometri di diametro a una distanza media di 800 milioni di chilometri!
E se non è affascinante questo, non so cos'altro potrebbe esserlo.

Ganimede ripreso con il mio telescopio

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