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lunedì 28 dicembre 2015

La maledizione marziana

Marte non è il pianeta a noi più vicino; il primato spetta infatti a Venere, che può arrivare fino a poco più di 40 milioni di chilometri dalla Terra. Tuttavia il pianeta rosso, nonostante non si avvicini a più di 56 milioni di chilometri, è di certo il più interessante del Sistema Solare.
La ricerca della vita intelligente prima e di quella microscopica attualmente è il motore trainante dell’esplorazione marziana, un mistero ancora non risolto nonostante le numerose spedizioni automatiche.
Sono questi i motivi per cui Marte è stato il pianeta più studiato dalle sonde interplanetarie, sin dagli albori dell'era spaziale. 
Naturalmente nessuna astronave con equipaggio umano ha raggiunto Marte e quasi certamente non lo farà almeno per i prossimi 30 anni, ma dopo la Luna è stato il corpo celeste più esplorato, con ben 43 missioni attualmente all’attivo.

Marte è anche l’unico pianeta sul quale è possibile atterrare e muoversi senza problemi. L’altro candidato, Venere, ha condizioni così terrificanti che le uniche capsule che hanno raggiunto la superficie sono state distrutte dopo pochi minuti di funzionamento.
La superficie di Marte, invece, è relativamente tranquilla. La pressione è quasi 100 volte inferiore all’atmosfera terrestre, la temperatura è bassa ma non troppo, tanto che all’equatore d’estate si possono raggiungere i +20°C e le condizioni atmosferiche non creano grandi problemi, nemmeno quando generano le enormi tempeste di sabbia, che a causa della scarsa densità dell’atmosfera non causano i danni che si potrebbe immaginare.

Non è quindi un caso neanche dal punto di vista prettamente tecnologico se Marte sia il pianeta sul quale sono atterrate più sonde, l’unico che ha ospitato dei rover in grado di muoversi per diversi chilometri e compiere preziose analisi.Neanche sulla Luna sono giunte macchine così complesse.

Tuttavia, raggiungere Marte, in particolar modo la sua superficie, è un’impresa tutt’altro che semplice. Un dato su tutti forse può aiutare a comprendere meglio la situazione: delle 19 sonde lanciate dall’Unione Sovietica prima e dalla Russia poi, nessuna ha raggiunto sana e salva il pianeta rosso, tanto che tra i tecnici si parla apertamente di maledizione marziana.
La superficie di Marte, in effetti, è ancora un’esclusiva tutta americana. L’unico tentativo europeo, con la capsula inglese Beagle 2 nel 2003, è fallito ma non si sa in che modo. All'inizio si pensava a uno schianto dovuto al fallimento di una delle delicate fasi della discesa. Tuttavia nel 2013, 10 anni dopo, la sonda Mars Reconnaissance Orbiter l'ha ripreso nelle sue immagini ad altissima risoluzione e sembra che fosse atterrato sano e salvo su Marte. A quanto pare la maledizione marziana, oltre a non colpire solo i russi, si diverte nel creare ogni tipo di malfunzionamento, anche quando sembra che tutto sia andato per il verso giusto!
 
Al momento, il bilancio delle missioni che hanno provato ad atterrare sul pianeta rosso è in passivo: sono più quelle che si sono schiantate rispetto a quelle che effettivamente sono riuscite ad effettuare un atterraggio dolce. 

Perché è così difficile posarsi sulla rossa sabbia del pianeta?
Prima di tutto non si può controllare manualmente la sonda. La distanza che devono percorrere le onde radio è così grande che il segnale viene ricevuto diversi minuti dopo essere stato trasmesso. Poiché la discesa sul pianeta rosso ha una durata inferiore ai 10 minuti, ne consegue che quando si registra il segnale di ingresso della sonda in atmosfera, dopo circa 14 minuti, i giochi sono stati già fatti.
Tutto deve quindi essere gestito in automatico dal computer di bordo della sonda, che non sempre, naturalmente, funziona in modo adeguato.
E di inconvenienti ne possono succedere parecchi. Dal classico crash, odiatissimo anche sui nostri pc, all’errore di conversione di unità di misura, come successe nel 1999 a Mars Climate Orbiter; dall’avaria di qualche sistema al sovraccarico e a falsi allarmi.

Se tutta la parte software funziona nel modo giusto, non è detto che altrettanto faccia la complessa parte hardware.Marte, in effetti, è un incubo per gli ingegneri e i tecnici di missione che devono far giungere qualcosa sulla superficie sano e salvo.
L’atmosfera è abbastanza spessa da creare attrito, quindi un fortissimo calore quando qualsiasi sonda vi impatta, rendendo necessario uno scudo termico per evitare l’esplosione della sonda.Ma allo stesso tempo, la densità non è sufficiente per poter atterrare con un semplice paracadute, come facevano le capsule lunari con gli astronauti di ritorno dalla Luna.
Per questo motivo servono dei sistemi per frenare la corsa, come ad esempio dei razzi. Ma lasciare comandare totalmente in automatico al computer di bordo il controllo dei razzi per atterrare senza problemi sulla superficie, è una scommessa azzardata che poche volte è riuscita.
Per evitare questo problema i tecnici della NASA per le ultime missioni hanno inventato un sistema molto semplice e infallibile per atterrare. Dopo aver superato il calore dell’atmosfera, l’astronave apriva un paracadute che ne rallentava la discesa, poi, in prossimità della superficie una serie di airbag ricoprivano tutta la capsula, che terminava la sua corsa precipitando sulla superficie marziana a circa 300 km/h. Dopo qualche rimbalzo alto fino a 30 metri, finalmente si fermava; il grappolo di palloni si sgonfiava e liberava la capsula contenente il rover, senza che avesse subito alcun danno. 

Con questo sistema poco ortodosso ma efficiente, la NASA portò sani e salvi sulla superficie tre rover su altrettante missioni.
Il metodo degli aribag, però, ha dei limiti evidenti: non si può scegliere con precisione la zona dove si fermerà la corsa della capsula, e non può essere utilizzato per grandi e delicati carichi.
Così, la NASA, con la missione Mars Science Laboratory, che trasportava un grande rover da 900 kg di peso (Curiosity), ha giocato d’azzardo, con un piano d’atterraggio fantascientifico.
La capsula contenente il complesso rover si è immessa nell’atmosfera marziana a una velocità di diversi chilometri al secondo. Durante la discesa, il computer di bordo ha effettuato rapidissime correzioni per dirigersi con la massima precisione verso la zona di atterraggio.
A pochi chilometri dal suolo, diminuita la velocità dalla resistenza dell’atmosfera, un grande paracadute ha rallentato la discesa fino a una velocità di 320 km/h, ancora però decisamente elevata per un comodo atterraggio.
A questo punto il paracadute è stato tagliato e la capsula ha azionato automaticamente i razzi di manovra e discesa, che l’hanno rallentata e guidata verso il punto di atterraggio.
A pochi metri dal suolo, i razzi hanno stabilizzato la capsula come se fosse un elicottero in sospensione nell’aria e un verricello ha calato il rover sulla superficie. Questa manovra è stata necessaria perché se i razzi si fossero avvicinati troppo al suolo la polvere sollevata avrebbe potuto rovinare la strumentazione di bordo.
Con il rover poggiato al suolo, i cavi sono stati tagliati e la capsula ha dato piena potenza ai razzi, consumando il carburante residuo e precipitando a una distanza di sicurezza dal prezioso carico lasciato in superficie.
Tutto questo ha richiesto sette minuti, gestiti completamente in automatico dai computer di bordo, anche perché il segnale per arrivare sulla Terra alla velocità della luce impiegava 14 minuti, quindi quando i tecnici hanno ricevuto i dati che testimoniavano l’ingresso della sonda nell’atmosfera di Marte, essa era già arrivata, integra o in mille pezzi, sulla superficie da circa sette minuti. 

Su Venere o sul satellite di Saturno Titano è sufficiente un semplice paracadute, che aumenta drasticamente le possibilità di successo e limita di molto i costi della missione. Ma la superficie di Venere è troppo calda, mentre Titano è tremendamente lontano, quindi Marte resta comunque l’obiettivo preferito.

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