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lunedì 31 ottobre 2011

Provate ad elaborare queste immagini lunari [Aggiornato]

Molti astroimager sono estremamente gelosi delle proprie immagini, al punto che spesso non rivelano la loro ricetta elaborativa e men che meno mettono a disposizione le immagini grezze o i video.

Questo approccio non lo condivido per due motivi:
  • Dal punto di vista scientifico non è accettabile che chi ottiene dei risultati non riveli in dettaglio il modo in cui è stato ottenuto e non fornisca le immagini originali per le opportune (eventuali) verifiche.
  • Dal punto di vista didattico, come si può imparare se i più bravi invece di aiutarci ci ostacolano cercando di proteggere il loro segreto per paura di essere surclassati?
Su questo secondo punto ci sarebbe moltissimo da discutere, anche in ambiti ben più importanti della passione per l'astronomia, qualcosa di tipicamente italiano di cui nessuno dovrebbe andare fiero.
Questo è un blog di astronomia, non di attualità, quindi rispondendo anche a molte richieste, periodicamente renderò disponibili immagini grezze e video (questi più raramente a causa delle enormi dimensioni), chiedendo a voi di esercitarvi in una specie di elaborazione collettiva che sicuramente ci farà imparare molte cose.

Vi chiedo solamente due cose:
  •  Non spacciate per vostre le mie immagini, anche se l'elaborazione l'avete eseguita voi. Potete pubblicarle, citando però il nome dell'autore e magari un link al mio sito web o a questo blog;
  • Se decidete di partecipare, dovete accettare di rendere pubblico il vostro procedimento elaborativo. Non voglio che sia una vetrina su chi è più bravo, vorrei che ne uscisse qualcosa di costruttivo.
Bene, detto questo iniziamo da qualcosa di relativamente semplice, per poi passare, nei prossimi appuntamenti, a qualcosa di più complicato.

Iniziamo da un mosaico lunare ottenuto il 17 Settembre 2011 al fuoco diretto del mio C14, utilizzando una Lumenera LU075m ed un filtro passa infrarosso da 700 nm.
Il mosaico è composto da 15 immagini, ognuna media di 350 frame su un totale di 1800 acquisiti. La selezione e la media sono state eseguite con Avistack 2.

Cliccando qui trovate il file compresso contenente i 15 fit grezzi da elabotare ed unire a mosaico.

Non vi dico per ora come ho elaborato e quali programmi ho utilizzato, per non condizionarvi.
Dopo che saranno arrivate le vostre prime elaborazioni, vi dirò come ho proceduto io.
Non siate timidi, fatevi sotto! Inviate i risultati direttamente al mio indirizzo mail: danielegasparri[at]yahoo[dot]it (sostituite ad [at] @ e a [dot] il punto), specificando nome, cognome, procedimento e programmi di elaborazione.
Inserirò le vostre immagini complete di dati a seguito di questo post.
Questo è il risultato che ho ottenuto

Aggiornamento: 31/10 09:30
Grazie ad una segnalazione ho corretto il link al mio risultato (prima invisibile) ed ho aperto i commenti a tutti, quindi fatevi sotto!

Aggiornamento 1/11 16:30
Ecco finalmente i primi risultati, direi molto interessanti.

Massimo del Savio:
Utilizzando Photoshop, ho lavorato con i files convertitendoli da MaximDL in BMP (forse non ho fatto bene,ma non conosco un modo per prenderli così come sono ed utilizzarli in PS - MaximDL non lo conosco)
Ho fatto il mosaico con lafunzione Photomerge
Ho fatto un paio di correzioni col gommino per sfumare un bordino rimasto visibile
Ho riempito il nero mancante col secchiello
Ho lavorato al contrasto dei dettagli con il filtro "Contrasto Migliore", utilizzato in 3 passate con calibrazioni diverse

Qui la trovate alle dimensioni originali
Elaborazione di Massimo Del Savio


Adrea Mistretta ha proposto due elaborazioni.

Questa è la prima:
Allora, ho effettuato il tiraggio del wavelet fine con iris, modificato il threshold, gamma e contrasto.
In questo caso non c'è stato bisogno di usare una maschera di sfocatura perchè i file grezzi erano davvero buoni e non si è presentato rumore, neanche dopo il tiraggio.
Ho poi mosaicato con autostich e lavorato con gimp per una postelaborazione, andando a toccare filtri di miglioramento dell'immagine, come affilatura, filtro NL.
Ho anche utilizzato un maschera gaussiana selettiva per eliminare il rumore fuoriuscito con l'affilatura dell'immagine.
Infine, salvato l'immagine in jpg. Niente di impressionante, solo un semplice procedimento. :)


Qui la trovate allle dimensioni originali
Prima elaborazione di Andrea Mistretta

E questa è la seconda, con la descrizione del procedimento elaborativo:
Queta è un'altra prova. Stavolta ho elaborato come faccio di solito per le immagini lunari.
Ho tirato i gaussian wavelets 3:1, 4:1 e 2:1 con registax 6 per ogni singola immagine. Ho riaperto ogni immagine salvata in bmp e tirato ancora usando solo il 3:1, in modo tale da aumentare l'incisività.
Ho aumentato il threshold per ogni immagine, per aumentare la luminosità, lasciando il fondo cielo scuro.
Ho mosaicato con autostich.
Ho lavorato con Gimp sul filtro di migliroamento "affilatura".
Questa volta ho lasciato perdere gamma e contrasto.
 

Qui la trovate alle dimensioni originali
Seconda elaborazione di Andrea Mistretta

sabato 29 ottobre 2011

Giove in opposizione: osserviamolo!

In questi giorni una stella, che però stella non è, brilla in prima serata alta in direzione sud-est, con una luce molto più intensa di tutte le altre.

Come scritto in un precedente post, stiamo osservando il pianeta Giove, che proprio il 29 ottobre si trova in una particolare configurazione geometrica chiamata opposizione.
Questa parola, nel gergo astronomico ci dice che in quel momento il corpo celeste considerato si trova allineato esattamente tra il Sole e la Terra, quindi proprio "alle nostre spalle", sorgendo nel cielo quando la nostra stella tramonta.
Giove e ganimede ripresi con il mio telescopio da 35 cm
Scordatevi altri significati mistico/astrologici che mi fanno rabbrividire al solo pensiero: è semplicemente una configurazione geometrica, che ha importanti conseguenze osservative.
Si, perché è facile intuire che quando un pianeta è in opposizione, si trova nel punto più vicino alla Terra, risultando quindi al massimo della luminosità e delle dimensioni apparenti, per di più facilissimo da osservare in prima serata, dato che raggiunge il meridiano (punto più alto sull'orizzonte) verso mezzanotte.

Giove quindi in queste settimane si mostra più grande e luminoso rispetto ad alcuni mesi fa, facilissimo da riconoscere in cielo e da osservare al telescopio.
Le sue dimensioni apparenti sfiorano i 50" (secondi d'arco), contro il 30" di quando si trova vicino al Sole (congiunzione). La sua luminosità raggiunge quasi magnitudine -3, vale a dire tre volte e mezzo quella di Sirio, la stella più brillante del cielo.

In queste condizioni il pianeta è piuttosto facile da osservare con ogni telescopio.
Già un piccolo rifrattore di 80 mm di diametro, utilizzato a 35 ingrandimenti, ce lo mostra grande quanto la Luna piena vista ad occhio nudo.
Vale la pena raddoppiare questo valore o tripicarlo (se le condizioni atmosferiche lo consentono). A 110 ingrandimenti il pianeta all'oculare è circa tre volte più grande della Luna piena vista ad occhio nudo e mostra molti dettagli, se abbiamo la pazienza di osservare per qualche minuto.

Se siete alle prime esperienze, probabilmente lo continuerete a vedere ancora molto piccolo e faticherete a credere che in realtà è tre volte più grande della Luna piena vista ad occhio nudo. Questa è un'illusione prodotta dal nostro cervello e conseguenza delle condizioni di osservazione non naturali che richiede un telescopio: osservare con un solo occhio in una fessura (l'apertura dell'oculare) di solito stretta, un oggetto immerso nel nero del cielo, inganna il nostro cervello che ce lo fa apparire piccolo.
Questa illusione è la stessa che ci fa apparire il Sole e la Luna molto più grandi quando sono vicini all'orizzonte: le loro dimensioni non variano, ma cambia il modo in cui il nostro cervello interpreta i dati.
Per battere questa illusione serve solamente esperienza; non conviene aumentare l'ingrandimento di molte volte, perché oltre una certa soglia la qualità dell'immagine peggiora (realmente).

Maggiore è il diametro del telescopio utilizzato, migliori sono i dettagli visibili, a patto di osservare in una serata in cui la turbolenza atmosferica è minima.
Questi momenti si verificano con maggiore probabilità quando il pianeta è bello alto in cielo (mai osservarlo all'orizzonte), in assenza di vento, magari con una leggera foschia che ci conferma la stabilità atmosferica, almeno locale.
Non servono cieli trasparenti, ne bui: Giove è così luminoso che possiamo osservarlo anche dal centro di una grande città.
Giove ed i suoi principali satelliti
A primo impatto saltano subito evidenti alcune stelline quasi perfettamente allineate rispetto al disco del pianeta: stiamo osservando le lune più luminose di Giove, avvistate per la prima volta da Galileo Galilei (vi dice niente questo nome?) oltre 400 anni fa e perfettamente osservabili anche con un binocolo.
I satelliti visibili sono 4: Io, Europa, Ganimede e Callisto, che in pochi giorni completano un'orbita attorno al pianeta. Il loro movimento è apprezzabile già dopo 10 minuti di osservazione, o ancora meglio quando uno di essi attraversa il disco di Giove proiettandovi un'ombra scurissima.

Giove osservato con un telescopio di 150-200 mm
I dettagli da osservare sul disco del pianeta sono tantissimi, ma si lasciano svelare solamente ad un'attenta ispezione: scordatevi di mettere la prima volta l'occhio al telescopio e vedere l'esplosione di colori e sfumature che vi può dare un'immagine sul computer. L'osservazione telescopica richiede impegno, esperienza, pazienza e calma. Alcune di queste caratteristiche potrebbero sembrare quasi sconosciute al giorno d'oggi, ma ogni tanto non fa male rilassarsi dopo una lunga giornata, pensando che lo spettacolo che stiamo osservando non sta per scappare e che possiamo passare ore all'oculare del telescopio senza che nessuno ci dica niente.
I tempi astronomici fortunatamente sono molto meno severi di quelli umani.
 
Se comunque preferite delle immagini, allora gustatevi questo sito in cui troverete centinaia di foto amatoriali continuamente aggiornate, provenienti da ogni parte del mondo.

Perché le stelle scintillano ed i pianeti no?

In queste settimane noterete sicuramente una stella molto brillante sorgere in primissima serata e transitare molto alta verso la mezzanotte.
In realtà non si tratta di una stella qualsiasi, e ce ne possiamo accorgere con le nostre forze analizzando la sua luce poco dopo che è sorta.
Le stelle scintillano ed i pianeti no. Perché?
Tutte le stelle, quando sono basse sull'orizzonte, manifestano un effetto detto scintillazione: la loro luce sembra pulsare nel tempo e cambiare colore. Potete accorgevene osservando verso nord estm sempre nelle medesime ore, una stella giallo/arancio, la quale vi sembrerà quasi viva soprattutto nelle giornate ventose.

Come abbiamo avuto modo di dimostrare, questo effetto è da imputare alla turbolenza dell'atmosfera della Terra, al cui interno si sviluppano ingenti moti di masse d'aria eterogenee (diverse temperature e densità), con il risultato che quando osserviamo un oggetto presso l'orizzonte, esso appare come se fosse visto attraverso il calore proveniente da un termosifone caldo.

Tutto molto interessante (forse), se non per un piccolo dettaglio: la stella molto brillante che vi ho detto di osservare non mostra mai questo effetto di scintillazione e cambio di colore.
Perché?
Perché al contrario delle stelle che appaiono puntiformi a causa dell'immensa distanza alle quali si trovano, questo oggetto, pur sembrando un punto ad occhio nudo, ha invece un diametro apparente di tutto rispetto.
Non stiamo in effetti osservando una stella, ma un pianeta, in particolare Giove, il più grande del Sistema Solare. Volete la prova? Puntateci un binocolo o meglio un piccolo telescopio per apprezzarne il disco.

I pianeti, benché appaiono dei punti ad occhio nudo, possiedono un diametro apparente circa 1000 volte maggiore di quello sotteso dalle stelle più grandi e vicine che possiamo osservare.
Di conseguenza, se per disturbare la luce di una stella è sufficiente anche una leggerissima agitazione atmosferica, per disturbare quella dei pianeti, che si espande su un cono dal diametro diversi secondi d'arco, servono masse d'aria che alla distanza alle quali le osserviamo abbiano questo diametro.

Il discorso sembra un po' contorto, spero di spiegarlo meglio.
Ricapitoliamo il nostro obiettivo: capire in modo oggettivo, senza ricorrere a fantasiose teorie, perché la luce delle stelle stintilla e quella dei pianeti no.
La luce che proviene da una stella la possiamo immaginare come un cono infinitamente lungo e largo quanto il diametro apparente che la stella ci mostra, attorno ad 1/1000 di secondo d'arco.
La turbolenza atmosferica si sviluppa nella troposfera, quindi entro 12 km dalla superficie.
Supponiamo, per semplicità, che l'origine è a 10 km dalla superficie.
Per far scintillare la luce stellare, è necessario che le diverse masse o bolle d'aria, che si frappongono tra noi e la sua luce, abbiano un diametro paragonabile a quello del fascio luminoso della stella, ovvero circa 1/1000 di secondo d'arco.
Se le masse d'aria turbolente distano da noi circa 10 km, 1/1000 di secondo d'arco (lo stesso diametro apparente della stella) corrisponde ad una dimensione tipica di 5 micron (abbiamo applicato un po' di trigonometria). Questo significa che anche minuscole increspature o disomogeneità di questo diametro riescono a distrubare la luce della stella.

Per i pianeti il modo di procedere è lo stesso, ma cambiano le dimensioni.
Giove ha un diametro tipico di 40", quindi serviranno bolle atmosferiche di queste dimensioni per disturbare la sua luce, che altrimenti non produrrà l'effetto di scintillazione. Alla quota di 10 km, 40" corrispondono a circa 20 centimetri: solo celle atmosferiche di questo diametro, che possiedono temperature diverse e si susseguono in sequenza, possono produrre un cambiamento significativo della luce che osserviamo.

A questo punto, nei dati è scritto in modo chiaro perché la luce delle stelle scintilla e quella dei pianeti no (o molto raramente): bastano disuniformità su scala piccolissima per modificare la luce stellare, mentre per quella dei pianeti servono disomogeneità di circa 20 centimetri, estremamente rare.
 
L'atmosfera della Terra la possiamo infatti considerare come un largo fiume in scorrimento. Se osserviamo da vicino, noteremo le inevitabili increspature dell'acqua, che però si presentano su una scala millimetrica o inferiore. Se lo osserviamo abbastanza lontano da non riuscire ad osservare dettagli inferiori ai 20 centimetri, le piccole increspature sembrano scomparse e il fiume ci appare perfettamente piatto ed omogeneo.

Se sotto il pelo dell'acqua immergiamo un laser che produce una luce con un fascio strettissimo e la facciamo incidere su uno schermo fuori dall'acqua, noteremo un forte effetto di scintillazione, mentre se immergiamo un lampione opaco grande quanto una palla da calcio, sullo schermo non noteremo significativi cambiamenti di luce, proprio perché su questa scala l'effetto delle piccole increspature di fatto si annulla.

Non importa se nelle nostre osservazioni tutti gli oggetti stellari o planetari ci sembrano dei punti; quello che conta non è il potere risolutivo del nostro occhio, ma le proprietà degli oggetti, che restano le stesse anche se i nostri sensi non riescono a percepirle.

venerdì 28 ottobre 2011

Appuntamento con Paolo Attivissimo a Perugia il 31 Ottobre

Il prossimo 31 Ottobre sarà ospite dell'associazione astrofili Paolo Maffei e del POST (Perugia Officina per la Scienza e la Tecnologia) il giornalista informatico, nonché cacciatore di bufale Paolo Attivissimo, con una conferenza dal titolo molto promettente: UFO: trucchi, inganni e speranze.
La conferenza avrà inizio alle 21:30 presso la sede del POST (Piazza del Melo, a due passi dal centro storico di Perugia) e sarà introdotta, per chi vorrà, da un aperitivo/cena con intrattenimento musicale, a partire dalle 19:30. Qui trovate la locandina dell'evento , mentre qui trovate il programma della serie di conferenze che si terranno nel mese di Novembre e Dicembre di cui Attivissimo rappresenza uno scoppiettante inizio.

La conferenza è gratuita, mentre per la partecipazione (facoltativa) alla cena è richiesto un piccolo contributo di 8 euro.
A causa del numero limitato di posti, la prenotazione è comunque obbligatoria (altrimenti rischiate di dovervi assistere dal corridoio!).
Per prenotarvi, specificando se intendete venire anche all'aperitivo o solo alla conferenza, chiamate il numero: 075 5736501 (POST Perugia).

Vi aspetto per celebrare un Halloween diverso dal solito!

Attenzione: macchia brillante su Urano!

Tempi di tempeste fuori da comune per i pianeti remoti.
Dopo la sparizione della banda equatoriale sud (SEB) su Giove durante l'opposizione del 2010, e dopo la grande tempesta che ha imperversato su Saturno fino a pochi mesi fa, ora il testimone è passato ad Urano, pianeta solitamente piuttosto tranquillo.
Una brillante nube su Urano: probabile tempesta
Proprio qualche giorno fa (26 Ottobre) gli astronomi al telescopio Gemini di 8 metri di diametro hanno scoperto una piccola nube (dimensioni di 0,33") estremamente brillante nel vicino infrarosso.
L'immagine, che potete vedere a sinistra, è stata ripresa alla lunghezza d'onda di 1,6 micron, purtroppo inaccessibile agli astrofili, che però hanno una grandissima opportunità.

Le esperienze degli scorsi mesi ci hanno infatti insegnato una cosa fondamentale: gli astronomi non hanno le risorse per seguire continuamente e caratterizzare nel tempo un certo evento, per quanto spettacolare ed interessante possa essere.
Questo caso non fa eccezione: gli scopritori della macchia si sono rivolti alla comunità amatoriale affinché riprenda delle immagini per individuarne meglio la posizione e monitorarne l'evoluzione.
La caratterizzazione esatta della posizione (e del moto di deriva) sarà fondamentale anche per indirizzare i potenti telescopi che sicuramente nei prossimi giorni cercheranno di capire qualcosa in questo evento unico nella storia osservativa del pianeta .

La piccola macchia è estremamente luminosa (oltre 3 volte la luminosità media superficiale del pianeta) e benché sia di ridotte dimensioni, c'è un'ottima possibilità che possa essere ripresa anche con telescopi di 20-25 centimetri, magari muniti di un filtro passa infrarosso.
Nell'immagine del 26 Ottobre, si trova alla longitudine planetaria di 323°, con una deriva stimata in 2° al giorno.
Probabilmente, sebbene con contrasto minore, è visibile anche a 700-800 nm, finestra tipica dei filtri infrarossi e delle camere amatoriali.
L'astronomo Paolo Tanga ha confermato che alcuni astrofili sono riusciti a catturare la tempesta, quindi non tiratevi indietro e se riuscite inviate le immagini, complete di tutti i dati tecnici, alla mailing list dell'UAI dedicata allo studio dei pianeti.

A livello fisico e dinamico, la piccola nube potrebbe essere simile alla grande tempesta apparsa su Saturno lo scorso dicembre che ha poi abbracciato tutta zona temperata nord.
Chissà se l'evoluzione sarà analoga. Di certo un pezzo di questa che si prevede un'interessante storia, potrebbe essere scritto proprio da voi.

mercoledì 26 ottobre 2011

UFO nel cielo? L'incredibile caso degli orbs

Post un po' lungo, spero mi possiate perdonare

Con il termine inglese orbs si identifica la comparsa di piccole sfere di luce in alcuni video ed immagini.
Un'invasione aliena? Luogo infestato di fantasmi? Direi proprio di no!
Nei video il fenomeno è ancora più curioso, perché queste sferule sembrano muoversi in direzioni definite e comparire e scomparire da un momento all’altro. 

Se non fossimo condizionati da chi ci dice di credere a priori e senza ragione a spiegazioni a dir poco fantasiose, per scoprire la verità su questo strano fenomeno basterebbero pochi ma semplici esperimenti e magari un po’ di esperienza di fotografia o video.

Alcuni vogliono farci credere, usando i mezzi di comunicazione di massa che queste sferule siano entità soprannaturali, fantasmi, che infestano in particolare alcuni luoghi dove sono accaduti fatti ed eventi misteriosi.
Quali sono le prove a supporto?
Nessuna, anzi, a volte mi sembra di assistere ad un attentato contro l'intelligenza degli spettatori. Si, perché mi spiace dirlo, ma chi mai potrebbe veramente credere ad una cosa del genere?

Purtroppo in una televisione squisitamente commerciale, coloro che conquistano il diritto di parlare in trasmissioni televisive ci riescono unicamente perché la loro idea è commercialmente valida e serve per catturare il maggior numero possibile di telespettatori.
La realtà delle affermazioni cade in secondo (o terzo) piano, mentre si esaspera il lato misterioso ed intrigante della vicenda. Poco importa se è tutta finzione; l’importante è che se ne parli.
Mi permetto di darvi un consiglio: credere indistintamente a tutto quello che passa attraverso il vaglio di operatori commerciali è sbagliato.
Se state leggendo questo post significa che avete a cuore l’uso del mezzo più potente dell’uomo: la capacità di ragionare, che non dovrebbe mai perdersi, a prescindere dal personaggio che vi narra i fatti. Questo vale anche per quello che vi sto raccontando in queste pagine. 
Non voglio essere creduto a priori; vorrei semplicemente comunicarvi un senso critico e qualche strumento di analisi per difendervi dall’assalto mediatico dei giorni nostri. 

Torniamo al discorso degli orbs.
Prima di proporre la mia tesi (anzi, prima di proporvi il ragionamento e le prove a sostegno della mia tesi, è ben diverso!), vi faccio una domanda volutamente provocatoria: su quale base si asserisce che queste sferule siano la prova dell’esistenza di entità soprannaturali? Ovvero, quale potrebbe essere il ragionamento logico per asserire una cosa del genere? Sarà un mio limite, ma io non riesco a concepirlo.

Bene, cominciamo la nostra analisi lasciando da parte giuzidi e pareri che non ci aiutano.
Osservando attentamente un video o un’immagine, ci accorgiamo che questi orbs hanno tutti delle dimensioni circolari e dei segni particolari al loro interno. Essi si spostano, quindi non sono effetti imputabili a difetti del sensore o alla comparsa di raggi cosmici. Non sembra neanche trattarsi di riflessi, visto che il loro numero cambia, pur rimanendo fissa la fonte di illuminazione. 

A questo punto sembra effettivamente che si tratti di dettagli reali, appartenenti alla scena ripresa. 
Ma che tipo di dettagli sono?
Se l’immagine ed il video sono stati ripresi nel visibile, perché queste sferule non sono visibili all’occhio umano, che ha addirittura una sensibilità migliore di qualsiasi dispositivo di ripresa? Questo fatto ci dovrebbe mettere qualche dubbio a riguardo, ma andiamo avanti.

Possiamo a questo punto fare una prova molto interessante, che ci permette di stabilire a quale distanza si trovano questi oggetti reali.
Prendiamo due fotocamere distanziate di almeno una ventina di centimetri e scattiamo due foto contemporaneamente, con la stessa inquadratura.
Questa semplice esperienza ci permette di fare quella che si chiama triangolazione: l’osservazione da due punti di vista leggermente diversi, fornisce informazioni sulla distanza degli oggetti rispetto ad uno sfondo lontano.

Se questi oggetti sono molto vicini all’obiettivo della fotocamera, la loro posizione nelle due fotografie, rispetto allo sfondo, cambierà sensibilmente.
Se sono molto lontani, la posizione rimarrà quasi la stessa.
Non è finita qui, perché conoscendo la distanza e le dimensioni sul sensore, possiamo scoprire anche le loro dimensioni reali. A prescindere da quello che sono (ancora troppo presto per dirlo), potremmo ricavare molti preziosi dati!

Bene, mi dispiace dirvelo, ma se facciamo questa esperienza scopriamo che nessuna delle sferule che si vedono in una ripresa è presente anche nell’altra!
Se ammettiamo che sono reali e non frutto di rumore/riflessi, dobbiamo concludere che sono così vicine all’obiettivo che ognuno ne inquadra di diverse. 

Le sferule presenti sono così tante che è impossibile riconoscere quelle eventualmente comuni alle due immagini? Proviamo allora a fare dei video con due videocamere attaccate che inquadrano sempre la stessa zona.
Dal movimento delle sferule (generalmente omogeneo), siamo in grado di riconoscere quali sono quelle presenti in entrambe le immagini: di nuovo nessuna, anzi, si assiste all’impressione che un gruppo prima sia visibile in una videocamera e poi, quando esce dal campo, compare nell’altra, nonostante le due videocamere inquadrino la stessa zona! 
Senza fare complicati calcoli, questa è la prova definitiva che i dettagli si trovano a pochissima distanza dalle lenti degli obiettivi, non più di qualche centimetro.
Se sono a distanza così ridotta e sull’immagine appaiono ancora piccole rispetto al campo inquadrato, devono avere dimensioni minuscole, inferiori ad 1 millimetro. 

Cosa potrebbe essere secondo voi?
E’ più possibile che siano entità paranormali o della semplice polvere illuminata dal flash della fotocamera (guarda caso sono fotografie fatte sempre al buio) o dagli illuminatori a raggi infrarossi delle videocamere (con l’effetto simile al flash)?

Non siamo ancora convinti?
Indaghiamo la loro forma.
Tutte le sferule sono sferiche, con dei cerchi concentrici all’interno. 
Si potrebbe obiettare, giustamente, che i granelli di polvere non hanno mai questa forma, a cosa è dovuta?
Avete mai osservato attraverso un telescopio a lenti (rifrattore) o un binocolo? Oppure, avete mai osservato ad occhio nudo un lampione incrociando gli occhi?
In tutti questi casi, come vi appaiono le sorgenti puntiformi (stelle, lampioni)? 
Della stessa forma e struttura degli orbs

A questo punto non è difficile capire che queste sferule sono in realtà granelli di polvere minuscoli illuminati dal flash o dal sensore a raggi infrarossi, che appaiono di forma sferica perché rispetto alla scena sono semplicemente fuori fuoco!
Se così non fosse, allora tutte le stelle del cielo viste attraverso un telescopio non a fuoco sarebbero delle entità paranormali!

Volete la prova del nove che vi convinca che si tratta di granelli di polvere?
Prendete una videocamera a led infrarossi e andate in una stanza completamente buia. Riprendete dei video e fate controllare ad un vostro amico cosa vede sullo schermo del computer che riceve le immagini (posto in un’altra stanza).
Ad un certo punto prendete un tappeto e cominciate a sbatterlo.
Le sferule aumenteranno di numero e cominceranno a viaggiare a grandi velocità: tutto normale, state togliendo la polvere dal vostro tappeto!
Riponete il tappeto ed uscite dalla stanza; aspettate un po’ e vedrete, magicamente, che le sferule diminuiranno di numero e saranno meno agitate.

Perché le sfere di luce appaiono però di diverse grandezze?
Semplice, perché non tutti i granelli di polvere si trovano alla stessa distanza dal sensore, quindi qualcuno sarà più sfocato (e grande) di altri a distanza maggiore. 

Perché qualche volta, soprattutto ai bordi, la forma non è più sferica?
Dipende da due fattori: il primo dalla forma del granello di polvere e dall’angolazione della luce; il secondo dai difetti ottici di tutti gli obiettivi economici che distorcono le immagini ai bordi del campo.

Perché i colori sono diversi?
Perché dipende dalla composizione chimica del granello. Ad esempio i pollini dei fiori (che producono lo stesso effetto) tendono ad avere tonalità leggermente più gialle.

Perché in alcune fotografie sembrano lasciare una scia? 
Perché il tempo di esposizione di una foto scattata con un flash è dell'ordine di 1/40-60 di secondo, sufficiente a far venire mossi i granelli che si muovono a (relativamente) grande velocità in direzione parallela alla lente dell'obiettivo.

Coloro che possiedono uno strumento astronomico, forse vedranno in queste sferule qualcosa di familiare.
Se effettivamente con il vostro telescopio puntate una stella e sfocate l'immagine, magicamente otterrete un primo piano di un orbs: in questi casi stiamo effettivamente osservando un oggetto alieno, una stella distante decine di anni luce.
Vi consiglio però di mettere a fuoco l'immagine, così potete condurre un'osservazione più emozionante.

Orbs (sinistra) a confronto con una stella sfocata (a destra). Che ne pensate?

In effetti queste sferule di luce hanno due grandi utilità, di cui forse una non sarà proprio apprezzata da tutti:
  1. Costituiscono un buon metodo per i vostri genitori o vostra moglie/compagna per controllare se davvero avete spolverato la casa come vi è stato gentilmente (!) richiesto.
  2. Vi permettono di studiare la qualità dell'obiettivo che ha fatto la foto. In astronomia si chiama star test, e probabilmente non c'è niente di meglio di una stanza polverosa per studiare la qualità ottica del vostro nuovo obiettivo fotografico lungo tutto il campo inquadrato. Chissà se questa motivazione può funzionare come scusa per non aver sbrigato le faccende di casa!
Proverò e vi farò sapere!

martedì 25 ottobre 2011

Il Sole come non l'avete mai visto

La fotosfera solare è lo strato "superficiale" della nostra stella, un sottile involuco gassoso (spesso circa 300 km) responsabile della quasi totalità della radiazione elettromagnetica che riceviamo.

Osservando con un apposito filtro solare, nella fotosfera possiamo osservare molti dettagli.
Tra le caratteristiche più evidenti troviamo le macchie solari, gigantesche regioni che sembrano più scure perché si trovano ad una temperatura di circa 1000° inferiore rispetto a quelle adiacenti.
Le macchie solari sono zone in cui il forte campo magnetico locale blocca la risalita di masse gassose, con la conseguenza che senza un opportuno ricircolo, il gas in superficie ben presto si raffredda e sprofonda.
In effetti le macchie solari sono immense voragini profonde centinaia o migliaia di chilometri, prive di un efficiente scambio di calore tra la superficie e le profondità del Sole.

Lontano dalle macchie solari, possiamo capire meglio come funziona la fotosfera, attraverso l'osservazione e lo studio della granulazione.
La fotosfera è costellata da immense bolle di gas, dal diametro tipico di 1000 km, in rapida evoluzione.

Nelle profondità della nostra stella il gas riscaldato forma delle sacche e lentamente si solleva fino a raggiungere la fotosfera. Il granulo quindi diventa visibile, ma ben presto libera il suo calore, si espande e si dissolve. Il gas, ormai raffreddatosi, diventa più pesante dell'ambiente circostante e torna nelle profondità da cui è venuto, lasciando il posto ad un altro grano in risalita.
In effetti la granulazione solare somiglia molto alle bolle d'aria che osserviamo in una pentola in ebollizione, e non potrebbe essere altrimenti, visto che il principio fisico alla base è il medesimo.

Una delle immagini più dettagliate della fotosfera solare
Tutti questi dettagli appena descritti sono alla portata di un telescopio amatoriale ed una camera digitale, come vi ho mostrato qualche post fa.

Siete però curiosi di capire quale risoluzione raggiungono i migliori telescopi solari attualmente esistenti?
Allora non potete non guardare la spettacolare immagine della fotosfera e di una macchia solare ripresa nel 2002 dal telescopio solare svedese di un metro di diametro installato nell'isola di La Palma, nelle Canarie.
Ammirate questa ripresa effettuata nel vicino infrarosso, che mostra dettagli inferiori ad 1/10 di secondo d'arco, corrispondenti a circa 50 km.
Ammiratela e soprendetevi dell'incredibile bellezza e potenza della stella madre di tutta la vita che possiamo osservare sulla Terra.

lunedì 24 ottobre 2011

Ufo nel cielo? Forse solo limiti dei sensori digitali

Molti degli avvistamenti di fantomatici oggetti volanti non identificati derivano dall’analisi di alcune fotografie amatoriali, spesso scattate con mezzi di fortuna. 

La prima domanda alla quale dobbiamo rispondere è semplice. 
Una fotografia a colori mostra esattamente quello che è in grado di percepire l’occhio umano: se nella foto compare qualcosa di strano e se quel qualcosa è reale, perché non è stato osservato anche ad occhio nudo? Perché ci si accorge di qualcosa di insolito solamente analizzando a posteriori una fotografia, quando non si è notato alcunché durante lo scatto?

Il metodo scientifico è impietoso: se un evento non è mai confermato da altre osservazioni/osservatori, allora molto difficilmente può essere reale.
Al di la del metodo scientifico, la semplice logica può essere sufficiente: è più probabile che un punto ripreso in un’immagine, non osservato da nessun’altro, sia reale, o che semplicemente la fotografia contiene quelli che si chiamano artefatti, ovvero dettagli fittizi introdotti dal sensore, dall’obiettivo, dalle condizioni di illuminazione, dall’elettronica della camera, e chi più ne ha ne metta?

Polvere sul sensore di ripresa
Molti sensori digitali quando sono diretti su uno sfondo uniformemente luminoso (come il cielo diurno) lasciano trasparire dei difetti che in altre situazioni sono nascosti dai dettagli ripresi.
Un esempio tipico è causato dalla presenza di granelli di polvere, che si manifestano come dei punti neri di piccolo diametro. Questi punti spesso sono associati ad oggetti volanti nel cielo, ma se questo fosse vero, possibile solo una fotocamera abbia registrato questo evento? 

Un hot pixel può essere scambiato per UFO
Per verificare la presenza di polvere è sufficiente misurare la posizione del punto sospetto: essa resta fissa a prescindere dall’inquadratura, quindi è sufficiente eseguire due fotografie variando leggermente l'inquadratura. 

Nel caso di sensori di scarsa qualità, o quando si fanno esposizioni al cielo notturno, si introducono altri due difetti, l’uno imputato al cielo, l’altro al sensore stesso.
Tutti i sensori digitali soffrono del cosiddetto rumore termico: quando sono esposti a tempi lunghi e in scene scarsamente illuminate, manifestano decine di puntini bianchi o colorati. Questi punti non sono reali ma semplice rumore. Potere fare una prova misurando la loro posizione, che resta fissa nonostante cambiate inquadratura.
Questo rumore, detto elettronico, dipende dalla temperatura del sensore, quindi può essere più o meno visibile a seconda delle condizioni ambientali.

Raggio cosmico di fronte ad una galassia
Il secondo tipo di disturbo deriva direttamente dal cielo e si chiama raggio cosmico.
Quando una di queste particelle impatta la superficie del sensore, esso registra informazione come se fosse stato compito dalla luce, producendo un punto bianco che in alcuni casi può diventare una linea. 

Se non credete alle spiegazioni che vi ho dato, cercate di dare consistenza a teorie alternative dimostrando che il fenomeno è reale e situato nello spazio.
Come fare? 
Basta scattare due foto contemporaneamente con due diverse fotocamere vicine tra di loro. Se eventuali punti sono lì fuori, essi si ripetono con la stessa intensità e luminosità in entrambe le immagini. Questa è la prova indipendente che il metodo scientifico, ma la semplice ragione, dovrebbe richiedere per dare consistenza ad altre ipotesi, che restano altrimenti semplici fantasie. 

Per rilevare i raggi cosmici potete usare un fotomoltiplicatore e accorgervi che circa 5 particelle ogni minuto colpiscono il vostro corpo: inquietante ma vero!

sabato 22 ottobre 2011

I veri colori della Luna

Di che colore vi sembra la Luna osservata di notte?
La risposta sembrerebbe scontata: di un giallo pallido.
Prossima domanda: perché la Luna ci sembra di questo colore?
Risposta meno scontata, ma ancora semplice: perché riflettendo la luce del Sole, ci appare quindi dello stesso colore della nostra stella.
A questo punto vi chiedo: ma è proprio così? Possibile che la Luna rifletta perfettamente la luce del Sole senza modificarne affatto il colore?

Minelar moon: i veri colori della Luna
La risposta adesso non è più ne banale, ne semplice.
Nelle nostre esperienze quotidiane, sappiamo che un oggetto ci appare di un colore perché preferisce riflettere (meglio, diffondere) una certa lunghezza d'onda piuttosto che un'altra.
Le foglie degli alberi sono verdi perché diffondono meglio la radiazione verde piuttosto di quella blu o rossa.
Solamente un foglio bianco diffonde allo stesso modo tutti i colori di cui è composta la radiazione solare e ci appare quindi dello stesso colore della nostra stella.
Se la superficie della Luna ci sembra dello stesso colore del Sole, ne dobbiamo dedurre che la sua superficie diffonde allo stesso modo tutte le lunghezze d'onda, proprio come un foglio bianco (o grigio scuro).

In realtà in natura non esistono minerali che diffondono perfettamente allo stesso modo tutte le lunghezze d'onda. In parole diverse, ogni minerale o specie molecolare si presenta con una colorazione tipica.
Volete un esempio? Le distese di sabbia del deserto del Sahara sono più chiare delle rocce tipicamente rosse dei deserti australiani.
In effetti, se osserviamo la Terra dallo spazio, grazie ai satelliti, vediamo che la superficie cambia colore a seconda della composizione chimica.

Cosa possiamo dire allora per quanto riguarda la Luna? E' possibile, osservando attentamente il colore, mettere in evidenza delle differenze introdotte dalla diversa composizione chimica del suolo (o meglio, dalle diverse abbondanze dei minerali)?
La risposta è affermativa, anche se i nostri occhi non hanno la sensibilità per osservare le tenui differenze di tonalità effettivamente presenti.

Fortunatamente è sufficiente una macchina fotografica applicata ad un telescopio e scattare immagini a colori.
A prima vista l'immagine riprodurrà quello che vede l'occhio, ma questa è solo una piccola parte del segnale raccolto dal nostro sensore digitale.
Se correggiamo la tonalità giallastra facendola diventare bianca e poi alziamo di molto la saturazione dei colori, quello che otteniamo sono le vere tonalità del nostro satellite naturale, una mappa che ci dice come cambia la composizione chimica del suolo selenico.

E' molto difficile estrapolare dei dati quantitativi analizzando semplicmente il colore dell'immagine, ma ora possiamo dire che queste tonalità sicuramente dipendono dalle diverse abbondanze dei minerali in superficie.
Un esempio? Le zone tendenti al blu possiedono maggiori quantità di titanio e ferro, mentre quelle rosse sono povere di questi elementi.

La semplice tecnica che ci consente di riprendere i colori del suolo lunare si chiama mineral moon, termine inglese che significa letteralmente luna minerale, ed è alla portata di ogni reflex digitale ed un piccolo telescopio o un telobiettivo. L'importante è eseguire scatti in modalità RAW (non in jpg) e mediarne almeno una ventina per ridurre il rumore residuo dell'immagine.

venerdì 21 ottobre 2011

Ufo nel cielo? Forse solo stelle brillanti

Tra gli avvistamenti più frequenti di presunti ufo, si posiziona un effetto ottico che inganna molte persone non esperte: la scintillazione dell’atmosfera terrestre.
Quando una stella particolarmente brillante si trova prossima all’orizzonte, sembra pulsare, variando la sua luminosità in brevissimi intervalli di tempo e cambiando spesso colore.

Non si tratta chiaramente di un oggetto non identificato dotato di un’intelligenza propria e non è neanche un satellite artificiale, è semplicemente l’effetto dell’atmosfera terrestre sulla luce stellare.

Per capire questo strano e curioso meccanismo, che a volte è artefice di alcuni interessanti spettacoli (soprattutto quando coinvolge Sirio, la stella più brillante del cielo), dobbiamo capire come si comporta la nostra atmosfera e quali sono gli effetti che può causare.
Purtroppo, e lo dico davvero a malincuore, quando si assiste ad uno spettacolo del genere le persone, manipolate dal pensiero di molti mass-media, subito pensano a qualche evento biblico, come l’arrivo di navicelle aliene, la fine del mondo e chi più ne ha ne metta.
Per capire che non si tratta di nulla di ciò, basterebbe osservare per una mezz’oretta, fare qualche semplice ricerca, oppure porsi delle domande, invece di credere ciecamente agli scenari apocalittici che ogni giorno certi mezzi di comunicazione ci propongono con insistenza.

Facciamo insieme una prova del genere.
A novembre, in prima serata, verso l’orizzonte sud-est, possiamo ammirare un oggetto piuttosto particolare e strano: un punto piuttosto luminoso che pulsa ed è scomposto nei colori dell’iride. Questo punto sembra fermo e ci incuriosisce molto: cosa sarà?

Prima di trarre conclusioni affrettate, dobbiamo raccogliere più informazioni, altrimenti potrebbe essere anche una mosca cosparsa di benzina che sta prendendo fuoco in lontananza.
La prima cosa da fare è osservare e capire, ad esempio, se quel punto si muove; se si, in quale direzione e con quale velocità. 
Poi possiamo capire se il fenomeno di pulsazione e cambiamento dei colori si mantiene costante nel tempo, o dipende da qualche variabile (ad esempio la posizione nel cielo). 
Sarebbe anche utile capire se può trattarsi di un lampione difettoso o di qualcosa molto più distante. Per fare questo basta confrontare la sua posizione con riferimenti vicini del nostro orizzonte ed eventualmente spostarci di qualche metro per capire se l’oggetto cambia posizione (allora è vicino) oppure no (allora è lontano almeno qualche centinaio di km).
Se sappiamo già che in quella zona non può esserci un lampione, allora c’è l’ipotesi, forte, che questo oggetto si possa trovare molto lontano. 

Escludiamo che si tratti di una meteora lenta, un satellite o un aeroplano che ci viene incontro.
Per fare questo basta osservare per 4-5 minuti e capire se esso ha cambiato posizione. Se non è così, allora si tratta probabilmente di un oggetto addirittura fuori dalla nostra atmosfera. Per averne la conferma possiamo chiamare un amico distante almeno cento km e farci dire se lui lo vede e se si trova nella stessa identica posizione.
Egli vi confermerà il comportamento e la posizione che state osservando.

A questo punto è evidente che questo oggetto deve essere lontano almeno qualche milione di km, altrimenti si noterebbe uno spostamento tra le posizioni dei due osservatori.
Vista la luminosità, può essere solo un pianeta o una stella.

Bene, abbiamo escluso la natura terrestre, sebbene non abbiamo ancora dato spiegazione dello scintillio e dei colori visibili.
Per avere la conferma che si tratti di una stella o un pianeta, aspettiamo una mezz’ora per vedere cosa succede.
L’oggetto si è spostato, ora è più alto sull’orizzonte e scintilla un po’ meno. I colori, soprattutto, sembrano molto meno accesi di prima.
Se abbiamo avuto l’accortezza di confrontare la sua posizione con quella di qualche stella, possiamo notare come, benché si sia spostato, esso abbia mantenuto la stessa posizione rispetto alle stelle, le quali si sono spostate per effetto della rotazione terrestre. 

Bene, sicuramente questa è la pistola fumante: l’oggetto peculiare è una stella o un pianeta, perché segue il verso e l’intensità della rotazione della Terra.
A questo punto possiamo andare a consultare qualche mappa del cielo per capire se in quella posizione si può trovare un pianeta o una stella, e intanto essere sicuri che anche dopo una pausa di un’ora esso si troverà ancora nel cielo, sebbene in una posizione diversa e più alto sull’orizzonte.
Se lo osserviamo di nuovo dopo questo intervallo di tempo, notiamo che qualcosa è cambiato: le dimensioni sembrano più piccole, la pulsazione si è drasticamente ridotta e non sono più visibili quei giochi di colore di prima. 

A cosa era dovuto allora quell’effetto? Perché ora che è più alto non si comporta più come prima?
Non siamo in grado di dare una spiegazione ancora. Per il momento cerchiamo di identificare l’oggetto su una carta celeste, scoprendo che si tratta della stella Sirio. Rimandiamo al giorno dopo, alla stessa ora, la conclusione sul perché Sirio inizialmente scintillava.
La sera dopo, alla stessa ora, si ripresenta lo stesso fenomeno: quando Sirio è bassa e sta sorgendo mostra pulsazioni irregolari e i colori, che si attenuano mano a mano che sale sull’orizzonte.
Se facciamo un po’ di attenzione e ci aiutiamo con un binocolo o un piccolo telescopio, potremmo riconoscere questo comportamento in ogni stella che si trova bassa sull’orizzonte, mentre quelle alte non presentano questo fenomeno, almeno non su questa scala. 

Lo stesso copione si ripete sera dopo sera, tutte le sere in cui c’è sereno, sebbene con alcune variazioni. Quando il cielo è terso e spazzato da vento di tramontana l’effetto di scintillio è più marcato; viceversa, quando l’atmosfera è calma e c’è anche un po’ di foschia, è meno evidente.

Bene, a questo punto, quali sono le vostre conclusioni?
L’unica conclusione è che il fenomeno, che riguarda tutte le stelle, è causato dalla nostra atmosfera, dall’aria che noi stessi respiriamo.
In effetti l'atmosfera terrestre non è per niente calma. In essa si concentrano moti di masse d’aria, sia in orizzontale che in verticale.

Il moto di masse d’aria causa una distorsione delle immagini degli oggetti posti fuori dall’atmosfera terrestre, in particolare delle stelle.
L’effetto è lo stesso che si può osservare guardando un panorama posto poco sopra un termosifone caldo, oppure quando d’estate osserviamo lungo una strada rovente e notiamo le immagini in lontananza distorte.
Minore è l’altezza sull’orizzonte dell’oggetto, maggiore è lo strato atmosferico che la sua luce attraversa, maggiori saranno le distorsioni della luce. 

La scomposizione dei colori è da imputare a due effetti: da una parte l’entità della turbolenza dipende criticamente dalla lunghezza d’onda della luce, quindi la parte blu dello spettro viene disturbata in modo diverso dalla parte rossa. Dall’altra parte c’è da notare che la nostra atmosfera si comporta anche come un prisma, scomponendo le immagini di ogni oggetto basso sull’orizzonte. Anche in questo caso l’entità della dispersione è legata all’altezza dell’oggetto sull’orizzonte.

Abbiamo imparato una cosa nuova: le luci fisse che pulsano e appaiono colorate vicino all’orizzonte sono in realtà stelle la cui immagine è distorta dalla nostra atmosfera; niente oggetti peculiari, niente ufo, solo un effetto curioso e affascinante per le persone comuni, un dramma per astrofili e astronomi. La turbolenza atmosferica, infatti, distrugge le osservazioni in alta risoluzione.

mercoledì 19 ottobre 2011

Alta risoluzione con ogni telescopio

Se siete appassionati di riprese in alta risoluzione dei corpi del sistema solare, oppure semplici curiosi che cercano di comprendere con quali strumenti si possono avere dettagliate visioni dei pianeti brillanti e della Luna, probabilmente avrete ben compreso che servono telescopi di diametro generoso.
Non è un caso se gli astroimager più bravi utilizzano pesanti (ed ingombranti) strumenti di oltre 30 centimetri di diametro, con i quali ottengono magnifiche riprese planetarie.

Polo nord lunare con un rifrattore da 10 cm
A parte il costo elevato, l'utilizzo di un grande diametro, sebbene permetta di vedere di più e meglio di uno più piccolo (con alcuni distinguo dei quali non voglio parlare ora), richiede delle attenzioni molto particolari.
Uno strumento da 35 centimetri in configurazione Schmidt-Cassegrain, come ormai ve ne sono molti in circolazione, richiede una postazione semi-fissa (o un fisico da palestrato), una buona montatura e tutta una serie di attenzioni (quasi maniacali) per farlo lavorare al massimo delle potenzialità, tra cui: collimazione precisissima e controllata ogni sera, equilibrio termico con l'ambiente esterno, posizione che eviti vibrazioni e che minimizzi il calore restituito dalle abitazioni e dai centri urbani.
Insomma, morale della favola: molti hanno un gran bel telescopio, ma pochissimi lo sfruttano al 100% delle loro possibilità, azzarderei non più di 4-5 persone in tutto il mondo.

Quando le cure e gli accorgimenti da prendere per far funzionare il proprio strumento cominciano a prendere molto più tempo di quello passato ad osservare o riprendere gli oggetti celesti, c'è il rishcio che la passione, per quanto forte possa essere, prima o poi venga inesorabilmente logorata.
Se avete riconosciuto un accenno autobiografico in questo racconto, probabilmente non avete sbagliato di tanto, ma non è neanche questo l'argomento del post.

Molti appassionati alle prime armi mi chiedono spesso quale strumento acquistare per fare belle immagini planetarie. Alcuni, forse impulsivamente, passano di telescopio in telescopio alla ricerca di qualcosa che nessuno strumento può darci: pazienza, determinazione, voglia di sperimentare, esperienza.

Proprio partendo dalla voglia di sperimentare, mi sono posto una domanda: è veramente assolutamente necessario possedere un telescopio di grandi dimensioni per riprendere belle immagini di Luna e pianeti?
Cosa è possibile fare con piccoli diametri?
Assodato che la risoluzione dipende sempre e solo dal diametro, e che uno strumento più grande potenzialmente mostra di più di uno più piccolo, avete mai capito effettivamente quale sia il valore dei piccoli telescopi nell'imaging in alta risoluzione?

Come nella parabola della vita quando si raggiunge il (proprio) massimo inevitabilmente si guarda al passato con occhi diversi, forse qualcosa di simile sta succedendo a me nell'ambito astronomico: ho iniziato con un rifrattore da 90 mm non apprezzando affatto le immagini restituite; sono passato ad un 150 mm per abbandonarlo dopo un anno in favore di un 23 cm, con il quale ho trovato la pace per 7 lunghi anni.
Dopo di questo, ho deciso di acquistare uno Schmidt-Cassegrain da 35 cm, con il quale la pace, probabilmente, non la troverò mai, tanto è difficile farlo lavorare al massimo delle proprie possibilità.

Dopo il recente acquisto di un rifrattore apocromatico da 106 mm (Sharpstar, marchio Taiwanese, qualità Giapponese), ho deciso di utilizzare l'esperienza e la consapevolezza maturata nel corso degli anni per apprezzare meglio i piccoli diametri, con la speranza di essere d'aiuto ai giovani astrofili emergenti convinti che il diametro rappresenti la soluzione a tutti i problemi. Più che soluzione, il diametro rappresenta l'evoluzione esponenziale di problemi che spesso neanche si pensa esistano!

Complice una serata di assoluta calma atmosferica, ho ripreso Giove e la Luna con il rifrattore, cercando di capire le sue reali possibilità.
Ebbene, non mi sarei aspettato di ottenere allo stesso tempo risultati emozionanti ed un divertimento che non provavo da tanti anni.
Giove ripreso con un rifrattore apocromatico da 106 mm


Per quanto riguarda il mero aspetto della risoluzione, l'attuale processing digitale consente di ottenere risultati migliori della risoluzione teorica dello strumento. L'immagine di Giove mostra dettagli sotto al secondo d'arco, mentre quella lunare mostra, seppur debole, la piccola spaccatura all'interno della Vallis Alpes, dal diametro di soli 300 metri.

Un aspetto da non sottovalutare riguarda però la facilità ed il divertimento nel riprendere queste immagini: il rifrattore non richiede collimazione, è acclimatato in 10 minuti (questo il tempo trascorso tra il montaggio e la prima ripresa), è leggerissimo, robusto e lo si sfrutta nel 70% delle nottate serene.
Raggiungere il limite teorico diventa semplicissimo e divertente, contrariamente ai grandi diametri che richiedono accorgimenti particolarissimi per evitare la turbolenza locale e molte preghiere (o imprecazioni, a seconda dei punti di vista), per sperare che quella di origine atmosferica collabori.
Personalmente, dopo anni di immagini sempre turbolente attraverso i grandi strumenti, il semplice aver visto a monitor un'immagine così ferma da pensare che il computer si fosse bloccato, mi ha dato una pace ed un sorriso che ancora adesso mi porto dietro.

Alpi e vallis alpes con un rifrattore da 10 cm
Ho cercato a lungo in rete, ma non ho trovato risultati così dettagliati fatti con piccoli strumenti: perché?
Non perché io sono più bravo di altri, piuttosto perché nessuno ha mai realmente testato l'effettivo potenziale dei piccoli strumenti, bruciando le tappe con telescopi che fatica a gestire e che non perdonano il minimo errore di ripresa o programmazione (anche questo riferimento è in parte autobiografico).

Volete un esempio concreto? Per mesi con il mio telescopio da 35 cm ho ottenuto immagini paragonabili a quelle del piccolo rifrattore, pessime per 35 cm di diametro, sapete perché? Perché lo avevo posizionato in un punto del balcone riparato dal vento. L'assenza di ventilazione impediva al calore dell'appartamento e del pavimento di dissiparsi e al telescopio di raggiungere la temperatura ambiente, con la conseguenza che le immagini ribollivano continuamente.
Questo problema con un piccolo diametro semplicemente non esiste.


In conclusione: il diametro rappresenta l'evoluzione naturale di un percorso che non ammette scorciatoie. Maggiore diametro implica maggiore attenzione, cura, esperienza, determinazione.
Prima di buttare il vostro piccolo telescopio, guardatelo attentamente e cercate di capire quali sorprese ha davvero in serbo per voi.

martedì 18 ottobre 2011

Ufo nel cielo? Forse solo meteore

Dopo aver dimostrato che le luci che osserviamo di notte sono quasi sempre da attribuire ad aerei o satelliti, e che per questi ultimi possiamo disporre di ottime previsioni per la loro osservazione, adesso mi occupo di un’altra famiglia di “luci”, spesso conosciuta ma non sufficientemente a fondo: le meteore, dette anche stelle cadenti.
Tempesta di Leonidi del 1999

Che cosa è una meteora?
Un piccolissimo corpo celeste che entra nell’atmosfera a velocità comprese tra 10 e 70 km/s e che brucia (vaporizza) a contatto con gli strati alti dell’atmosfera, ad altezze tipiche di 80 km, producendo l’immagine che possiamo osservare dalla Terra.
Una meteora media è costituita da un oggetto grande circa come un granello di sabbia, di solito composto di silicati e ferro.
 
Le meteore sono spettacolari da osservare e si concentrano in alcune date importanti, tra le quali vale la pena citare il 12-13 agosto (le Perseidi) e il 16-17-18 novembre (Leonini). 
In questi periodi dell’anno, la Terra si ritrova ad attraversare una zona orbitale ricca di piccoli frammenti, di solito lasciati dalla coda di alcune comete periodiche nel loro passaggio ravvicinato (si fa per dire, decine di milioni di km) all’orbita del nostro pianeta.

La coda delle comete è composta da gas e particelle solide e può estendersi per decine o centinaia di milioni di km dal nucleo cometario, posizionandosi anche lungo il piano dell’orbita terrestre.
Quando il nostro pianeta attraversa queste regioni (con densità comunque bassissime) le particelle penetrano nell’atmosfera e danno origine alle piogge di stelle cadenti.

Se siete degli assidui osservatori del cielo, e lo ammirate da luoghi scuri, allora già sapete che in una normale notte è possibile avvistare almeno una decina di meteore in poche ore.
In effetti, materiale interplanetario raggiunge continuamente la nostra atmosfera, si stima una quindicina di tonnellate l’anno.

Riconoscere una meteora è abbastanza facile generalmente, ma non sempre.
Ci sono dei fenomeni piuttosto inusuali e spettacolari che spesso vengono scambiati per UFO.
Si tratta dei cosiddetti bolidi e superbolidi, meteore molto luminose prodotte dall’entrata in atmosfera di corpi celesti di dimensioni superiori, detti meteoroidi.
I meteoroidi possono avere dimensioni variabili tra un centimetro e qualche metro e quando entrano nell’atmosfera terrestre producono effetti spesso sorprendenti.

I corpi dalle dimensioni pari ad almeno un pallone da calcio producono una meteora più luminosa della luna piena, accendendo improvvisamente il cielo e muovendosi velocemente, per poi sparire dopo una decina di secondi.
Alcuni bolidi e superbolidi possono avere comportamenti bizzarri, in dipendenza della loro composizione chimica, dell’angolo con cui entrano nell’atmosfera e sotto il quale sono visti dalla superficie.
Non è raro assistere a meteore luminose che possiedono un lento moto proprio, restando accese per una decina di secondi o più, oppure alcune che durante il loro tragitto si frammentano in due o più parti indipendenti.
Ricordo una volta di aver assistito ad una meteora piuttosto lenta, dalla megnitudine simile a quella di Giove, che ha aumentato bruscamente la sua luminosità due volte prima di frammentarsi e proseguire per altri 5 secondi prima di spegnersi.
I bolidi veloci, meteore di magnitudine negativa, luminosi almeno quanto Giove, spesso lasciano una scia verdastra dopo il loro passaggio.
I superbolidi, quelli con luminosità superiore alla luna piena, possono essere accompagnati da una scia durante e dopo il loro passaggio, persistente per qualche minuto. In qualche caso si possono udire anche dei suoni, chiamati suoni elettrofonici quasi contemporanei al passaggio del bolide o, in casi molto rari, suoni simili al passaggio di un aereo qualche minuto dopo la caduta del superbolide.

Le meteore più luminose della luna piena, i superbolidi, sono a tutti gli effetti piccoli meteoriti che possono anche raggiungere il suolo: un evento raro ma non troppo.
Ogni anno sono almeno una decina i piccoli meteoriti che danno origine a superbolidi e raggiungono il suolo. Alcuni eventi sono stati ripresi da webcam e telecamere di sorveglianza, come ad esempio questo che in Sud Africa ha illuminato a giorno il paesaggio: http://tinyurl.com/yes2qps, oppure quest’altro, che nel novembre 2009 ha interessato lo stato americano dello Utah: http://tinyurl.com/632dhmd.
In questo secondo caso è evidente il bagliore accecante prodotto dall’esplosione del meteoroide poco dopo l’ingresso nell’atmosfera terrestre. Il fenomeno è spettacolare e la luce dell’oggetto ha illuminato a giorno il paesaggio; possiamo stimare una magnitudine del superbolide pari o superiore alla -17.
E’ curioso ascoltare anche alcune telefonate al pronto intervento degli abitanti della zona, spaventati da quel flash blu così intenso: http://tinyurl.com/5vcmbo3

E’ chiaro che quando si assiste ad un fenomeno del genere e non se ne conosce l’origine, la prima reazione è inquietudine e paura, ma l’importante è non perdere la testa e non credere ad ipotesi senza senso, quali un bombardamento, la fine del mondo, l’arrivo di una navicella spaziale. 
No, non è nulla di tutto questo, solamente un oggetto grande quanto un motorino si è schiantato contro la nostra atmosfera ad una velocità di qualche decina di km/s e si è disintegrato ad una quota più bassa, compresa tra 40 e 5 km, liberando un’energia simile a quella di una piccola bomba atomica, ma senza le radiazioni annesse. 
Forse parte del masso disintegratosi è riuscito ad arrivare a terra, ma con una velocità molto minore di quella in entrata, per questo motivo sarà improbabile che esso abbia generato un cratere.

Come vedete si tratta di un fenomeno naturale e a volte spettacolare, ma senza conseguenze (a meno che ciò che resta di questi massi vi precipiti direttamente sulla testa!): da questo punto in poi non potrete più scambiarlo per un UFO o una navetta spaziale atterrata sulla Terra.

lunedì 17 ottobre 2011

Cometa sul Sole ed esplosione: cosa è successo?

Il primo ottobre scorso la sonda Soho, in orbita attorno al Sole e con le sue camere continuamente puntate sulla nostra stella, ha ripreso un evento piuttosto insolito e spettacolare.
Una piccola cometa si è tuffata nell'atmosfera solare e quasi contemporaneamente al tuffo, dalla parte opposta del Sole, si è verificata una gigantesca esplosione coronale.
E' possibile che la cometa abbia generato l'esplosione solare? Ed inoltre, quanto era grande questo corpo celeste?
Una piccola cometa si tuffa nel Sole

Se osserviamo l'animazione che vi riporto, si ha l'impressione che la cometa abbia dimensioni addirittura maggiori della Terra.
Questa è fortunatamente un'illusione, dovuta al fatto che l'immagine a lunga esposizione (sono visibili le stelle di fondo) ha accentuato la luminosità della chioma e della coda cometaria.
Proprio la chioma e la coda, che nelle vicinanze del Sole raggiungono la massima estensione, fanno pensare ad un oggetto simile ad un gigantesco missime.
In realtà entrambe sono costituite da gas piuttosto rarefatto, migliaia (o milioni) di volte nemo denso dell'aria che respiriamo, che ci sembra estremamente luminoso perché illuminato e riscaldato dall'intensa radiazione solare.

La parte solida della cometa è cotituita dal nucleo e generalmente ha dimensioni davvero esigue, se confrontate con quelle dei pianeti: al massimo qualche decina di chilometri.
Stimare le dimensioni esatte delle comete, proprio perché molto piccole e per di più sempre avvolte dalla quasi impenetrabile chioma, è molto difficile, ma possiamo provarci proprio dall'esame della quantità di gas e polveri che formano la chioma e la coda, naturalmente in funzione della distanza dal Sole.

Bene, secondo la mia esperienza, una cometa che poco prima di impattare sulla nostra stella mostra una coda così piccola e poco brillante, non può che avere dimensioni di qualche decina di metri, forse un centinaio.
Volete una prova? Guardate questo video nel quale la stessa sonda Soho ha registrato il passaggio vicino al Sole (prospetticamente questa volta) della spettacolare cometa McNaught nel 2007, visibile addirittura di giorno.
Guardate quanto risulta brillante la chioma e la coda, eppure stiamo parlando di un oggetto di pochi chilometri di diametro.
A confronto, la cometa che si è gettata nel Sole ha dimensioni sicuramente decisamente minori.

Bene, capite le dimensioni e compreso che non c'è nulla di strano nella sua forma, possiamo anche porci una domanda: può un sasso di qualche metro di diametro provocare un'eplosione così gigantesca?
Se cadesse sulla Terra, probabilmente brucerebbe quasi del tutto in atmosfera, o al massimo creerebbe un cratere di un centinaio di metri di diametro. Cosa potrebbe succedere al Sole, oltre 100 volte più grande del nostro pianeta e per di più completamente gassoso?
Probabilmente niente, ed è proprio per questo che gli scienziati sono portati ad affermare che i due eventi osservati non sono probabilmente collegati, ma frutto di un caso.

Vi è da dire che non si tratta della prima volta in cui assistiamo ad un evento del genere: può essere ancora una casualità?
Probaibimente si, visto che l'impatto di comete sul Sole è quasi all'ordine del giorno. E' normale che sulle centinaia di eventi osservati, 2-3 possano incorrere in questa particolare coincidenza.
In ogni caso, visto che la scienza non (dovrebbe) lasciare nulla al caso e non cullarsi sui propri successi, alcuni astronomi stanno studiando se e come eventualmente sia possibile che questi piccoli corpi celesti possano se non generare, innescare delle esplosioni già sul punto di verificarsi.
Staremo a vedere!