Per capire quanto è difficile riuscire a rubare un’immagine di un pianeta extrasolare, possiamo fare un paragone con il nostro Sistema Solare e il gigante dei pianeti: Giove. Ebbene, se osservato alla distanza di appena 30 anni luce (molto vicino!) apparirebbe separato dal Sole di appena mezzo secondo d'arco, circa le dimensioni apparenti di una moneta da due euro vista a più di 8 chilometri di distanza. Ma questa è solo una parte del problema, che diventa ancora più complicato se consideriamo la differenza di luminosità tra il Sole e Giove: diversi milioni di volte. In queste condizioni risulta quasi impossibile, con l'attuale generazione di telescopi, riuscire a osservare la debole luce del pianeta, che sarà soffocata dalla luminosità della stella. Meglio non pensare, allora, a come possa essere la situazione per i corpi più piccoli e interni (e interessanti) come Marte o, peggio, la Terra.
Non tutti i pianeti extrasolari, però, sono oltre le possibilità dei nostri migliori telescopi e un bell'esempio è rappresentato dalla stella HR8799, un astro nella costellazione di Pegaso, 1,5 volte più massiccio del Sole, formatosi solo 60 milioni di anni fa e distante circa 130 anni luce dalla Terra. Attorno a questa stella sono stati scoperti, con il metodo diretto, ben quattro pianeti giganti, con una massa dalle 7 alle 10 volte superiore a quella di Giove. Questi corpi celesti orbitano a grande distanza dalla propria stella, da 14,5 Unità Astronomiche per il più interno a 68 Unità Astronomiche per il più esterno, vale a dire da 2 miliardi a 10 miliardi di chilometri, una distanza ben superiore a quella che nel Sistema Solare è occupata dai pianeti (Nettuno, il più esterno, arriva a 4,5 miliardi di chilometri). Stiamo osservando quindi un sistema molto particolare, che non ha niente in comune con il nostro, sia per quanto riguarda la massa dei pianeti che la loro distanza. Meglio non pensare nemmeno a eventuali forme di vita perché questi oggetti potrebbero somigliare più a una debole stella che a un pianeta come siamo abituati a considerarlo.
Questi quattro pianeti giganti sono stati scoperti e seguiti con il telescopio Keck situato nelle Hawaii, un grande strumento dotato di ottiche adattive che riescono ad attenuare la turbolenza atmosferica della Terra muovendo diverse volte al secondo i tasselli che compongono lo specchio primario. Con particolari tecniche di elaborazione si è ridotto l’enorme disturbo della luce stellare e, come per magia, attorno a quest’anonima stellina sono comparsi quattro deboli punti. Sono pianeti o stelle che sembrano prospetticamente vicine? Per scoprirlo, senza l’ausilio dei metodi indiretti, l’unico modo è seguirne il movimento: se questi quattro deboli punti ruotano attorno alla stella centrale allora non c’è dubbio: sono dei pianeti. La conferma della natura planetaria è arrivata poco dopo la loro scoperta ma ora, a distanza di oltre 7 anni da quella prima, spettacolare, foto, è trascorso sufficiente tempo per vedere un’altra piccola parte di Universo evolvere. L’animazione, composta dallo studente Jason Wang dell'università della California, raccoglie le immagini acquisite al telescopio Keck dal 2009 al 2016 da parte di Christian Maois del National Research Council of Canada's Herzberg Istitute of Astrophysics e mostra il lento ma evidente moto di questi lontanissimi mondi. I periodi di rivoluzione sono di circa 40 anni per il più interno e di 400 anni per il più esterno: servirà ancora molto tempo per osservare un’orbita completa ma questa animazione rappresenta un altro piccolo, e fondamentale, tassello della storia della nostra conoscenza del Cosmo.
Siamo ancora lontani dall’osservare pianeti di taglia terrestre vicini alle proprie stelle, e probabilmente sarà impossibile riuscire a risolvere il disco di questi oggetti e scrutare quindi la loro superficie (servirebbero telescopi ottici di centinaia, migliaia di chilometri di diametro), ma non c’è dubbio che in questo caso l’occhio è stato accontentato. Questi pianeti, anche per i più scettici, ora esistono, si possono osservare e se ne può tracciare il moto attorno alla stella.
Non sarà l’animazione più bella del mondo; non ci sono colori, sfumature, contrasti degni di spettacolari opere d’arte che inondano gli occhi di meraviglia, ma nonostante questo non riesco a smettere di osservarla, ipnotizzato dall’Universo in movimento, da quei mondi lontani centinaia di migliaia di miliardi di chilometri che obbediscono alle stesse leggi della fisica che permettono alla Terra di vivere tranquilla attorno alla nostra Stella. Quei mondi sono reali, ci stanno comunicando la loro esistenza, le loro proprietà, il loro moto, così come appariva circa 130 anni fa. Quando la luce che stiamo osservando è partita da quel sistema, non avevamo ancora idea che nell'Universo ci fossero altri pianeti, persino altre galassie. Non eravamo neanche in grado di volare nell'aria, figuriamoci nello spazio. Il tempo che la luce ha impiegato ad attraversare un centomillesimo del diametro della Galassia, uno schiocco di dita per l'Universo, è stato sufficiente per trasformarci da una società che usava i cavalli per spostarsi a una specie che ha camminato sulla Luna e ha esplorato tutti i pianeti del Sistema Solare. Una specie che ha costruito una mastodontica stazione spaziale a 400 km dalla superficie e che anche grazie a questa ha fatto immensi progressi in ogni ambito della scienza, dalla medicina all'astrofisica, dalla biologia alla geologia. Questo, e molto altro, ci comunicano le immagini dell'Universo, se si guarda oltre la mera bellezza che colpisce la retina. Perché vedere attraverso gli occhi è bello, ma riuscire a osservare con la mente regala un'estasi ben più duratura e profonda di qualsiasi bella immagine.
Per approfondire: https://astrobiology.nasa.gov/news/a-four-planet-system-in-orbit-directly-imaged-and-remarkable/