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venerdì 19 febbraio 2016

Potremo mai raggiungere un pianeta extrasolare?

La risposta, purtroppo, almeno secondo le nostre conoscenze della fisica, è: no, almeno non nel modo in cui siamo abituati a pensare l'esplorazione spaziale umana (ad esempio le missioni lunari o i soggiorni sulla ISS).
Il pianeta extrasolare a noi più vicino dista circa 10 anni luce, quasi 100 mila miliardi di chilometri. Questo significa che impiegheremmo un decennio per raggiungerlo alla velocità della luce. Il problema è che nessun oggetto materiale può avere tanta fretta, così almeno ha deciso l'Universo quando si è dato le proprie regole: è la stessa fisica a dirci che nessun oggetto dotato di massa può raggiungere la velocità della luce ma solo avvicinarcisi. Come se non bastasse, la nostra tecnologia ci mette un bel carico perché attualmente siamo ben lontani dal raggiungere i limiti imposti dalla fisica.
Le astronavi attualmente più veloci viaggiano a circa 70.000 km/h, circa 20 km/s, contro i 300.000 km/s della luce: un bel divario!

Se inviassimo una sonda verso il pianeta extrasolare più vicino, impiegherebbe qualcosa come 200.000 anni per raggiungerlo, dieci volte più della storia dell’intera civiltà umana! Non possiamo quindi pensare di mandare una sonda automatica per esplorare da vicino un pianeta extrasolare, almeno non con questa tecnologia. Il problema è: esisterà una tecnologia rivoluzionaria in grado di farci attraversale le distanze tra le stelle, almeno con missioni robotiche e in poco tempo? Al momento non lo sappiamo ancora, ma la strada, se mai ci fosse, sarebbe molto lunga. 

Probabilmente il nostro destino, almeno per i prossimi secoli, sarà quello di ammirare da lontano, ma sempre con maggior dettaglio, questi intriganti corpi celesti. I telescopi di prossima generazione saranno in grado finalmente di riprendere la loro debolissima luce, milioni di volte meno intensa di quella delle stelle attorno alle quali orbitano. Strumenti sempre di maggiore precisione e sensibilità consentiranno di scoprire in modo chiaro tutta quell’invisibile flotta di pianeti terrestri, ancora per gran parte ignota. 

Una volta individuati i candidati ideali per ospitare forme di vita, sarà possibile dirigere verso di loro le potenti antenne del SETI, che si occupa di rilevare trasmissioni radio di origine extraterrestre, per confermare o meno l’esistenza di altre civiltà avanzate nell’Universo. Ma a un certo punto dovremo fermarci. Probabilmente l’Universo è troppo vasto per poterlo esplorare direttamente; le leggi fisiche attualmente conosciute sembrano evidenziare questa sensazione. E forse non è neanche un male, perché conosco almeno una civiltà che se avesse la possibilità di avvicinare un altro pianeta abitabile, e ricco di risorse come la Terra, non ci penserebbe due volte a colonizzarlo e sterminarne gli abitanti. È successo ogni volta che l’uomo europeo “avanzato” ha scoperto nuovi mondi: l’America, l’Africa, l’Oceania. E di certo, se ne avrà la possibilità, lo farà ancora, ma questa volta su scala cosmica.

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