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martedì 1 dicembre 2015

Molto probabilmente non siamo l'unica specie intelligente dell'Universo



L’astronomo americano Frank Drake, negli anni 60 del secolo scorso, propose un’equazione semplice per cercare di stimare il numero di civiltà evolute nella Via Lattea, introducendo una serie di parametri e moltiplicandoli tra di loro.
Nella sua forma classica, l’equazione è questa:


A livello matematico non fa una piega, ma tra la matematica e la fisica c’è di mezzo la conoscenza della realtà. Indaghiamo il significato delle variabili e capiremo meglio cosa influisce sull’esistenza di una tale civiltà.
R* rappresenta il tasso di formazione di nuove stelle nella Via Lattea, un dato importante che può fornirci uno spaccato temporale dell’eventuale evoluzione della vita.
fp è la frazione di stelle che possiedono dei pianeti. È un parametro scontato, perché civiltà evolute hanno sicuramente bisogno di un corpo planetario.
ne rappresenta il numero medio dei pianeti in un dato sistema stellare che sono in grado di ospitare la vita, quindi, in prima approssimazione quei corpi celesti nelle condizioni simili alla Terra.
fl rappresenta la frazione di pianeti abitabili su cui si è effettivamente sviluppata la vita. Com’è facile intuire, questo è un valore molto difficile da stimare con le nostre attuali conoscenze.
fi è la frazione di quei pianeti in cui si è sviluppata la vita intelligente. A titolo di esempio Marte, che potrebbe ospitare forme di vita primitive, sarebbe escluso da questo conteggio.
fc rappresenta la frazione di quelle civiltà che sono in grado di comunicare direttamente o indirettamente.
L infine, è una stima della durata di una tale civiltà evoluta e/o del periodo in cui riesce a comunicare.

Detta in questi termini, l’equazione di Drake sembra solo un bell’esercizio matematico di dubbia utilità per la ricerca di vita intelligente perché per dirci quante civiltà possiamo scoprire richiede di conoscerne il numero e tutta una serie di parametri che non possiamo in alcun modo conoscere, ancora.
Tuttavia, in questi ultimi 50 anni la conoscenza dell’Universo, in particolare dei sistemi planetari, è passata dallo zero iniziale a un livello che per la prima volta ci consente di fare supposizioni sensate in merito all’esistenza di altre civiltà avanzate nell’Universo.
I parametri che ora conosciamo molto meglio di prima sono due: 1) La frazione di stelle che possiedono pianeti e 2) Il numero di pianeti in grado di ospitare la vita, ovvero che si trovano nella fascia di abitabilità.
Non c’è invece speranza per conoscere gli altri parametri, tra cui anche il tasso preciso di formazione di nuove stelle nella Via Lattea, quindi possiamo semplificare l’equazione di Drake accontentandoci di dare una stima delle civiltà avanzate che possono aver abitato l’Universo nel corso dei miliardi di anni invece di voler stimare il numero di civiltà che esistono in contemporanea alla nostra e che sono in grado di comunicare con noi.

Questa è l’obiettivo che si sono posti due ricercatori: Adam Frank dell’università di Rochester e Woody Sullivan dell’università di Whashington di Seattle.
Utilizzando le nuove conoscenze sul numero di pianeti e sulla frazione di questi che si trova nella fascia di abitabilità, hanno cercato di trovare un limite inferiore al numero di civiltà mai esistite nell’Universo. In questo modo non si deve più stimare il tasso di formazione stellare della Via Lattea né il numero di civiltà che esistono attualmente e che sono in grado di comunicare con noi e tantomeno la loro durata. Di fatto, la domanda non è più: quante civiltà esistono in contemporanea alla nostra e sono in grado di comunicare con noi, ma: qual è la probabilità che la nostra civiltà sia l’unica mai esistita nell’Universo osservabile?

Ecco, sebbene la risposta istintiva di ogni persona che conosce a grani linee quanto sia vasto l’Universo, nonché la base dei principi fisici su cui funziona, sarà sempre improntata ad affermare che noi non possiamo essere l’unica civiltà mai esistita in 14 miliardi di anni di storia del Cosmo, ora per la prima volta abbiamo un limite inferiore sotto cui sembra impossibile scendere. Anche volendo essere pessimisti all’ennesima potenza e affermare che la probabilità che un pianeta abitabile sviluppi forme di vita intelligenti sia di 10-24 ovvero di una su un milione di miliardi di miliardi (!), non sarebbe comunque abbastanza piccola da impedire l’esistenza di altre specie intelligenti in qualche parte dell’Universo, in un tempo qualsiasi della sua storia.

Chi mastica un po’ di proprietà dell’Universo, una probabilità così bassa non l’ha mai vista in nessun fenomeno conosciuto ed è per questo che a sensazione questo è davvero un valore minimo. Di fatto, è la presenza di pianeti nelle zone di abitabilità delle proprie stelle e l’esistenza della nostra specie a porre un limite inferiore alla probabilità dell’esistenza di altre forme di vita intelligenti; un numero che per quanto possa essere piccolo sarà sempre diverso da zero. E qualsiasi probabilità diversa da zero, in un ambiente la cui estensione spaziale tende (o lo è davvero) a infinito e quella temporale supera i 10 miliardi di anni, implica che l’evento associato si è ripetuto almeno un’altra volta al di fuori di noi, a voler essere davvero super pessimisti.
Frank e Sullivan hanno anche stimato che, se la possibilità che un pianeta nella zona abitabile sviluppi forme di vita intelligenti sia di una su 60 miliardi, allora nella Via Lattea non saremmo l’unica civiltà mai esistita.

Trovare dei valori più specifici richiederà ancora molto tempo e studi, ma di fatto l’articolo pubblicato da Frank e Sullivan sembra gettare per la prima volta le basi scientifiche affinché possiamo affermare con una certa confidenza di non essere gli unici abitanti intelligenti dell’Universo. E d’altra parte, una specie che abita su un pianeta comune, che orbita attorno a una stella normalissima, in un punto anonimo di una delle miliardi di galassie a spirale, fatta degli elementi più comuni dell’Universo, perché mai avrebbe dovuto essere l’unica mai esistita nel Cosmo?


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